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mercoledì 26 aprile 2017

L'Europa che non riforma se stessa

Le riforme strutturali sono state al centro del dibattito politico dell'Unione Europea in questi ultimi anni. In particolare le riforme che riguardano il mercato del lavoro, compreso il Jobs Act in Italia, tradotto il piano del lavoro. Dunque le varie riforme adottate nei vari paesi europei si propongono di aumentare la flessibilità del lavoro.
Queste a sua volta dovrebbero condurre una migliore ripartizione dei lavoratori sul mercato del lavoro, con la conseguenza di diminuire il calo della disoccupazione.
Qualora questa fosse la novità, essa ha già avuto riscontri quantitativi abbastanza negativi.
Limitandoci a rilevare soltanto alcuni dati sul tema che ci fornisce l'OCSE.

E' prevalente la tesi secondo cui le cosiddette riforme strutturali del lavoro, e cioè le politiche di deregolamentazione di facilitazione dei licenziamenti, le politiche di precarietà del lavoro, non contribuiscono ad accrescere l'occupazione e a diminuire la disoccupazione.
In ogni modo in sostanza abbassare le protezione dei lavoratori non crea occupazione e ce lo dice il Fondo monetario internazionale.

Il FMI nell'ultima pubblicazione dell'Aprile 2017 fa presente alcuni passaggi importanti tra cui anche il “ricalco” del fatto che la liberalizzazione del mercato del lavoro non sembra avere effetti statisticamente efficaci sulla produttività. Per questo il FMI suggerisce alle economie avanzate un costante sostegno alla domanda per incentivare investimenti e crescita del capitale, e l’adozione di politiche e di riforme che possono aumentare in modo duraturo il livello del prodotto potenziale rispetto al 2016.
Queste politiche dovrebbero racchiudere in sé le riforme del mercato dei prodotti, maggiore sostegno alla ricerca e sviluppo e un uso più intensivo di manodopera qualificata.


Le politiche di riforme strutturali dovrebbero racchiudere maggiore sviluppo di beni capitali derivanti dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, per far accrescere più investimenti in infrastrutture, per agevolare le politiche fiscali e di spesa del mercato lavorativo, per aumentare la partecipazione della forza lavoro.

Perché si insiste così tanto sulla flessibilità? 
Le riforme strutturali portano a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori, quindi più precarietà. Esse aumentano molto di più il potere rivendicativo dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori. E con tutte le paure dei lavoratori di essere licenziati con poco costo dall'azienda che assume. In sostanza è quello per cui vogliono farci credere che queste riforme servano a qualcosa invece, servono solo a liberalizzare il mercato del lavoro sempre più sotto torchio.

C'è una responsabilità delle direttive dell'Unione Europea, sulla formazione delle riforme interne al paese? C'è una responsabilità sulla poca trasparenza delle sue decisioni europee, sulla democrazia traballante che ci viene “imposta” dalla cessione della sovranità nazionale?
E' in conflitto L'unione Europea con i principi della nostra costituzione?
E' pensabile riformare L'unione Europea in senso più democratico?

Specifico, per dovere di studi, che il primato del diritto comunitario ha superiorità sulle norme interne con esso contrastanti, sia precedenti sia successive e quale ne sia il livello, anche costituzionale.
E' in uso cioè che la norma interna contrastante con una norma comunitaria provvista di efficacia diretta, non può essere applicata oppure deve essere disapplicata, con l'effetto che il rapporto resta subordinato, dalla sola direttiva/legge comunitaria.

In sostanza nella regolamentazione europea si dice “Il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna contrapposta, sia anteriore che successiva a quella comunitaria.” Cit.”

In senso democratico per quanto riguarda l'Unione Europea, nel senso di unificazione, e qualora possa ancora avvalorarsi tale, queste direttive vengono a indebolirsi, poiché in questa fase storica si sta accennando una crisi dell'Unione. La quale crisi rischia di non appartenere più a quello strato di democrazia ideato in passato.

Tuttavia oggi più di ieri, il principio stesso dello stare insieme fa registrare un processo di disgregazione interna tra gli stati.
In particolare mi riferisco alla Commissione Europea, la quale istituzione ad oggi occupa un peso “minore” rispetto all'aumento del potere dei rappresentanti dei piccoli governi.
Questo sta a designare che all'interno del sistema dell'Unione Europea sta aumentando il potere intergovernativo, cioè la dialettica tra i governi, piuttosto che il potere istituzionale dell'Unione.
La riforma strutturale vera e propria dovrebbe essere fatta all'interno delle istituzioni europee?

L’Italia dovrebbe guidare la trasformazione dell’Europa affinché essa possa divenire più forte e più attenta ai problemi delle diverse parti della società. Prima di tutto che sia in grado di fare di tutto per far sviluppare l’economia e di coniugare la solidarietà alla responsabilità. Questi due valori essenziali devono portare l’Italia a giocare la propria partita senza cadere in nazionalismi pericolosi.

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