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martedì 2 novembre 2010

Sacro e religione nell'analisi sociologica

Sacro e religione nell'analisi

sociologica

Divino, sacro
e religioso non sono sinonimi; se ogni religione implica il sacro, non è
sempre vero il contrario (A de Benoist, 1992).


Marcel Mauss
afferma: "Non è l'idea di Dio, l'idea di una persona sacra che s'incontra in tutti i tipi di religione, bensì l'idea del sacro in generale" (Marcel Mauss, 1968, p. 97).

Il termine “sacro”
ha la sua immediata derivazione linguistica dalla parola latina sacer e nel
significato è ambivalente. Una prima accezione rinvia all'idea
di una forza potente che è percepita con i tratti della potenza della
straordinarietà. Sacro in questo caso allude ad un’entità
sentita o pensata come fonte ultima della vita e la forza vitale fondamentale.
Il sacro indica inoltre un passaggio doloroso che implica la separazione,
distacco, morte ma nello stesso tempo è dotato di una forza attrattiva
potente, è "l'inaccessibile che attrae" (Acquaviva, Pace,
1992).


La struttura
del sacro, contemporaneamente unitaria e duale, nella quale due elementi si
attivano reciprocamente, in cui l'elemento divino e quello umano s’interfacciano
reciprocamente, è essenziale per comprendere la funzione di legame
e mediazione che il sacro è destinato a svolgere.

Nei popoli primitivi,
dopo che si è provveduto alla soddisfazione dei bisogni primari, la
dimensione magico-religiosa è una componente essenziale della vita. Spencer
e Gillen hanno dimostrato che ancora oggi certe popolazioni dell'Africa e
Oceania (che per caratteristiche possono essere assimilati alle culture primitive)
si sentono partecipi di due mondi distinti: quello profano, monotono e fiacco
teso alla sopravvivenza, e quello sacro, carico di energia e di eccitazione.


La ricerca antropologica
mostra la predisposizione strutturale dell'immaginario a suddividere lo spazio
in livelli e orientamenti qualitativamente differenziati. Questo ha indotto
alcuni a pensare che: "il sacro non sia solo un accidente della nostra
percezione del mondo, ma una struttura permanente del nostro rapporto col
mondo e della nostra costituzione psicologica" (J.J. Wunenburger, 1981,
p. 18-19)


Nella maggior parte dei popoli
che noi conosciamo è presente un riferimento a sacro, trascendente
o semplicemente al religioso. Questo ha dato luogo a interpretazioni che
si articolano lungo due direttrici: l'una sostiene che il bisogno religioso
è una costante della "natura umana", che si trasforma solo
per modalità; l'altra afferma che tale bisogno è contestuale
a una data società e potrà essere assente nel futuro (Burgalassi,
83)

Alla prima ipotesi si riconducono
due tendenze: la prima fa riferimento all'esplicita accettazione dell'ipotesi
di Dio, di un "radicalmente altro"; la seconda intravede l'essenza
della religione nelle risposte a quesiti ultimi circa il significato del
vivere, del morire del passato del futuro, dei propri simili, del destino
del cosmo, del senso di amore e solidarietà (Ibidem).


La "religiosità",
a prescindere dall'accettazione-rifiuto dell'ipotesi di Dio (o "radicalmente
altro"), si struttura in modo che ne derivano sistemi coerenti di atteggiamenti,
comportamenti, motivazioni. Si ha così un "mondo vitale"
(nell'accezione di Schutz e Ardigò) o "cosmo sacro" (Eliade
e Gehlen), in cui i tratti inerenti ai gradi e livelli di bisogno e di risposta
religiosa, hanno una loro articolazione e congruenza organica (Ibidem).


Un discorso scientifico sulla
religione si determina a partire: dalla costante dell’insoddisfazione
che accompagna la vita umana; dalla presenza del meraviglioso; dalla continua
ricerca di significati radicali dell'esistenza (Nesti, 83).


Il sacro ha dato luogo a numerose
interpretazioni e può essere compreso associando l'approccio ermeneutico
a quello storico o fenomenologico. La teoria di Taylor, ad esempio,
pone al centro dello sviluppo della religione il culto dei morti e l'animismo,
quella di Marrett mette in dubbio la distinzione tradizionale tra magia
e religione e scienza, introducendo i concetti di rituale, sacro, non logico,
magico, religioso.


Nell'opera Les formes élémentaires
de la vie religieuse del 1912, Durkheim afferma che il sacro proviene dal
"mana", una forza impersonale, centro della religione totemica.
Durkheim sostiene che la religione viene per così dire "dopo"
il sacro, quando gli uomini, passato il momento dell'effervescenza creatrice,
hanno bisogno di amministrare il sacro (Acquaviva, Pace, 1992), essa è
quindi un prodotto sociale (Ries., 1993).


Nel Das Heilige 1917 Rudolf
Otto (1969-1937) definisce il fenomeno religioso "essenzialmente un'esperienza
del sacro". Il sacro comporta come primo aspetto quello di essere una
categoria d'interpretazione dell'ambito religioso nella quale l'uomo si
imbatte durante il suo approccio al divino, al "numinoso", da
cui il termine "sacer". Inoltre il sacro è il "sanctum",
cioé il sacro sotto il suo aspetto di valore oggettivo poiché
costituisce un bene in sé, anche se percepibile solo dall'uomo religioso.


Nel Traité d'histoire
des religions del 1949, Eliade afferma che il sacro si manifesta come potenza
di ordine diverso rispetto alle forze naturali che, nel momento in cui entra
nel mondo fenomenico, diventa una ierofania. Esso si manifesta attraverso
oggetti, esseri animati, persone, simboli che diventano qualcosa d'altro
pur senza cessare di appartenere al proprio ambito naturale. Ogni ierofania
è un fenomeno religioso che l'uomo percepisce, è pertanto
indispensabile l'esperienza umana.


Marcel Mauss (1873- 1950) estende
la teoria durkheimiana del "mana", visto come nucleo del sacro,
alle grandi religioni, Mircea Eliade, nell'opera La nostalgie des origines,
afferma che il sacro eccede il religioso (Mircea Eliade, 1971).


