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domenica 22 agosto 2010

Sesso. La teoria del conflitto.

La teoria del conflitto poggia su tre assunti: "Il primo afferma che gli individui possiedono un certo numero di "interessi" di base che essi cercano di realizzare e che non sono peculiari di ogni singola società ma piuttosto comuni a tutte (...). Seconda e centrale per l'intera prospettiva del conflitto, è l'enfasi sul concetto di potere come nucleo della struttura e delle relazioni sociali e sulla conseguente lotta per ottenerlo (...). Il terzo aspetto distintivo della teoria del conflitto è la visione dei valori e delle idee come se fossero armi e non strumenti" [Wallace Wolf 1985:92-93].
Il rapporto tra i sessi, che si esplica nella relazione matrimoniale, è basato su uno dei massimi conflitti. Da questo tipo di impostazione derivano due diverse scuole sociologiche, la scuola dialettica e quella relativistica, facenti capo rispettivamente a Marx e a Weber.

Secondo la teoria marxista, le donne sono vittime dell'oppressione della società capitalistica e della famiglia borghese. Marx ed Engels [1962] sostengono che il borghese vede nella moglie un mero strumento di produzione. La rivoluzione neolitica, definita da questi come la grande sconfitta storica del sesso femminile, avrebbe comportato grandi progressi per l'umanità ma anche la creazione di istituzioni, la proprietà privata e la famiglia, che ne avrebbero comportato la sottomissione. Gli uomini in questo modo avrebbero creato meccanismi per controllare le donne in modo da assicurare ai propri figli la trasmissione della proprietà privata [Engels 1976]. Lo sfruttamento dell'uomo nei confronti della donna deriva dal modo di produzione capitalistica e dalla funzione della proprietà privata; dunque la questione femminile si inserisce negli obiettivi politici del comunismo. Scrive Clara Zetkin [1948:78], riferendo le parole di Lenin durante un colloquio con lei: "Le tesi devono mettere bene in luce che soltanto attraverso il comunismo si realizzerà la libertà della donna [..]. Il movimento comunista femminile deve essere un movimento di massa, una parte del movimento generale di massa, non solo del proletariato ma di tutti gli sfruttati e di tutti gli oppressi, [...]. Dobbiamo attrarle [le donne] dalla nostra parte perchè contribuiscano alle nostre lotte e particolarmente alla trasformazione comunista della società. Senza le donne non può esistere un vero movimento di massa."
La teoria di Marx ed Engels, e poi di Lenin [1948], inserisce il problema della posizione delle donne nella famiglia e nella società, in un quadro globale che vede il modo di produzione capitalistico come generatore di oppressione e dunque di conflitto; con la dittatura del proletariato si costruirà una società di uguali, il dominio di un sesso sull'altro cesserà.
Gran parte delle materialiste femministe reputa questa analisi inadeguata; secondo loro non ci troviamo semplicemente di fronte al corrispondente dell'oppressione esercitata dalla borghesia sul proletariato: "gli schiavi domestici non subiscono lo stesso sfruttamento degli schiavi salariati. Si dovrebbe pagare loro uno stipendio affinchè questo fosse vero" [Eisenstein 1979:23].
Kollontaj è stata forse colei che ha espresso con maggior forza punti di vista divergenti da quelli di Engels e di Lenin; secondo lei infatti l'origine dello sfruttamento dell'uomo sulla donna deriva non dalla proprietà privata, bensì dalla costruzione sociale della sessualità e dalla divisione del lavoro in base al sesso.
Altrove il conflitto tra i due sessi viene letto in termini di supremazia maschile, ed associato al capitalismo. Secondo Zilla Eisenstein "il patriarcato è l'ordinamento maschile gerarchico della società", le cui radici sono più biologiche che economiche o storiche. La cultura patriarcale esercita il controllo attraverso la "divisione sessuale del lavoro determinando separatamente ruoli, scopi, attività e tipi di lavoro" [Eisenstein 1979:17]. In questo modo, capitalismo e patriarcato si combinano rinforzandosi l'uno con l'altro: mentre il patriarcato determina l'organizzazione gerarchico-sessuale della società in modo da attuare il controllo politico, il capitalismo lo sorregge.
Il compito delle donne è dunque quello di mantenere l'equilibrio, dando stabilità alla struttura patriarcale della famiglia attraverso il lavoro domestico, la cura e l'educazione dei figli; secondo l'ideologia capitalistica esse sono 'non-lavoratori', e anche quando sono inserite nell'economia, la divisione sessuale del lavoro e della società non subisce alterazioni, dal momento che esse svolgono due lavori ad un salario inferiore rispetto a quello percepito da un uomo che ne svolge soltanto uno.
Come vedremo piu' oltre, alcune pensatrici materialiste attiviste hanno inteso di mettere insieme i presupposti del materialismo storico, del femminismo e di quella corrente che viene definita "postmodernismo", collegando i vari elementi con lo statuto di originalità del soggetto individuale femminile.

