Per andare al di là di una descrizione di ciò che accade sulla scena di una trasmissione televisiva e per tentare di cogliere i meccanismi esplicativi delle pratiche messe in atto dai giornalisti, occorre introdurre la nozione di campo giornalistico. Il mondo del giornalismo è un microcosmo che ha leggi proprie e si definisce per la sua posizione nel mondo globale, e anche per le attrazioni e le repulsioni che subisce da parte degli altri microcosmi. Dire che è autonomo, che ha una legge propria, equivale a dire che ciò che accade al suo interno non può essere compreso in modo diretto a partire da fattori esterni.
Quote di mercato e concorrenza.
Per capire cosa accade in una rete televisiva, occorre tener conto di tutto ciò che quella rete deve al fatto di situarsi in un universo di rapporti oggettivi fra le diverse reti televisive in concorrenza fra loro; ma una concorrenza definita nella sua forma, in modo invisibile, da rapporti di forza non percepiti che si possono cogliere attraverso indicatori quali le quote di mercato, la forza contrattuale nei confronti di inserzionisti e sponsor, il valore pubblico di giornalisti prestigiosi, .. In altre parole, fra queste reti si hanno non soltanto varie interazioni (fra le persone), ma anche rapporti di forza completamente invisibili per i quali occorre considerare l’insieme dei rapporti di forza oggettivi che costituiscono la struttura del campo. Una rete televisiva può cambiare il paesaggio audiovisivo per il semplice fatto di aver accumulato un insieme di poteri specifici che si esercitano su questo universo e si ritraducono effettivamente in quote di mercato. Questa struttura non viene percepita né dai telespettatori né dai giornalisti; costoro ne percepiscono sì gli effetti, ma non vedono sino a che punto il peso relativo dell’istituzione in cui si collocano gravi su di loro, così come non vedono il posto e il peso che essi assumono in questa istituzione. Per tentare di capire cosa possa fare un giornalista, occorre tener presente una serie di parametri:
da una parte, la posizione dell’organo di stampa in cui si trova nel campo giornalistico
dall’altra, la sua specifica posizione nello spazio del giornale o della rete televisiva in cui lavora
Un campo è uno spazio sociale strutturato, un campo di forze (ci sono i dominanti e i dominati, ci sono rapporti costanti di ineguaglianza che si esercitano all’interno di tale spazio) che è anche un campo di lotte per trasformare o conservare questo campo di forze. Ciascuno, all’interno di questo universo, sviluppa nella sua concorrenza con gli altri la forza che ha, quella che definisce la sua posizione nel campo e, di conseguenza, le sue strategie. La concorrenza economica fra le reti o i giornali per conquistare quote di mercato, si compie concretamente nella forma di una concorrenza che ha i propri obiettivi specifici (lo scoop, l’esclusiva, la reputazione personale, ..) e che non si vive né si pensa come una lotta puramente economica per acquisire vantaggi finanziari, pur rimanendo sottoposta ai vincoli legati alla posizione dell’organo di stampa considerato nei rapporti di forza economici e simbolici. Oggi si hanno rapporti oggettivi invisibili tra persone che possono anche non incontrarsi mai, ma che sono indotte a tener conto, in quel che fanno, dei vincoli e degli effetti che subiscono per via della loro appartenenza ad un medesimo universo. In altre parole, se voglio sapere oggi quel che dirà o scriverà un certo giornalista, occorre che sappia la posizione che egli occupa in questo spazio, il potere specifico che detiene il suo organo di stampa: un peso che si misura, tra i vari indici, attraverso il suo peso economico, le quote di mercato, ma anche attraverso il peso simbolico, più difficile da quantificare. In realtà, per una spiegazione completa, occorrerebbe considerare la posizione del campo mediatico nazionale all’interno del campo mondiale. Per capire meglio questa struttura nella sua forma attuale, vale la pena ripercorrere le fasi del processo grazie al quale essa si è costituita:
1) negli anni 50, la televisione era appena presente nel campo giornalistico; quando si parlava di giornalismo, non si pensava quasi alla televisione. I professionisti televisivi erano doppiamente dominati: soprattutto perché sospettati di essere dipendenti nei confronti dei poteri politici, erano dominati dal punto di vista culturale, simbolico, dal punto di vista del prestigio, ma erano dominati anche economicamente nella misura in cui dipendevano dalle sovvenzioni statali, quindi erano molto meno potenti
2) con il passare degli anni, il rapporto si è completamente rovesciato e la televisione tende ormai a prendere il sopravvento economico e simbolico nel campo giornalistico
Il fenomeno si manifesta soprattutto attraverso la crisi dei giornali; e i più minacciati sono quelli che offrivano soprattutto notizie di cronaca o sportive, e che non hanno nulla da opporre ad una televisione sempre più orientata verso questi temi, mano a mano che si sottrae al dominio del giornalismo serio. Si dovrebbe entrare nei dettagli, fare (perché purtroppo non esiste ancora) una storia sociale dell’evoluzione dei rapporti fra i diversi organi di stampa (e non di uno solo di essi). È a livello della storia strutturale dell’insieme dell’universo che appaiono le cose importanti. Ciò che conta in un campo sono i pesi relativi: un giornale può restare assolutamente identico, non perdere un lettore, non cambiare minimamente e trovarsi tuttavia profondamente trasformato perché il suo peso e la sua posizione relativa nello spazio risultano trasformati. Un giornale smette di essere dominante quando il suo potere di deformare lo spazio che lo circonda diminuisce ed esso non detta più legge. C’era già un campo, il giornalismo scritto, in cui si opponevano i giornali che forniscono news (= notizie, cronache) e quelli che offrono views (= punti di vista, analisi); i giornali a grande tiratura e i giornali a tiratura relativamente più ridotta, ma dotati di un’autorità semiufficiale. Esistono giornali ben piazzati in entrambe le prospettive: sufficientemente forti quanto a tiratura per essere una potenza dal punto di vista della richiesta pubblicitaria e sufficientemente ricchi di capitale simbolico per essere un’autorità. I giornali di riflessione sono apparsi, alla fine del 1800, come reazione ai giornali a forte tiratura, rivolti al grande pubblico e alla ricerca di effetti sensazionali, che hanno sempre suscitato paura o disgusto nei lettori colti. L’emergere di quel medium di massa per eccellenza che è la televisione non è un fenomeno senza precedenti, se non per la sua ampiezza.
Una forza di banalizzazione.
