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© Il Blog di Giacomo Palumbo - Home ufficiale

mercoledì 22 agosto 2012

Elezioni Regionali Siciliane: al via la campagna elettorale.

Si apre di fatto la campagna elettorale per le prossime elezioni regionali, nell'isola siciliana, che si terranno il prossimo 28 e 29 Ottobre. Il funzionamento della legge elettorale siciliana prevede uno sbarramento del 5 per cento per tutte le liste. Questo è il principale problema di Futuro e Libertà, per esempio, ma anche dell’Italia dei Valori e di altri partiti “minori”. Da una parte andare da soli vuol dire esporsi al rischio di non eleggere nemmeno un deputato regionale, dall’altra gli eventuali accordi di coalizione prevederanno probabilmente la costruzione di “liste comuni” o liste civiche, così da unire gli sforzi e permettere alle formazioni politiche più piccole di arrivare in qualche modo allo sbarramento.
Così ci sono diverse le candidature e autocandidature per la corsa alla presidenza della Regione Siciliana. Ora mi chiedo sarà la cartina di tornasole molto prima delle elezioni politiche del 2013? E in anticipo sulla scadenza naturale dell’attuale legislatura? prevista ad aprile dell’anno prossimo?
Dopo le dimissioni del 31 luglio scorso di Raffaele Lombardo, in Sicilia si vota in anticipo. Lombardo ha dichiarato di essersi dimesso non solo per affrontare meglio le sue ardue vicende giudiziarie, ma anche per evitare che il voto regionale si tenesse in contemporanea con quello nazionale. A soli due mesi delle elezioni, non è ancora chiaro il quadro dei candidati né di chi sosterrà chi. Però c'è il centrodestra che in questo momento ruota attorno a Grande Sud, federazione nata dall’unione di Forza del Sud, Noi Sud – Libertà e autonomia e Io Sud. Il leader della federazione è Gianfranco Miccichè, ex Forza Italia, ha ritirato la sua candidatura a presidente della regione e si è dato anima e corpo al candidato Nello Musumeci, leader siciliano della Destra di Francesco Storace ed ex presidente della provincia di Catania. Il Pdl di “Angelino Alfano” (Silvio B.) ha dato il sostegno alla candidatura di Musumeci. La cosa però ha provocato malumori e dichiarazioni contrastanti dentro il partito di B. Poi c'è il centrosinistra, lì la situazione non è più definita e ci sono due candidati a dividersi spazi e attenzioni. Uno è l’europarlamentare Rosario Crocetta, sostenuto da PD e UdC. L’altro è Claudio Fava, giornalista, scrittore, ex europarlamentare, sostenuto da SeL. Crocetta, sindaco di Gela per il centrosinistra dal 2002, confermato alle elezioni del 2007, primo sindaco italiano dichiaratamente omosessuale, dopo un passato nei Comunisti italiani ha aderito al PD nel 2008 ed è stato eletto al Parlamento europeo nel 2009.  Crocetta ha dichiarato di voler aprire al centro la coalizione che lo sostiene e spera di ottenere il sostegno di API e FLI. Mentre il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo candida Giovanni Carlo Cancelleri, 38 anni, geometra e attivista. Futuro e Libertà ha presentato un proprio candidato, Fabio Granata, ma si trova in una situazione complicata. Avendo sostenuto Lombardo nella fase finale della scorsa legislatura, dovrebbe stare dalla parte di Musumeci: ma questo vuol dire stare dalla parte di Storace, leader del partito di Musumeci, e probabilmente anche dalla parte del PdL di Berlusconi e Alfano, e la cosa non viene considerata possibile.

lunedì 20 agosto 2012

Lavoro: quanti morti sulla coscienza?


