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mercoledì 21 novembre 2012

Gare d'appalto Sicilia: no al massimo ribasso

No al massimo ribasso nelle gare d'appalto vi spiego il perchè. Riprendendo una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza 3 dicembre 2010, n. 8408) il Tribunale Amministrativo Regionale di Torino ha affermato, in materia di scelta del criterio di aggiudicazione delle gare d'appalto pubbliche, che risulta essere illogica la scelta del criterio del prezzo più basso quando la stazione appaltante ha deciso di attribuire nella legge di gare un peso di rilievo agli aspetti qualitativi dell'offerta.


Con la sentenza n. 1 del 4 gennaio 2011, i giudici del TAR hanno sostenuto una tesi più volte sostenuta negli ultimi tempi che boccia l'utilizzo del massimo ribasso nel caso in cui la legge di gara attribuisce rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta, in riferimento al particolare valore tecnologico delle prestazioni, al loro numero, al loro livello quantitativo e qualitativo.

Il collegio piemontese ha ricordato il comma 1, art. 81 del D.Lgs. n. 163/2006 che, in riferimento ai criteri di aggiudicazione, afferma che fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative alla remunerazione di servizi specifici, la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, lasciando chiaramente intendere che, esistendo una perfetta e sostanziale equivalenza tra i due sistemi, la scelta dell'uno o dell'altro è rimessa alla libera determinazione dell'amministrazione, con l'unico limite di far ricadere tale scelta su quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto, al fine di selezionare la migliore offerta e di garantire la qualità delle prestazioni e il rispetto dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità.

I giudici piemontesi hanno ricordato che, in funzione di quanto specificato dal Codice, il criterio del massimo ribasso risulta essere adeguato nel caso in cui non vi sono dubbi sulle caratteristiche qualitative del bene posto a gara, atteso che la puntuale individuazione dell'oggetto della fornitura appare di per sé in grado di evitare il verificarsi di fenomeni distorsivi della concorrenza.

Viceversa, è illogica la scelta del criterio del prezzo più basso quando la legge di gara attribuisca rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta, in riferimento al particolare valore tecnologico delle prestazioni, al loro numero, al loro livello quantitativo e qualitativo. In questi casi la pluralità di elementi presi in considerazione dalla lex specialis si pone in contrasto con la caratteristica unicità del criterio del prezzo più basso comportando la violazione delle disposizioni poc'anzi richiamate.

Risulta illogico l'utilizzo del massimo ribasso come criterio di aggiudicazione nel caso in cui la legge di gara attribuisce rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta, in riferimento al particolare valore tecnologico delle prestazioni, al loro numero e al livello quantitativo e qualitativo dei servizi richiesti. In questi casi la pluralità di elementi presi in considerazione dalla lex specialis si pone in contrasto con la caratteristica unicità del criterio del prezzo più basso comportando la violazione degli articoli 81 e 82 del d. lgs. n. 163 del 2006.

Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza n. 8408 con la quale il Consiglio di Stato ha accolto il 3 dicembre 2010 il ricorso presentato contro l'utilizzo del criterio del massimo ribasso in una gara in cui l'elevato valore tecnologico delle prestazioni attribuisce un valore di rilievo agli elementi qualitativi richiesti dal bando.
I giudici del Consiglio di Stato hanno, innanzitutto, ricordato una precedente sentenza della Corte di Giustizia Europea (sent. 7 ottobre 2004, in causa C- 247/02, Cons. St. Sez. IV, 23.settembre 2008, n.4613, Sez. VI, 3 giugno 2009, n. 3404) che faceva rientrare nei poteri discrezionali dell'amministrazione appaltante la scelta del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa in base alle caratteristiche dell'appalto, avendo di mira unicamente la garanzia della libera concorrenza e la selezione della migliore offerta. In relazione a questa sentenza, se ne deduce che la sindacabilità del criterio scelto discende solo in caso di manifesta illogicità, inadeguatezza o travisamento.