Grazie alla sua forma di diffusione, la televisione pone all’universo del giornalismo scritto e all’universo culturale in genere un problema assolutamente terribile. Per la sua ampiezza, per il peso assolutamente straordinario che ha assunto, la televisione produce effetti che, pur non essendo senza precedenti, restano comunque del tutto inediti. Per esempio, la televisione può radunare in una sola sera, di fronte al TG delle 20, più spettatori di tutti i quotidiani del mattino e della sera messi insieme. Se l’informazione fornita da un medium del genere diviene un’informazione per tutti, senza difficoltà, omogeneizzata, è facile vedere gli effetti politici e culturali che possono prodursi. Più un mezzo d’espressione qualsiasi vuole raggiungere un pubblico vasto, più deve lasciar cadere ogni difficoltà, tutto ciò che può dividere, escludere, più deve sforzarsi di non urtare nessuno, di non sollevare mai problemi, o di sollevare problemi senza storia. Si costruisce l’oggetto conformemente alle categorie conoscitive del recettore. È appunto per questo che tutto il lavoro collettivo che ho descritto come tendente ad omogeneizzare e a banalizzare, a conformizzare e depoliticizzare, riesce perfettamente adatto, sebbene nessuno ne sia il soggetto, sebbene non sia mai stato pensato e voluto da nessuno. In questo, la critica semplicistica è pericolosa, in quanto libera da tutto il lavoro necessario per capire un fenomeno come il fatto che, senza che nessuno l’abbia voluto veramente, si arrivi a quel prodotto stranissimo che è il telegiornale, che va bene a tutti, che conferma cose già note, e soprattutto che lascia intatte le strutture mentali. Ci sono rivoluzioni che investono le basi materiali di una società e rivoluzioni simboliche, che investono le strutture mentali, che cambiano cioè i nostri modi di vedere e di pensare. Se uno strumento con una potenza paragonabile a quella della televisione si orientasse anche minimamente verso una rivoluzione simbolica, vi assicuro che ci si affretterebbe a fermarlo! Ora, si dà il caso che, grazie alla sola logica della concorrenza, e ai meccanismi sopra menzionati, la televisione non faccia nulla di simile, senza che nessuno abbia bisogno di chiederlo. La televisione è in perfetta sintonia con le strutture mentali del pubblico. Potrei menzionare a tale proposito il moralismo della televisione, che andrebbe analizzato in questa logica. Con i buoni sentimenti si fa audience. Varrebbe la pena riflettere sul moralismo dei professionisti della televisione: spesso impassibili, fanno discorsi di un conformismo morale assolutamente sorprendente. Essi sono divenuti piccoli direttori di coscienza che si fanno, senza forzare troppo le cose, i portavoce di una morale tipicamente piccolo-borghese, che dicono cosa si deve pensare di quelli che chiamano i 'problemi della società'. Lo stesso discorso vale per il campo dell’arte e della letteratura: le trasmissioni più note tra quelle che si dicono letterarie sono al servizio, e in modo sempre più servile, dei valori stabiliti, del conformismo e dell’accademismo, se non dei valori di mercato. Il campo giornalistico deve la propria importanza nel mondo sociale al fatto che detiene un monopolio effettivo sugli strumenti di produzione e di diffusione su vasta scala dell’informazione, e, attraverso questi strumenti, sull’ingresso dei semplici cittadini (come pure degli altri produttori culturali) allo spazio pubblico, alla grande diffusione. I giornalisti esercitano una forma molto rara di dominazione: hanno il potere sui mezzi usati per esprimersi pubblicamente, per esistere pubblicamente, per essere conosciuti, per accedere alla pubblica notorietà, cosa che, per gli uomini politici e per certi intellettuali, rappresenta un obiettivo irrinunciabile, tale da portare i giornalisti stessi ad essere oggetto di una considerazione spesso sproporzionata ai loro meriti intellettuali. Ed essi possono volgere una parte di questo potere di consacrazione a proprio vantaggio. Ma soprattutto, avendo la possibilità di accedere in qualsiasi momento alla visibilità pubblica, all’espressione su grande scala, i giornalisti possono imporre all’insieme della società i loro principi di visione del mondo, la loro problematica, il loro punto di vista. Non c’è discorso né azione che, per divenire oggetto di pubblico dibattito, non debba sottoporsi a questa prova della selezione giornalistica, cioè a quella formidabile censura che i giornalisti esercitano, senza neppure rendersene conto, semplicemente soffermandosi soltanto su ciò che è in grado di interessarli, e respingendo nell’insignificanza o nell’indifferenza espressioni simboliche che meriterebbero di raggiungere l’insieme dei cittadini. Altra conseguenza, più difficile da cogliere, della crescita del peso relativo della televisione nello spazio dei mezzi di diffusione, e del peso del vincolo commerciale su questa televisione dominante: il passaggio da una politica di azione culturale attraverso la televisione ad una sorta di demagogia (= mantenere il potere illudendo il popolo con promesse di soddisfare i suoi desideri e le sue aspirazioni) spontaneista.
la televisione degli anni 50 si presentava come culturale e si serviva in qualche modo del proprio monopolio per imporre a tutti prodotti che avevano pretese culturali e per formare i gusti del grande pubblico
la televisione degli anni 90 mira a sfruttare questi gusti per raggiungere l’audience più ampia offrendo ai telespettatori prodotti grezzi, che hanno come loro modello il talk show, scene di vita, esibizioni senza veli di esperienze vissute, spesso estreme e tali da soddisfare una sorte di esibizionismo (come d’altra parte i giochi televisivi, cui si arde di partecipare, anche da semplici spettatori, per ottenere un attimo di visibilità)
Detto questo, non condivido la nostalgia di alcuni per la televisione pedagogico-paternalista dal passato e penso che essa, non meno dello spontaneismo populista e della sottomissione demagogica ai gusti popolari, si opponga ad un uso realmente democratico dei mezzi di diffusione su grande scala.
Sulle lotte arbitrarie dell’auditel.
Occorre quindi andare al di là delle apparenze, di ciò che si mostra sulla scena e persino della concorrenza che si esercita all’interno del campo giornalistico per giungere sino ai rapporti di forza fra i diversi organi. Bisogna comprendere la posizione degli organi di stampa di cui i giornalisti sono i rappresentanti nello spazio giornalistico, e anche la posizione da essi occupata all’interno di tali organi. Questi vincoli legati alla posizione vengono vissuti come divieti o ordini etici. Tutte queste esperienze, enunciate sotto forma di precetti etici, sono la ritraduzione della struttura del campo attraverso una persona che occupa una certa posizione nello spazio giornalistico. In un campo, i diversi protagonisti hanno spesso rappresentazioni polemiche degli altri agenti con i quali sono in concorrenza: essi producono nei loro confronti stereotipi, insulti. Queste rappresentazioni sono spesso strategie di lotta che prendono atto del rapporto di forza e mirano a trasformarlo o a conservarlo. Attualmente, fra i giornalisti della stampa scritta si vede sviluppare un discorso molto critico nei confronti della televisione. Di fatto, tali rappresentazioni sono prese di posizione in cui si esprime essenzialmente la posizione di chi le esprime; ma, contemporaneamente, sono strategie che mirano a trasformare la posizione. Oggi, nell’ambiente giornalistico, la lotta sulla televisione è centrale, cosa che rende molto difficile studiare la televisione stessa. Una parte del discorso che si spaccia per scientifico sulla televisione non è altro che la registrazione di quel che gli uomini della televisione dicono di essa. Detto ciò, si hanno indizi concordanti sull’arretramento progressivo del giornalismo della carta stampata rispetto alla televisione:
il fatto che lo spazio occupato dal supplemento televisivo non cessi di aumentare in tutti i quotidiani
il fatto che i giornalisti attribuiscono un’enorme importanza all’essere citati dalla televisione (e anche all’essere visti in televisione, cosa che contribuisce ad aumentare il loro prestigio all’interno del giornale di appartenenza; capita addirittura che certi giornalisti televisivi raggiungano posizioni molto importanti nella stampa scritta, rimettendo con ciò in discussione la specificità stessa della scrittura, del mestiere)