E’ morto, all’alba di ieri 19 Agosto, Angelo di Carlo, 54 anni, originario di Roma ma da anni trasferitosi a Forlì. L’uomo, lo scorso 11 agosto, si era dato fuoco davanti a Montecitorio in segno di protesta contro la mancanza di lavoro. Da allora, Angelo era ricoverato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma con ustioni sull’85% del corpo. Poi a Torino un'altra vittima che non trovava lavoro e non ce l'ha più fatta: un uomo si è cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco. È morto così, in un campo di Torino, quell'uomo aveva 48 anni. A Montecitorio, a Torino, ancora quante persone, mi chiedo, devono spingersi oltre? Ancora quante vittime del sistema dei licenziamenti devono starci? Ancora quante persone devono togliersi la vita per quel “maledetto” lavoro che non c’è e che serve per sopravvivere al sistema? Ancora quanti gesti di questo genere devono presentarsi agli occhi e alle orecchie degli italiani? Forse non vediamo, forse non sentiamo, ma quell’uomo ci ha lanciato un messaggio? Forse non riusciamo a percepire più niente e ci lasciamo andare alle critiche ostiche pure nell’esprimerle. Io mi appello all’articolo 1 della Costituzione che si esprime in questi termini: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” Disponiamo della nostra unica e potente arma: quella del voto, che ci rende capaci di scegliere la politica più adatta, quella che capisce in quale direzione dirigersi. Ricordo San Paolo (Ef 5,16): «Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà»…. “profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.” I giorni sono cattivi questo è il punto! C’è chi non si è svegliato dai morti, c’è chi non vede in Cristo la luce. In quei giorni cattivi Angelo ha visto il buio ed è stato cattivo consigliero, si è lasciato andare alla disperazione, nell’assurdo di un gesto che lo si può solo immaginare, nella rabbia e nei termini durkheimiani del suicidio sociale, e che non è possibile attuare tra chi non ha coraggio. Forse Angelo aveva troppo coraggio da vendere, quel gesto è pieno di significato ricordiamocelo. I suoi amici lo hanno espresso accendendo le candele, quelle che esprimono la luce nella notte e ricordando il silenzio dell’anima. Gli amici: una “veglia silenziosa di lutto in piazza a Forlì, “senza slogan e senza bandiere, per ricordare quanto abbiamo bisogno ancora di uomini dal cuore grande come Angelo.”

Come è morto Angelo di Carlo? Era l’una di notte quando l’operaio arrivò in piazza Montecitorio, tirò fuori una bottiglia colma di liquido infiammabile e se lo versò addosso, poi con un accendino si diede fuoco. Avvolto dalla fiamme si lancio verso l’ingresso della Camera dei Deputati. I carabinieri, sempre presenti nella piazza, intervennero con gli estintori riuscendo a spegnere quel corpo diventato una torcia. L’uomo venne ricoverato in prognosi riservata al Sant’Eugenio con ustioni di secondo e terzo grado sull’85 per cento del corpo. L’operaio, vedovo, aveva grosse difficoltà economiche a causa della perdita del lavoro, ed era impegnato in un contenzioso con i tre fratelli per un’eredità. Nello zainetto che aveva con sé c’erano, due lettere, una per il figlio, a cui ha lasciato 160 euro. Questi giorni si presenteranno più angusti che mai non solo per Angelo ma anche per coloro i quali gli stavano accanto. Lo dimostra l’affetto dimostratogli dagli amici ieri sera in Piazza Saffi, pieni di sofferenza e pieni di silenzio che distrugge l’anima.

venerdì 10 agosto 2012

I disoccupati nelle società globalizzate: il lavoro che dà ricchezza.

Si dice che mancano i soldi ma prima di tutto manca il lavoro. Quale è il nesso?

Per tutto il Medioevo su su fino all'avvento della società industriale, a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, la ricchezza era soprattutto agricola, era prodotta dal lavoro dei contadini. Poi, con la società industriale, la ricchezza fu sempre più prodotta dalla macchina, e quindi dagli industriali e dagli addetti alle macchine, dagli operai. E le città si ingrandirono sempre più perché alimentate (in ricchezza) dal lavoro artigiano nelle botteghe e dal commercio, specialmente nelle città marinare.

