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martedì 26 novembre 2013

Napolitano: “No alla Grazia per Berlusconi Letta vada avanti”.

Le parole “golpe” e “colpo di Stato”, unite a quel “mi dia la grazia”, pronunciate l’altro ieri dal condannato in via definitiva Silvio Berlusconi non sono proprio piaciute al capo dello Stato.

Berlusconi è stato condannato per la frode fiscale da 7,3 milioni di euro commessa nel 2002 e nel 2003 attraverso irregolarità nella compravendita dei diritti tv Mediaset.
Con questa accusa Silvio Berlusconi lo scorso agosto è stato condannato irrevocabilmente a quattro anni di carcere, tre dei quali coperti da indulto, e poco più di un mese fa si è visto applicato due anni di interdizione dai pubblici uffici dalla Corte d’appello di Milano.
E poiché la pena al “netto” da scontare è di un solo anno, l’ex premier, anche per aver superato i 70 anni, non finirà in carcere. Invece per lui ci saranno, probabilmente, poco più di dieci mesi di affidamento in prova ai servizi sociali.

“Gravissime le sue parole non ci sono le condizioni” per un provvedimento di clemenza come la grazia e per altro “Silvio Berlusconi moderi le sue parole ed eviti giudizi e propositi di estrema gravità, privi di ogni misura nei contenuti e nei toni”. 

Giorgio Napolitano tramite un comunicato stampa dal Quirinale espone la sua posizione, riconducendo all’ordine l’ex premier e sgombrando ancora una volta il campo da congetture e speculazioni su un suo intervento a favore del Cavaliere che si discosti da quanto sancito ufficialmente già lo scorso 13 agosto 2013.

Immediate le reazioni dei fedelissimi di Berlusconi. Ha aperto il fuoco sulle dichiarazioni Maurizio Gasparri che si dice “sbigottito” dalla posizione del Quirinale. Segue Renato Brunetta che definisce Giorgio Napolitano “uomo di parte” rappresentando la “sconfitta” di tutta Forza Italia per le parole del presidente.
E addirittura i fedelissimi del padrone di Arcore ricordano al Colle gli articoli 17 e 21 della Costituzione, sulla libertà di manifestazione e di espressione.

Niente grazia, quindi. E non poteva essere diversamente, dal punto di vista del Colle, visto che Berlusconi non solo non ha seguito le indicazioni suggerite dal Quirinale sin dallo scorso agosto, ma se ne è allontanato sempre più fino ad arrivare ad citare un “colpo di Stato” nei suoi confronti.

Così Angelino Alfano marca largo il suo vecchio leader e ormai, con le decisioni prese, divide Forza Italia dal Nuovo Centrodestra, annunciando che non parteciperà giorno 27 novembre alla manifestazione organizzata da Silvio Berlusconi contro la sua decadenza da senatore.
“Abbiamo fatto una scelta differente guardando al futuro e all’Italia”, scandisce il vicepremier, ospite di Massimo Giletti a L’Arena. “Abbiamo fatto un movimento politico che guarda al futuro e quindi non siamo stati coinvolti”, sottolinea. Parole che scatenano l’ira di quanti sono rimasti al fianco del Presidente di Forza Italia, che accusano l’ex segretario di pensare solo ai seggi.

L’ex delfino di Berlusconi si schiera a fianco del Cavaliere solo nel criticare l’applicazione retroattiva della legge Severino e nel sostenere che l’ex premier “meriterebbe la grazia”. Si tiene però alla larga dalle polemiche con il Quirinale, precisando di non voler entrare nel merito delle procedure su come debba essere concesso il provvedimento di clemenza. Ben più dirimente appare la diversità di vedute sulle conseguenze che il voto del 27 dovrebbe avere sul governo. “Noi riteniamo che a seguito della decadenza non si possa lasciare il Paese di fronte a una crisi al buio, sfasciando tutto”, afferma Alfano.