Per Milanesi: "il sacro
corrisponde a quell'atteggiamento complesso di fronte alla realtà
che parte dal presupposto dell’ esistenza di un "quid" (ulteriormente
precisabile, ma certo considerato come "radicalmente" diverso)
che entra in rapporto con la realtà stessa modificandola e condizionandola"
(Milanesi, p. 97).


Per Ferrarotti il sacro è
una realtà continuamente "statu nascendi" che, grazie alla
sua natura ambigua, riesce a manifestarsi, paradossalmente, anche all'interno
della società moderna. Non è la religione-di-chiesa ad esaurire
in sé la dinamica del sacro: essa è solo la gestione istituzionale
e come tale assoggetta il sacro a fenomeni di routinizzazione e burocratizzazione
già evidenziati da Weber (Ferrarotti, 1990).


Acquaviva stabilisce una preliminare
distinzione tra sacro e religione, posti in relazione causale che vede
il sacro all'origine logica e storica delle religioni, le quali si sviluppano
secondo le modalità proprie dell'ambiente culturale nel quale si
trovano. Acquaviva sottolinea poi che il sacro assume la forma psicologica
soggettiva di esperienza del "radicalmente altro", cioè
il “tremendum” e misterioso che caratterizzano quanto si differenzia
dalla profanità del quotidiano.


Il concetto di "sacro"
risulta sfuggente e gli studiosi hanno preferito focalizzare l'attenzione
sulla religione, intesa come forma istituzionalizzata del sacro.


Per Deconchy, la credenza rinvia
all'esperienza e gli individui tendono a fondarne l'autenticità in
due modi: razionalizzandola e facendola diventare parte dell'agire quotidiano;
dando vita o aderendo a istituzioni più o meno stabili che ne garantiscono
continuità e presenza significativa (Deconchy, 1980). Secondo Glock,
l'individuo aderisce ad un sistema di credenze determinato che può
fondarsi sull'esperienza diretta e personale di entità trascendenti
o metaempiriche ma anche sulle conoscenze di dottrine o testi ritenuti sacri
(Glock, 1966).


Il fenomeno religioso, è
stato interpretato in vari modi dai sociologi, ponendo l’attenzione
di volta in volta su aspetti differenti dell’oggetto indagato. Bagnasco,
Barbagli, Cavalli, nel loro Corso di sociologia del 1997, li hanno raggruppati
in cinque ideal-tipi:


Un primo filone interpretativo,
considera la religione come appartenente ad uno stadio primitivo dell’evoluzione
delle società umane, destinata ad essere sostituita dalla scienza
come criterio fondamentale di orientamento delle azioni (Comte e Spencer).


Secondo l’interpretazione
marxista, invece, la religione è un fenomeno che oscura le menti
e impedisce di vedere la luce della ragione (Voltaire); è “sovrastruttura”
ideologica la cui funzione è di occultare i rapporti di dominio (Marx).


Nell’interpretazione funzionalista,
la religione è un’istituzione universale in cui i membri di
una società rappresentano, su un piano trascendente, il vincolo che
li unisce, cioè la società stessa (Durkheim, Parsons).


Un’altra interpretazione
vede la religione come depositaria di idee capaci di produrre trasformazioni
profonde negli assetti sociali e culturali.


Infine un’ultima interpretazione
definisce la religione come esperienza del sacro (Otto).


Comte (1798 - 1857) nel testo
del 1842 Corso di filosofia positiva rielabora lo schema delle tre età
nella storia dell'umanità, già formulato da Saint-Simon, nella
"legge dei tre stadi", secondo la quale l'umanità compie
un’evoluzione intellettuale che porta dalla religione alla scienza.
Nel terzo stadio "positivo o scientifico", giunto al culmine della
propria evoluzione intellettuale, l'uomo può abbandonare, come superate
e dannose, le forme di sapere precedenti quali la religione e la metafisica.
Comte rivela che gli uomini ricorrono alla religione per dare una spiegazione
unitaria e soddisfacente del complesso organismo sociale di cui fanno parte. Considera
la religione come una strategia sociale per creare consenso perché
soddisfa i bisogni profondi dell'uomo e contribuisce, per certi livelli
meno evoluti delle società, a consolidare coesione. La scienza, conoscenza
superiore, diviene la nuova religione laica capace di dare agli uomini valori
socialmente cogenti, il "grande essere".


Durkheim (1858-1917) la religione
impedisce processi sociali dissociativi, imponendo le regole di funzionamento
del sistema agli individui e mettendo in campo una serie di risorse simboliche,
capaci di integrare gli individui ad un insieme di valori collettivi, facendo
sentire loro l’esistenza di una coscienza collettiva superiore alle
singole coscienze soggettive. Per Durkheim è la società ad
essere l'unico dio e la coscienza collettiva è la sua rappresentazione.


La religione per Marx non ha
una sua autonomia nel contesto sociale, essa altro non è che l'involucro
ideologico che di volta in volta le classi sociali utilizzano per rappresentare
il loro status socio-economico e di potere. Essa assolve le due funzioni
di giustificare dell'ordine sociale costituito e surrogare, in mancanza
d'altro, il linguaggio politico delle classi subalterne, che aspirano a
liberarsi dalla condizione di oppressione. La religione non ha alcuna funzione
autonoma ma nasconde i reali rapporti di forza presenti nella società;
è specchio delle contraddizioni sociali e luogo dove il dominio economico
si svela nella forma dell'egemonia culturale e simbolica.


Weber (1864-1920) nell'Etica
protestante e lo spirito del capitalismo evidenzia il contributo che il
cristianesimo ha dato alla genesi del mondo moderno, in particolare mostrando
che il protestantesimo ha favorito l'affermazione del capitalismo. L'interesse
di Weber per la religione, nasce dalla convinzione che le immagini religiose
nel mondo svolgono il ruolo di legittimare comportamenti tradizionali o
innovativi. La religione è una risorsa simbolica di fondamentale
rilevanza per la società: essa si distingue dagli altri codici culturali
perché fornisce una legittimazione del significato al più
alto e generale livello.