Saltando i secoli, negli anni Sessanta, che furono anni di grande euforia, i sociologi diffusero l'idea che alla società industriale stava subentrando la «società dei servizi». E la società dei servizi era, appunto, una società post industriale, non più di macchine e di fabbriche ma di uffici. La differenza più importante tra le due (nelle rispettive conseguenze) è che i conti della società industriale erano facili: sapevi sempre se e quanto guadagnavi o perdevi. Invece i conti della società dei servizi, e più esattamente la produttività dei servizi, è difficile da misurare. Anche per questo i servizi si sono man mano gonfiati molto più del necessario, diventando un rimedio per assorbire la disoccupazione, e per ciò stesso una entità parassitaria. Intanto le città si ingrandivano, le campagne si spopolavano, e anche gli addetti alla produzione industriale diminuivano.

Poteva durare? Forse a popolazione stabile sì.

Ma nel frattempo è esploso il vangelo della globalizzazione. Tutto il mondo economico diventa un mondo senza frontiere. Torna in auge la formula della scuola di Manchester: «Lasciar fare, lasciar passare». Per l'economia finanziaria è già così. Anche a non volere, le transazioni finanziarie non possono non essere globali. Ma per l'economia produttiva che produce beni e merci, e quindi l'economia che davvero fabbrica crescita e ricchezza, non è e non può essere così.

Oggi gli economisti si sono in buona maggioranza buttati sull'economia finanziaria, quella che arricchisce gli speculatori, Wall Street, le banche e, di riflesso, gli economisti che ne sono consiglieri. Semplifico così: l'economia finanziaria fa fare (e anche perdere) soldi, ma di suo produce soltanto carta, fino ad approdare, oggi, alla carta-spazzatura dei cosiddetti derivati.

Torno alla globalizzazione, che sin dal 1993 ritenni un grave errore per questa ragione: che a parità di tecnologia (già allora il Giappone, ma poi man mano Cina, India e altri Paesi ancora) l'Occidente ad alto costo di lavoro era destinato a restare senza lavoro: e quindi che le cosiddette società industriali avanzate sarebbero diventate società senza industrie. La profezia era lapalissiana, e difatti si è già avverata in gran parte per i piccoli produttori (che però sono moltissimi).

I «grandi» (troppo grandi per poter fallire) si sono salvati inventando l'azienda glocal (una parola recente inventata ad hoc), in parte globale e in parte locale, che spezzetta la sua produzione magari con profitto, ma anche per salvare dal tracollo i Paesi industriali «anziani».

In sintesi: la globalizzazione dell'economia industriale ci disoccupa, disloca il lavoro dove costa cinque-dieci volte meno. Possiamo trovare, già lo dicevo, importanti eccezioni a questa regola. Ma le statistiche parlano chiaro. In Italia l'industria ha perso, in cinque anni, circa 675 mila posti di lavoro e la produzione si è ridotta del 20,5 per cento (dati Cisl).

Ma il governo Monti - così come tutti i governi della zona euro che si sono indebitati oltre il lecito e il credibile - non affronta questo problema. Oggi come oggi non potrebbe nemmeno se lo volesse. È che noi abbiamo accumulato un debito pubblico salito al 123 per cento del Pil, del prodotto interno lordo, e cioè 1966 miliardi di euro.

Il che significa che il grosso delle entrate fiscali dello Stato è ipotecato in partenza: deve servire a pagare gli interessi su quel debito. Interessi che se salissero oltre il livello al quale sono, manderebbero lo Stato in bancarotta. Per di più lo Stato deve pagare il personale (eccessivo, ma c'è) che lo serve. E raschia ogni giorno il fondo del barile pagando i suoi stessi fornitori, a volte, addirittura con un anno di ritardo. Infine abbiamo la più alta pressione fiscale ma anche la più alta evasione fiscale (Grecia esclusa) dei Paesi euro.

Ma siamo ottimisti. Ammettiamo che il governo Monti riesca finalmente a decapitare gli sprechi e le ruberie del passato. Così si troverebbe ad avere soldi disponibili, che però (data l'alta disoccupazione, specialmente giovanile) dovrebbe investire in opere pubbliche (anch'esse, sia chiaro, necessarissime). Anche così, allora, i soldi da investire per produrre ricchezza e crescita continuerebbero a mancare. Oppure no? Qualche economista mi potrebbe aiutare a capire meglio?