Il CdS ha ricordato pure che la scelta tra i criteri di aggiudicazione di un appalto deve considerare l'unicità e l'automatismo del criterio del prezzo più basso e la pluralità e variabilità dei criteri dell'offerta economicamente più vantaggiosa, quali il prezzo, la qualità, il pregio tecnico, il servizio successivo alla vendita, l'assistenza tecnica, ecc. Pertanto, è da considerare manifestamente illogica la scelta del criterio del prezzo più basso quando la legge di gara attribuisce rilievo ad aspetti qualitativi variabili dell'offerta, in riferimento al particolare valore tecnologico delle prestazioni, al loro numero, al livello quantitativo e qualitativo dei servizi di formazione del personale e di manutenzione delle apparecchiature. In questi casi la pluralità di elementi presi in considerazione dalla lex specialis si pone in contrasto con la caratteristica unicità del criterio del prezzo più basso comportando la violazione degli articoli 81 e 82 del d. lgs. n. 163 del 2006. 

Fonti: Lavoripubblici.it (1)     Lavoripubblici.it (2) a cura di Gabriele Bivona.
 
Nella lunga tradizione delle gare d'appalto, due sono fondamentalmente i metodi con i quali l'impresa concorrente può esprimere la propria offerta: tali criteri sono oggi alternativamente previsti dall'art. 82 Codice Appalti (e, come tra poco vedremo, ripresi dal Regolamento):

- attraverso un ribasso percentuale rispetto all'importo posto a base di gara;

- attraverso un'offerta a prezzi unitari.

Per prima cosa, notiamo che tale distinzione non deve essere confusa con quella tra criterio del prezzo più basso e offerta economicamente più vantaggiosa, prevista dallo stesso art. 82 nonché dall'art. 83.
Quest'ultima distinzione attiene infatti il criterio di valutazione dell'offerta, mentre la distinzione di cui ora dobbiamo occuparci attiene le modalità di formulazione.

Come si nota, è lo stesso art. 82 a regolare da un lato il caso del criterio del prezzo più basso e, dall'altro, prevedere l'alternativa tra ribasso percentuale e prezzi unitari. Ciò non è affatto casuale: tale alternativa sussiste infatti soltanto nel caso del criterio del prezzo più basso; nel caso dell'offerta economicamente più vantaggiosa, i prezzi unitari non vengono mai utilizzati.

Ciò posto, dobbiamo notare che i molti dubbi che su questo punto troppo spesso affliggono gli addetti ai lavori derivano soprattutto da una piccola dimenticanza del legislatore. Il quale, scrivendo l'art. 82, ha usato una formula leggermente diversa da quella tipica di bandi di gara e lettere d'invito.

Nell'art. 82, si parla infatti di «ribasso percentuale rispetto all'importo posto a base di gara»; in bandi di gara e lettere di invito, invece, si parla sempre di ribasso percentuale unico.

Davvero un peccato che il legislatore, nel cristalizzare la prassi più comune, abbia trascurato tale fondamentale aggettivo (che, del resto, non compariva neanche nell'art. 21 D.Lgs. 109/94, antesignano del Codice degli Appalti). Si tratta, infatti, della chiave di volta che consente di percepire appieno il profondo solco che divide le due possibili modalità di formulazione di un'offerta da valutarsi – come visto – con il criterio del prezzo più basso:

- con il ribasso percentuale, si esprime un ribasso – per l'appunto – unico sull'importo a base di gara, non potendosi esprimere ribassi diversi sulle varie tranches dell'importo.

Il ribasso unico investe pertanto l'intero importo a base di gara, con la sola eccezione degli importi che la legge considera non soggetti a ribasso d'asta (vale a dire gli oneri per la sicurezza);

- con l'offerta a prezzi unitari, non si fa altro che compilare il proprio personale "listino prezzi" relativo alla distinta dei materiali in gara. Sfortunamente, il fondamentale aggettivo «unico» non è stato recuperato neanche dal Regolamento Appalti: il quale, all'art. 118, parla di «massimo ribasso» senza ulteriomente specificare.

