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martedì 13 settembre 2011

Una destra "moderna" è bipolarista, nonostante Berlusconi


La professoressa Sofia Ventura parlava il 10 di settembre, giorno prima del discorso di Fini a Mirabello.

Il discorso di Gianfranco Fini dell’11 settembre può rappresentare un punto di svolta per Futuro e Libertà e quindi per la politica italiana? Forse. Ma perché lo sia è necessario che sia un discorso nuovo, nuovo soprattutto in ciò che avrà la forza di evocare. Il rischio del vecchio, però, è sempre in agguato e sta soprattutto nella tentazione di porsi nella scia di quell’antiberlusconismo che per stigmatizzare le degenerazioni di questa forma di esercizio del potere esalta ogni forma di consensualismo e vede nelle regole e nelle istituzioni soprattutto uno strumento per limitare, azzoppare, fiaccare il potere.
La critica al berlusconismo è non solo legittima ma obbligata, specialmente da parte di chi ne aveva previsto le degenerazioni e non è stato ascoltato, ma “espulso” come indesiderato. Ma il messaggio che si vuole mandare deve essere ben ponderato, perché una leadership capricciosa e fuori controllo, una gestione padronale del partito, un uso disinvolto delle istituzioni, la costruzione di una classe dirigente (se così si può chiamare) servile e cinica, l’uso di ogni mezzo per fiaccare l’avversario fanno parte di una patologia che non discende dalla trasformazione in senso maggioritario e bipolare del nostro sistema politico, ma dal fatto che uno dei protagonisti, il maggiore, di quella trasformazione ha inoculato sin dall’origine – anche se agli inizi il fenomeno non era così evidente – il virus di una concezione anti-politica, anti-istituzionale e proprietaria del modo di pensare e fare la politica.
Se oggi qualcuno mi chiedesse se, potendo, cancellerei l’esperienza di Berlusconi dalla politica italiana risponderei di no. Perché il prezzo che abbiamo pagato per avere un sistema più moderno è stato alto, ma sarebbe stato più alto il prezzo di una continuazione delle logiche – magari rivedute e corrette a fronte dei nuovi imperativi economici e sociali – consensuali della Prima Repubblica.
Non dovremo aspettare molto per ritrovarci in mezzo alle macerie dell’esperienza berlusconiana, ma qualcosa allora sarà rimasto in piedi: una nuova visione della democrazia come democrazia dell’alternanza che, in parte nella classe politica e nei partiti, ma soprattutto tra gli elettori, è andata consolidandosi. Ed anche l’idea che i leader politici contano e possono cambiare le cose – che piaccia o non piaccia il modo in cui lo fanno – e che i governi per essere efficaci devono potere governare.
Chi si candida ad avere un ruolo centrale nella politica dei prossimi anni deve sapere che tutto ciò deve essere salvato, per il bene della nostra democrazia. E deve fare sapere ai propri potenziali elettori che è fermamente deciso a salvarlo e non intende piegare la visione del futuro alle convenienze del momento.
Dunque, Presidente Fini, non si faccia imprigionare dalla retorica antileaderistica che continua ad avere corso in parte della sinistra italiana (che strilla ad ogni piè sospinto al rischio di populismo e plebiscitarismo senza neanche sapere di cosa sta parlando): i leader devono guidare e mobilitare per realizzare il cambiamento e non temere di mettere la faccia anche su decisioni impopolari.
Non si faccia imprigionare dalla retorica parlamentaristica: non è il Parlamento che deve fare da contraltare al governo, una sana dialettica democratica è quella che si sviluppa tra un governo forte e una maggioranza omogenea da un lato e l’opposizione dall’altro; richiami piuttosto l’opposizione al suo dovere di costruire una alternativa seria e credibile.
Non si faccia imprigionare dalla retorica del bipolarismo muscolare, troppi nemici del bipolarismo si nascondono dietro quell’espressione per minare le fondamenta di un sistema dell’alternanza e tornare al vecchio strapotere delle oligarchie politiche; rivendichi piuttosto la competizione (anche dura, come è quella delle altre democrazie europee) e l’alternanza come “sale della democrazia” e se non le è (ci è) piaciuto il rito berlusconiano secondo il quale hanno funzionato, la costruzione di una destra nuova serve proprio a creare un altro rito, più simile al resto d’Europa.
Il potere dei leader, il potere dei governi, il potere della maggioranze, certo vanno“addomesticati”, ma il problema in Italia è soprattutto quello di avere regole e istituzioni che consentano a quei poteri di agire ed essere efficaci, anche perché il pericolo, come ben sappiamo, è proprio quello che se non addomesticati con regole esplicite che non siano però castranti e lascino spazi di manovra e discrezionalità, essi troveranno vie opache e pericolose per esprimersi.
Presidente Fini, credo che un elettorato di centrodestra stanco del pifferaio magico aspetti di sapere se il sogno di una destra e di un paese moderni potrà essere incarnato anche e soprattutto da lei. Non cada nella tentazione della trita retorica che già tanto male ha fatto a questa nostra Italia: il cambiamento si può esprimere e raccontare solo con parole e orizzonti nuovi.

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