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mercoledì 16 febbraio 2011

Il dibattito sulle forme di governo


Nel Trattato politico, Spinoza esamina e discute il regime monarchico e aristocratico; non riesce a concludere la sua opera con la trattazione del regime democratico, che pure è largamente ricostruibile dai passi del Trattato teologico - politico. Questo legame con la tradizione classica dei trattati politici, fondato sulle tre forme di governo conosciute, e sulle loro varianti interne, va considerato nei suoi aspetti prevalentemente formali.

Per Spinoza non esiste una differenza radicale fra i diversi regimi di governo, ma essi corrispondono a diverse condizioni storiche che vanno attentamente valutate nelle considerazioni propriamente politiche, e alle quali non si possono sovrapporre schemi astratti destinati a provocare maggiori danni e fallimenti. La monarchia
Il regime monarchico sembra imminente in Olanda, quando Spinoza scrive il Trattato politico. L’egemonia di Guglielmo d’Orange apertamente tende a trasformarsi nella sovranità di un re, che trovava nel generale assetto degli altri stati europei un esempio di centralizzazione e di autorità da esercitare nelle Province Unite.
Si è visto in Spinoza un teorico della monarchia costituzionale, fondando questo giudizio su una concezione della limitazione dei poteri dell’autorità sovrana. Egli, ponendosi nella prospettiva di un repubblicano che vede inevitabile la monarchia, si sarebbe posto il problema di garantire le libertà e i diritti dei cittadini, teorizzando un rapporto fra Re e Consiglio (o Assemblea) che di fatto dovrebbe rappresentare una monarchia costituzionale. In realtà l’asse centrale di tutta la costituzione politica spinoziana è il Consiglio (o l’Assemblea) eletto e composto in modo diverso a seconda del regime monarchico, aristocratico o democratico, ma sostanzialmente unitario nel modello e nelle caratteristiche essenziali. Esso rappresenta l’autorità sovrana, la incarna storicamente ponendosi al di sopra di ogni individuo, come organismo collettivo e unitario dal quale discende ogni potere.
Le proposte che Spinoza fa riguardo a ciascuna forma di governo sono tutte ispirate dal desiderio di istituire ordinamenti così sapienti che i governanti non possano venire meno alla lealtà e all’onestà, anche se si lascino guidare dalle passioni, come accade il più delle volte. I progetti spinoziani di governo monarchico, aristocratico, democratico, sono altrettanti piani di ingranaggi politici tali che l’ambizione degli individui resti neutralizzata e risulti innocua, anzi quasi giovevole al buon andamento degli affari.
Il re, per mostrare ai sudditi il vantaggio del governo monarchico anche in tempo di pace, confermerà sempre il parere che nel Consiglio avrà avuto il maggior numero di voti, cioè il parere più utile alla maggior parte dei cittadini; i consiglieri, eletti solo per pochi anni, non si prenderanno grandi licenze; e i cittadini rispetteranno e difenderanno il Consiglio, perché ogni cittadino di cinquant’anni, che abbia servito nell’esercito, rigorosamente nazionale, potrà aspirare a divenire consigliere, e avrà grande probabilità di essere eletto.

Il governo aristocratico e la dinamica delle forme di governo

Nel governo aristocratico poi Spinoza escogita tre assemblee: un’assemblea di patrizi, numerosissima, perché deve esserci un patrizio ogni cinquanta cittadini; un’assemblea sopraordinata di Sindaci, uno ogni cinquanta patrizi; e, subordinato all’assemblea dei sindaci, un Senato, pari a un dodicesimo dei patrizi. Queste pletoriche assemblee finiscono per controllarsi a vicenda; e, numerosissime come sono, nessuno può corromperle.
Spinoza ammette tuttavia la possibilità di una dinamica nello Stato, come passaggio da un regime a una altro. Ma non come rivoluzione di uomini o gruppi, che in realtà con la presa violenta del potere non fanno che sostituirsi a altri uomini o gruppi di uomini, esercitando un diritto di potenza. Il passaggio da un regime a un altro è il risultato di modificazioni negli atteggiamenti di grandi masse di cittadini, che in conseguenza di diversi fattori si raggruppano, venendo a rappresentare un’opposizione alle istituzioni esistenti: infatti nello Stato il problema di una migliore organizzazione è questione sempre aperta, perché legata alla interdipendenza fra leggi e istituzioni, e al carattere nazionale, che può modificarsi, anche in relazione a particolari tensioni sociali, religiose, politiche, e quindi portare alla modifica delle istituzioni stesse. Ne risulta una svalutazione dell’aspetto episodico e contingente della rivoluzione, e una rinnovata affermazione dei caratteri naturalmente e necessariamente democratici che devono presiedere alla costituzione di una società. Infatti un processo di modificazione dei poteri dentro lo Stato è possibile, soltanto se si afferma che la determinazione politica iniziale è presa da tutti i cittadini, e che qualsiasi governo mette in esecuzione il potere "globale" di tutta la popolazione.

"Il diritto" dice Spinoza (TP, II, 17) "che è definito dal potere della moltitudine, si è soliti chiamarlo governo. Detiene il potere sovrano colui che, con il consenso della massa, assume gli incarichi dello Stato. Se questo incarico appartiene all’assemblea di tutti i cittadini, questo governo si chiama democrazia; se esso va a un’assemblea di persone scelte porta il nome di aristocrazia; se infine il governo è affidato a un uomo solo investito dell’autorità pubblica, ci si trova in un regime monarchico". In questo passo è particolarmente chiara la differenza fra autorità dello stato e forme politiche che esercitano questa autorità, fondata direttamente sulla costituzione della società e quindi sull’atto di alienazione del diritto e del potere compiuto dagli uomini; come è chiara la concezione fondamentalmente democratica della società presente in Spinoza.

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