Mentre un “ piccolo passo avanti” della politica italiana si sta facendo con il governo Letta che sta puntando sulla riduzione del debito con la dismissione parziale di otto società pubbliche. Tuttavia sono ancora molti i nodi da smontare nel piano di dismissioni da dodici miliardi annunciato dal governo. Per alcune operazioni è chiara la modalità, ma sono lunghi i tempi, per altre si deve ancora decidere, tenendo conto di diverse esigenze. Saranno interessate a vario titolo: Eni, Stm e Enav per le partecipazioni dirette e Sace, Fincantieri, Cassa depositi e prestiti di Reti, Tag (Trans Austria Gasleitung gestisce il trasporto di gas nel tratto austriaco del gasdotto Russia-Italia) e Grandi Stazioni (Fs) per quelle indirette.

Una mossa che vale fra i dieci e i dodici miliardi di euro fra le quali appare la cessione del 3% dell’Eni, che da sola porterà due miliardi nelle casse dello Stato, il cui controllo, chiarisce il premier Enrico Letta, rimarrà ciononostante ben saldo nelle mani dello Stato.
L’operazione più chiara è con assurdità quella che richiede tempi più lunghi: per procedere alla cessione di una tranche Eni del 3% bisognerà convocare un consiglio di amministrazione che deliberi modalità, prezzo e durata del buyback o meglio il riacquisto di azioni proprie per azzerare il valore delle azioni ricomprate. Solo dopo il novembre 2014 la quota potrà andare sul mercato.

L'Eni è il Core business nel petrolio e nel gas: è la prima azienda italiana per capitalizzazione a Piazza Affari, 66,4 miliardi a fine 2012. Un gigante dell’Energia con un fatturato oltre i centoventisette miliardi, presente in novanta Paesi, con 78mila dipendenti.

L’annuncio del presidente del Consiglio, più che a imprimere sul debito italiano da oltre duemila miliardi di euro, si propone davanti all’Europa in una posizione di maggiore fermezza per cercare di richiedere la clausola sulla flessibilità degli investimenti respinta nei giorni scorsi dall’Unione Europea.

Di Giacomo Palumbo 
@palgiac

mercoledì 20 novembre 2013

L'opinione dell'Europa sulla Legge di Stabilità

Ripartiamo dall'analisi dei conti pubblici, a giudizio quasi “informale” riguardo la Legge di stabilità, la Commissione Ue mette l’Italia nel gruppo dei Paesi a più alto rischio di sforamento dei parametri. Da Bruxelles c'è l'ennesima bocciatura della manovra del governo Letta. Bruxelles, che ha già richiamato l’Italia sul debito l'anno scorso, si limita a segnalare che non è convinta dal percorso di risanamento strutturale, cioè da quello che conduce al pareggio di bilancio e quindi alla riduzione del debito.

"L'Italia deve continuare a fare sufficienti progressi verso l'obiettivo di medio-termine (rapporto deficit-Pil allo 0,5%,) anche nel 2014, assicurando un aggiustamento strutturale di almeno 0,5 punti percentuali del Pil". Lo chiede la Commissione europea al punto 12 della sua opinione sulla bozza di legge di stabilità dell'Italia pubblicata il 15 novembre a Bruxelles.

Questo fatto fa saltare il “famoso” bonus di tre miliardi. Il parere della Commissione europea sulla legge di stabilità gela le aspettative del governo, che contava sui tre miliardi di investimenti, e provoca la dura reazione del premier e del suo governo. Così Letta non ci sta e replica alla Commissione: “I conti sono giusti, di soli tagli e austerità si muore”. Per questo non ci può essere il via libera alla flessibilità su nuova spesa, nemmeno quella cofinanziata dalla Ue.

A destra come a sinistra, nel “partito unico”, questa manovra vogliono cambiarla, “rovinarla”, e quelli che giudicano masochista la linea di austerità imposta dal Nord dell’Europa ai Paesi meridionali con deficit e debiti eccessivi sono in molti, ed ecco il controsenso. A dire del “partitone” la Legge di stabilità non va riarticolata e riscritta, né servono nuove manovre. Dunque la bozza presentata dal governo, secondo Bruxelles, mette l’Italia a rischio di oltrepassare le misure di legge prese sul deficit e sul debito già significativamente alto.