Simile discrasia tra il dato legislativo e la prassi seguita dalle stazioni appaltanti è dunque destinata a continuare a generare qualche malinteso: più precisamente, qualche possibile sovvertimento, da parte dei giudici, delle esclusioni dalla gara decretate dalle stazioni appaltanti – o, come stiamo per vedere, dai giudici di primo grado – a fronte della mancata osservanza della regola dell'unicità del ribasso percentuale. In teoria, il problema si può porre sotto due distinti profili:

1) Da un lato, è possibile che venga espresso un ribasso percentuale «multiplo»;

2) Dall'altro, è possibile che il ribasso percentuale sia sostituito dalla puntuale elencazione dei prezzi praticati per le singoli voci di tariffa. In altre parole, che il criterio del ribasso percentuale (unico) sia arbitrariamente sostituito, da parte del concorrente, con il criterio dell'offerta a prezzi unitari.

Passando dalla teoria alla pratica, la prima ipotesi appare di difficile attuazione: l'espressione del ribasso percentuale non unico, infatti, chiamerebbe in causa il concetto matematico della c.d. «media ponderata»: poiché infatti i ribassi non insisterebbero tutti sullo stesso importo, il ribasso totale non coinciderebbe con la media dei singoli ribassi, con tutte le complicazioni che ne derivano. Crediamo, del resto, sia questa la ragione per la quale il legislatore non ha mai sentito la necessità di precisare che il ribasso percentuale deve essere unico. Nondimeno, l'assenza di tale aggettivo – come visto – apre talora il campo a modalità non «uniche» di espressione del prezzo offerto.

A fronte di ciò, si tratta di capire se la violazione delle prescrizioni relative alle modalità di formulazione dell'offerta possano essere causa di esclusione, oppure no. Cominciamo con il notare che le lettere di invito e i bandi di gara non sempre contemplano tale possibilità tra le cause di esclusione esplicitamente indicate; ma tale dato ha ormai solo il valore di un indizio: sempre più spesso, infatti, l'elenco delle cause di esclusione si conclude con una generale previsione in nome della quale possono essere escluse le offerte che presentino una qualsivoglia difformità rispetto a quanto prescritto dalla documentazione posta a base di gara. Da ciò (e non solo da ciò) deriva che, non di rado, un'offerta formulata in maniera diversa da quella indicata venga senz'altro esclusa. Ma tale esclusione – fin troppo facile, a questo punto, immaginarlo – non è certo oggetto di pacifico avvallo da parte del giudice amministrativo adito dal concorrente in questione.

Poiché – come visto – il Regolamento in nulla ha innovato su tale punto, la pietra di paragone del più recente atteggiamento giurisprudenziale resta la sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI) n. 3383 del 15 giugno 2009. In essa, i giudici si schierano decisamente contro quel formalismo di gara che – come abbiamo più e più volte avuto modo di notare – rappresenta una delle più robuste e ingombranti eredita dell'antica legislazione sugli appalti pubblici. Sarà assai significativo riportare per esteso il passaggio nodale della decisione: È vero che l'art. 16 del Capitolato d'appalto chiarisce che nella busta 3 deve essere inserita, a pena di esclusione "la dichiarazione .... contenente l'indicazione del ribasso unico percentuale (in cifre e in lettere) rispetto all'importo a base di gara" e che, invece, nelle offerte economiche presentate dal RTI [...] è sempre indicato il prezzo complessivo in Euro.

Tuttavia, tale mero errore materiale non è in alcun modo idoneo a rendere indeterminata l'offerta, in quanto l'importo indicato in euro lascia agevolmente comprendere che non si tratta di una percentuale di ribasso, ma del prezzo offerto; l'entità dell'importo esclude anche che si possa trattare del valore in euro del ribasso.

Emerge, quindi, in modo obiettivo che la cifra indicata corrisponde al prezzo offerto e ciò si ricava non in base ad una interpretazione dell'offerta da parte della Commissione, che avrebbe interpretato una offerta che si prestava a tre possibili alternative, ma dell'obiettiva e unica lettura del dato indicato dalla Eurosoggiorni [...]. Accertato che si è trattato di un errore e che tale errore non ha inciso sulla determinatezza dell'offerta, si osserva che l'irregolarità commessa non comporta l'esclusione dalla gara, in quanto il contenuto sostanziale della dichiarazione richiesta a pena di esclusione è presente nell'offerta e la Commissione ha correttamente proceduto, con una mera operazione aritmetica, a riportare il valore espresso in euro in termini percentuali, senza alcuna lesione del principio della par condicio ed anzi in conformità con il principio del favore per la massima partecipazione alle gare.