Simmel (1858-1918) in Die Religion
(1908), distingue la religiosità dalla religione e sostiene che la
prima in quanto forma interiore dell'esperienza umana precede la seconda,
la quale non è altro che una storicizzazione, cioè una trasposizione
empirica, un’attuazione sul piano organizzativo, mediate diverse modalità
di chiesa, setta, movimento. La religione è un prodotto culturale,
creato attraverso una lunga frequentazione interpersonale mediante esperienze
interattive plurime.


Mead (1863-1931) nella sua opera
Mind Self and Society (1934) afferma gli esseri umani hanno bisogno di elaborare
nella loro mente un insieme di rappresentazioni simboliche della realtà
sociale e la religione è uno di questi, in quanto offre agli individui
un modo per fondare una propria identità (il Self) e una propria
auto-definizione nello spazio sociale.


In Troeltsch (1865-1923), che
focalizza la sua analisi sulla distinzione tra chiesa e setta, il tipo "chiesa"
è caratterizzato dall'organizzazione prevalentemente conservatrice,
dominatrice delle masse e quindi per natura universale, intesa a comprendere
tutto.


Parsons (1902-1979) considera
la religione un "codice" che riesce a regolare un’enorme
quantità di informazioni riportandole ad unità, evitando al
sistema sprechi energetici, conflitti, devianze o paralisi. La religione
è un potente elemento di standardizzazione delle azioni umane per
questo fornisce al sistema una fonte di legittimazione ultima che nessun
altro sistema etico riesce a dare.


Mercuse (1898-1979) e Adorno
(1903-1969), giudicano la religione come un elemento dell'apparato ideologico
degli Stati moderni.


Luhmann concepisce la società
come un sistema la cui complessità, costituita dalla vasta e imprevedibile
gamma di modelli sociali e azioni che gli individui pongono in essere, è
assorbita dai sub-sistemi di cui è composta, senza che sia necessario
ricorrere valori o scelte consensuali da parte degli individui. La religione
è un sub-sistema fra tanti, il cui compito è dare risposte
ad esigenze e problemi di senso soggettivo; è il medium comunicativo
che rende determinato ciò che non lo è, concedendo spazio
all'espressività soggettiva.


In Habermas la religione riveste
un ruolo importante e significativo, in quanto motore di movimenti collettivi
emancipatori e critici nei confronti dell'ordine sociale del capitalismo
maturo.




Schutz afferma che la socializzazione
porta l'individuo a costruirsi diverse province di significato attraverso
cui gestire in modo differenziato i molteplici ruoli che la società
chiama a svolgere. La religione appartiene alle “provincie di significato”
rilevanti perché mondo vitale dentro il quale gli individui, rinforzano
l'atteggiamento di “dare per scontato" l'esistenza di un mondo
ordinato.


Tra gli anni ’60 e ’70
è iniziato un dibattito riguardo al sacro, la sua crisi e il futuro
della religione. Per comprendere le teorie che si sono confrontate riguardo
al tema del sacro e della sua crisi, è interessante riprendere lo
schema proposto per la prima volta da Greimas nel 1969 [1] .




I temi, sacro/non sacro, crisi/non
crisi, sono posti su due assi semantici oppositivi [2], ottenendo un piano
cartesiano in cui ogni quadrante seleziona uno “spazio teorico”
all’interno delle due categorie fondamentali da cui prende le mosse
ciascuna definizione sociologica e che ne stabiliscono i confini di significato.


Le combinazioni che ne risultano Giustifica

sono le seguenti:


(SACRO/CRISI): Il sacro, centrale
per comprendere il fenomeno religioso è in crisi;


(CRISI/NON-SACRO): il sacro
non è centrale per comprendere il fenomeno religioso che è
in crisi;


(NON-CRISI/SACRO): il sacro
,importante per capire il fenomeno religioso, non è in crisi


(NON-SACRO/NON CRISI): il sacro
non è un importante punto di approccio sociologico alla religione;
non c’è crisi nel sacro e neppure nella religione.


La secolarizzazione


Il termine secolarizzazione,
è usato, per la prima volta durante le trattative per la pace di
Westfalia (1648), per indicare il trasferimento ai principi di terre e possedimenti
sottoposti a giurisdizione ecclesiastica [3]


Durante la Rivoluzione francese,
con l'espropriazione dei beni della chiesa trasformatasi in programma politico,
e il termine secolarizzazione indica un insieme di atteggiamenti di indifferenza
per istituzioni e pratiche religiose mirante, coinvolgenti tutta la vita
e l'esperienza.


Durante tutto il '700 la storia
sociale viene dissacrandosi per la progressiva separazione, sul piano organizzativo,
della vita laica da quella religiosa. Ad un minore senso del sacro (come
ampiamente documentato da Acquaviva, 1961), fa riscontro una serie di riduzioni
della moralità. Le nuove idee diffuse nell'Epoca dei Lumi si diffondono
in tutte le classi sociali e urbanizzazione e l'industrializzazione creano
nuovi ruoli e professioni. Tutto questo, porta progressivamente a livello
di massima rilevanza i valori, i modelli, i pregiudizi legati alla dinamica
della nuova società: efficienza, produttività, formalizzazione
dei rapporti (Acquaviva 1961, 1966, 1971).


Il mutamento di valori e la
relativizzazione dei modelli che ne conseguono, influiscono sul perdurare
dei "sistemi di significato" tradizionali che sono abbandonati
o sottoposti a critica. Ad incidere sulla dinamica culturale intervengono
inoltre modelli psicologici, filosofici, teologici che sfociano in un'articolata
critica alla religione.


Tra fine '700 e inizio '800,
il concetto di secolarizzazione assume significati negativi per la chiesa
che si sente aggredita da quanti (gruppi politici e culturali) invocano
una riduzione della sua presenza nella società. Questo processo si
realizza con la progressiva separazione delle sfere economica, politica
dalla religiosa. Più in generale, il termine evoca tutti quei processi
di laicizzazione della cultura che si affermano nella società europea,
dalla crisi della società feudale e dalla nascita della società
moderna (Pace, 92).