Noi, come tutti gli altri stati europei, abbiamo ceduto quote di sovranità fiscale, è inutile sorprendersi e irritarsi. Abbiamo noi la forza e la credibilità necessarie per poter insorgere? Credo di no. Nemmeno possiamo ammettere di uscire settariamente dall’euro. Dunque, tanto vale provare a fare quelle riforme strutturali che l’Europa ci chiede, e che in tutti i casi sarebbe nostro interesse fare.

La revisione della spesa = spending review cioè 32 mld di risparmi in 3 anni, risparmi per due punti di Pil in tre anni, mobilità per gli statali, premi agli enti che collaboreranno nei tagli è un progetto pretenzioso ma non irrealizzabile.
Il premier Enrico Letta assicura: niente tagli “con la falce” ma “solo dove sono necessari”.

E sul debito Letta dice: “Sono sicuro che ridurremo il debito il prossimo anno, per la prima volta dopo cinque anni”. L’obiettivo, rispetto ai circa 10 miliardi di tagli indicati nella Legge di stabilità, viene in pratica triplicato.
E l’aspettativa è quella di raggiungere qualche risultato già all’inizio del 2014, anche se il grosso dei provvedimenti arriverà dopo la primavera del prossimo anno.

Di Giacomo Palumbo

venerdì 15 novembre 2013

Nessuno mi può giudicare nemmeno tu!

Per uscire dal forte “scompenso di liquidità sul mercato” = Crisi, non esiste un antidoto, quindi se si vuole stabilire l’operato del governo occorrerà farlo dandogli ancora un po’ di tempo? Quello necessario per completare il percorso avviato? Quantomeno fino alla fine del prossimo 2014, quando saranno manifestate con cura anche gran parte degli effetti della Legge di stabilità. Così dicono dai palazzi.
Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, garantisce così che onorerà gli impegni presi ma, di fronte a incredulità e disapprovazione, prima tra tutte quella dei sindacati, chiede apertamente in tv “di essere giudicato alla fine del 2014”. Gli investitori esteri ricominciano ad acquistare i titoli di Stato italiani e, anche se sul fronte dell’economia reale e dell’occupazione i numeri fanno ancora soffrire, solo il presidente del Consiglio ci crede e invita a crederci.

E mentre il vicepremier Angelino Alfano invita a non passare i limiti nelle richieste di modifica, sia da parte del suo partito che del Partito democratico, Silvio Berlusconi parla di una legge che “va cambiata profondamente” perché “serve uno choc positivo, una frustata che ci aiutasse a cogliere la ripresa”.

La strategia del premier per affrontare quella che ancora una volta viene descritta come la peggiore crisi del dopoguerra è quella del “step by step”. Per arrivare al traguardo dunque bisogna sopportare le varie ingiustizie sociali, lavorative, di esclusione e continuare sulla strada intrapresa?

Il Pd come il M5s pensano ad una limitazione dei sacrifici andando a toccare le pensioni d’oro, ma proprio lì, ha ricordato lo stesso Enrico Letta, esiste un limite imposto dalla Corte costituzione di cui senza ombra di dubbio bisognerà tenere conto. Come si raggirano le ingiustizie sociali? Con l'approvazione forzata e con meccanismi contorti delle autorità istituzionali.

“L’importante ora”, come spiega anche il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, “è mantenere i nervi saldi” e “portare a casa” il risultato della legge di stabilità “che non è il vangelo” dice, al di là del destino, della decadenza, di Silvio Berlusconi.

Si pensa tanto alla legge di stabilità che si è lasciata l'Italia, quella dei giovani, in ultima fila senza risolvere il problema della disoccupazione. Cioè l’incubo di sei milioni di giovani europei. “Ma anche il grande tema europeo”.

La disoccupazione è alta, anzi altissima, al 12,2%, di nuovo al primo posto dal 1977; a livelli da record storico per quella giovanile, 15/24 anni, che per la prima volta sfonda anche la soglia del 40%, balzando al 40,1% ad agosto, dal 39,7% di luglio cioè sono 667 mila gli under 25 in cerca di lavoro, pari all’11,1% dei ragazzi nella stessa fascia d’età. Così che il numero dei disoccupati continua infatti a crescere e arriva così sui valori massimi, superando i 3 milioni 127 mila.