La commissione di gara ha, infatti, correttamente inteso il valore riportato dalla aggiudicataria come il prezzo già ribassato in euro sul prezzo omnicomprensivo posto a base di gara ed ha quindi determinato la corrispondente percentuale di ribasso con un'operazione matematica. Deve, quindi, ritenersi che l'irregolarità nella compilazione del modulo dell'offerta non costituisce motivo idoneo ad invalidare l'aggiudicazione.

L'esposizione contenuta in sentenza è sufficientemente chiara e non necessita, quindi, di uleriori commenti. Ci resta, invece, un'osservazione circa rapporti tra procedura di gara e relativo ricorso.

Da un lato, abbiamo detto poc'anzi che non sempre le stazioni appaltanti indicano come causa di esclusione la difforme formulazione dell'offerta. Nel caso di specie, sono gli stessi giudici a notare che la forma del ribasso percentuale unico era esplicitamente prevista a pena di esclusione. Attenzione, però. Nonostante tale previsione, l'offerta difformemente formulata non era stata esclusa. Era stato poi uno dei concorrenti non aggiudicatari a proporre ricorso al TAR, invocando l'applicazione della causa di esclusione. Da ciò emergono tre distinte attitudini in procedura di gara, primo grado di giudizio e secondo grado di giudizio:

1) La stazione appaltante ha previsto una clausola a pena di esclusione e, a fronte della mancata osservanza di tale clausola, non ha escluso l'offerta;

2) Il TAR ha accolto il ricorso del concorrente non aggiudicatario, ristabilendo la piena operatività del meccanismo di esclusione previsto dalla richiesta d'offerta;

3) Il Consiglio di Stato ha rovesciato la decisione del TAR, recuperando il criterio sostanziale e non formale applicato dalla stazione appaltante.

Da tutto ciò, un'importante lezione: la comminatoria di esclusione contenuta nei documeni di gara non sempre viene poi senz'altro applicata. Essa viene spesso prevista con grande abbondanza, a mo' di deterrente per le stazioni appaltanti: salvo poi, in sede di gara, recuperare i criteri del buon senso e del significato sostanziale quali provvidenziali contrappessi al bieco formalismo procedurale.

Un formalismo procedurale che, però, può poi essere recuperato dai soggetti non aggiudicatari, i quali – in questo caso come in moltissimi altri – si appigliano a ogni clausola di gara per cercare di demolire l'offerta che li ha battuti.

Sarebbe ovviamente tutto molto più semplice se tale formalismo sparisse non solo dalle commissioni, ma anche da bandi e lettere di invito, ponendo fine a tale destabilizzante forbice tra teoria e pratica di gara.


Non resta, per ora, che prender atto di un atteggiamento giurisprudenziale provvidenzialmente incline al criterio sostanziale. Atteggiamento che, per chi dovrà resistere a ricorsi fondati sul formalismo di gara, potrà naturalmente essere citato come precedente anche in relazione a singole questioni diverse da quella oggetto della decisione stessa e del presente contributo.
Fonte: IPSOA

Quindi vi riporto un link da visualizzare se interessati alla materia.

 Rifacendomi invece a un post di Grillo vi segnalo una possibile situazione.

"Mi chiamo Fabrizio Bertolucci e sono un impiegato tecnico (geometra) presso un'impresa di costruzioni. Mi occupo in prima persona della preventivazione e dell'esecuzione di lavori ed è più di due anni che lotto contro il "massimo ribasso" negli appalti pubblici. La lotta al ribasso porta delle conseguenze che le rende mortali. Nessuno può permettersi di fare ribassi oltre il 25% e mantenere elevato lo standard qualitativo della manodopera e dei materiali (a meno che non si tratti di ditte colluse con la malavita). Ho bussato a tutte le porte dei partiti per cambiare una legge che distrugge ancora prima di fare costruire. Sono disposto a lottare sino a che qualcuno non mi dà udienza. Ho un figlio di 11 anni e non voglio vergognarmi per quello che gli lascerò senza avere fatto tutto il possibile per cambiare il corso delle cose. Insieme sono certo si possa cambiare il corso di questa strada che è al momento ovviamente sbagliata". Fabrizio Bertolucci