il fatto che l’agenda (termine che designa ciò di cui si deve parlare) sia sempre più definita dalla televisione (nella circolazione circolare dell’informazione il peso della televisione è determinante, e se accade che un tema venga lanciato dai giornalisti della stampa scritta, esso diviene centrale solo quando è stato ripreso dalla televisione, venendo investito di un’efficacia politica)
La posizione dei giornalisti della stampa scritta viene così ad essere minacciata, e la specificità della professione chiamata in causa. Ma la cosa più importante è che, attraverso l’aumento del peso simbolico della televisione, sia una certa visione dell’informazione, sino a quel momento relegata nei giornali detti scandalistici (orientati sullo sport e i fatti di cronaca) che tende ad imporsi nell’insieme del campo giornalistico. Ed è, contemporaneamente, una certa categoria di giornalisti, assunti a grandi spese per la loro capacità di aderire senza scrupoli alle attese del pubblico meno esigente (quindi i più indifferenti ad ogni forma di morale e, a maggior ragione, ad ogni sensibilità politica) che tende ad imporre i suoi 'valori' all’insieme dei giornalisti. Spinti dalla concorrenza per la conquista delle quote di mercato, le reti televisive ricorrono sempre più ai vecchi trucchi dei giornali scandalistici, dando il maggior rilievo, se non l’esclusiva, ai fatti di cronaca e allo sport: capita sempre più spesso che, indipendentemente da ciò che è accaduto nel mondo, i titoli di apertura dei TG siano dedicati ai risultati di qualche avvenimento sportivo o all’aspetto più aneddotico e ritualizzato della vita politica, per non parlare delle catastrofi naturali, degli incidenti, insomma di tutto ciò che può suscitare un interesse di pura curiosità, e che non richiede alcuna competenza specifica preliminare, soprattutto politica. I fatti di cronaca hanno l’effetto di creare il vuoto politico, di spoliticizzare e di ridurre la vita del mondo all’aneddoto e al pettegolezzo, concentrando l’attenzione su eventi privi di conseguenze politiche, che vengono drammatizzati per trarne una lezione o per trasformarli in problemi di società; è a questo punto che, molto spesso, vengono chiamati alla riscossa i filosofi da televisione, per ridare senso all’insignificante, all’aneddotico e all’accidentale, che si è artificialmente portato in primo piano e costituito in evento. E la stessa ricerca del sensazionale, quindi del successo commerciale, può anche portare a selezionare fatti di cronaca che, abbandonati alle costruzioni selvagge della demagogia, possono suscitare un immenso interesse lusingando le pulsioni e le passioni più elementari, e persino forme di mobilitazione puramente sentimentali e caritatevoli, o altrettanto passionali, ma aggressive e vicine al linciaggio simbolico. Ne segue che oggi i giornalisti della stampa scritta si trovano di fronte ad una scelta:
andare nel senso del modello dominante, in altre parole fare giornali che siano quasi-telegiornali
accentuare la differenza, seguire una strategia di differenziazione del prodotto
Entrare in concorrenza, con il rischio di perdere su entrambi i fronti, di perdere anche il pubblico che si raggiungerebbe restando fedeli alla definizione rigorosa del messaggio culturale, o accentuare la differenza?? Il problema si pone anche all’interno del campo televisivo. Allo stato attuale, penso che, inconsciamente, i responsabili, vittime della mentalità auditel, non scelgano veramente. Si riscontra così, molto regolarmente, che le grandi scelte sociali non sono fatte da nessuno; mentre ci si dovrebbe costringere a portare alla coscienza cose che si preferirebbe restassero inconscie. Penso che la tendenza generale porti gli organi di produzione culturale vecchio stampo a perdere la propria specificità, per scendere su un terreno in cui saranno battuti comunque. Il campo del giornalismo ha una particolarità: è molto più dipendente dalle forze esterne di tutti gli altri campi di produzione culturale. Esso dipende in modo molto diretto dalla domanda, è sottoposto all’approvazione del mercato, dell’approvazione generale. L’alternativa puro/commerciale, che si riscontra in tutti i campi, si impone con una brutalità particolare nel campo giornalistico, dove il peso del polo commerciale appare particolarmente forte. Ma in più non si trova, nell’universo giornalistico, l’equivalente di quanto si osserva nell’universo scientifico; per esempio, non si riscontra quella sorta di giustizia immanente per la quale colui che viola certi divieti è bruciato o, al contrario, chi si conforma alle regole del gioco si attira la stima dei suoi pari (manifestata, per esempio, sotto forma di citazioni, di riferimenti). Nel giornalismo, dove sono le sanzioni, positive o negative?? L’unico barlume di critica è dato dai programmi satirici. Quanto alle ricompense, ci sono forse solo le riprese (il fatto di essere citati, ripresi da un altro giornalista), ma si tratta di un indizio raro e ambiguo.
Il potere della televisione.
L’universo del giornalismo è un campo tutto eteronomo (= condizione di un individuo o di una collettività, per la quale leggi e regole di condotta sono ricevute dall'esterno e non scaturiscono dalla consapevolezza e volontà di chi vi si sottopone), molto fortemente sottomesso ai vincoli commerciali, che costituisce a sua volta un vincolo per tutti gli altri campi, in quanto struttura. Tale effetto strutturale, oggettivo, anonimo, invisibile, non ha nulla a che vedere con quel che si vede direttamente, con ciò che comunemente si denuncia, cioè con l’intervento dell’una o dell’altra personalità. Non ci si deve accontentare di denunciare responsabili. In linea generale, i critici se la prendono con persone. Ora, uomini e donne hanno sì responsabilità specifiche, ma le loro possibilità e impossibilità sono strettamente limitate dalla struttura in cui essi si collocano, e anche dalla posizione che occupano all’interno di essa. Occorre comprendere che essi sono soltanto l’espressione di un campo; non si capisce nulla se non si capisce il campo in generale, che conferisce loro una piccola forza. Tutto ciò è importante per ridimensionare l’analisi e anche per orientare razionalmente l’azione. I giornalisti che possono sentirsi presi a oggetto, se ascoltano bene le mie parole, saranno indotti a dirsi (almeno lo spero) che, chiarendo cose che sanno confusamente ma che non vogliono sapere troppo, offro loro strumenti di libertà per dominare i meccanismi descritti. Di fatto, all’interno del giornalismo, è possibile pensare ad alleanze che scavalchino i singoli giornali e tali da permettere di neutralizzare alcuni effetti della concorrenza. Se i meccanismi strutturali che generano le infrazioni alla morale divenissero coscienti, un’azione cosciente tesa a controllarli diventerebbe possibile. Penso quindi che attualmente tutti i campi di produzione culturale siano sottoposti al vincolo strutturale del campo giornalistico, e non dell’uno o dell’altro giornalista, persone a loro volta scavalcate dalle forze del campo. In ciascun campo ci sono dominanti e dominati secondo i valori interni del campo stesso: un buono storico è qualcuno che i buoni storici definiscono un buono storico. La cosa è necessariamente circolare; ma l’eteronomia comincia quando qualcuno che non è un matematico può intervenire per dare il proprio parere sui matematici, e viene ascoltato. Ora, i media intervengono continuamente per pronunciare verdetti. Ma i giornali intervengono anche per porre problemi che vengono immediatamente ripresi dagli intellettuali-giornalisti. L’antintellettualismo, che è una costante strutturale del mondo giornalistico, porta per esempio i giornalisti a sollevare periodicamente il problema degli errori degli intellettuali o a organizzare dibattiti che possono mobilitare solo gli intellettuali-giornalisti e che spesso servono soltanto a permettere a questi intellettuali da televisione di esistere mediaticamente aprendosi una corsia privilegiata. Tali interventi esterni costituiscono una grave minaccia in primo luogo perché possono ingannare i profani, che malgrado tutto hanno un loro peso, nella misura in cui i produttori culturali hanno bisogno di ascoltatori. Con la tendenza dei media a celebrare i prodotti commerciali destinati a figurare nello loro best sellers lists (= elenchi dei pezzi più venduti), come accade oggi, e a far agire la logica dei favori reciproci tra scrittori-giornalisti e giornalisti-scrittori, i giovani autori minori avranno difficoltà sempre maggiori a pubblicare.
Il collaborazionismo.