Il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, ha invitato gli Stati membri a indirizzare i loro piani di azione sulla “garanzia giovani”, e in particolare ha “auspicato iniziative suscettibili di avere efficacia immediata”. Dal vertice di Parigi non si erano prefissati di aggiungere nuove iniziative ma di fare il punto ed accertarsi che tutti gli Stati membri stessero mettendo in pratica le decisioni assunte a Berlino.
Tra gli strumenti più importanti, Francois Hollande e Angela Merkel hanno confermato “l’impegno” a garantire che dal primo gennaio 2014, in quei Paesi che hanno presentato il piano garanzia giovani, per ogni under 25 sia trovata una soluzione di avviamento all’impiego o una formazione a quattro mesi dal termine degli studi. La Merkel ha confermato che “faremo tutto quello che è in nostro potere per rafforzare l’Europa, e a cent’anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale diciamo sì all’Europa, perché è l’unica garanzia che questi drammi non si ripetano”.

Così debito troppo elevato, povertà e disoccupazione che crescono, export che soffre e competitività quasi ai minimi: sono questi gli squilibri che hanno spinto la Commissione Ue ad aprire per la seconda volta un’analisi approfondita sull’economia italiana per evitare che la situazione precipiti e rimetta a rischio la tenuta delle finanze pubbliche.

L’Italia era già stata esaminata una volta nel 2012, per le stesse ragioni, e lo scorso aprile l’Ue aveva chiesto al governo un intervento incisivo per rimediare. E l’azione non è stata efficace: la disoccupazione continua a salire e quella giovanile è ancora alta, la povertà e l'esclusione sociale sono aumentate in modo eloquente.

“Non si può continuare a pretendere dalla famiglia senza garantirle gli strumenti per andare avanti. Dunque ora o mai più bisognerà scommettere sulle famiglie”. Lo afferma il Forum delle associazioni familiari a proposito delle votazioni, in commissione Bilancio al Senato, degli modifiche presentati alla Legge di stabilità. “Sappiamo bene”, dice Francesco Belletti, presidente del Forum, “che non sarà possibile nella situazione complessiva introdurre tutte le novità che sarebbero necessarie”. “Ma sono irrinunciabili detrazioni per le tasse comunali, Tari, Tasi, Trise e non facoltative ma obbligatorie e calcolate in base ai carichi familiari e alle situazioni di disagio”.
“Sempre che i Comuni potranno fissarne importi e modalità con una soglia minima corrispondente alle detrazioni previste per l’Imu, e interventi mirati sul cuneo fiscale che concentrino i benefici a favore dei lavoratori con redditi bassi e con carichi familiari”.

Mentre il ministro del Tesoro Saccomanni rassicura che il debito italiano è elevato per colpa delle recessione e dei pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione non per politiche devianti dalle norme europee.
Insieme all’Italia, l’esame parte per la prima volta anche sulla Germania, perché per Bruxelles il suo surplus commerciale rende difficile il tentativo di risollevarsi dei Paesi periferici della zona euro.
Bruxelles ritorna sulle difficoltà italiane perché così è previsto dal “semestre europeo”, cioè il percorso di controllo delle economie Europee influenti pensato per individuare gli squilibri, segnalarli ai governi e affrontarli prima che diventino gravi.

Bruxelles vede pochi progressi anche su riduzione della burocrazia, efficienza del sistema giudiziario, utilizzo dei fondi Ue, sostegno e defiscalizzazione alle imprese. Né va bene l’azione sul fronte delle liberalizzazioni dei servizi per esempio, i prezzi dell’energia si mantengono alti, e infine rimane una sfida, la più decisiva, la modernizzazione delle infrastrutture.

Si risolleverà mai questo nostro caro Paese?

lunedì 11 novembre 2013

L'Europa taglia i tassi e il governo taglia l'IMU

La Banca centrale europea taglia i tassi di interesse ad un nuovo minimo storico dello 0,25% dallo 0,50% e il presidente Mario Draghi non esclude ulteriori tagli nei prossimi mesi per “sostenere una crescita moderata” nell’Eurozona, con un’inflazione in salita che può trasformarsi nella temuta deflazione.
Il nuovo taglio dei tassi Bce è letto dagli investitori come il segnale di una economia europea che resterà debole per molto tempo e così le piazze del Vecchio Continente, dopo una breve accoglienza favorevole, hanno invertito la rotta chiudendo in negativo.

