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venerdì 19 febbraio 2010

Google lancia "Living Stories", dando un ordine al caos delle notizie in Rete

Il giornalismo da sempre si occupa di raccontare. Nel corso degli anni sono enormemente cambiate le modalità di scrittura, passando dalla macchina da scrivere alla tastiera del pc, fino al tastierino dell’ormai mitico blackberry. Contemporaneamente sono mutate pure le condizioni di fruizione dei contenuti, e in maniera addirittura spettacolare si è passati dallo sfogliare il proprio quotidiano di riferimento al confronto online tra le varie testate. Da un paio di giorni c’è un tassello in più: Living stories è diventato open source.

Il format di Google è diventato disponibile, per tutti gli editori del mondo, in forma totalmente gratuita. Nel corso degli ultimi 2 mesi, il programma è stato testato in partnership con il New York Times e il Washington Post e i risultati sono stati così positivi - il 75% delle persone che hanno fornito un riscontro sull'uso hanno detto di preferire il formato Living Stories a quello tradizionale - da indurre la casa della grande G a dare il via libera alla diffusione mondiale.

In pratica Living Stories è una piattaforma che permette agli utenti della rete di seguire lo sviluppo di una notizia in modo interattivo e di osservarne l'evolversi nel tempo. Secondo quanto fanno sapere da Google, basta selezionare una “storia” giornalistica che interessa particolarmente, come ad esempio l’inchiesta sul G8, per stare dietro ai progressi della stessa. Il software promette inoltre di poter seguire le novità sul filone in tempo reale e conoscere le notizie ad esso collegato con un rimando anche ad altri argomenti, se connessi.

Con LS ogni editore avrà così la possibilità di impaginare i propri contenuti in maniera diversa, ricomponendoli a piacimento. La scelta di rendere il programma open source mira a coinvolgere gli sviluppatori e rendere possibili ulteriori sperimentazioni in vista dello scopo finale fissato da Google, che è quello di trovare nuovi modi di pubblicare e fruire le notizie online. Uno spunto interessante per il web-journalism, anche in considerazione degli eventi che si stanno rincorrendo negli ultimi tempi.

Dopo Wall Street Journal e Financial Times anche il New York Magazine (l'edizione on line del New York Times), oggi gratuito, sarà a pagamento. Per il NYT è un ritorno al passato (o al futuro), già nel 2005 il quotidiano si proiettò nel campo delle news a pagamento dovendo però abbandonare il progetto dopo 2 anni per gli scarsi introiti economici dell'operazione.

L’avvenire sembra quindi riservare notevoli sorprese. La crisi dell'editoria classica – quella cartacea – e il contemporaneo boom del flusso di notizie via web, reperibili in forme sempre più numerose (dai cellulari all’Ipad di Apple) sta indirizzando i grandi network verso il pagamento di piccole cifre per i contenuti. Malgrado i già citati fallimenti la strada sembrava segnata in quel senso, ora l’introduzione di una nuova piattaforma rimescola le carte, anche in virtù delle abitudini dei lettori web, da sempre abituati alla gratuità e all’immediatezza del mezzo.

“On line ci saranno tre fonti di guadagno: la pubblicità, i contenuti ad hoc e le applicazioni per usufruire dei contenuti su qualsiasi piattaforma. Si pagherà per essere ubiqui: fare tutto da qualsiasi luogo. Fra tre anni circa saremo autosufficienti. I giornali resteranno in edicola, magari con edizioni ridotte e locali”. Questo il pensiero di un guru come Jean-Marie Colombani – direttore di Le Monde dal 1994 al 2007 e ora direttore del quotidiano gratuito online Slate.fr – sul futuro del giornalismo, ma quando si vedranno i primi cambiamenti?

Le prime realizzazioni concrete di quello che teorizza Colombani sono già tra noi. Nello scorso gennaio Steve Jobs, il Ceo di Apple, ha lanciato sul mercato l’Ipad, che sfrutterà appunto delle applicazioni appositamente studiate, e a pagamento, per la fruizione di servizi. C’è poi il Kindle di Amazon, che tramite la riformattazione elettronica di libri già pubblicati si lancia sul mercato editoriale con dei contenuti dedicati, anche in questo caso in cambio di soldi. Infine, non si può non notare la proliferazione di forme pubblicitarie sempre più invadenti anche nei grandi quotidiani italiani come Repubblica e Corriere della Sera.

Di fronte a segnali così contraddittori una fetta di editori sembra voler attendere, senza rischiare di fare un passo sbagliato. La frammentazione e la mancanza di un modello condiviso tra i grandi operatori della comunicazione frenano in maniera evidente la possibilità di trovare un accordo intorno a dei punti fissi che possano, in un futuro, portare l’editoria fuori dalla crisi in cui è entrata ormai da anni. In un contesto di grandi cambiamenti qual è quello attuale non si possono quindi fare previsioni a lungo termine, ma navigare a vista seguendo la naturale evoluzione del giornalismo e dell’editoria. Magari aiutandosi con il nuovo Living stories, che di certo non legge il futuro ma può aiutare a capire e ordinare il presente.

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