sabato 10 novembre 2012

Cercare lavoro nella propria piena consapevolezza

E' ora di guardare in faccia la realtà, unire le nostre forze e affrontare le cose quotidiane. La realtà non dà giustizia al merito e in periodo di crisi si sente di più, si amplifica di più. 
L'antropologo Marc Augé scriveva così su “LaRepubblica”: “la crisi attuale non è semplicemente finanziaria. Né semplicemente economica, politica o sociale. È al tempo stesso una crisi di coscienza planetaria, del rapporto sociale e dei fini. La crisi di coscienza planetaria riguarda il nostro posto nell'universo”.
Il mercato del lavoro costringe molte persone, soprattutto i giovani e donne, a condizioni di incertezza, impedendo loro di formare una famiglia e alle famiglie di crescere i figli.
In Italia c'è una vera rivoluzione del lavoro. L'obiettivo è di avvicinarsi alla maggior parte dei Paesi europei, che mettono al centro la flessibilità del lavoro. Ciò significa che non sono molte le certezze su come e quanto a lungo si potrà mantenere lo stesso posto. Quando però capiterà, per la flessibilità, di lasciare il posto, il sistema dovrebbe garantire per tutta la vita di essere accuditi non attraverso la cassa integrazione (che dura al massimo cinquantadue settimane in un biennio e non prevede corsi di riqualificazione), ma attraverso strumenti di tutela, formazione e sostegni economici adeguati.
Ora il Parlamento, i sindacati ed economisti dibattono soprattutto su tre punti fondamentali:

