Per criteri di un processo democratico si intendono quei parametri (ideali, se si vuole) alla luce dei quali le procedure proposte andrebbero valutate in qualsiasi associazione a cui si applicano i presupposti di un sistema democratico (rispetto della presunzione di autonomia personale, del principio di pari considerazione degli interessi, dell’idea di uguaglianza intrinseca e del principio forte di uguaglianza). Anche se questi criteri possono non essere mai perfettamente soddisfatti, sono utili per valutare le possibilità del mondo reale. Naturalmente, essi non considerano tutti gli elementi di valutazione: ad esempio, non specificano particolari procedure, come la regola maggioritaria, dal momento che le specifiche procedure non possono essere ricavate direttamente da questi criteri.
* Partecipazione effettiva: durante tutto il processo a conclusione del quale vengono prese le decisioni vincolanti, i cittadini dovrebbero avere adeguate possibilità e uguali possibilità di inserire la questione che desiderano nell’agenda e di esprimere le ragioni per appoggiare un risultato piuttosto che un altro. Negare a qualunque cittadino adeguate possibilità di effettiva partecipazione significa che, non conoscendo o non percependo correttamente le sue preferenze, esse non possono essere prese in considerazione. Ma non prendere in considerazione le sue preferenze rispetto al risultato finale significa rifiutare il principio della pari considerazione degli interessi.
* Uguaglianza di voto nella fase decisionale: nella fase decisionale di opzioni collettive, a ogni cittadino deve essere garantita uguale possibilità di esprimere una scelta che sarà considerata di peso uguale a quello della scelta espressa da qualunque altro cittadino. Nella determinazione dei risultati nella fase decisionale, si devono considerare queste scelte, e soltanto queste scelte. Dal momento che queste scelte sono ciò che normalmente viene espresso con il voto, si può dire che questo criterio richiede l’uguaglianza di voto nella fase decisionale. La sua giustificazione è basata sul giudizio pratico della necessità che tale principio riveste per proteggere adeguatamente l’uguaglianza intrinseca dei cittadini e la presunzione di autonomia personale; inoltre, operando cumulativamente, le disuguaglianze di voto potrebbero operare cumulativamente e violare il principio della pari considerazione degli interessi. Tuttavia occorre notare quello che il criterio dell’uguaglianza di voto nella fase decisionale non puntualizza. Per cominciare, non richiede l’uguaglianza di voto nella fasi precedenti. Un demo potrebbe ragionevolmente decidere che gli interessi di alcune persone avrebbero migliori possibilità di ricevere pari considerazione dando ai loro voti un peso maggiore o minore nelle fasi precedenti. Sulla stessa base, un demo potrebbe delegare alcune decisioni a gruppi di cittadini in cui i vari voti avessero un peso diverso. Simili situazioni potrebbero essere eccezionali, come sono state storicamente nei paesi democratici, ma non necessariamente violerebbero il criterio di uguaglianza di voto. Inoltre, questo criterio non specifica un metodo particolare di voto o elezione. Il requisito della uguale possibilità dei cittadini di esprimere le proprie scelte potrebbe essere soddisfatto se i voti o i votanti fossero scelti a caso, a sorte. Come i cittadini possano meglio esprimere le proprie scelte, e quali specifiche norme e procedure dovrebbero essere adottate, sono questioni che richiedono ulteriori giudizi pratici. Ma le procedure che soddisfano questo criterio in misura maggiore dovrebbero essere preferite a quelle che lo soddisfano in misura minore. Infine, il criterio di uguaglianza di voto non richiede esplicitamente che un’associazione adotti il principio della regola maggioritaria per le proprie decisioni: richiede solo che la regola maggioritaria e le alternative a essa siano valutate secondo questo e altri criteri, compresi i principi e i presupposti che giustificano questo criterio, come il principio della pari considerazione degli interessi, e che venga adottata la soluzione sotto questo profilo più soddisfacente. Quale sia la norma decisionale che meglio soddisfa il criterio dell’uguaglianza di voto, sia in generale che nello specifico, rimane una questione dibattuta.
Qualsiasi associazione il cui governo soddisfi i criteri della partecipazione effettiva e della uguaglianza di voto si autogoverna, in quella certa misura, per mezzo di un processo democratico: una tale associazione è governata da un processo democratico in senso stretto. Sebbene la sua portata sia inferiore a quella di un processo completamente democratico, questi due criteri permettono di valutare un gran numero di possibili procedure.