Nell'ambito della corrente weberiana, Collins ritiene che in ogni società il genere sessuale sia uno degli status di gruppo più importanti al fine di determinare le possibilità di ogni individuo. In qualunque caso le donne sono svantaggiate rispetto agli uomini nell'accesso al potere, alla ricchezza, all'autonomia e ad altre risorse importanti; in nessun caso conosciuto si verifica il contrario. Secondo Collins, la situazione di inferiorità delle donne è prodotta dallo slancio da parte dell'uomo/essere umano verso il conseguimento del piacere sessuale, insieme al fatto che i maschi sono fisicamente più forti e più grandi nella maggior parte dei casi. Egli infatti ritiene che le donne si trovino in una buona condizione nelle economie di sussistenza e in quelle particolarmente ricche, dove esiste una forma di potere in 'equilibrio', mentre in tutte le altre sono in una situazione di netta inferiorità.
All'interno della stessa corrente, sia Chafetz [1984] che Blumberg [1984] attribuiscono alla maternità biologica un ruolo centrale, ritenendo che sia questa a spiegare la differenza dell'essere donna; l'impatto della maternità può essere limitato ma non eliminato. In nessuna società le donne "come categoria si specializzano nei ruoli del settore pubblico/produttivo" [Chafetz 1984:21]. Ad esse compete invece il lavoro riproduttivo. "Più alto è il tasso di fertilità e più grande è la distanza tra la casa ed il lavoro, minore il coinvolgimento femminile" [Chafetz 1984:68] nell'ambito pubblico. Per modificare il loro status alle donne diviene necessaria la partecipazione al sistema produttivo.

La corrente sociologica detta fenomenologia è una scuola di pensiero che si propone di dare fondamento alla sociologia comprendente weberiana; "non solo il mondo viene considerato una costruzione continua degli attori, ma la "realtà" (in senso oggettivo) viene dissolta in una serie infinita di "realtà multiple", di "provincie finite di significato" il cui referente ultimo è comunque l'esperienza dell'attore" [Muzzetto 1996:232]. Rispetto ai bisogni ed ai ruoli delle donne nella società, la fenomenologia considera la realtà come un insieme di idee prodotte dal passato e sorrette dal presente, e si chiede se "è veramente "naturale" che le donne oltre a concepire figli, debbano anche prendersi la responsabilità di allevarli", o se invece esse "abbiano un reale "bisogno" di radicarsi nella sfera domestica, mentre i "bisogni" degli uomini si situano nella dimensione pubblica del lavoro salariato" [Wallace Wolf 1985:316]. Come vedremo, questo è uno dei maggiori argomenti di riflessione del femminismo contemporaneo.
Anche i teorici della scuola di Francoforte, facendo confluire nelle loro analisi elementi del materialismo storico, della psicoananalisi e del pensiero di Weber, costituiscono uno dei principali punti di riferimento delle teorie degli ultimi anni, in particolare per l'attenzione rivolta alla logica del dominio e a quella del principio di autorità. Affronteremo le loro argomentazioni nella lettura che ne fa Jessica Benjamin[1990].

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