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domenica 9 ottobre 2011

Censimento della popolazione 2011: l'Italia si conta. Una sfida demografica per l'Italia.


Nel 1861, al loro primo censimento dopo l'unità nazionale, gli italiani erano circa 22 milioni. Un popolo decisamente giovane, dove poco più della metà aveva meno di venticinque anni e solo uno su venticinque si spingeva oltre la soglia delle sessantacinque primavere. Da allora tutto è radicalmente cambiato. Così che agli inizi del secondo decennio del nuovo millennio in Italia vivono oltre sessanta milioni di persone sempre più «appesantite» dall'età. Infatti, coloro che hanno meno di venti anni sono solo uno su cinque, un numero pressoché pari a quello degli ultrsessantacinquenni. Mentre gli ultranovantenni hanno quasi raggiunto il mezzo milione di unità. Un Paese, insomma, in cui ogni anno le nuove nascite non toccano quota 6oo.ooo, ben 15o.ooo in meno di quante ne occorrerebbero per garantire nel tempo l'attuale dimensione demografica.

Il tutto mentre la durata media della vita ha superato gli ottanta anni, la mortalità infantile si è ridotta a livelli fisiologici e la fecondità, scesa da tempo sotto il livello che consente il ricambio generazionale, è attestata intorno alla media di 1,4 figli per donna. E questa, in sintesi, la fotografia della popolazione italiana contenuta nello studio curato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza episcopale italiana (Cei) che è stato presentato oggi, mercoledì 5, a Roma alla presenza, tra gli altri, del Cardinale presidente dell'episcopato Angelo Bagnasco (Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell'Italia, Bari-Roma, Editori Laterza, 20II, pagine XVIII + 191, euro 14).

Da circa tre decenni - si legge nell'introduzione del volume - in Italia si è instaurato un «circolo vizioso involutivo da cui il Paese non sembra ancora in grado di uscire». Non solo, «il Paese non sembra neppure avere una consapevolezza adeguata alla drammaticità delle sfide che lo attendono». Mentre, «la ricerca di nuovi equilibri in una società che invecchia» richiede azioni politiche che mettano ancora una volta «al centro la famiglia e le scelte che ne accompagnano i processi di .formazione e di sviluppo». Insomma, «occorre diffondere una nuova mentalità che renda più generativa ed equa la società italiana». Pubblichiamo ampi stralci della prefazione al volume a firma del cardinale presidente del Comitato per il progetto culturale della Cei.

di Camillo Ruini

A due anni di distanza da La sfida educativa, il Comitato per il progetto culturale della Cei pubblica un secondo Rapporto-proposta, dedicato alla demografia in Italia. E’ ben noto l'impegno della Chiesa a favore della vita umana e della famiglia, ma forse è meno conosciuta la sua attenzione ai problemi demografici, sebbene già nel 1985, quando la diminuzione delle nascite non suscitava ancora alcun interesse o preoccupazione nelle istituzioni e nell'opinione pubblica, i vescovi dell'Emilia Romagna avessero pubblicato un documento, dal titolo Una Chiesa che guarda al futuro, nel quale denunciavano l'andamento demografico gravemente negativo di quella regione. Da allora fino a oggi, la Chiesa italiana non ha smesso di insistere su queste problematiche. Un esempio recente sono le parole del presidente cardinal Bagnasco all'assemblea della Cei nel maggio 2010: «l'Italia sta andando verso un lento suicidio demografico». Sono certamente in atto da tempo in Italia una forte scarsità delle nascite, ben al di sotto del ricambio generazionale, e un notevole incremento della durata media della vita, fatto di per sé altamente positivo ma che concorre, con la diminuzione delle nascite, a causare l'invecchiamento della popolazione.