* Comprensione illuminata: ogni cittadino dovrebbe avere adeguate e uguali possibilità di individuare e rendere valida (nei tempi consentiti dalla necessità della decisione) la scelta sulla questione da decidere che meglio soddisfa gli interessi del cittadino. Secondo questo criterio, le diverse procedure decisionali dovrebbero essere valutate secondo le possibilità che danno ai cittadini di acquisire la comprensione dei mezzi e dei fini, dei propri interessi e delle conseguenze previste dalle scelte adottate, a vantaggio non solo proprio ma anche di tutte le altre persone coinvolte. In tale modo, esso rende difficile giustificare quelle procedure che eliminerebbero o sopprimerebbero informazioni grazie alle quali i cittadini potrebbero giungere a una decisione diversa, o quelle procedure che darebbero a alcuni cittadini più facile accesso a informazioni di importanza cruciale piuttosto che a altri, oppure ancora quelle procedure che presenterebbero ai cittadini un’agenda di decisioni da prendere senza previa discussione, anche avendo tempo per farne, e così via.
Un’associazione che soddisfacesse tutti questi tre criteri potrebbe giustamente essere considerata una piena democrazia procedurale rispetto all’agenda e in relazione al suo demo. Tuttavia, dire che un sistema è governato da un processo pienamente democratico "rispetto all’agenda" e "in relazione a un demo" suggerisce la possibilità che i tre criteri siano incompleti. Le due asserzioni qualificative implicano la possibilità di limitazioni: cioè, processi decisionali democratici limitati a un ordine del giorno ristretto, o che rispondano a un demo altamente esclusivo, o entrambi. Per giudicare se un demo sia adeguatamente inclusivo e eserciti il controllo su un’agenda appropriata si rendono necessari altri parametri. Per capire più chiaramente il motivo per cui è necessario un quarto criterio, poniamo il caso di Filippo di Macedonia, che dopo aver sconfitto gli Ateniesi a Cheronea, priva l’assemblea ateniese dell’autorità di prendere decisioni su problemi di politica estera e militare. I cittadini continuano a riunirsi quaranta volte l’anno e a prendere decisioni su molti problemi, ma su alcuni dei più importanti devono tacere. Rispetto ai problemi locali, la città non è meno democratica di prima, ma rispetto agli affari esteri e militari gli ateniesi sono ora governati gerarchicamente da Filippo o dai suoi. Sebbene l’esempio del controllo estero sia più eclatante, il controllo dell’agenda potrebbe essere sottratto ai cittadini anche da qualcuno di loro.
* Controllo finale dell’agenda: il demo deve avere la possibilità esclusiva di decidere come i problemi vadano inseriti nell’agenda delle questioni da risolvere per mezzo del processo democratico. Il criterio del controllo finale è forse anche quello che si intende dicendo che in una democrazia il popolo deve avere l’ultima parola, o deve essere sovrano. Un sistema che soddisfi sia questo, sia gli altri tre criteri, potrebbe essere considerato pienamente democratico in relazione al demo. Secondo questo criterio, un sistema politico farebbe uso di un processo pienamente democratico anche se il demo stabilisse di non prendere tutte le decisioni su tutte le varie questioni, scegliendo invece che le decisioni su alcune questioni venissero prese, ad esempio, in modo gerarchico. Fino a che il demo è in grado di riappropriarsi efficacemente della facoltà di decidere da sé su qualunque problema, questo criterio è soddisfatto. Esso rende dunque possibile una più ampia delega decisionale di quanto sarebbe stato possibile secondo l’eccentrica definizione di democrazia data da Rousseau nel Contratto sociale. Definendo la democrazia in maniera tale da escludere ogni tipo di delega, Rousseau concludeva che "se vi fosse un popolo di dei, esso si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non conviene a uomini"(libro III, capitolo IV). Di conseguenza, il criterio del controllo finale non presuppone che il demo sia qualificato a decidere su ogni questione che richiede una decisione vincolante. Presuppone tuttavia che il demo sia qualificato a stabilire quali questioni richiedano o meno una decisione vincolante, tra quelle che la richiedono, per quali di esse il demo è qualificato a decidere da solo, e i termini in cui il demo delega l’autorità. Per delega si intende una concessione revocabile di autorità, che il demo può, appunto, revocare. Se si accetta questo criterio, il demo viene considerato il miglior giudice della propria competenza e dei propri limiti.
