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lunedì 9 ottobre 2023

Il CNEL dice NO al Salario minimo.

Non si tratta ancora della proposta finale, ma anche l'ultimo documento tecnico approvato dal Cnel suona come una netta bocciatura verso qualunque ipotesi di introdurre il salario minimo in Italia. Non solo: nelle 24 pagine chiamate "Inquadramento e analisi del problema", presentate ieri all'assemblea dell'ente dal presidente Renato Brunetta, emerge anche una posizione contraria all'idea di estendere a tutti i lavoratori il trattamento previsto dai contratti collettivi più rappresentativi. Il testo è stato approvato da tutti tranne che dalla Cgil, contraria, e dalla Uil che si è astenuta. Sul tema ieri è tornata anche la ministra del Lavoro, Marina Calderone, che ha ribadito la sua contrarietà al salario minimo legale. Il Cnel, va ricordato, è stato interpellato l'11 agosto da Giorgia Meloni. Incalzata dalla proposta delle opposizioni di fissare il salario minimo per legge a 9 euro l'ora, la premier ha chiesto l'aiuto del Consiglio dell'economia e del lavoro per prendere tempo e far preparare un parere sul tema. Questo arriverà il 12 ottobre, quando sarà sottoposto all'assemblea generale del Cnel, composta da rappresentanti di sindacati e associazioni di imprese, oltre che da esperti nominati dal presidente della Repubblica. Nel frattempo, ieri è stato diffuso un report discusso dalla Commissione per l'informazione, organo del Cnel di cui fanno parte 15 consiglieri e il presidente Brunetta. In teoria è un approfondimento tecnico, in pratica contiene chiare indicazioni sul verdetto. Emerge subito l'orientamento, quando si scrive - per esempio - che il lavoro povero non si affronta con "soluzioni semplicistiche". Punto di riferimento dell'analisi, dice la commissione, sarà la direttiva europea del 2022 che "non impone agli Stati membri alcun obbligo di fissare per legge il salario minimo adeguato" e "neppure di stabilire un meccanismo vincolante per l'efficacia generalizzata dei contratti collettivi". Secondo la commissione oggi non è facile raccogliere dati sulle retribuzioni italiane ed è molto complesso muoversi tra le voci di una busta paga per risalire al trattamento minimo. Per questo la commissione ritiene "in prevalenza corretto e imprescindibile attribuire alle sole parti contrattuali che sottoscrivono un contratto la funzione di determinare le voci che compongono i minimi contrattuali, senza applicare dall'esterno un criterio di lettura univoco e universale che potrebbe falsare le dinamiche contrattuali". Frase che cavalca il principale argomento dei contrari al salario minimo: l'autonomia delle parti sociali. La direttiva Ue individua due indicatori per la fissazione dei salari: il 60% del mediano e il 50% di quello medio. "I dati Istat - dice la commissione Cnel - stimano in 7,1 euro l'ora il 50% del salario medio e in 6,85 euro il 60% del salario mediano", nel 2019. "Il sistema di contrattazione collettiva nazionale di categoria supera più o meno ampiamente queste soglie". Un altro passaggio che appare come una stoccata alla proposta di salario minimo a 9 euro. La commissione ricorda però che alcuni componenti hanno contestato il calcolo, perché ritengono che vada preso come riferimento solo lo stipendio dei lavoratori a tempo indeterminato, generalmente più alto, e non anche quello dei precari. Quanto ai "contratti pirata", la commissione del Cnel tende a sminuire il problema. Ammette che non è facile stabilire criteri di rappresentanza, ma poi si limita a dire quanti contratti nazionali sono firmati da sindacati o associazioni di imprese con rappresentanti nel Cnel stesso. Il 96,5% dei lavoratori è coperto da un contratto di Cgil, Cisl e Uil; il 35% da uno Ugl, considerando anche quei contratti in cui la sigla ha firmato accordi separati dai confederali. Il 3,8% è coperto da contratto Confsal e il 5,4% da Cisal. Fuori dal perimetro dei sindacati presenti nel Cnel resta solo lo 0,4% dei lavoratori coperti da contratti diversi. "Si può desumere - dice il documento - che la contrattazione cosiddetta pirata sia marginale nella larga maggioranza dei settori produttivi per quanto fattore di grave perturbazione del sistema di relazioni industriali e di corretta concorrenza tra le imprese". In pratica, il Cnel dà per scontato che un contratto non è "pirata" se è firmato da un sindacato rappresentato al suo interno. Questo metodo non tiene in considerazione diverse sentenze che hanno disapplicato contratti firmati - per esempio - da Cisal o Ugl, definiti non rappresentativi nei rispettivi settori. È accaduto con quello Ugl Rider e con quello di Cisal Distribuzione, per citare due casi. A dicembre il Consiglio di Stato ha stabilito che sempre la Cisal non è "comparativamente più rappresentativa" nel commercio. In pratica, la commissione suggerisce un'applicazione molto leggera della direttiva Ue che non preveda introduzione del salario minimo o estensione dei contratti più rappresentativi, ma si limiti a "un piano di azione nazionale, nei termini fatti propri della direttiva europea in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva". La tagliola arriva poche righe più sotto: "Il tema da discutere nell'assemblea straordinaria del Cnel del 12 ottobre, a parere della commissione dell'informazione, non è dunque quanta parte della retribuzione debba mantenersi in capo alla contrattazione collettiva, bensì invece come estendere le migliori pratiche di contrattazione alla generalità del lavoro". Con queste premesse, l'esito appare scontato. Il Cnel sta per sbattere la porta in faccia al salario minimo, dando l'assist al governo per respingere la proposta firmata a luglio da Pd, M5S, Azione, Europa Verde, Sinistra Italiana e Più Europa sui 9 euro l'ora come base per i contratti collettivi, ottenendo l'apertura di Cgil e Uil. Il 17 ottobre si tornerà in aula; la maggioranza si farà scudo con il testo prodotto cinque giorni prima dal Cnel. Sul tema è tornata ieri la ministra del Lavoro, Marina Calderone, contraria: "Mentre si ragiona di un salario minimo che le opposizioni fissano a 9 euro l'ora, bisogna capire cosa mettiamo dentro questo contratto, soprattutto se quel numero è rappresentativo della qualità espressa dal contratto collettivo, che per me va valutato nell'insieme delle tutele. Definire diversi modelli di valutazione genera solo confusione. Io, invece, rispetto a un salario minimo, faccio un ragionamento di lavoro dignitoso. L'importante è garantire condizioni dignitose di lavoro".



di Roberto Rotunno – ilfattoquotidiano.it


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