Il veloce incremento del numero degli immigrati e la connessa crescita dei ricongiungimenti familiari contribuiscono senza dubbio ad alleggerire queste difficoltà ma, al di là dei problemi di sostenibilità che comportano, non sembrano in grado di rappresentare una vera soluzione. Le proposte che vengono avanzate sono pertanto rivolte soprattutto a ritrovare, per quanto possibile, un effettivo equilibrio demografico. Non ci si nasconde la grandissima difficoltà e i possibili rischi di un simile compito, ma non lo si ritiene a priori irrealizzabile. Il confronto con altre nazioni non troppo dissimili da noi - come in particolare la Francia - che si sono mostrate in grado di affrontarlo, aiuta a non cedere alla rassegnazione, sebbene il Rapporto-proposta non trascuri di mettere in luce le profonde differenze tra le due situazioni italiana e francese e tra le loro cause, anche remote nel tempo. Più importante delle difficoltà rimane in ogni caso la certezza che, se non si pone rimedio al declino demografico, l'ltalia, già nel medio periodo, non potrà far fronte utilmente ad alcuna delle altre impegnative sfide che stanno davanti a lei. Il Rapporto-proposta individua due ordini di fattori capaci di influire sull'andamento delle nascite. Il primo è costituito dagli interventi pubblici, cioè da una serie organica di provvedimenti di lungo periodo rivolti non a premere sulle coppie perché mettano al mondo dei figli che non desiderano, bensì semplicemente a eliminare le difficoltà sociali ed economiche che ostacolano la realizzazione dell'obiettivo di avere i figli che esse vorrebbero. Giustificare una politica di questo genere è abbastanza facile: i figli, o le nuove generazioni, sono una necessità essenziale per il corpo sociale e quindi rappresentano un bene pubblico, c non soltanto un bene privato dei loro genitori.

Il secondo ordine di fattori si colloca a un livello più profondo, quello delle mentalità, degli insiemi di rappresentazioni e sentimenti, in altre parole dei vissuti personali e familiari e della cultura sociale, che influiscono potentemente sui comportamenti demografici. Tra questi due ordini di fattori, il secondo appare quello maggiormente decisivo per le scelte concrete delle coppie, ma anche il primo è necessario, perché senza di esso il desiderio di procreare spesso non si traduce in comportamenti conseguenti. I due ordini di fattori sono quindi interdipendenti e non vanno separati l’uno dall'altro. Quanto al primo ordine di fattori, I'Italia è certamente in grave ritardo, un ritardo da riparare iniziando subito col mettere in campo un impegno adeguato alla posta in gioco e molto prolungato nel tempo.

Riguardo al secondo ordine di fattori, l'Italia ha invece due vantaggi potenziali, che finora non hanno potuto produrre i loro effetti soprattutto per la carenza - e talvolta perfino la contrarietà - degli interventi pubblici. Mi riferisco alla perdurante solidarietà interna e rilevanza sociale delle famiglie italiane, rispetto alle situazioni prevalenti negli altri Paesi europei, e al desiderio di figli, che in Italia rimane alto. Perciò, se vogliamo superare progressivamente la crisi della natalità e ridare al Paese una non effimera prospettiva di crescita, dobbiamo guardare in maniera positiva a queste specificità dell'Italia, reagendo alla tendenza a un'omologazione acritica a situazioni diverse dalla nostra. Il Rapporto-proposta sull'educazione proponeva «una sorta di alleanza per l'educazione »: a maggior ragione abbiamo bisogno di un'alleanza, o di una grande sinergia, per affrontare la nostra crisi demografica.

Per essere efficace, questa sinergia deve rendere consapevoli e coinvolgere ciascuna delle componenti della nostra società, arrivando fino alle persone e alle famiglie. Solo così sarà possibile far entrare, finalmente e sul serio, la questione demografica nell'agenda politica. Non va dimenticata, infatti, la regola già formulata da John Stuart Mill, per la quale i politici si trovano nella necessità di tener conto degli interessi e dei desideri dei propri elettori: tendono quindi a privilegiare ciò che può produrre risultati immediati, cosa che non si verifica nei fenomeni demografici. Lo scopo di questo Rapporto-proposta al quale hanno lavorato alcuni dei maggiori demografi italiani di varie matrici culturali insieme a studiosi di altre discipline, è proprio far penetrare nell'intero corpo sociale la consapevolezza della sfida demografica con cui l'Italia deve inevitabilmente misurarsi.



(Tratto da L'Osservatore Romano)
Di Camillo Ruini.

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