Giovanni Sartori

10 agosto 2012

giovedì 9 agosto 2012

Una legge per disciplinare la politica?

Ai Partiti, più controlli e meno soldi pubblici. Il rapporto Amato: vigilanza alla Corte dei conti. Per i sindacati «distacchi» da diminuire.
Meno finanziamenti pubblici ai partiti e rapportati ai contributi ricevuti dai privati, con ogni singola donazione e donatore registrato su un sito internet accessibile a tutti i cittadini. Stretta sui distacchi sindacali nel pubblico impiego. Sono le principali proposte dei dossier Amato allo studio del presidente del Consiglio, Mario Monti. Dopo la brevissima pausa estiva il governo ripartirà dalle nuove misure di revisione della spesa pubblica (spending review), ma metterà mano anche ai finanziamenti della politica e del sindacato. Lo farà sulla base delle relazioni consegnate dall'ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, al quale il premier ha appunto dato il compito di suggerire i tagli. A completare il quadro ci sono poi le misure per ridurre gli incentivi alle imprese, anche qui seguendo le indicazioni di un altro consulente di Monti, l'economista Francesco Giavazzi. Infine, con la legge di Stabilità di ottobre, il governo dovrebbe varare il riordino delle agevolazioni fiscali già censite dal sottosegretario all'Economia, Vieri Ceriani. Tutti questi interventi puntano a realizzare consistenti risparmi di spesa, innanzitutto per evitare l'aumento dell'Iva che altrimenti scatterà a luglio 2013. Servono circa 6 miliardi di euro.

Sì ai finanziamenti alla politica - «Una qualche forma di finanziamento pubblico della politica esiste in ogni democrazia», dice Amato nel rapporto consegnato a Monti. È così per evitare che solo i ricchi partecipino e far sì «che ogni cittadino possa accedere al processo politico, in condizioni di parità». Di certo, prosegue l'ex premier, «non esiste ordinamento realmente democratico che non preveda un accettabile finanziamento pubblico del momento elettorale». Perfino negli Stati Uniti, «dove il privato la fa da padrone», si assiste alla «ripresa di un dibattito intorno alla necessità di un finanziamento pubblico». I Paesi europei hanno tutti un sistema misto di finanziamenti, pubblico e privato. Le risorse che arrivano dallo Stato sono di tre tipi: i rimborsi elettorali; il finanziamento diretto, «in genere destinato a partiti e a gruppi parlamentari»; quello indiretto (agevolazioni, contributi all'editoria di partito, tariffe di favore sui servizi postali, di trasporto, eccetera).

Riformare i partiti - Dopo aver passato in rassegna le principali caratteristiche dei sistemi in vigore nei Paesi europei, Amato trae le sue conclusioni, che possono essere sintetizzate in dieci punti. 1) È necessaria «una legge che disciplini e regoli i partiti politici», anche al fine di assicurare che tutte le contribuzioni siano «ancorate a garanzie minime di democrazia interna dei partiti». Bisogna insomma attuare l'articolo 49 della Costituzione, perché solo in Italia i partiti sono semplici associazioni di fatto sottratte a vincoli e controlli. 2) Vanno «ridotti i rimborsi elettorali, in ragione di tetti di spesa da determinare con rigore per le campagne elettorali, anche ove i rimborsi siano poi parametrati ai voti». 3) Il finanziamento diretto «è ammissibile solo in ragione percentuale a quanto ottenuto dai partiti con erogazioni liberali», anche per evitare che si formino piccoli gruppi politici al solo scopo di prendere soldi pubblici. 4) Consentire i finanziamenti privati «non solo da persone fisiche, ma anche da persone giuridiche, entro limiti quantitativi e in regime di massima trasparenza». 5) Aumentare lo spazio di «accesso ai servizi». Per esempio, le «sale per riunioni ed incontri» in sedi pubbliche al fine di «ridurre il finanziamento diretto».