Ma le forze e le manipolazioni giornalistiche possono agire anche, in modo più sottile, introducendo negli universi autonomi certi produttori eteronomi che, con l’appoggio delle forze esterne, riceveranno una consacrazione che non potrebbero ottenere dai loro pari. Questi scrittori per non scrittori, questi filosofi per non filosofi, .. avranno una quotazione televisiva, un peso giornalistico assolutamente sproporzionato al peso specifico di cui godono nel loro universo specifico. La televisione offre loro una forma di riconoscimento che, sino a ieri, equivaleva piuttosto ad una degradazione. Oggi, il mutamento del rapporto di forze tra i campi è tale che, sempre più, i criteri di valutazione esterni (l’invito alle trasmissione televisive, la consacrazione sui settimanali a forte tiratura, i ritratti alla televisione) si impongono contro il giudizio dei propri pari. Sarebbe importante che la presa di coscienza di tutti i meccanismi sinora descritti portasse a sforzi collettivi di proteggere l’autonomia, che è la condizione del progresso scientifico, dal potere in continuo aumento della televisione. Perché possa esercitarsi su universi come quello scientifico, la pressione del potere dei media deve trovare complicità nel campo considerato. Oggigiorno si è portati a dubitare veramente dell’autonomia soggettiva degli scrittori, degli artisti e degli uomini di scienza. Occorre prendere atto di questa dipendenza e soprattutto tentare di capirne le ragioni, le cause. Occorre tentare di capire che è che 'collabora'. Più le persone sono riconosciute dai loro pari, quindi ricche di valore specifico, più sono portate a resistere; viceversa, più sono eteronome nelle loro pratiche, cioè attratte dal lato commerciale, più sono inclini a collaborare. Un campo molto autonomo, quello delle matematiche ad esempio, è un campo in cui i produttori non hanno altri clienti se non i loro concorrenti, coloro che avrebbero potuto fare al loro posto la scoperta che si vedono presentare. Per conquistare l’autonomia, occorre costruire una specie di torre d’avorio all’interno della quale ci si giudica, ci si critica, ci si combatte persino, ma con consapevolezza; ci si scontra, ma con armi, strumenti scientifici, tecniche, metodi. Occorre aver raggiunto un alto grado di accordo sul terreno di disaccordo e sui mezzi per regolarlo perché si abbia un vero dibattito scientifico, tale da poter produrre come esito un vero accordo o un vero disaccordo scientifico. Ci si stupisce a volte nel constatare che, alla televisione, gli storici non sono sempre d’accordo tra loro: sfugge il fatto che, molto spesso, queste discussioni oppongono persone che non hanno nulla in comune e che non dovrebbero parlare insieme. Citando la legge di Ždanov: più un produttore culturale è autonomo, ricco di valore specifico ed esclusivamente orientato verso il mercato ristretto sul quale come clienti ha solo i suoi stessi concorrenti, più sarà portato a resistere; più, al contrario, indirizza i suoi prodotti al mercato della grande produzione, più sarà incline a collaborare con i poteri esterni (stato, chiesa, partito e, oggi, giornalismo e televisione) sottomettendosi alle loro richieste o ai loro ordini. Certamente non condanno a priori ogni forma di collaborazione con i giornali, la radio o la televisione. Se i campi scientifici, politici, letterari sono minacciati dall’influenza dei media, ciò dipende dal fatto che all’interno di tali campi esistono individui eteronomi, poco accreditati dal punto di vista dei valori specifici del campo, dei falliti o gente comunque votata al fallimento, che hanno tutto l’interesse a rimanere eteronomi, a cercare all’esterno una consacrazione (rapida, precoce, prematura e fragile) che non sono riusciti ad ottenere all’interno del loro campo; costoro, per di più, saranno particolarmente ben visti dai giornalisti in quanto non fanno loro paura e sono pronti a tener conto delle loro esigenze. Attraverso i media, che agiscono come strumento d’informazione mobilizzante, può instaurarsi una forma perversa di democrazia diretta che annulla la distanza nei confronti dell’urgenza, della pressione delle passioni collettive, non necessariamente democratiche, una distanza che viene normalmente garantita dalla logica relativamente autonoma del campo politico. Succede così che i giornalisti, non essendo in grado di mantenere la distanza necessaria alla riflessione, assumano il ruolo del pompiere incendiario: possono contribuire a creare l’evento, mettendo in rilievo un fatto di cronaca per poi denunciare quanti gettano olio sul fuoco che essi stessi hanno appiccato.
Diritto d’ingresso e dovere di uscita.
Vorrei ora spendere qualche parola sul problema dei rapporti fra essoterismo ed elitismo. È un problema sul quale si sono soffermati tutti i pensatori, a partire dal 1800. Come conciliare quell’esigenza di purezza che è inerente a qualsiasi tipo di lavoro scientifico o intellettuale, e che porta all’esoterismo, con il desiderio democratico di rendere i risultati raggiunti accessibili ai più?? La televisione produce 2 effetti:
da una parte, riduce il pedaggio, il diritto d’ingresso in un certo numero di campi (filosofico, giuridico, ..): può promuovere a sociologi, scrittori, filosofi, .. persone che non hanno pagato la tassa d’ingresso dal punto di vista della definizione interna della professione
dall’altra, ha la possibilità di raggiungere la maggioranza della popolazione
La cosa che mi pare difficile da giustificare è che si tragga pretesto dall’estensione dell’audience per abbassare il diritto d’ingresso nel campo considerato. Per sottrarsi all’alternativa fra elitismo e demagogia, occorre difendere ad un tempo il mantenimento e persino l’innalzamento della tassa d’ingresso nei campi di produzione e il rafforzamento del dovere di uscita, accompagnato da un miglioramento delle condizioni e dei mezzi d’uscita. La minaccia del livellamento può provenire dall’intrusione delle esigenze mediatiche nei campi di produzione culturale. Occorre difendere le condizioni di produzione che sono necessarie per far progredire l’universale e, contemporaneamente, occorre lavorare per generalizzare le condizioni di accesso all’universale, per fare in modo che un numero sempre maggiore di persone raggiunga le condizioni necessarie ad appropriarsi dell’universale. Più un’idea è complessa, in quanto è stata prodotta in una universo autonomo, più la restituzione di essa è difficile. Per superare la difficoltà, occorre che i produttori chiusi nella loro piccola rocca sappiano uscirne e lottare, collettivamente, per avere buone condizioni di diffusione, e che lottino inoltre, stabilendo un collegamento con gli insegnanti, i sindacati, le associazioni, .. perché i ricettori ricevano un’educazione tesa ad elevare il loro livello di ricezione. Occorre lavorare all’universalizzazione delle condizioni d’accesso all’universale. Si deve lottare contro l’auditel in nome della democrazia. La cosa può sembrare del tutto paradossale perché quanti difendono il regno dell’auditel pensano che non vi sia nulla di più democratico, che occorra lasciare alla gente la libertà di giudicare, di scegliere. La televisione governata dall’auditel contribuisce a far pesare sul consumatore, presunto libero e illuminato, i vincoli del mercato, che non hanno nulla a che vedere con l’espressione democratica di un’opinione pubblica. I pensatori critici e le organizzazioni che hanno il compito di esprimere gli interessi dei dominati sono ancora molto lontani dal considerare chiaramente questo problema, e ciò contribuisce non poco a rafforzare tutti i meccanismi descritti.
L'influenza del giornalismo
Quote di mercato e concorrenza.