Il termine è usato anche
come sinonimo di sottrazione di province del sapere del potere e dell'agire
sociale dal controllo o dall'influenza di istituzioni ecclesiastiche o da
universi simbolico-religiosi. La secolarizzazione è vista come il
prodotto dell'avvento del mondo moderno, una conseguenza dei processi di
emancipazione dei costumi e delle mentalità e come un processo irreversibile.


Harnack afferma che la crescita
della ricchezza della chiesa e la sua organizzazione gerarchica, hanno segnano
l'inizio dei fenomeni di secolarizzazione (A. Harnack, 1901). Parsons, nel
saggio Il Cristianesimo e la moderna società industriale, afferma
che la chiesa ha dovuto abbandonare molte delle sue funzioni non a causa
di un inesorabile declino ma per mutare il suo ruolo per rapportarsi alla
generale differenziazione della società.


Con il concetto di (Entzauberung)
"disincanto" e irreversibile razionalizzazione del mondo, Weber
è il principale interprete della posizione secondo cui i misteri
che circondano l'uomo e la natura sono destinati inesorabilmente ad essere
oggetto di spiegazione razionale. A questo punto di vista è vicino
quello di Cox, il quale sostiene che la scomparsa del sacro va messa in
rapporto con l'espandersi della religione giudaico-cristiana, caratterizzata
dall’identificazione dell'essere con Dio (H. Cox, 1968).


Molti autori si sono dedicati
all’analisi della secolarizzazione. Fra le molte interpretazioni,
le principali sono le seguenti:


- scomparsa della religione
e manifestarsi della terza fase dello sviluppo evolutivo delle società
umane, quella segnata dalla tecnica, dalla scienza e dall'industria (Comte).


- "disincanto" del
mondo (Entzauberung), che si produce nelle società attraverso la
costituzione degli Stati e l'affermarsi dell'industria moderna (Weber).


- definitiva razionalizzazione
della vita sociale e fenomeno di liberazione dalla condizione di minorità
dell’uomo (Kant); maturazione psichica dell'individuo dalla religione,
considerata una nevrosi ossessiva (Freud).


- processo di privatizzazione
della religione con due possibili esiti: passaggio ad un religione invisibile
oppure pluralismo di universi simbolici (Berger, Luckman).


- processo di progressiva perdita
di valore del religioso fino all'ipotesi di un mondo del tutto secolare.
Wilson afferma che la secolarizzazione:


"[...] si riferisce ad
un trasferimento di proprietà, potere attività, funzioni manifeste
e latenti, da istituzioni con riferimento soprannaturale , ad istituzioni (spesso
nuove) che operano con criteri empirici, razionali, pragmatici” (Wilson,
1985, p.11).


- processo legato alla società
industriale e urbanizzata caratterizzato dal venir meno della funzione pubblica
della religione ma non del bisogno di trascendimento (Barth, Bonhoeffer
e Cox).


- processo, "[…]
nel quale i simboli e le forme religiose tradizionali hanno perduto la loro
forza di richiamo" (J. Milton Yinger, 1957, p. 119).


- processo di separazione-differenziazione
funzionale fra religione istituzionalizzata e credenza, tra significati
ultimi dell'individuo e istituzioni religiose (Parsons, Bellah).


- momento di emancipazione delle
chiese da se stesse, e di emancipazione della società dalla religione
e crollo del sistema magico-sacrale (Acquaviva, 73).


Acquaviva è il primo
a teorizzare l' "eclissi del sacro" come di un fenomeno di dissacrazione
vale a dire svuotamento di significato dei riti che non permettono più
l'esperienza del "radicalmente altro" (Acquaviva, 1960). Egli
identifica due effetti storici dovuti alla trasformazione industriale della
società: il primo è la “secolarizzazione del mondo”,
che vede la realtà profana auto-legittimarsi senza ricorso al sacrale-religioso;
il secondo è la “secolarizzazione della religione” che
si apre al profano, adeguandosi ai tempi. Recentemente ha aggiunto: "[…]
con la secolarizzazione la religiosità (come la religione) cambia
di qualità e diminuisce in intensità" (Acquaviva,
1971).


Nell’opera The Sacred
Canopoy (1967), Berger assegna alla religione il ruolo di costruzione del
“sacred cosmos”, in grado di riparare dall’anomia sociale
derivante dall’insensatezza del mondo. La religione svolge contemporaneamente
anche la funzione di “mistificazione”, cioè la sottrazione
e falsificazione del carattere socialmente costruito della realtà,
funzionale al mantenimento dello “status quo”. Nell’opera
The Heretical Imperative Berger considera la secolarizzazione in stretta
connessione col processo di “pluralizzazione” delle scelte,
vale a dire con l’offerta diversificata di modi di vita.


In Luckmann la secolarizzazione
tende ad avere un andamento unilineare che inizia con una differenziazione
simbolica, da cui scaturisce una diversificazione strutturale. Egli sostiene
che il carattere “teoretico” del modello “ufficiale”
di religione contribuisce alla potenziale divergenza con il sistema soggettivo
di significanza “ultima” dei membri tipici di una società
(Luckmann, 1969).


La secolarizzazione, per Wilson,
è un processo sociale di lungo periodo, il cui esito è che
la religione tradizionale ha ceduto alla trasformazione dell'organizzazione
sociale che funziona senza legittimazione religiosa. Aggiunge poi: “[…]
una gran parte della popolazione cerca nella religione solamente un appoggio
occasionale e talvolta neanche quello” (Wilson, 1985, p. 60).


Guizzardi analizza i punti in
cui si muovono le teorie in merito alla secolarizzazione e sostiene che
tendono ad affermare la persistenza della domanda di sacro nell’uomo
e così facendo si trovano in linea con le teologie delle varie chiese.
Sostiene, infatti, che la rilevanza delle chiese e la loro forza hanno valore
esclusivamente politico e nulla hanno a che fare con le costanti antropologiche
e che la religione non può che essere ciò che è definito
tale da chi ha la capacità stessa di definirla, cioè da chi
esercita il potere religioso (Guizzardi, 1983).