Il criterio del controllo finale completa i requisiti di un processo pienamente democratico in relazione al demo.
* Partecipazione effettiva: durante tutto il processo a conclusione del quale vengono prese le decisioni vincolanti, i cittadini dovrebbero avere adeguate possibilità e uguali possibilità di inserire la questione che desiderano nell’agenda e di esprimere le ragioni per appoggiare un risultato piuttosto che un altro. Negare a qualunque cittadino adeguate possibilità di effettiva partecipazione significa che, non conoscendo o non percependo correttamente le sue preferenze, esse non possono essere prese in considerazione. Ma non prendere in considerazione le sue preferenze rispetto al risultato finale significa rifiutare il principio della pari considerazione degli interessi.
* Uguaglianza di voto nella fase decisionale: nella fase decisionale di opzioni collettive, a ogni cittadino deve essere garantita uguale possibilità di esprimere una scelta che sarà considerata di peso uguale a quello della scelta espressa da qualunque altro cittadino. Nella determinazione dei risultati nella fase decisionale, si devono considerare queste scelte, e soltanto queste scelte. Dal momento che queste scelte sono ciò che normalmente viene espresso con il voto, si può dire che questo criterio richiede l’uguaglianza di voto nella fase decisionale. La sua giustificazione è basata sul giudizio pratico della necessità che tale principio riveste per proteggere adeguatamente l’uguaglianza intrinseca dei cittadini e la presunzione di autonomia personale; inoltre, operando cumulativamente, le disuguaglianze di voto potrebbero operare cumulativamente e violare il principio della pari considerazione degli interessi. Tuttavia occorre notare quello che il criterio dell’uguaglianza di voto nella fase decisionale non puntualizza. Per cominciare, non richiede l’uguaglianza di voto nella fasi precedenti. Un demo potrebbe ragionevolmente decidere che gli interessi di alcune persone avrebbero migliori possibilità di ricevere pari considerazione dando ai loro voti un peso maggiore o minore nelle fasi precedenti. Sulla stessa base, un demo potrebbe delegare alcune decisioni a gruppi di cittadini in cui i vari voti avessero un peso diverso. Simili situazioni potrebbero essere eccezionali, come sono state storicamente nei paesi democratici, ma non necessariamente violerebbero il criterio di uguaglianza di voto. Inoltre, questo criterio non specifica un metodo particolare di voto o elezione. Il requisito della uguale possibilità dei cittadini di esprimere le proprie scelte potrebbe essere soddisfatto se i voti o i votanti fossero scelti a caso, a sorte. Come i cittadini possano meglio esprimere le proprie scelte, e quali specifiche norme e procedure dovrebbero essere adottate, sono questioni che richiedono ulteriori giudizi pratici. Ma le procedure che soddisfano questo criterio in misura maggiore dovrebbero essere preferite a quelle che lo soddisfano in misura minore. Infine, il criterio di uguaglianza di voto non richiede esplicitamente che un’associazione adotti il principio della regola maggioritaria per le proprie decisioni: richiede solo che la regola maggioritaria e le alternative a essa siano valutate secondo questo e altri criteri, compresi i principi e i presupposti che giustificano questo criterio, come il principio della pari considerazione degli interessi, e che venga adottata la soluzione sotto questo profilo più soddisfacente. Quale sia la norma decisionale che meglio soddisfa il criterio dell’uguaglianza di voto, sia in generale che nello specifico, rimane una questione dibattuta.
Qualsiasi associazione il cui governo soddisfi i criteri della partecipazione effettiva e della uguaglianza di voto si autogoverna, in quella certa misura, per mezzo di un processo democratico: una tale associazione è governata da un processo democratico in senso stretto. Sebbene la sua portata sia inferiore a quella di un processo completamente democratico, questi due criteri permettono di valutare un gran numero di possibili procedure.