Enrico Letta è voluto intervenire per i dubbi sollevati da diversi quotidiani dicendo: “è una grande notizia, una dimostrazione che la Bce ha a cuore le sorti della crescita e della competitività dell’Unione europea”. Questa frase del presidente del Consiglio, Enrico Letta, basterebbe a commentare la mossa a sorpresa da parte di Mario Draghi, di tagliare i tassi di Eurolandia al minimo storico. Ma le Borse non festeggiano. Soprattutto Piazza Affari che, dopo una fiammata iniziale, si è sgonfiata al punto da chiudere con un calo del 2,07%.

Gli investitori temono che la scelta dell’Eurotower favorisca più che altro le imprese tedesche e non dia vero impulso all’economia delle zone periferiche, proprio quelle che versano in maggiore difficoltà. E, infatti, la Borsa di Francoforte è l’unica ad aver chiuso in rialzo.

Sul fronte della politica italiana Letta al termine del Consiglio dei ministri, ha voluto intervenire sui dubbi e dai falchi del Pdl, a seguito di una frase, per altro chiara, del ministro Fabrizio Saccomanni: “Non sarà facile evitare la seconda rata dell’Imu, ma si può fare”. La decisione che nel 2013 la prima e la seconda rata non sarà pagata è una decisione già assunta e non si torna indietro e ha detto che la copertura su questo tema è non semplice.

Il 16 dicembre 2013 tutti gli italiani, sia quanti abitano nei quartieri alti sia quelli che vivono nelle frazioni, non pagheranno la seconda rata Imu sulla prima casa.
Nelle tasche degli italiani rimarranno circa due miliardi di euro.
E' stato il premier Enrico Letta a dirlo, il quale ha confermato che la scelta politica era stata già presa e non c’era motivo di metterla in dubbio e rimangono da definire le coperture finanziarie.

Sul piano politico l’annuncio non ha placato i falchi del Pdl come Brunetta o la Carfagna, che hanno rilanciato e attaccato il ministro, mentre c’è anche Scelta Civica che fa sentire il proprio dissapore per le coperture ipotizzate dal governo.
In ogni caso la seconda rata dell’Imu rimarrà per un gran numero di contribuenti e possessori di case di lusso e di pregio: per chi possiede ville, o addirittura castelli. Di certo i proprietari di abitazioni di lusso accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9, anche se si tratta di prima casa e in questo caso dovranno pagare l’Imu, ma con l’aliquota ridotta.

Bisognerà fare attenzione alle scelte dei comuni, invece, nel caso di abitazioni detenute da residenti all’estero iscritti all’Aire, alle case date in comodato ad un figlio o a un genitore, agli immobili posseduti da anziani in casa di riposo. In questo caso il Comune può decidere di equipararle alle prime case e quindi di esentarle dall’ultima rata dell’Imu.

Secondo il Pdl la Tasi dovrebbe essere calcolata in base all’effettiva produzione di rifiuti e non sui metri quadri. Dopo l’aumento degli ultimi anni della tariffa, si punterebbe ad imporre ai Comuni di non superare nel 2014 il livello del 2013, con una diminuzione del 10% a partire dall’anno successivo. L’idea del Pd è invece quella di introdurre delle detrazioni simili a quelle per l’Imu: 200 euro e 50 euro per ogni figlio.

Entrambi i partiti della maggioranza sono favorevoli a restringere la platea per aumentare lo sgravio.
Il Pd vorrebbe introdurre la soglia di 28.000 euro concedendo in un’unica erogazione circa 200 euro. Per gli anni a seguire si punta ad introdurre un “vincolo di destinazione” alle risorse ritrovate dall’evasione fiscale e dal rientro dei capitali dall’estero, rendendo lo sgravio più significativo.
Il Pdl punta invece a trasferire l’onere per la riduzione generalizzata del cuneo alla detassazione dei salari di produttività.