Un sito per la trasparenza - 6) Ogni forma di contribuzione «deve cessare con lo scioglimento» del partito. 7) Il controllo sui rendiconti e sulla gestione finanziaria va affidato alla Corte dei Conti. 8) Le modalità di erogazione devono «evitare il formarsi a beneficio dei partiti di significative liquidità». 9) Regolamentare le lobby. 10) Come negli Stati Uniti va aperto un sito internet «che renda obbligatoriamente trasparenti e conoscibili i donatori e i finanziatori per ciascun partito e per i candidati ad ogni livello».

Meno distacchi sindacali - Nella «Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato» Amato esamina i tre canali attraverso i quali arrivano risorse alle organizzazioni dei lavoratori: i distacchi, i patronati e i Caf (centri di assistenza fiscale). La conclusione è che ci sono margini solo sui distacchi nel pubblico impiego, che causano assenze retribuite dal lavoro corrispondenti a 3.655 dipendenti l'anno (uno su 550) per un costo di 113,3 milioni di euro. Questa spesa si può ridurre o tagliando ancora di più i distacchi, già ridimensionati nel 2009, o mettendo le retribuzioni dei lavoratori distaccati a carico del sindacato oppure incentivando gli stessi sindacati a «utilizzare i propri iscritti in pensione per gli incarichi direttivi». Sui patronati e i Caf, Amato suggerisce invece di non intervenire, sia perché svolgono funzioni essenziali (riconosciute da sentenze della Corte costituzionale quelle dei patronati) sia perché entrambi hanno già subito pesanti tagli dei contributi.