* Comprensione illuminata: ogni cittadino dovrebbe avere adeguate e uguali possibilità di individuare e rendere valida (nei tempi consentiti dalla necessità della decisione) la scelta sulla questione da decidere che meglio soddisfa gli interessi del cittadino. Secondo questo criterio, le diverse procedure decisionali dovrebbero essere valutate secondo le possibilità che danno ai cittadini di acquisire la comprensione dei mezzi e dei fini, dei propri interessi e delle conseguenze previste dalle scelte adottate, a vantaggio non solo proprio ma anche di tutte le altre persone coinvolte. In tale modo, esso rende difficile giustificare quelle procedure che eliminerebbero o sopprimerebbero informazioni grazie alle quali i cittadini potrebbero giungere a una decisione diversa, o quelle procedure che darebbero a alcuni cittadini più facile accesso a informazioni di importanza cruciale piuttosto che a altri, oppure ancora quelle procedure che presenterebbero ai cittadini un’agenda di decisioni da prendere senza previa discussione, anche avendo tempo per farne, e così via.
Un’associazione che soddisfacesse tutti questi tre criteri potrebbe giustamente essere considerata una piena democrazia procedurale rispetto all’agenda e in relazione al suo demo. Tuttavia, dire che un sistema è governato da un processo pienamente democratico "rispetto all’agenda" e "in relazione a un demo" suggerisce la possibilità che i tre criteri siano incompleti. Le due asserzioni qualificative implicano la possibilità di limitazioni: cioè, processi decisionali democratici limitati a un ordine del giorno ristretto, o che rispondano a un demo altamente esclusivo, o entrambi. Per giudicare se un demo sia adeguatamente inclusivo e eserciti il controllo su un’agenda appropriata si rendono necessari altri parametri. Per capire più chiaramente il motivo per cui è necessario un quarto criterio, poniamo il caso di Filippo di Macedonia, che dopo aver sconfitto gli Ateniesi a Cheronea, priva l’assemblea ateniese dell’autorità di prendere decisioni su problemi di politica estera e militare. I cittadini continuano a riunirsi quaranta volte l’anno e a prendere decisioni su molti problemi, ma su alcuni dei più importanti devono tacere. Rispetto ai problemi locali, la città non è meno democratica di prima, ma rispetto agli affari esteri e militari gli ateniesi sono ora governati gerarchicamente da Filippo o dai suoi. Sebbene l’esempio del controllo estero sia più eclatante, il controllo dell’agenda potrebbe essere sottratto ai cittadini anche da qualcuno di loro.
* Controllo finale dell’agenda: il demo deve avere la possibilità esclusiva di decidere come i problemi vadano inseriti nell’agenda delle questioni da risolvere per mezzo del processo democratico. Il criterio del controllo finale è forse anche quello che si intende dicendo che in una democrazia il popolo deve avere l’ultima parola, o deve essere sovrano. Un sistema che soddisfi sia questo, sia gli altri tre criteri, potrebbe essere considerato pienamente democratico in relazione al demo. Secondo questo criterio, un sistema politico farebbe uso di un processo pienamente democratico anche se il demo stabilisse di non prendere tutte le decisioni su tutte le varie questioni, scegliendo invece che le decisioni su alcune questioni venissero prese, ad esempio, in modo gerarchico. Fino a che il demo è in grado di riappropriarsi efficacemente della facoltà di decidere da sé su qualunque problema, questo criterio è soddisfatto. Esso rende dunque possibile una più ampia delega decisionale di quanto sarebbe stato possibile secondo l’eccentrica definizione di democrazia data da Rousseau nel Contratto sociale. Definendo la democrazia in maniera tale da escludere ogni tipo di delega, Rousseau concludeva che "se vi fosse un popolo di dei, esso si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non conviene a uomini"(libro III, capitolo IV). Di conseguenza, il criterio del controllo finale non presuppone che il demo sia qualificato a decidere su ogni questione che richiede una decisione vincolante. Presuppone tuttavia che il demo sia qualificato a stabilire quali questioni richiedano o meno una decisione vincolante, tra quelle che la richiedono, per quali di esse il demo è qualificato a decidere da solo, e i termini in cui il demo delega l’autorità. Per delega si intende una concessione revocabile di autorità, che il demo può, appunto, revocare. Se si accetta questo criterio, il demo viene considerato il miglior giudice della propria competenza e dei propri limiti.
Il criterio del controllo finale completa i requisiti di un processo pienamente democratico in relazione al demo.
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