Sul piano delle vicende politiche a distanza di un anno dal primo tentativo fallito, Alfano ci riprova a rilanciare le primarie per la scelta del candidato premier, ma il primo a freddarlo è Fitto seguito dallo stesso Berlusconi che minaccia dicendo: “farete la stessa fine di Gianfranco Fini”.

Comunque vadano le cose si voterà il 27 novembre la decadenza a scrutinio palese di Silvio Berlusconi e i margini per un salvataggio sembrano risicatissimi. Neanche la grazia del capo dello Stato potrebbe incidere sull’applicazione della legge Severino che prescrive la decadenza per i condannati. Eppure, Berlusconi continua a sperare in un atto di clemenza. Ed è lui stesso a spiegarlo nel libro di Bruno Vespa. Lo ha deciso l’Aula del Senato confermando l’indicazione della capigruppo presa a maggioranza, contro la proposta del M5S di votare in brevissimo tempo. Ma il Pdl non getta la spugna e risolleva il problema della “invalidità” della seduta.
Così che la crisi del Pdl si avvia al punto di non ritorno e riprendono a rincorrersi le voci di una scissione imminente. Il conflitto, in realtà, riguarda anche la sostanza della linea politica dei moderati, come la Legge di stabilità che falchi e lealisti minacciano di cambiare “appieno” in senso di sviluppare leggi antitasse.

Berlusconi da un lato continua a cercare una mediazione con Angelino Alfano sicuro che un Pdl unito può condizionare molto di più sulle scelte di governo, ma, nello stesso momento, invita i suoi a non abbassare la guardia sui provvedimenti in Parlamento a partire dalla Legge di stabilità.
Ma è proprio sulla manovra che i lealisti richiamano l’attenzione dell’ex premier facendo notare che la decisione di votare la decadenza dopo il passaggio in aula della Legge di stabilità fa parte di un disegno ben preciso per mettere in un angolo il Cavaliere.

Sul altro lato dell'emiciclo, nel PD, il clima a livello nazionale non è migliore e dopo il caso dei numerosi tesseramenti al partito democratico si affretta a parare i colpi o ad attaccare. Ci sono quattro settimane per restituire all’appuntamento dell’8 dicembre la credibilità messa a rischio dagli episodi ora al vaglio della commissione congresso che valuterà se annullare o convalidare i congressi provinciali di Asti, Rovigo, Frosinone, Lecce, Siracusa. Questo l’obiettivo dichiarato del segretario, Epifani, che sulla proposta di fermare le iscrizioni auspicava il consenso di tutti i candidati.

C'è da “ammirare” che il Pd ha presentato la sua campagna a basso costo. Saranno primarie all’insegna del risparmio, con un budget di 250mila euro, il 15% di quanto investito nello scorso congresso. Una scelta sobria, in sintonia con il sentire comune. Niente a che vedere con l'invasamento dei tesseramenti che ha gettato un ombra sui congressi provinciali diventando presto un caso nazionale.

Di Giacomo Palumbo

lunedì 4 novembre 2013

L'incitamento di Napolitano a fare riforme

Mentre il ministro Anna Maria Cancellieri si dice pronta a chiarire, anche in Parlamento, che la sua telefonata al Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) sulle condizioni di salute di Giulia Ligresti non voleva in alcun modo interferire nelle decisioni dei magistrati sulla scarcerazione.
Pretendere spiegazioni da Cancellieri, messa all’indice anche dall’Organismo unitario dell’avvocatura che denuncia “l’ennesimo episodio di “malapolitica” a tutela di un “potente” è il tema attuale della politica italiana.
La disponibilità del Guardasigilli non impedisce che la vicenda diventi una nuova grana per il governo, già in equilibrio precario causa decadenza di Berlusconi. E se il premier Enrico Letta tace, è il Pd a chiamare “in tempi rapidi” il ministro in Aula per “fugare ogni dubbio che in Italia ci siano detenuti di serie A e di serie B”.

Il M5S, sulle barricate già da giovedì insieme alla Lega, annuncia una mozione di sfiducia perché “mentre migliaia di persone soffrono per le condizioni carcerarie - attacca il capogruppo alla Camera Alessio Villarosa - lei si preoccupa della figlia di Ligresti, titolare della società ex datrice di lavoro del figlio che ha ricevuto una buonuscita di 3,6 milioni di euro”.
Accuse che imbarazzano il ministro che però ribadisce di aver segnalato il caso al Dap come fatto in tanti altri casi, pur confermando i rapporti di amicizia con Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti.