Stella afferma che la secolarizzazione
ha indotto un mercato profano di beni simbolici, concorrenziale e vincente
rispetto alla visione religiosa spopolare del mondo e del ruolo della chiesa.
In questo modo si è inceppato il tradizionale meccanismo di scambio
che metteva in comunicazione la chiesa, istituzione che legittima quanto
riguarda il religioso, e i gruppi sociali fruitori del bene religioso popolare
che rappresentano fondamentali strutture di plausibilità (Stella,
1983).


Il fenomeno della secolarizzazione
può riassumersi in quattro punti che costituiscono altrettanti ideal-tipi
(L. Shiner, 1973):


Secolarizzazione come "declino"
delle dottrine religiose, dei valori, delle istituzioni che dominavano e
informavano la società.


Secolarizzazione come "conformità",
cioè la tendenza dei gruppi religiosi a diventare sempre più
aderenti alla società abbandonando l'attenzione esclusiva per il
soprannaturale.



Secolarizzazione
come "eclissi del sacro" dal mondo, in cui i misteri che circondano
l'uomo e la natura sono oggetto di spiegazioni razionali e causali.


Secolarizzazione come "disimpegno"
della società dalla religione. La religione assumerebbe un carattere
prettamente interiore, senza più influenzare la società.


Il termine secolarizzazione
è accompagnato da tali e tante ambiguità da indurre alcuni
autori quali Matthes, Rentdorff, Martin a proporne l'abolizione, anche se
la proposta non ha ottenuto consensi.


Quanti propongono la tesi della
de-sacralizzazione non sono però sempre concordi sugli esiti di tale
processo: alcuni sono portati a sostenere la scomparsa definitiva del sacro,
altri ritengono che il sacro sia stato relegato nell'inconscio o che si
stia assistendo alla ricerca di nuove forme di espressione.


Nonostante vi sia chi (Sorokin,
1966) apporti una vasta gamma di dati statistici per dimostrare che il cristianesimo
ha perso il suo dominio istituzionale e ideologico nella cultura occidentale,
altri ribadiscono che:


"In un ambiente scristianizzato
(quale è la Francia) vi è tra i cattolici praticanti, la partecipazione,
volontaria e consapevole, assume intensità maggiore rispetto quando
la pratica religiosa era connessa a vantaggi e agevolazioni" (Le Bras,
1971, p. 162-168).


C'è infine chi, afferma
che in occasione del declinare della pratica si è aperta la possibilità
di esplorazione nuove forme di religiosità (Wuthnow, 1978; Hervieu-Léger,
Champion, 1989; Acquaviva, 1990; Ferrarotti, 1990).




I nuovi movimenti
religiosi


Nel corso degli
anni 50-60, la maggior parte delle indagini italiane ed estere riguardanti
la sociologia della religione, hanno avuto come scopo principale quello
di documentare la religiosità individuale e di gruppo in modo da
definirne con chiarezza livelli e valori. E' in questa traiettoria pratico-teorica
che si inserisce l'interpretazione del concetto di secolarizzazione sulla
scia delle riflessioni del Gehlen, Schutz, Luckmann, Acquaviva con previsioni
circa "l'eclisse del sacro" cui avrebbe fatto seguito una progressiva
"perdita secca degli spazi del sacro" e un salto indietro nell'analisi
sociologica. Interpretazioni più caute sono quelle di Le Bras e Cox,
che valutano con maggiore cautela quanto si veniva sfrondando o perdendo
nella religiosità (Burgalassi, 83).


Durante gli
anni '70, il crescente numero di gruppi e formazioni religiose (prevalentemente
a carattere settario), ha costretto gli osservatori sociali a constatare
che i fenomeni religiosi non erano residuali ma davano origine a nuove forme
del sacro, che non potevano essere ignorate.


La denominazione
"chiesa-setta", risale alle distinzioni operate da di Weber nel
suo The Methodology of the Social Sciences, in cui descrive la setta come
un’organizzazione religiosa che tende nel tempo a trasformarsi in
chiesa.


Troeltsch, nell'opera
Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani (del 1912), riprendendo
il concetto weberiano individua i tratti salienti delle religioni tipo-setta,
come precisato poi nei Soziallehren [4].


Johnson ha tentato
una distinzione diversa di chiesa e di setta riferendo le due denominazioni
al parametro dell'integrazione sociale. Questa definizione, basandosi
su un criterio estrinseco alla formazione stessa, tenta di identificare
il movimento carismatico, dai suoi effetti e in altre parole la differenza,
l'antagonismo e la separazione, della società dalle sue strutture
e istituzioni. Egli afferma:


"Una chiesa
è un gruppo religioso che accetta il contesto sociale i cui esiste,
una setta è un gruppo religioso che rifiuta il contesto sociale in
cui esiste" (Johnson, 1983, p. 8).


C'è però
chi si chiede se:


"Ha senso
continuare a utilizzare la tipologia chiesa-setta cara sia a Weber che a
Troeltsch in una situazione radicalmente mutata come la nostra a causa del
moltiplicarsi di forme religiose intermedie o atipiche..." (Pace, 1997,
p. 123).


Infine c’è
chi (Terrin, 1985), sostiene che i concetti di chiesa e setta, formatisi
nel contesto culturale occidentale in cui gioca un ruolo essenziale l'istituzione
sociale che appoggia e riconosce istituzioni religiose, non sono oggi più
validi.


Nel corso degli
ultimi decenni per indicare le nuove formazioni religiose si è ricorso
alla denominazione di "culti". Questo termine non sembra appropriato,
perché: i movimenti stessi lo hanno rifiutato; e perché usato
in ambito americano con un’accezione negativa e identificare la devianza
e l'autoritarismo che caratterizzano spesso tali gruppi.


Le denominazioni
di "nuove religioni" o "nuovi movimenti religiosi",
indicano invece la dimensione dinamica e la carica emotiva di questi gruppi,
tralasciando di indagare se i contenuti hanno già una loro registrazione
in un passato pi- o meno remoto.