Per capire cosa accade in una rete televisiva, occorre tener conto di tutto ciò che quella rete deve al fatto di situarsi in un universo di rapporti oggettivi fra le diverse reti televisive in concorrenza fra loro; ma una concorrenza definita nella sua forma, in modo invisibile, da rapporti di forza non percepiti che si possono cogliere attraverso indicatori quali le quote di mercato, la forza contrattuale nei confronti di inserzionisti e sponsor, il valore pubblico di giornalisti prestigiosi, .. In altre parole, fra queste reti si hanno non soltanto varie interazioni (fra le persone), ma anche rapporti di forza completamente invisibili per i quali occorre considerare l’insieme dei rapporti di forza oggettivi che costituiscono la struttura del campo. Una rete televisiva può cambiare il paesaggio audiovisivo per il semplice fatto di aver accumulato un insieme di poteri specifici che si esercitano su questo universo e si ritraducono effettivamente in quote di mercato. Questa struttura non viene percepita né dai telespettatori né dai giornalisti; costoro ne percepiscono sì gli effetti, ma non vedono sino a che punto il peso relativo dell’istituzione in cui si collocano gravi su di loro, così come non vedono il posto e il peso che essi assumono in questa istituzione. Per tentare di capire cosa possa fare un giornalista, occorre tener presente una serie di parametri:
da una parte, la posizione dell’organo di stampa in cui si trova nel campo giornalistico
dall’altra, la sua specifica posizione nello spazio del giornale o della rete televisiva in cui lavora
Un campo è uno spazio sociale strutturato, un campo di forze (ci sono i dominanti e i dominati, ci sono rapporti costanti di ineguaglianza che si esercitano all’interno di tale spazio) che è anche un campo di lotte per trasformare o conservare questo campo di forze. Ciascuno, all’interno di questo universo, sviluppa nella sua concorrenza con gli altri la forza che ha, quella che definisce la sua posizione nel campo e, di conseguenza, le sue strategie. La concorrenza economica fra le reti o i giornali per conquistare quote di mercato, si compie concretamente nella forma di una concorrenza che ha i propri obiettivi specifici (lo scoop, l’esclusiva, la reputazione personale, ..) e che non si vive né si pensa come una lotta puramente economica per acquisire vantaggi finanziari, pur rimanendo sottoposta ai vincoli legati alla posizione dell’organo di stampa considerato nei rapporti di forza economici e simbolici. Oggi si hanno rapporti oggettivi invisibili tra persone che possono anche non incontrarsi mai, ma che sono indotte a tener conto, in quel che fanno, dei vincoli e degli effetti che subiscono per via della loro appartenenza ad un medesimo universo. In altre parole, se voglio sapere oggi quel che dirà o scriverà un certo giornalista, occorre che sappia la posizione che egli occupa in questo spazio, il potere specifico che detiene il suo organo di stampa: un peso che si misura, tra i vari indici, attraverso il suo peso economico, le quote di mercato, ma anche attraverso il peso simbolico, più difficile da quantificare. In realtà, per una spiegazione completa, occorrerebbe considerare la posizione del campo mediatico nazionale all’interno del campo mondiale. Per capire meglio questa struttura nella sua forma attuale, vale la pena ripercorrere le fasi del processo grazie al quale essa si è costituita:
1) negli anni 50, la televisione era appena presente nel campo giornalistico; quando si parlava di giornalismo, non si pensava quasi alla televisione. I professionisti televisivi erano doppiamente dominati: soprattutto perché sospettati di essere dipendenti nei confronti dei poteri politici, erano dominati dal punto di vista culturale, simbolico, dal punto di vista del prestigio, ma erano dominati anche economicamente nella misura in cui dipendevano dalle sovvenzioni statali, quindi erano molto meno potenti
2) con il passare degli anni, il rapporto si è completamente rovesciato e la televisione tende ormai a prendere il sopravvento economico e simbolico nel campo giornalistico
Il fenomeno si manifesta soprattutto attraverso la crisi dei giornali; e i più minacciati sono quelli che offrivano soprattutto notizie di cronaca o sportive, e che non hanno nulla da opporre ad una televisione sempre più orientata verso questi temi, mano a mano che si sottrae al dominio del giornalismo serio. Si dovrebbe entrare nei dettagli, fare (perché purtroppo non esiste ancora) una storia sociale dell’evoluzione dei rapporti fra i diversi organi di stampa (e non di uno solo di essi). È a livello della storia strutturale dell’insieme dell’universo che appaiono le cose importanti. Ciò che conta in un campo sono i pesi relativi: un giornale può restare assolutamente identico, non perdere un lettore, non cambiare minimamente e trovarsi tuttavia profondamente trasformato perché il suo peso e la sua posizione relativa nello spazio risultano trasformati. Un giornale smette di essere dominante quando il suo potere di deformare lo spazio che lo circonda diminuisce ed esso non detta più legge. C’era già un campo, il giornalismo scritto, in cui si opponevano i giornali che forniscono news (= notizie, cronache) e quelli che offrono views (= punti di vista, analisi); i giornali a grande tiratura e i giornali a tiratura relativamente più ridotta, ma dotati di un’autorità semiufficiale. Esistono giornali ben piazzati in entrambe le prospettive: sufficientemente forti quanto a tiratura per essere una potenza dal punto di vista della richiesta pubblicitaria e sufficientemente ricchi di capitale simbolico per essere un’autorità. I giornali di riflessione sono apparsi, alla fine del 1800, come reazione ai giornali a forte tiratura, rivolti al grande pubblico e alla ricerca di effetti sensazionali, che hanno sempre suscitato paura o disgusto nei lettori colti. L’emergere di quel medium di massa per eccellenza che è la televisione non è un fenomeno senza precedenti, se non per la sua ampiezza.
Una forza di banalizzazione.
Grazie alla sua forma di diffusione, la televisione pone all’universo del giornalismo scritto e all’universo culturale in genere un problema assolutamente terribile. Per la sua ampiezza, per il peso assolutamente straordinario che ha assunto, la televisione produce effetti che, pur non essendo senza precedenti, restano comunque del tutto inediti. Per esempio, la televisione può radunare in una sola sera, di fronte al TG delle 20, più spettatori di tutti i quotidiani del mattino e della sera messi insieme. Se l’informazione fornita da un medium del genere diviene un’informazione per tutti, senza difficoltà, omogeneizzata, è facile vedere gli effetti politici e culturali che possono prodursi. Più un mezzo d’espressione qualsiasi vuole raggiungere un pubblico vasto, più deve lasciar cadere ogni difficoltà, tutto ciò che può dividere, escludere, più deve sforzarsi di non urtare nessuno, di non sollevare mai problemi, o di sollevare problemi senza storia. Si costruisce l’oggetto conformemente alle categorie conoscitive del recettore. È appunto per questo che tutto il lavoro collettivo che ho descritto come tendente ad omogeneizzare e a banalizzare, a conformizzare e depoliticizzare, riesce perfettamente adatto, sebbene nessuno ne sia il soggetto, sebbene non sia mai stato pensato e voluto da nessuno. In questo, la critica semplicistica è pericolosa, in quanto libera da tutto il lavoro necessario per capire un fenomeno come il fatto che, senza che nessuno l’abbia voluto veramente, si arrivi a quel prodotto stranissimo che è il telegiornale, che va bene a tutti, che conferma cose già note, e soprattutto che lascia intatte le strutture mentali. Ci sono rivoluzioni che investono le basi materiali di una società e rivoluzioni simboliche, che investono le strutture mentali, che cambiano cioè i nostri modi di vedere e di pensare. Se uno strumento con una potenza paragonabile a quella della televisione si orientasse anche minimamente verso una rivoluzione simbolica, vi assicuro che ci si affretterebbe a fermarlo! Ora, si dà il caso che, grazie alla sola logica della concorrenza, e ai meccanismi sopra menzionati, la televisione non faccia nulla di simile, senza che nessuno abbia bisogno di chiederlo. La televisione è in perfetta sintonia con le strutture mentali del pubblico. Potrei menzionare a tale proposito il moralismo della televisione, che andrebbe analizzato in questa logica. Con i buoni sentimenti si fa audience. Varrebbe la pena riflettere sul moralismo dei professionisti della televisione: spesso impassibili, fanno discorsi di un conformismo morale assolutamente sorprendente. Essi sono divenuti piccoli direttori di coscienza che si fanno, senza forzare troppo le cose, i portavoce di una morale tipicamente piccolo-borghese, che dicono cosa si deve pensare di quelli che chiamano i 'problemi della società'. Lo stesso discorso vale per il campo dell’arte e della letteratura: le trasmissioni più note tra quelle che si dicono letterarie sono al servizio, e in modo sempre più servile, dei valori stabiliti, del conformismo e dell’accademismo, se non dei valori di mercato. Il campo giornalistico deve la propria importanza nel mondo sociale al fatto che detiene un monopolio effettivo sugli strumenti di produzione e di diffusione su vasta scala dell’informazione, e, attraverso questi strumenti, sull’ingresso dei semplici cittadini (come pure degli altri produttori culturali) allo spazio pubblico, alla grande diffusione. I giornalisti esercitano una forma molto rara di dominazione: hanno il potere sui mezzi usati per esprimersi pubblicamente, per esistere pubblicamente, per essere conosciuti, per accedere alla pubblica notorietà, cosa che, per gli uomini politici e per certi intellettuali, rappresenta un obiettivo irrinunciabile, tale da portare i giornalisti stessi ad essere oggetto di una considerazione spesso sproporzionata ai loro meriti intellettuali. Ed essi possono volgere una parte di questo potere di consacrazione a proprio vantaggio. Ma soprattutto, avendo la possibilità di accedere in qualsiasi momento alla visibilità pubblica, all’espressione su grande scala, i giornalisti possono imporre all’insieme della società i loro principi di visione del mondo, la loro problematica, il loro punto di vista. Non c’è discorso né azione che, per divenire oggetto di pubblico dibattito, non debba sottoporsi a questa prova della selezione giornalistica, cioè a quella formidabile censura che i giornalisti esercitano, senza neppure rendersene conto, semplicemente soffermandosi soltanto su ciò che è in grado di interessarli, e respingendo nell’insignificanza o nell’indifferenza espressioni simboliche che meriterebbero di raggiungere l’insieme dei cittadini. Altra conseguenza, più difficile da cogliere, della crescita del peso relativo della televisione nello spazio dei mezzi di diffusione, e del peso del vincolo commerciale su questa televisione dominante: il passaggio da una politica di azione culturale attraverso la televisione ad una sorta di demagogia (= mantenere il potere illudendo il popolo con promesse di soddisfare i suoi desideri e le sue aspirazioni) spontaneista.