Il Pd non sembra disposto a lasciar passare la vicenda. “Nessuna strumentalizzazione ma il ministro riferisca in Aula e poi ciascun partito farà le sue valutazioni”, è la richiesta del responsabile Giustizia del Pd Leva Danilo. Una fermezza che accomuna il partito e tutti i candidati alla sfida congressuale, da Gianni Cuperlo a Matteo Renzi. D’altronde il ministro Idem si dimise per un episodio meno grave di questo.

Il segno della crisi non solo politica può essere racchiuso in una sola cifra: in Italia in cinque anni, tra il 2007 e il 2012, il numero dei poveri è raddoppiato fino ad arrivare quasi a 5 milioni di persone. I dati sono dell’Istat e fotografano gli individui entrati nella fascia della povertà assoluta, quella nella quale è davvero difficile tirare avanti. Un pensiero angoscioso che diventa realtà soprattutto per le famiglie nelle quali si è perso il lavoro, per quelle numerose, per quelle caratterizzate da un solo genitore con figli. E che sembra non finire: anche il terzo trimestre di quest’anno - ha chiarito il presidente Istat Antonio Golini - avrà il segno negativo, tanto che l’anno chiuderà con il pil a -1,8%.

Non parliamo della nuova tassa sulla casa al banco di prova del Parlamento.
La così  detta Trise - dicono le associazioni di settore - rischia di aumentare il conto delle tasse sull’abitazione. Se l’Ance conta aggravi fino al +72% rispetto a quest’anno, la Confedilizia fa presente che senza modifiche alla legge di stabilità i proprietari di immobili si troverebbero nel 2014 a versare 10 miliardi di euro in più rispetto sempre al 2013.

Per Confedilizia nella Legge di stabilità “non viene rispettato l’impegno del governo ad un alleggerimento del carico tributario sugli immobili o, almeno, ad un mancato aumento dello stesso, posto che, qualora il testo del disegno di legge non venisse modificato, esso determinerà aumenti di tassazione sugli immobili che potranno portare a quasi 10 miliardi di euro di gettito in più rispetto al 2013”.

Intanto che l'aggravio delle tasse è sempre al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica, al via c'è la rielaborazione al Parlamento sul costo del lavoro, cioè del cuneo fiscale. Una linea già annunciata dal presidente del Consiglio Enrico Letta ma che è stata rafforzata nel corso di un pranzo a Palazzo Chigi con il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini e i viceministri al Tesoro. Sempre sul tavolo del governo poi un’altra questione delicata: il rifinanziamento della Cassa integrazione. Sul fronte del cuneo fiscale, il tema chiave della protesta sindacale, la disponibilità dell’esecutivo - viene riferito da fonti parlamentari - è totale: senatori e deputati potranno intervenire attraverso gli  emendamenti sulla divisione delle risorse non solo per quanto riguarda il capitolo dei lavoratori, ma anche per quanto riguarda quello delle imprese.
La palla passa dunque alle Camere, che su questo come su qualsiasi altro tema, potranno modificare la Legge di stabilità - è il leit motiv del governo - a patto di trovare le simili coperture.
In attesa di capire cosa accadrà durante l’esame parlamentare, intanto i sindacati frenano: la Cisl di Raffaele Bonanni fa sapere che di fronte a modifiche strutturali della Legge di stabilità è pronta "a smontare lo sciopero". Più cauti la Cgil e la Uil: “Quattro ore di sciopero – afferma Susanna Camusso - sono lo strumento per fare pressione”.

“Fosse per me, gli darei sette giorni”. E’ lapidaria la risposta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a un cittadino che gli ha chiesto di dare al Parlamento una scadenza di trenta giorni per fare le riforme, “oppure li mandi tutti a casa”.

Segno di una personale impazienza frenata solo dal ruolo istituzionale che Napolitano vuole continuare a esercire senza smottamento. Anche di fronte a Grillo che lo attacca, ma al quale preferisce non replicare.

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