Pace afferma
che:

"[…] il problema che si pone è innanzitutto di far scivolare
sullo sfondo del discorso pubblico la formula "nuovi movimenti religiosi"
che appare ormai troppo generica e datata" (Pace 1997, p. 62)


Caratterizzati
da una pluralità di definizioni (nuove religioni, sette, culti, chiese)
i movimenti spirituali che si differenziano dalle confessioni dominanti,
hanno conosciuto nell'ultimo trentennio una fase di espansione in tutti
i Paesi del mondo.


Nuove forme
del sacro convivono e aumentano di numero e per varietà all'interno
di un ambiente secolarizzato e le definizioni della religione modellate
sulle grandi tradizioni, del giudeo-cristianesimo e dell'islam, si rivelano
inadeguate a classificare nuove realtà, così frammentarie
e magmatiche (Beckford, 1990).


I grandi sistemi
religiosi evidenziano una crisi di assolutezza e le religioni non costituiscono
più il serbatoio di evidenze etiche sulla cui base gli individui
potevano orientare la loro azione; questo è diventato problematico
nelle moderne società, atomizzate e disarticolate in tanti autonomi
sub-sistemi sociali (Pace, 1997). In questo contesto emerge una prima modalità
religiosa che si esprime in forme neosincretiche [5] .


L'individuo
non percepisce più come invalicabili le frontiere che marcano le
differenze fra le religioni, sembra invece in grado di ricomporre in un
unico universo simbolico elementi provenienti da diverse tradizioni religiose.
Si mobilitano, nello stesso tempo, gruppi religiosi di tipo fondamentalista
che si sforzano di ricostruire simboli che possono riaffermare una salda
identità collettiva radicata in una fede (Ibidem).


Fillaire definisce
"sette pseudo-cattoliche", quei gruppi che si radicano in correnti
tradizionaliste, carismatiche o vicine alla religione popolare: da quelli
con iniziale riconoscimento canonico a quelli che asseriscono di essere
la chiesa cattolica ma hanno una propria specifica gerarchia interna; gruppi
che manifestano l'intento di voler mantenere l'integrità della fede;
per finire con quelli che si dichiarano a-cattolici ma ne utilizzano simboli
e riti (Fillaire, 1994).


Le spiritualità
orientali continuano ad esercitare sull'uomo occidentale un fascino, un'attrazione
giustificati da una saggezza antica e da metodi di concentrazione e di padronanza
di sé. Numerose organizzazioni si sono impadronite della seduzione
dell'Oriente e hanno fatto un neo-induismo o un buddismo "adeguato
ai bisogni dell'uomo moderno", che alcuni hanno battezzato "Karma
Cola" (Hare Krishna, Mahikari, Meditazione Trascendentale).


Sulla scia delle
dottrine orientali, alcuni gruppi quali Energo Chromo Kinese [6] o IVI [7]
fanno riferimento al concetto di "energia".


L'ecologia e
la "purificazione del pianeta" sono temi cari a molti movimenti:
dal Movimento (o Partito) Umanista ad Ecoovie con le sue associazioni e
cooperative.


L'approccio
culturale, sotto le forme più diverse, fa parte di alcuni movimenti
tipo-setta, la Nuova Acropoli, ad esempio, si dedica a gestire conferenze
dedicate ai celti, all'Egitto, all'astrologia, alla morfopsicologia.


Altri movimenti
propongono, attraverso il ritorno a valori tradizionali, di conservare l'integrità
morale: è il caso dalla TFP (Tradizione, Famiglia, Proprietà),
setta cattolica fondata in Brasile. Altri, mirano alla liberazione delle
potenzialità dell'io e alla possibilità di godere i benefici
simbolici e intrinseci della vita di gruppo, la cui fruizione è resa
sempre più rara nelle città d’oggi (Scientology).


La New Age,
è un esempio di un nuovo tipo di gruppo religioso. Nasce negli Stati
Uniti degli anni Settanta come "controcultura" e mischia esotero-occultismo,
astrologia, religioni antiche, culture primitive, puritanesimo, orientalismo,
astrologia. Ha conosciuto una piena espansione negli anni Ottanta [8], e
propone una visione olistica del mondo e dell'essere umano, in cui l'uomo
è assorbito in un "grande tutto", nel quale deve fondersi.


I protestanti
non sono sottoposti a gerarchie particolari e chiunque può fondare
una sua chiesa. Per questo motivo negli Stati Uniti proliferano e alcune
sono state "esportate" in altri Paesi: ad esempio, la famosa associazione
dei Testimoni di Geova che né protestanti né cattolici considerano
chiesa cristiana.


I caratteri
distintivi di questi nuovi movimenti religiosi sono per Wilson: provenienza
esotica; la proposta di nuovi stili di vita; partecipazione diversa dai
modelli tradizionali; presenza di una leadership carismatica; partecipazione
di giovani di livello culturale elevato; operatività a raggio internazionale
(Wilson, 1983). A questo va aggiunto che esse ricorrono spesso a forme di
esperienza del sacro che dà molto spazio ad aspetti magici, terapeutici,
eccezionali o miracolistici.


I movimenti
religiosi esprimono, in particolare allo stato nascente (Alberoni, 1977;
Pace 1983), anche una certa tensione fra la carica vitale dell'esperienza
religiosa e l'istituzionalizzazione del messaggio proposto dentro regole
e procedure (Acquaviva, Pace, 1992).


L'ottica di
studio ha si è allargata nella direzione dei metodi d’indagine
delle discipline storiche, economiche, psico-sociologiche e antropologiche,
introducendo approcci multidisciplinari o interdisciplinari e molti autori
si sono confortati sull'argomento.