la televisione degli anni 50 si presentava come culturale e si serviva in qualche modo del proprio monopolio per imporre a tutti prodotti che avevano pretese culturali e per formare i gusti del grande pubblico
la televisione degli anni 90 mira a sfruttare questi gusti per raggiungere l’audience più ampia offrendo ai telespettatori prodotti grezzi, che hanno come loro modello il talk show, scene di vita, esibizioni senza veli di esperienze vissute, spesso estreme e tali da soddisfare una sorte di esibizionismo (come d’altra parte i giochi televisivi, cui si arde di partecipare, anche da semplici spettatori, per ottenere un attimo di visibilità)
Detto questo, non condivido la nostalgia di alcuni per la televisione pedagogico-paternalista dal passato e penso che essa, non meno dello spontaneismo populista e della sottomissione demagogica ai gusti popolari, si opponga ad un uso realmente democratico dei mezzi di diffusione su grande scala.
Sulle lotte arbitrarie dell’auditel.
Occorre quindi andare al di là delle apparenze, di ciò che si mostra sulla scena e persino della concorrenza che si esercita all’interno del campo giornalistico per giungere sino ai rapporti di forza fra i diversi organi. Bisogna comprendere la posizione degli organi di stampa di cui i giornalisti sono i rappresentanti nello spazio giornalistico, e anche la posizione da essi occupata all’interno di tali organi. Questi vincoli legati alla posizione vengono vissuti come divieti o ordini etici. Tutte queste esperienze, enunciate sotto forma di precetti etici, sono la ritraduzione della struttura del campo attraverso una persona che occupa una certa posizione nello spazio giornalistico. In un campo, i diversi protagonisti hanno spesso rappresentazioni polemiche degli altri agenti con i quali sono in concorrenza: essi producono nei loro confronti stereotipi, insulti. Queste rappresentazioni sono spesso strategie di lotta che prendono atto del rapporto di forza e mirano a trasformarlo o a conservarlo. Attualmente, fra i giornalisti della stampa scritta si vede sviluppare un discorso molto critico nei confronti della televisione. Di fatto, tali rappresentazioni sono prese di posizione in cui si esprime essenzialmente la posizione di chi le esprime; ma, contemporaneamente, sono strategie che mirano a trasformare la posizione. Oggi, nell’ambiente giornalistico, la lotta sulla televisione è centrale, cosa che rende molto difficile studiare la televisione stessa. Una parte del discorso che si spaccia per scientifico sulla televisione non è altro che la registrazione di quel che gli uomini della televisione dicono di essa. Detto ciò, si hanno indizi concordanti sull’arretramento progressivo del giornalismo della carta stampata rispetto alla televisione:
il fatto che lo spazio occupato dal supplemento televisivo non cessi di aumentare in tutti i quotidiani
il fatto che i giornalisti attribuiscono un’enorme importanza all’essere citati dalla televisione (e anche all’essere visti in televisione, cosa che contribuisce ad aumentare il loro prestigio all’interno del giornale di appartenenza; capita addirittura che certi giornalisti televisivi raggiungano posizioni molto importanti nella stampa scritta, rimettendo con ciò in discussione la specificità stessa della scrittura, del mestiere)
il fatto che l’agenda (termine che designa ciò di cui si deve parlare) sia sempre più definita dalla televisione (nella circolazione circolare dell’informazione il peso della televisione è determinante, e se accade che un tema venga lanciato dai giornalisti della stampa scritta, esso diviene centrale solo quando è stato ripreso dalla televisione, venendo investito di un’efficacia politica)
La posizione dei giornalisti della stampa scritta viene così ad essere minacciata, e la specificità della professione chiamata in causa. Ma la cosa più importante è che, attraverso l’aumento del peso simbolico della televisione, sia una certa visione dell’informazione, sino a quel momento relegata nei giornali detti scandalistici (orientati sullo sport e i fatti di cronaca) che tende ad imporsi nell’insieme del campo giornalistico. Ed è, contemporaneamente, una certa categoria di giornalisti, assunti a grandi spese per la loro capacità di aderire senza scrupoli alle attese del pubblico meno esigente (quindi i più indifferenti ad ogni forma di morale e, a maggior ragione, ad ogni sensibilità politica) che tende ad imporre i suoi 'valori' all’insieme dei giornalisti. Spinti dalla concorrenza per la conquista delle quote di mercato, le reti televisive ricorrono sempre più ai vecchi trucchi dei giornali scandalistici, dando il maggior rilievo, se non l’esclusiva, ai fatti di cronaca e allo sport: capita sempre più spesso che, indipendentemente da ciò che è accaduto nel mondo, i titoli di apertura dei TG siano dedicati ai risultati di qualche avvenimento sportivo o all’aspetto più aneddotico e ritualizzato della vita politica, per non parlare delle catastrofi naturali, degli incidenti, insomma di tutto ciò che può suscitare un interesse di pura curiosità, e che non richiede alcuna competenza specifica preliminare, soprattutto politica. I fatti di cronaca hanno l’effetto di creare il vuoto politico, di spoliticizzare e di ridurre la vita del mondo all’aneddoto e al pettegolezzo, concentrando l’attenzione su eventi privi di conseguenze politiche, che vengono drammatizzati per trarne una lezione o per trasformarli in problemi di società; è a questo punto che, molto spesso, vengono chiamati alla riscossa i filosofi da televisione, per ridare senso all’insignificante, all’aneddotico e all’accidentale, che si è artificialmente portato in primo piano e costituito in evento. E la stessa ricerca del sensazionale, quindi del successo commerciale, può anche portare a selezionare fatti di cronaca che, abbandonati alle costruzioni selvagge della demagogia, possono suscitare un immenso interesse lusingando le pulsioni e le passioni più elementari, e persino forme di mobilitazione puramente sentimentali e caritatevoli, o altrettanto passionali, ma aggressive e vicine al linciaggio simbolico. Ne segue che oggi i giornalisti della stampa scritta si trovano di fronte ad una scelta:
andare nel senso del modello dominante, in altre parole fare giornali che siano quasi-telegiornali
accentuare la differenza, seguire una strategia di differenziazione del prodotto
Entrare in concorrenza, con il rischio di perdere su entrambi i fronti, di perdere anche il pubblico che si raggiungerebbe restando fedeli alla definizione rigorosa del messaggio culturale, o accentuare la differenza?? Il problema si pone anche all’interno del campo televisivo. Allo stato attuale, penso che, inconsciamente, i responsabili, vittime della mentalità auditel, non scelgano veramente. Si riscontra così, molto regolarmente, che le grandi scelte sociali non sono fatte da nessuno; mentre ci si dovrebbe costringere a portare alla coscienza cose che si preferirebbe restassero inconscie. Penso che la tendenza generale porti gli organi di produzione culturale vecchio stampo a perdere la propria specificità, per scendere su un terreno in cui saranno battuti comunque. Il campo del giornalismo ha una particolarità: è molto più dipendente dalle forze esterne di tutti gli altri campi di produzione culturale. Esso dipende in modo molto diretto dalla domanda, è sottoposto all’approvazione del mercato, dell’approvazione generale. L’alternativa puro/commerciale, che si riscontra in tutti i campi, si impone con una brutalità particolare nel campo giornalistico, dove il peso del polo commerciale appare particolarmente forte. Ma in più non si trova, nell’universo giornalistico, l’equivalente di quanto si osserva nell’universo scientifico; per esempio, non si riscontra quella sorta di giustizia immanente per la quale colui che viola certi divieti è bruciato o, al contrario, chi si conforma alle regole del gioco si attira la stima dei suoi pari (manifestata, per esempio, sotto forma di citazioni, di riferimenti). Nel giornalismo, dove sono le sanzioni, positive o negative?? L’unico barlume di critica è dato dai programmi satirici. Quanto alle ricompense, ci sono forse solo le riprese (il fatto di essere citati, ripresi da un altro giornalista), ma si tratta di un indizio raro e ambiguo.
Il potere della televisione.
L’universo del giornalismo è un campo tutto eteronomo (= condizione di un individuo o di una collettività, per la quale leggi e regole di condotta sono ricevute dall'esterno e non scaturiscono dalla consapevolezza e volontà di chi vi si sottopone), molto fortemente sottomesso ai vincoli commerciali, che costituisce a sua volta un vincolo per tutti gli altri campi, in quanto struttura. Tale effetto strutturale, oggettivo, anonimo, invisibile, non ha nulla a che vedere con quel che si vede direttamente, con ciò che comunemente si denuncia, cioè con l’intervento dell’una o dell’altra personalità. Non ci si deve accontentare di denunciare responsabili. In linea generale, i critici se la prendono con persone. Ora, uomini e donne hanno sì responsabilità specifiche, ma le loro possibilità e impossibilità sono strettamente limitate dalla struttura in cui essi si collocano, e anche dalla posizione che occupano all’interno di essa. Occorre comprendere che essi sono soltanto l’espressione di un campo; non si capisce nulla se non si capisce il campo in generale, che conferisce loro una piccola forza. Tutto ciò è importante per ridimensionare l’analisi e anche per orientare razionalmente l’azione. I giornalisti che possono sentirsi presi a oggetto, se ascoltano bene le mie parole, saranno indotti a dirsi (almeno lo spero) che, chiarendo cose che sanno confusamente ma che non vogliono sapere troppo, offro loro strumenti di libertà per dominare i meccanismi descritti. Di fatto, all’interno del giornalismo, è possibile pensare ad alleanze che scavalchino i singoli giornali e tali da permettere di neutralizzare alcuni effetti della concorrenza. Se i meccanismi strutturali che generano le infrazioni alla morale divenissero coscienti, un’azione cosciente tesa a controllarli diventerebbe possibile. Penso quindi che attualmente tutti i campi di produzione culturale siano sottoposti al vincolo strutturale del campo giornalistico, e non dell’uno o dell’altro giornalista, persone a loro volta scavalcate dalle forze del campo. In ciascun campo ci sono dominanti e dominati secondo i valori interni del campo stesso: un buono storico è qualcuno che i buoni storici definiscono un buono storico. La cosa è necessariamente circolare; ma l’eteronomia comincia quando qualcuno che non è un matematico può intervenire per dare il proprio parere sui matematici, e viene ascoltato. Ora, i media intervengono continuamente per pronunciare verdetti. Ma i giornali intervengono anche per porre problemi che vengono immediatamente ripresi dagli intellettuali-giornalisti. L’antintellettualismo, che è una costante strutturale del mondo giornalistico, porta per esempio i giornalisti a sollevare periodicamente il problema degli errori degli intellettuali o a organizzare dibattiti che possono mobilitare solo gli intellettuali-giornalisti e che spesso servono soltanto a permettere a questi intellettuali da televisione di esistere mediaticamente aprendosi una corsia privilegiata. Tali interventi esterni costituiscono una grave minaccia in primo luogo perché possono ingannare i profani, che malgrado tutto hanno un loro peso, nella misura in cui i produttori culturali hanno bisogno di ascoltatori. Con la tendenza dei media a celebrare i prodotti commerciali destinati a figurare nello loro best sellers lists (= elenchi dei pezzi più venduti), come accade oggi, e a far agire la logica dei favori reciproci tra scrittori-giornalisti e giornalisti-scrittori, i giovani autori minori avranno difficoltà sempre maggiori a pubblicare.
Il collaborazionismo.
