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sabato 11 dicembre 2010

PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE E IDENTITA'


Ci sono filosofi che sorridono tra sé e sé quando incontrano una parola come identità, intesa nel senso di chi si è. Vorrei mantenere un tale interiore sorriso durante l'intera mia esposizione, che parte presentando il processo di individuazione come un cammino di ricerca e sperimentazione della propria identità unica e irripetibile.
Le più importanti teorie psicoanalitiche sul processo di individuazione sono quella di Jung, quella di Fromm e quella di Margareth Mahler. Quest'ultima (Mahler & Pine& Bergman, 1975) è molto dettagliata ma circoscritta ai primi due anni di vita. Inoltre, a me sembra che in essa vi sia una sproporzione tra una visione tecnica assai sviluppata e la corrispondente teoria generale sull'essere umano. Penso infatti che le affermazioni psicoanalitiche debbano essere fondate in modo consapevole e intenzionale su presupposti filosofici il più possibile esplicitati.
La visione di Jung (1916/28, 1921, 1944, 1961) è assai potente per l'interconnessione tra processo di individuazione e simboli. Il fascino dell'impostazione junghiana deriva dalla saldatura tra una originale lettura dello sterminato fenomeno alchemico, una interpretazione da cui secondo me non si può più prescindere, e la ricerca del Sé. Il raffronto critico tra l'impostazione junghiana e quella frommiana merita sicuramente uno studio a parte.
Dai testi di Fromm, si può riassumere come segue la sua visione del processo di individuazione. Esso emerge direttamente come alternativa intrinseca alla "situazione umana", a cui giunge l'evoluzione dei primati. Due tendenze, la determinazione sempre meno istintiva del comportamento e la crescita del cervello, particolarmente della neocorteccia, rendono il primate uomo fornito della minima dotazione istintiva e del massimo sviluppo cerebrale (Fromm, 1973, p. 201). Questo singolare sviluppo biologico diventa il dato contraddittorio della situazione umana: far parte della natura e insieme trascenderla, proprio per la debolezza degli istinti e la consapevolezza di sé, estranea ad ogni altro animale. Nell'essere umano l'armonia dello stato naturale è rotta, al suo posto c'è il conflitto (Fromm, 1947, pp. 29 e sgg.).
Dalla frattura che vive dentro gli esseri umani deriva una fondamentale "dicotomia esistenziale": progredire, cioè individuarsi, o regredire (Fromm, 1955). Il processo di individuazione è accentuare sempre più lo specifico umano della situazione, che paga ogni passo d' autonomia con la solitudine in seno alla natura e anche in seno al gruppo di appartenenza, solitudine affrontata con inevitabile angoscia. Sotto questo profilo, libertà e angoscia sono la stessa cosa. La recisione del legame primario dà angoscia mentre libera. Lungo la via dell'indiduazione l'essere umano consegue gradi di libertà che gli consentono di amare, dando profilo alla libertà come gioia. Angoscia e gioia si imperniano su uno stesso perno, la libertà derivante dal cammino di individuazione.
In alternativa, la "fuga dalla libertà" (Fromm, 1941) è la risposta regressiva alla paura della solitudine, inevitabile costo dell'individuazione. Tornare indietro è ricerca di un impossibile rifugio ad uno stadio preumano, o anche di un impossibile ritorno all'utero. E' risposta regressiva anche restare incrodati al seno e ai suoi simboli. Le mete regressive estreme, che non è dato raggiungere, vengono surrogate dalla permanenza nella simbiosi incestuosa, dal rapporto sadomasochista, dall'indifferenza del distacco emotivo, dalla distruttività.
In Fromm dunque la dicotomia individuarsi-regredire esprime la radice conflittuale permanente dell'esistenza umana, l'interrogativo drammatico che sostanzia la natura umana (Fromm, 1941, 1947, 1955, 1973). Come "dicotomia esistenziale" riguarda ogni momento della vita, anche se l'idea del processo psicoevolutivo individuante si imposta in termini più comprensibili a partire dall'infanzia.
Gli inizi del processo di individuazione vengono descritti da Fromm (1941, p. 235) come i primi passi che il bambino compie per allentare i vincoli simbiotici con le figure del suo ambiente familiare, che gli danno tanta sicurezza. Passi drammatici, perché il primo assaporare la propria individualità è già sperimentarne l'unicità radicale, essendo ogni persona sola nell'intero cosmo, nel senso che un altro essere uguale a lei non esiste.
Con questa impostazione, l' "ansia di base" o l' "ansia primaria" è quella di separazione (Fromm 1959, p. 16), che può presentarsi in vari modi. L'angoscia di separazione può manifestarsi come una specifica paura umana, la paura di vivere, di affrontare il movimento che è nella vita, di accettarne il rischio, con la consapevolezza della propria unicità, che si fa sentire come solitudine che spaventa. La paura della solitudine, inevitabile prezzo dell'individuazione, è radicata nella situazione umana.
Per Fromm l'individuazione non riguarda solo l'infanzia, essendo la nascita un processo continuo, "io sento che noi 'nasciamo' ogni momento" (Evans, 1966, p. 24). Pertanto, "ogni momento ci poniamo l'interrogativo: dobbiamo tornare indietro o svilupparci?" (Ibid., pp. 24-5). Lo sviluppo è una scommessa biofila.
Un punto fermo di Fromm riguarda l'idea dell'individuo e della sua unicità. A differenza di Sullivan, per il quale "si può vedere il sé come costituito di apprezzamenti riflessi" (1953, p. 22), per Fromm l'unicità dell'individuo è una realtà a base genetica. Ne consegue che il lavoro psicoanalitico dovrebbe ricostruire il quadro del carattere che l'analizzando presentava al momento della nascita, per poter così distinguere nella sua situazione attuale i tratti originari da quelli acquisiti sotto l'influenza dell'ambiente (Fromm, 1979, p. 310).
Fromm è convinto che esista un volto originario della persona alla nascita. "In altre parole, io penso che una persona, nella lotteria dei cromosomi, sia già concepita come un essere molto definito" (1991, p. 594). Questo è un punto che egli ribadisce ricorrentemente e che contribuisce a renderlo una figura a sé nel panorama della psicoanalisi interpersonale. D'altra parte, va tolto l'equivoco che Fromm intenda sostanzializzare un'idea di identità innata, costituzionale, descrivibile, per cui, trovandola, uno possa dirsi: ecco, io sono questo, fatto così e così. Il being mode ci restituisce l'intima problematicità del rapporto tra processo di individuazione e identità.

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