Alcuni autori sostengono che
i nuovi movimenti religiosi sono forme marginali di reazione a cambiamenti
sociali pi- vasti (Beckford, 1990) ma che non segnano l'arresto della secolarizzazione
e l'avanzare della razionalizzazione (Martelli, 1990). Altri hanno
visto in essi un "risveglio religioso", un'inversione di tendenza
rispetto alla secolarizzazione, considerata un fenomeno irreversibile (Westley,
Tipton, Anthony, Robbins, Stark, 82; Bainbridge, 85). La Westley ad esempio,
sostiene che la secolarizzazione scambia il mutamento religioso con la scomparsa
della religione, mentre a comparire è solo la forma istituzionale
della religione. Terrin afferma che i movimenti religioni indicano
il tentativo di superare la secolarizzazione come forma di slittamento progressivo
verso l'indifferenza religiosa. Aggiunge inoltre, che le nuove religioni
tentano di reintrodurre una simbolica "forte" che possa sconfiggere
il sociale amorfo e apatico dal punto di vista religioso" (Terrin,
1985).


Persistenza o
rinascita del sacro


In contrapposizione alla secolarizzazione,
considerata come progressiva riduzione degli spazi del sacro, sono state
proposte teorie che tendono a evidenziarne la persistenza della dimensione
religiosa. Secondo questa prospettiva, l'apertura al trascendente è
rintracciabile nella società contemporanea anche se le modalità
non sono sempre identificabili con le espressioni ufficiali della religione. Di
qui il crescente interesse nei confronti della religiosità extraecclesiale
che ha portato autori italiani a elaborare concetti quali quelli di "civil
religion" (Bellah, 1967, 1970, 1985), "cristianità nascosta"
(Burgalassi, 1970), "religione implicita" (Nesti, 1985), "religiosità
diffusa" (Cipriani, 1988).


Pace dimostra come la dimensione
religione riaffiora, sotto altre spoglie, in autori che affermano la scomparsa:


"[...] se è vero
che per Comte il progresso scientifico inevitabilmente porta alla fine della
religione, è altresì vero che essa, nel momento in cui sparisce,
si "reincarna", per così dire, in uno stadio della mente
e della psiche umana, la scienza" (Pace, 92, p. 30).


Berger, nel suo Brusio degli
angeli, è fra i primi ad indicare un ritorno del religioso nel mondo
attuale. Il libro, scritto in un periodo particolare (era il '68 e il mondo
si avviava a vivere le tensioni degli anni Settanta), si occupa del rapporto
fra una società complessa e sollecitata da spinte contrastanti e
la religione. Nell'ambito della sua analisi, Berger espone alcune considerazioni
intese a spiegare il senso di un recupero del trascendente, prevedibile
in base all'esperienza storica. Solo il senso della trascendenza può
restituire all'uomo la proporzione fra i valori delle cose e ci offre la
possibilità di non prenderci troppo sul serio:

"Bisogna avere sperimentato la spaventosa assenza di umorismo che è
propria delle odierne ideologie rivoluzionarie per apprezzare pienamente
la virtù che la prospettiva religiosa possiede di restituire gli
uomini alla loro umanità" (Berger, 1970, p.131).


Il nuovo approccio ideologico
di quanti si interessano di fenomeni religiosi si esplicita in due tendenze:
una "secolarizzatrice" che intende favorire l'idea della scomparsa
del sacro; l'altra, religiosamente orientata, che cerca di confutare il
declino religioso (Cipriani 85).


Bastide si chiede:


"[...] la morte degli istituiti
comporta forse la scomparsa dell'esperienza istituente del Sacro alla ricerca
di forme nuove in cui incarnarsi? [...] la crisi delle organizzazioni religiose
non deriva forse da una mancanza di adeguamento, crudelmente provata, tra
le esigenze dell'esperienza religiosa personale e i quadri istituzionali
entro cui la si è voluta modellare, spesso allo scopo di toglierle
la sua potenza esplosiva ritenuta pericolosa per l'ordine sociale? [...]
non è forse vero che oggi si assiste a una ricerca appassionata del
sacro" (R. Bastide, 1977 p. 195).


Cipriani afferma che lo scollamento
fra individui ed istituzioni religiose, si deve riferire ad una crisi del
linguaggio istituzionale della religione che non comunicherebbe più
con la medesima efficacia di prima. A ciò si deve aggiungere la presenza
di altri linguaggi, con contenuti diversi, entrati in concorrenza con le
forme tradizionali di appartenenza e militanza religiosa. Vi sono due tentativi
di "costruzione di un linguaggio comune": il primo è quello
"sacro istituzionale". I gesti del sacro istituzionale diventano
significativi solo se suscitano negli individui cui vengono indirizzati,
delle risposte positive ed esplicite; il secondo è dato dal "sacro
selvaggio". Quest’ultimo è causa dell'incapacità
di trovare, entro le organizzazioni religiose, forme "aggiustive"
(secondo l'espressione di Mead) in grado di rispondere ai segnali, ricevuti
dai nuovi gesti di comportamento e atteggiamento, dotati di significato
che l'istituzione religiosa non ha colto (Cipriani, 83).


Per Cipriani il distacco tra
religione-istituzione e interessi individuali e sociali è sempre
più netto ma è proprio la presenza di motivazioni di tipo
"profano", legate a contenuti e valori universali, ad offrire
un nuovo campo di relazioni per la ripresa del discorso interrotto. In effetti
"se esiste una coincidenza di interessi può anche esservi una
possibilità di comunicazione a livello di valori condivisi, permettendo
laicizzazione di messaggi significativi" (Ibidem, p.87).


Di fronte alla crescente differenziazione
di comportamenti ed a forme aggregative, che si sono venuti sedimentando
nel tessuto socio-religioso contemporaneo e hanno di volta in volta prodotto
conflitti, l'istituzione ha seguito una strategia complessa che si fonda
su tre meccanismi: riorganizzazione del campo religioso attraverso l'eliminazione
di tutte le forme concorrenziali o conflittuali che venivano a minacciare
i principi di fondo; istituzionalizzazione progressiva di gruppi o movimenti
tipo-setta che pur presentando una certa conflittualità implicita,
consente all’istituzione di ristabilire il consenso nella sua autorità
e sulle sue verità; ridefinizione dell'ideologia complessiva sulla
base di una tematica che sia capace di garantire la sopravvivenza e vitalità
delle varie parti del sistema organizzativo (Pace, 83).