Ma le forze e le manipolazioni giornalistiche possono agire anche, in modo più sottile, introducendo negli universi autonomi certi produttori eteronomi che, con l’appoggio delle forze esterne, riceveranno una consacrazione che non potrebbero ottenere dai loro pari. Questi scrittori per non scrittori, questi filosofi per non filosofi, .. avranno una quotazione televisiva, un peso giornalistico assolutamente sproporzionato al peso specifico di cui godono nel loro universo specifico. La televisione offre loro una forma di riconoscimento che, sino a ieri, equivaleva piuttosto ad una degradazione. Oggi, il mutamento del rapporto di forze tra i campi è tale che, sempre più, i criteri di valutazione esterni (l’invito alle trasmissione televisive, la consacrazione sui settimanali a forte tiratura, i ritratti alla televisione) si impongono contro il giudizio dei propri pari. Sarebbe importante che la presa di coscienza di tutti i meccanismi sinora descritti portasse a sforzi collettivi di proteggere l’autonomia, che è la condizione del progresso scientifico, dal potere in continuo aumento della televisione. Perché possa esercitarsi su universi come quello scientifico, la pressione del potere dei media deve trovare complicità nel campo considerato. Oggigiorno si è portati a dubitare veramente dell’autonomia soggettiva degli scrittori, degli artisti e degli uomini di scienza. Occorre prendere atto di questa dipendenza e soprattutto tentare di capirne le ragioni, le cause. Occorre tentare di capire che è che 'collabora'. Più le persone sono riconosciute dai loro pari, quindi ricche di valore specifico, più sono portate a resistere; viceversa, più sono eteronome nelle loro pratiche, cioè attratte dal lato commerciale, più sono inclini a collaborare. Un campo molto autonomo, quello delle matematiche ad esempio, è un campo in cui i produttori non hanno altri clienti se non i loro concorrenti, coloro che avrebbero potuto fare al loro posto la scoperta che si vedono presentare. Per conquistare l’autonomia, occorre costruire una specie di torre d’avorio all’interno della quale ci si giudica, ci si critica, ci si combatte persino, ma con consapevolezza; ci si scontra, ma con armi, strumenti scientifici, tecniche, metodi. Occorre aver raggiunto un alto grado di accordo sul terreno di disaccordo e sui mezzi per regolarlo perché si abbia un vero dibattito scientifico, tale da poter produrre come esito un vero accordo o un vero disaccordo scientifico. Ci si stupisce a volte nel constatare che, alla televisione, gli storici non sono sempre d’accordo tra loro: sfugge il fatto che, molto spesso, queste discussioni oppongono persone che non hanno nulla in comune e che non dovrebbero parlare insieme. Citando la legge di Ždanov: più un produttore culturale è autonomo, ricco di valore specifico ed esclusivamente orientato verso il mercato ristretto sul quale come clienti ha solo i suoi stessi concorrenti, più sarà portato a resistere; più, al contrario, indirizza i suoi prodotti al mercato della grande produzione, più sarà incline a collaborare con i poteri esterni (stato, chiesa, partito e, oggi, giornalismo e televisione) sottomettendosi alle loro richieste o ai loro ordini. Certamente non condanno a priori ogni forma di collaborazione con i giornali, la radio o la televisione. Se i campi scientifici, politici, letterari sono minacciati dall’influenza dei media, ciò dipende dal fatto che all’interno di tali campi esistono individui eteronomi, poco accreditati dal punto di vista dei valori specifici del campo, dei falliti o gente comunque votata al fallimento, che hanno tutto l’interesse a rimanere eteronomi, a cercare all’esterno una consacrazione (rapida, precoce, prematura e fragile) che non sono riusciti ad ottenere all’interno del loro campo; costoro, per di più, saranno particolarmente ben visti dai giornalisti in quanto non fanno loro paura e sono pronti a tener conto delle loro esigenze. Attraverso i media, che agiscono come strumento d’informazione mobilizzante, può instaurarsi una forma perversa di democrazia diretta che annulla la distanza nei confronti dell’urgenza, della pressione delle passioni collettive, non necessariamente democratiche, una distanza che viene normalmente garantita dalla logica relativamente autonoma del campo politico. Succede così che i giornalisti, non essendo in grado di mantenere la distanza necessaria alla riflessione, assumano il ruolo del pompiere incendiario: possono contribuire a creare l’evento, mettendo in rilievo un fatto di cronaca per poi denunciare quanti gettano olio sul fuoco che essi stessi hanno appiccato.
Diritto d’ingresso e dovere di uscita.
Vorrei ora spendere qualche parola sul problema dei rapporti fra essoterismo ed elitismo. È un problema sul quale si sono soffermati tutti i pensatori, a partire dal 1800. Come conciliare quell’esigenza di purezza che è inerente a qualsiasi tipo di lavoro scientifico o intellettuale, e che porta all’esoterismo, con il desiderio democratico di rendere i risultati raggiunti accessibili ai più?? La televisione produce 2 effetti:
da una parte, riduce il pedaggio, il diritto d’ingresso in un certo numero di campi (filosofico, giuridico, ..): può promuovere a sociologi, scrittori, filosofi, .. persone che non hanno pagato la tassa d’ingresso dal punto di vista della definizione interna della professione
dall’altra, ha la possibilità di raggiungere la maggioranza della popolazione
La cosa che mi pare difficile da giustificare è che si tragga pretesto dall’estensione dell’audience per abbassare il diritto d’ingresso nel campo considerato. Per sottrarsi all’alternativa fra elitismo e demagogia, occorre difendere ad un tempo il mantenimento e persino l’innalzamento della tassa d’ingresso nei campi di produzione e il rafforzamento del dovere di uscita, accompagnato da un miglioramento delle condizioni e dei mezzi d’uscita. La minaccia del livellamento può provenire dall’intrusione delle esigenze mediatiche nei campi di produzione culturale. Occorre difendere le condizioni di produzione che sono necessarie per far progredire l’universale e, contemporaneamente, occorre lavorare per generalizzare le condizioni di accesso all’universale, per fare in modo che un numero sempre maggiore di persone raggiunga le condizioni necessarie ad appropriarsi dell’universale. Più un’idea è complessa, in quanto è stata prodotta in una universo autonomo, più la restituzione di essa è difficile. Per superare la difficoltà, occorre che i produttori chiusi nella loro piccola rocca sappiano uscirne e lottare, collettivamente, per avere buone condizioni di diffusione, e che lottino inoltre, stabilendo un collegamento con gli insegnanti, i sindacati, le associazioni, .. perché i ricettori ricevano un’educazione tesa ad elevare il loro livello di ricezione. Occorre lavorare all’universalizzazione delle condizioni d’accesso all’universale. Si deve lottare contro l’auditel in nome della democrazia. La cosa può sembrare del tutto paradossale perché quanti difendono il regno dell’auditel pensano che non vi sia nulla di più democratico, che occorra lasciare alla gente la libertà di giudicare, di scegliere. La televisione governata dall’auditel contribuisce a far pesare sul consumatore, presunto libero e illuminato, i vincoli del mercato, che non hanno nulla a che vedere con l’espressione democratica di un’opinione pubblica. I pensatori critici e le organizzazioni che hanno il compito di esprimere gli interessi dei dominati sono ancora molto lontani dal considerare chiaramente questo problema, e ciò contribuisce non poco a rafforzare tutti i meccanismi descritti.
L'influenza del giornalismo
Il tema di questo intervento è l’influenza che i meccanismi di un campo giornalistico, sempre più sottoposto alle esigenze di mercato, esercitano innanzi tutto sui giornalisti e, in secondo luogo, sui diversi campi di produzione culturale, giuridico, letterario, artistico e scientifico. Il grado di autonomia di un organo di diffusione si misura:
1 sulla quota dei guadagni che provengono dalla pubblicità e dal contributo dello stato
2 sul grado di autonomia di un singolo giornalista che dipende da:
- il grado di concentrazione della stampa
- la sua posizione nel giornale
- la sua capacità di produzione autonoma dell’informazione
- la sua posizione più o meno vicina al polo intellettuale o commerciale del suo giornale
Come in campo politico ed economico, il campo giornalistico è sottoposto continuamente alla prova delle risposte del mercato, attraverso la sanzione diretta della clientela o quella indiretta dell’auditel. I giornalisti sono tanto più inclini ad adottare il criterio auditel nella produzione o nella valutazione dei prodotti e persino dei produttori, quanto più è elevata la posizione che occupano in un organo più direttamente legato al mercato (es: una rete televisiva commerciale). Mentre i giornalisti più giovani e meno inseriti sono più inclini a opporre i principi e i valori del mestiere alle esigenze più realiste e indifferenti degli anziani.
1 sulla quota dei guadagni che provengono dalla pubblicità e dal contributo dello stato
2 sul grado di autonomia di un singolo giornalista che dipende da:
- il grado di concentrazione della stampa
- la sua posizione nel giornale
- la sua capacità di produzione autonoma dell’informazione
- la sua posizione più o meno vicina al polo intellettuale o commerciale del suo giornale
Come in campo politico ed economico, il campo giornalistico è sottoposto continuamente alla prova delle risposte del mercato, attraverso la sanzione diretta della clientela o quella indiretta dell’auditel. I giornalisti sono tanto più inclini ad adottare il criterio auditel nella produzione o nella valutazione dei prodotti e persino dei produttori, quanto più è elevata la posizione che occupano in un organo più direttamente legato al mercato (es: una rete televisiva commerciale). Mentre i giornalisti più giovani e meno inseriti sono più inclini a opporre i principi e i valori del mestiere alle esigenze più realiste e indifferenti degli anziani.
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