lunedì 6 agosto 2012

Lo stagista non retribuito contro l’istituzione pubblica

Mi sono imposto dopo la laurea magistrale (dopo il quinquennio universitario 3+2 in scienze politiche) di proseguire con la formazione diretta nel mondo del lavoro. Mi sono detto sacrifico l’estate e faccio un tirocinio formativo presso l’organo che mi interessa e così e stato. Cerco nell’elenco dei tirocini formativi attivi tra l’università di Bologna e l’”azienda” di mio interesse, possibilità che mi è stata data dopo il conseguimento della laurea e non oltre i dodici mesi dalla data di conseguimento. Ed ecco fatto, avevo scelto l’istituzione pubblica perché è su quel campo che voglio migliorare, la quale ha accolto la mia domanda, tanto a gratis i tirocinanti vengono sfruttati perché non accettare! pensavo tra me e me quando ho ricevuto la risposta pensando a chi mi aveva risposto. Il tirocinio mi porta a identificarla nella struttura di un’attività amministrativa del ministero dell’interno. L'Ufficio Territoriale del Governo (La Prefettura), il quale mi ha sempre colpito per la sua funzione istituzionale sul territorio, e quindi alla fine sono stracontento di fare quel che sto facendo.
Premetto che il tirocinio non è retribuito, è un progetto di tre mesi che prosegue neanche cacciando una lira. Escludendo il fatto che ho scelto io, quindi mea culpa dovessi cedere a qualche mia bassezza, di proseguire sulla mia formazione anche a costo di rimetterci, la domanda mi viene spontanea, come fa un giovane neolaureato a proseguire se non viene retribuito neanche negli stage formativi nelle istituzioni pubbliche? Perché devo accollarmi il lavoro di fascicoli e verbali, che è possibile elaborare tranquillamente c’è da dire, e direi al pari di un qualsiasi impiegato all’interno di questa istituzione e non essere retribuito per le mie cinque ore lavorative giornaliere?
Il responsabile, che mi segue di pari passo nelle mie attività di tirocinio, nello specifico inserimento dati di elaborazione anagrafica con access automation, quindi di stampa unione con word cose che sapevo già fare, mi ricorda spesso che in passato hanno accolto stagisti e stagiste nel quadro di tirocini formativo e che di loro ha un bel ricordo. Il ricordo ci sta ma dico perché tenersi stretti così tanti tirocinanti solo al fine di smaltire lavoro negli uffici, come nelle aziende, e non pagare neanche un euro per la nostra condizione di sfruttamento del lavoro?
Sicuramente evidenziando e ripassando le discussioni posso dire, dato la lunga esperienza nel settore degli impiegati, all’interno di questa istituzione, sul piano umano e quindi sul piano delle relazioni umane, sono state esperienze molto intense per altri e penso vista la situazione di tranquillità lo sarà anche per me, ma qualche dubbio mi rimane e l’amaro in bocca lo sto solo deglutendo adesso. Le spese si fanno avanti! Le bollette si devono pagare! E per fortuna non ho un auto, evitandomi di pagarmi i costi di mantenimento del carretto!
Sul piano strettamente professionale la realtà sul campo lavorativo mi appare così ingiusta che mi sento quasi preso in considerazione solo perché sono lo stagista: e "lui" (lo stagista: Io) aiuta a smaltire i fascicoli degli anni passati! Parlando tra me e me.
Non percepiscono il rischio di diventare parte integrante di questo ingranaggio corroso dalla ruggine dello sfruttamento. Bisognerebbe sul piano politico fare un passo indietro e visualizzare i possibili inserimenti. Perché un personale diplomato, entrato al suo tempo con regolare concorso, consegue mansioni che potrebbe ricoprire tranquillamente un neolaureato? Solo perché è la legge ormai che lo tutela? Perché all’epoca c’era il magna magna di inserimenti politici "abusivi", come adesso non ce ne sono più. E ora chi sta nella mia condizione come si sente secondo voi? Ho terminato gli studi e non vedo sbocco all’orizzonte. Non c’è lavoro e lo si vede. Faccio mille colloqui e tutti mi portano al porta a porta. Cosa si deve fare ditemelo voi!?! Io vado avanti alla ricerca della felicità.
In ogni caso, in effetti, se si ragiona nei termini di una condivisione, dovrebbe esserci anche una qualche forma di profit sharing o no?. Non metto in dubbio che si impara sul campo il mestiere, qualsiasi mestiere, però mi fa rabbia vedere gente che con il solo diploma è inserito “col culo nella poltrona” con uno stipendio mensile fisso mentre io non ho un futuro. Non ho neanche la possibilità di essere sostenuto nella mia idea di farmi una famiglia e non penso minimamente di entrare in una banca. Poi non parliamo dei concorsi di dirigente amministrativo: ho i requisiti della laurea magistrale ma non ho l'esperienza quinquennale da dirigente: scusate ma se ho appena finito gli studi dove avrei dovuto essere dirigente, nelle mie mutande?
Nel corso dei miei studi ho sempre fatto questi periodi di tirocini, erano in funzione dell’università, non avevo retribuzione né rimborsi, ma si trattava appunto del completamento di un percorso di formazione. Per tutti i periodi di tirocinio ho sentito di essere ampiamente ripagato in competenze acquisite, grazie alla pazienza, alla dedizione e all’apertura mentale. E ora?!? Ho una laurea quinquennale e su che cosa devo puntare? Forse su me stesso! E voglio riferirmi a coloro che sfruttano queste condizioni.
“Mondo del lavoro” le mie idee a questo punto sono rivolte altrove a una sorta di “violenza” che si rivolge ai privilegiati e più fortunati di me a chi come quel riccio di Martone ci offende con quei discorsi da calci in faccia o addirittura in culo. Io ho una laurea dove me la ficco? A tutti coloro che sfruttano gli stagisti dico una cosa, bravi sfruttate la legge e i poveri ragazzi in cerca di lavoro, fate utile e profitto sulle spalle del futuro del paese e dico: fate schifo solo a pensarci, anche voi sindacati fate schifo solo a pronunciarvi. Se volete che continui a lavorare per voi, dobbiamo trovare un accordo e l’accordo è:

“O si cambia ora o si muore di crepacuore tutti insieme, o si cambia ora oh! non vi conviene!”

Ps: Mea culpa se ho esagerato un pochetto, ma lo sfogo ci sta sempre, soprattutto se sono in tanti a sentirti e a leggerti.



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