L'ingresso facilitato nel mondo del lavoro come primo punto. Per centralizzare il mondo del lavoro si pensa a un contratto unico, dalla prima assunzione, con tutele progressive. All'inizio si sarebbe licenziabili, ma con stipendi più alti di quelli attuali e con indennità in caso di licenziamento. Esclusivamente sostanziosi gli incentivi alle aziende che assumono giovani neo-diplomati o neo-laureati.
L'apprendistato triennale come secondo punto. Dove il primo contratto potrebbe essere un apprendistato triennale, al termine del quale l'azienda sarebbe incentivata dalla normativa a confermare.
Il licenziamento “silenzioso” come terzo punto. Dove il sistema prevede che chi viene licenziato riscuote dapprima una buona indennità e poi un sussidio accettabile e decoroso fino a quando non riceve un nuovo lavoro, a patto che frequenti corsi di riqualificazione professionale.
In molti casi si parla molto di modello danese. Esso rende più fluido il passaggio da un lavoro all'altro, e prevede che si debbano pagare con mezzi dignitosi coloro che hanno perso il posto di lavoro. In altre parole non si ha la certezza di mantenere il proprio lavoro per sempre, ma si può essere certi che, una volta fuori, si avranno formazione e sussistenza adeguate fino alla conquista di una nuova occupazione. In Danimarca un disoccupato riceve un assegno del 75-80%, fino a un tetto di circa 2 mila euro mensili. La prestazione copre i lavoratori tra i 18 e i 63 anni e dura da uno a 3 anni. Ogni anno un terzo dei danesi cambia lavoro senza troppi traumi. E' un sistema applicabile all'Italia? A come stanno le cose credo sia difficile. La Danimarca e altri Paesi che adottano questa linea hanno la pressione fiscale più alta d'Europa. In Italia dove il fisco è già ai massimi livelli, è difficile replicare questa soluzione, questo sistema di ripartizione.
Qual'è la strada da seguire allora per risolvere il problema della disoccupazione giovanile? I giovani snobbano occasioni di lavoro umili che fanno solo gli extracomunitari? Siamo “Choosy”? Bisogna rimanere a casa fino a quando arriva il lavoro giusto? È l'uomo che dà dignità al lavoro o è viceversa? I nostri genitori lavorano a tempo pieno e noi giovani facciamo i perenni precari. La nostra tensione, le nostre frustazioni arrivano ancora sulle spalle di coloro i quali ci hanno mantenuto e si prolungano anche dopo, ancora dopo la laurea, la specialistica, i master, i corsi di perfezionamento, i dottorati di ricerca, i lavori saltuari, i lavori temporanei e chi più ne ha più ne metta.
E quando finirà mai allora questa situazione? In un clima davvero pesante che si respira tra noi colleghi e giovani è per certi versi surreale e delirante. Molti capi di governo, primi ministri, presidenti e molti banchieri parlano infatti di una fine imminente della crisi e della prossima immancabile ripresa. Si parla di accellerazione della desertificazione di ogni cultura, dell'appiattimento di ogni speranza, dell'incenerimento di ogni fiducia, della deturpazione di ogni bellezza, e dell'insulto permanente ad ogni verità?
Vogliamo ancora essere guidati dagli stessi? Che hanno guidato l'operato politico ed economico del nostro territorio? Dobbiamo dircelo con chiarezza, non riguarda solamente gli attori politici e/o banchieri, manager e speculatori. Dobbiamo ricordarlo anche ai giornalisti, ai professori universitari, intellettuali, scrittori, registi, editori, artisti, i quali in questi ultimi anni hanno lucrato le loro povere carriere tradendo ogni giorno il loro compito di fare “watchdog”, termine utilizzato per indicare il giornalismo che fa da “cane da guardia” del potere. Così da compiacere, divagando, e chiaccherando a vuoto una permanente decrescita. Sarà forse colpa dei Maya?
A parte l'ironia che ogni tanto deve starci, mi riferisco ai Maya, noi dobbiamo renderci conto che per uscire da questa catena di boomerang mediatici “rigorosi e disastrosi” che non fa altro che alimentare il fuoco, bisogna cambiare ed entrare in una nuova mentalità. Il nuovo, inteso nei termini di risoluzione delle problematiche europee, e poi dell'intero mondo oramai globalizzato, lo si deve fare in modo del tutto inedito. Di che cosa vi sto parlando? Parlo del “sconvolgimento” culturale, che è per sua natura intrinsicamente mentale e intellettuale. Questo richiede una profonda flessione della nostra coscienza, e quindi della nostra capacità di progettare il mondo, e di ripensare al contempo la natura dell'uomo.
Per cui dobbiamo “ripensarCi”, ripensare noi stessi, rieducarci mentalmente, esercitarci con umiltà e con perseveranza a capire e ancor più a sentire che siamo tutti uniti e interdipendenti, siamo una rete, come lo è internet per la condivisione delle informazioni. In altre parole il nostro bene non è mai disgiungibile dal bene degli altri e dell'intero creato: questo è l'unica direzione verso un nuovo inizio, l'unica fondazione teorica ed esistenziale seria per una possibile nuova economia planetaria.
Quindi dobbiamo di conseguenza introdurre questa nuova consapevolezza, dentro le nostre idee programmatiche e dentro le nostre idee progettuali politiche che seguiranno immancabilmente i prossimi anni. 

La "spiritualità" dell'Europa "ci salva" e cresce insieme

E' difficile incarnare una nuova sintesi della nostra storia ed è anche difficile prevedere come finirà la crisi dell'Europa, la più grave della sua storia dopo la seconda guerra mondiale.
Si dice che all'origine c'è la deflagrazione delle banche americane e dei loro sistemi ingigantiti di mercato. Non è il solo componente della tempesta che attualmente attraversa il nostro Continente Europeo. La nostra crisi è stata accelerata dal potere delle economie extra occidentali. In tale situazione, noi europei siamo costretti a ripensare il senso di marcia da dare al comune sistema dell'Unione Europea.
Non siamo in ritardo per ritornare al passo con la crescita? Secondo alcuni l'Unione Europea non ha futuro, i così detti Euroscettici. Essi pensano che la logica della globalizzazione dell'espansione del mercato ha innescato una ridistribuzione dell'economia mondiale a tutto vantaggio dei Paesi di altre aree geografiche. E che di conseguenza sia irreversibile la dissoluzione, lo scioglimento di questo laccio stretto che ci soccombe, ci piega, della solidarietà europea. Tutto lo sforzo, tutto l'aiuto dell'Unione Europea per salvare la Grecia ne è un segnale. La Germania, potenza leader in campo economico e industriale, sogna un proprio decentramento dalla strada perenne delle “salvezze delle nazioni”. Si doveva pensare prima, a un insediamento completo governativo, direi stabile, con stesse linee programmatiche, stessi principi etici, stessi concetti base politici, prima dell'introduzione della moneta euro. D'altra parte, siamo sicuri di potere innestare l'euro in un'Europa politicamente compatta? Gli stati rinuncieranno mai alla loro sovranità nazionale per cederla in mano ad uno stato centrale? L'innesto politico potrebbe essere quello riferito a una confederazione di stati? Una nuova europa?
 