Per Burgalassi, il fatto che
da un ambito organicamente compatto quale nel passato era il cosmo sacro,
esso attualmente evidenzi la presenza di risposte eterogenee confuse disarticolate,
è indice del processo di ristrutturazione del concetto e dei livelli
organici di sacralità. Egli sostiene che la nuova dimensione di "sacralità"
travalica i limiti di porzioni di tempo (i "tempi sacri") o di
spazio (gli "spazi sacri") così come non sembra più
pertinente a semplici qualità oggettuali (le "cose sacre").
"Essa sembra invece inerire specificatamente a "qualità
profonde dell'uomo" o "del genere umano" attinenti l'essenza
del proprio "essere" e le qualità del suo "divenire"
in una scala di livelli qualitativamente crescenti. In un "cosmo"
secolarizzato, ogni tempo e ogni spazio sono sacri, così come ogni
oggetto, purché siano "strumenti" a servizio di un progetto
di crescita globale dell'uomo" (Burgalassi, 1983, p. 26).


Quest’ipotesi è
patrimonio della specie umana a prescindere da risposte teiste o atee che
può avere. Ogni uomo, di qualsiasi tempo, continua Burgalassi, esprime
a suo modo un bisogno "religioso". La metamorfosi in atto,
va quindi intesa come tentativo di sublimazione di un quid ritenuto esistenzialmente
"vitale" e da salvare dall'usura del quotidiano e dall’irrilevanza
del banale, a meno di un diminuito livello di dignità umana (Ibidem).


Per Yinger ogni società
avverte il bisogno di fare riferimento a valori e simboli e la religione,
indispensabile a tale scopo, non può scomparire deve invece adattarsi
al cambiamento sociale in atto.


Numerose ricerche hanno evidenziato
nel nostro paese una vasta area di religiosità sommersa, diffusa
ovvero magico sacrale, nella quale confluiscono forme tradizionali sia nuove,
spesso di tipo sincretico (Pace, 1997). Per Ferrarotti il sacro si esprime
in forme diverse anche nella società moderna nonostante la crisi
della religione-di-chiesa (Ferrarotti, 1990).

Egli aggiunge che:


"Il paradosso del sacro
sembra consistere nel fatto, accertabile empiricamente, che quanto più
una società si razionalizza, tanto più si accresce la fame,
per così dire, del sovramondano e dell'invisibile" (Ferrarotti,
1983, p. 115-117) inoltre aggiunge che nella società contemporanea
il sacro affascina in quanto si presenta come ambiguità e mistero
(Ibidem).


Per Nesti, la ricerca di un
cristianesimo "senza fede", "senza chiesa" o addirittura
esoterico, e perfino ateismo e scetticismo, rappresentano espressioni di
religioso implicito. Questi diviene una sorta di categoria generale, tesa
ad evidenziare la capacità dell'uomo di trascendere i limiti dell'esistente,
dovrebbe consentire di unificare tutti i tipi di credenze. preferisce sottolineare
l'esistenza di una religione "implicita" (Nesti, 1985).


Cipriani, invece, con il concetto
di "religione diffusa", coglie il profondo radicamento culturale
del fenomeno religioso, il carattere diffusivo e storico delle religioni
(Cipriani, 1988).


Concludendo possiamo affermare
che la religione contemporanea presenta un andamento oscillante ("flottante",
secondo l'espressione di Martelli, 1990) tra secolarizzazione de-secolarizzazione.
Quella attuale sembra un fase di transizione, che vede la co-presenza dell'universo
religioso tradizionale e di nuove forme religiose sempre meno istituzionalizzate,
senza che, al momento attuale, sia possibile prevedere quale sarà
l'esito del processo.







[1] Successivamente anche da Eco, 1975, per applicazioni Stella 1981, Acquaviva
Stella 1989.

[2] L’asse semantico
oppositivo racchiude gli estremi di significato che si riferiscono ad un determinato
campo di senso; tra i due estremi si collocano i significati intermedi

[3] Nella lingua francese
del XVI secolo, il termine secolarizzazione, indica la riduzione di un chierico
regolare allo stato laicale. Nell’ambito del diritto canonico l’espressione
“saecularizatio”ha conservato fino ad oggi tale significato.

[4] Essi sono: il carattere
volontario dell’adesione ai gruppi per una rivalutazione della soggettività
e riscoperta in termini soggettivi della fede di contro all’obbiettività
deificata dell’istituzione-chiesa; l’uso di pratiche di iniziazione-conversione;la
varietà degli atteggiamenti: opposizione, rifiuto ,abbandono, tensione
aggressiva nei confronti del mondo.

[5] Il sincretismo
è la fusione tra elementi simbolici provenienti da religioni diverse
che può avvenire per sovrapposizione (quando una religione conquista
il posto che occupava un’altra in un territorio determinato senza distruggerne
divinità e simboli), per assimilazione (caratterizzata dalla volontà
di una religione di presentarsi come unica e vera), per coesistenza (quando
il precedente sistema simbolico-religioso viene tenuto e integrato a quello nuovo).
Il neosincretismo, invece, richiama alla mente una presenza della dimensione
religiosa anche nella società moderna” (Pace, 1997, p. 55-56).

[6] Imploso nel 1993,
la sua dottrina consisteva nel fare “risalire” le energie telluriche
attraverso i sette centri energetici, con il supporto dei colori e dei suoni.
Gli adepti in seguito alla consacrazione a cavalieri, avrebbero conosciuto
la Lumo-Cosmo-Genesi e sarebbero volati nello spazio in compagnia della sesta
razza.

[7] IVI (Invito alla
Vita Intensa), pratica l’armonizzazione dei “chakra” (punti
centrali del corpo, secondo lo yoga tantrico) e le vibrazioni” (l’adepto
emette suoni con una frequenza vibratoria particolare che si ritiene sfuggire
alle leggi terrestri).

[8] Grazie al best-seller
di Merylin Ferguson The Aquarian Conspiracy. Personal and Social Transformation
in 1980’s.


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