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domenica 29 maggio 2011

Voyeurs nel “La solitudine di Internet” e il” post-umano.”


Umberto Galimberti descrive il futuro prossimo dei nostri mezzi di comunicazione digitale e mi è tornata in mente una storiella per bambini, in cui si racconta che un re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio personale sul mondo: perciò gli regalò carrozza e cavalli. “Ora non hai più bisogno di andare a piedi”, furono le sue parole. “Ora non ti è più consentito di farlo”, era il loro significato. “Ora non puoi più farlo” fu il loro effetto. Che c’entra tutto questo? C’entra. Se mi porto il mondo a domicilio come faccio a fare esperienza del mondo? Qui non si tratta di enfatizzare o demonizzare le enormi potenzialità future dei mezzi di comunicazione, ma di capire come l’uomo profondamente si trasforma per effetto di questo potenziamento. L’uomo infatti non è qualcosa che prescinde dal modo in cui manipola il mondo, e trascurare questa relazione significa non rendersi conto che a trasformarsi non saranno solo i mezzi di comunicazione, ma l’uomo stesso. Radio, televisione, personal computer, Cd-rom, ci plasmano qualunque sia lo scopo per cui li impieghiamo. Una trasmissione televisiva edificante e una degradante, per diversi che siano gli scopi a cui tendono, hanno in comune il fatto che non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto le immagini. Il “mezzo” indipendentemente dallo scopo ci istituisce come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un evento. Questa condizione che vale per la televisione, vale, anche se non sembra per l’Internet, dove il “consumo in comune” del mezzo non equivale ad una “reale esperienza in comune”. Ciò che nell’Internet si scambia quando non è una somma spropositata di banalità, è pur sempre una realtà personale che non diventa mai una realtà condivisa.
Lo scambio ha un andamento solipsistico dove un numero infinito di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo. E par di vederli questi operatori, separati ‘uno dall’altro chiusi nel loro guscio come monaci di un tempo sui picchi dell'alture, non per rinunciare al mondo ma per non perdere neanche un frammento del mondo “in immagine”. Ciò comporta un capovolgimento tra interiorità ed esteriorità, e più in generale tra interno ed esterno. Se un tempo la famiglia era l’ “interno” in cui si scambiavano questi tratti affettivi d’ira e d’amore e più in generale quella libertà espressiva che occorreva contenere fuori all’ “esterno”, oggi grazie alla diffusione della Tv sempre accesa la famiglia è il luogo in cui è di casa il mondo esterno, reale o fittizio che sia. La casa reale, con le sue quattro mura e i suoi quattro mobili, è ridotta a un container per la ricezione del mondo esterno via cavo, via telefono, via etere, e quanto più il lontano si avvicina tanto più il vicino, la realtà di casa, quella familiare, si allontana ed impallidisce. Tutto ciò non dipende dall’uso che facciamo dei “mezzi”, ma dal fatto che ne facciamo semplicemente uso, per cui non gli “scopi” a cui sono preposti i “mezzi”, ma i “mezzi” come tali trasformano l’immagine in realtà e la realtà in fantasma.
Né la situazione migliora quando la famiglia è “raccolta” intorno alla Tv, perché, a differenza della tavola intorno a cui ci si sedeva facendo scorrere in un viavai continuo, sentimenti e risentimenti, interessi e gelosie, sguardi e conversazioni di cui si nutriva la trama della famiglia, davanti alla Tv la famiglia è “raccolta” non più in direzione centripeta, ma centrifuga, solo perché ciascuno, che non è più con l’altro, ma solo accanto all’altro, prenda il volo verso una fuga solitaria che non condivide con nessuno o al massimo con un milione di solitari del consumo di massa, che contemporaneamente a lui, ma non insieme a lui, guardano lo schermo. Come il gas, l’acqua, la luce, cosi i mezzi di comunicazione digitali, indipendentemente dall’uso che se ne fa ci portano gli avvenimenti in casa dispensandoci dall’andare verso di loro. Ciò trasforma il nostro modo di fare esperienza, se non altro perché chi vuol sapere cosa avviene fuori casa deve andare a casa, e solo allora, quando ciascuno di noi è ridotto a una monade leibniziana senza porte e senza finestre che si aprono sul pianerottolo del vicino, solo allora l’universo si riflette per noi e si offre a portata di mano. Non più il viandante che esplora il mondo, ma il mondo che si offre al sedentario che è al mondo proprio perché non lo percorre, e al limite neppure lo abita. La rivoluzione ha del copernicano, perché il mondo non è più ciò che sta, ma a stare (seduto) è l’uomo, e il mondo gli gira attorno capovolgendo i termini con cui, dal giorno in cui è comparso sulla Terra, l’uomo ha fatto esperienza. Le conseguenze non sono da poco. Se il mondo viene a noi, noi non “siamo-nel-mondo”, ma semplici consumatori del mondo. Se poi viene a noi solo in forma di immagine, ciò che consumiamo è solo il fantasma. Se questo fantasma lo possiamo evocare in qualsiasi momento, siamo onnipotenti, come Dio. Ma poi questa onnipotenza si riduce perché, se possiamo vedere il mondo senza potergli parlare, siamo dei voyeurs condannati all’afasia. Il mondo può diventare illeggibile per overdose di informazioni e l’uomo perdere il bene più prezioso che è la capacità di fare l’esperienza. Non siamo onnipotenti come i mezzi di cui disponiamo, e non saranno certo mezzi onnipotenti capaci di mettere in comunicazione milioni di solitudini a fare di tutti i solitari, privati proprio dai mezzi di comunicazione della possibilità di fare un’esperienza condivisa, gli abitanti di un mondo comune. Non siamo infatti onnipotenti cerchiamo di viverci la vita finché c'è concesso e datevi un massimo di ore per stare davanti al pc e che non superi il tempo che dovete dedicare a voi stessi e alla vostra famiglia. Non siamo onnipotenti e quindi cercate di imparare, informarvi e divertirvi con questo mezzo stupendo ma sappiate che è sempre una creatura dell'uomo.

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