Il concetto è che l'Europa monetaria si sta disgregando perchè non è e non mai stata un organismo “vivente”, esso è sempre stato una moltitudine di buone idee senza dubbio e di interessi alcune volte contradditori. Questa Europa si scompagina e si scombinerà implacabilmente, tra l'impostazione “insensata” degli “esperti tecnici” sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista economico nella loro ottica pienamente matematica spaventando le economie globali. Gli esperti da almeno un ventennio falliscono tutti i pronostici economici o quasi tutti, e fanno orecchie da mercante per i proclami di dissesto dei popoli depauperati da queste condizioni spaventose. Condizioni che portano alla fame e all'impoverimento. Nel periodo della metà degli anni novanta quando si applicavano le eurotasse, proprio in quel momento l'Europa si trovava ad un incrocio, tra gli interessi limitati di alcuni, e i popoli che chiedevano una stabilizzazione economica. Incredibilmente oggi questo tracollo potrebbe diventare un buon momento per ripensare l'Europa come costruzione dell'Europa. Ora più che mai siamo a una condizione di miseria e di stallo. Da questa base meramente “post-guerra” si potrebbe ricominciare. Se parliamo dell'esistenza dell'Europa essa non è una realtà ben definita, non ha mai costituito un soggetto politico unitario e per secoli ci si è dovuti rifare all'impero romano per evocare un qualche modello di unità. Addirittura per Benedetto Croce la Germania era mezza dentro e mezza fuori solo perchè non è vissuto a lungo. La costruzione dell'Europa viene riletta dal laico pensatore Habermas nel suo ultimo ciclo di pensieri il quale afferma: “per l'autocomprensione normativa il cristianesimo non rappresenta solo un precedente o un catalizzatore... Questa eredità è stata continuamente riassimilata, criticata e reinterpretata senza sostanziali trasformazioni. Ad oggi non disponiamo di opzioni alternative. Anche di fronte alle sfide attuali della costellazione post-nazionale continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchere post-moderne”.
Insieme dobbiamo inaugurarci un grandioso periodo di creatività, una nuova stagione culturale, e cioè elaborare un pensiero, una nuova politica che sappia riprendere le fila della storia europea, liberandola dalle difficoltà burocratiche e depressive in cui si è incagliata. C'e una forza politica che abbia il coraggio di ripensare l'Europa? Di lavorare sull'immediato alle emergenze quotidiane e sulla lunga durata della costruzione di un démos in prospettiva di un kràtos (popolo) europeo.
Quali forme di educazione dobbiamo sviluppare per favorire l'emersione di un'umanità più relazionale? Quale spiritualità, quale concezione dell'uomo può animare una politica europeista?
Questi sono i temi che possono ridare vita, anche economica, al nostro continente. Infatti, che la vita spirituale non abbia niente a che vedere con le realtà materiali e lavorative è un tipico pregiudizio post-moderno.

Max Weber ci ha insegnato nei suoi scritti che la crescita economica è di per sé un evento spirituale, che dipende dalla mobilitazione delle energie morali dei popoli. La creatività economica, direbbe Keynes, esprime la vitalità complessiva, la spinta alla vita spirituale di una società, intendendo per spirito, valore, non l'opposto della materia, ma il suo dinamismo la vivacità, la sua energia propulsiva. La realizzazione della nostra umanità è comprendere bene che la coscienza umana è un processo in atto. Questo ci rende consapevoli della nostra responsabilità personale nella costruzione della verità, nella realizzazione di nuovi posti di lavoro finalizzati alla crescita e non all'arricchimento considerando una risorsa e non una trappola l'organismo Europa.

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