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giovedì 17 febbraio 2011

Montesquieu - lo spirito dello stato e le sue leggi.


Lo spirito dello Stato e le sue leggi

Lo studio che Montesquieu lascia delle istituzioni di popoli diversi e lontani nel tempo e nello spazio ha come intento fondamentale quello di identificare i fini in base ai quali gli uomini si organizzano in forme politiche e sociali originali. La tesi sostenuta nello Spirito delle leggi è appunto quella per cui esiste un senso per ogni istituzione, proprio in quanto essa è creata per perseguire uno scopo.
Ma non basta: anche le leggi, fondamento della vita politica, sono regolate dal medesimo spirito, che a sua volta non fa altro che estrinsecare l'identità peculiare di quell'aggregato umano che si identifica col nome di popolo. E' appunto la varietà di modi di convivenza sociale che colpisce Montesquieu nel corso dei suoi viaggi in Europa.
Non è allora opportuno esaminare la società umana nel suo complesso astratto, bensì occorre procedere analiticamente nei confronti di ogni popolo, definendo le sue peculiarità nell'ambito delle circostanze variabili in cui esso vive: il clima, ma anche l'economia, la religione e l'eventuale gerarchia sociale.

Le leggi non potranno che adattarsi al complesso dell'organismo per il quale valgono; l'attività legislativa consiste proprio nello scoprire questi nessi coerenti che insistono tra le leggi, tra queste e la costituzione, tra l'intero apparato legislativo e la vita materiale e sociale del popolo in questione. Occorre però tener presente che uno dei fattori determinanti nella formulazione delle leggi è la forma di governo che si attribuisce allo Stato: non solo le leggo procedono una dall'altra, ma tengono obbligatoriamente conto dello scheletro generale delle istituzioni statali.
D'altra parte, tuttavia, la stessa forma di governo non può prescindere dalle condizioni variabili da cui dipende lo spirito del popolo: a ciascuna forma di governo corrisponde a livello individuale e in tutte le aggregazioni umane che si sogliono chiamare "corpi intermedi" una particolare caratteristica: la democrazia avrà come principio informatore la virtù, la monarchia il senso dell'onore, mentre il dispotismo converrà a quei popoli predisposti a nutrire timore nei confronti delle istituzioni.

Affinchè la comunità statale e la società civile rappresentino un tutto armonico in grado di conservarsi senza eccessive turbolenze, è necessaria la massima integrazione tra l'identità atavica de popolo e la sua qualità caratteristica da una parte, e dall'altra la forma di governo e le leggi che da essa derivano.
Non è affatto possibile, secondo Montesquieu, cancellare o correggere questo spirito che il popolo ha acquisito nel corso di vicissitudini secolari: quando questo spirito esiste, essi è onnipotente: anche nel caso in cui la legislazione non si adatti ad esso, egualmente tale forma mentis collettiva arriverà a condizionare la condotta dei magistrati così come quella dei cittadini. Se uno Stato vuole conservarsi, occorre che tenga conto dello spirito del popolo che lo abita e ad esso si adegui.

Ricapitolando, Montesquieu vede lo Stato come un organismo che tende alla propria autoconservazione, nel quale le leggi riescono a mediare tra le diverse tendenze individuali in vista del perseguimento di un obiettivo comune.
Le leggi hanno forma diversa a seconda dell'umanità a cui devono comandare, cosicché la costruzione di un edificio coerente in cui ogni istituzione, norma e magistratura trovino una loro giustificazione nell'insieme e nello spirito che lo anima rappresenta un'impresa tanto ardua quanto affascinante: l'arte di creare una società e di organizzarla compiutamente è per Montesquieu l'arte più alta e più necessaria, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di tutte le altre arti.

Quale valore per le leggi?

Come sia arguisce da quanto sostenuto fino a questo punto, il valore delle leggi dipende, secondo Montesquieu, dalla loro conformità allo spirito che pervade lo Stato.
Evidentemente, non può esistere su queste premesse alcun criterio pratico di valutazione della legislazione di uno stato al di fuori della semplice constatazione della sua prosperità o del suo declino: se lo Stato è infatti assimilabile a un organismo, ad esso giova tutto ciò che è conforme alla sua anima, mentre porta alla sua rovina tutto ciò che ad essa non si conforma.
Il valore delle leggi non è dunque assoluto: una legge è buona o meno a seconda del suo grado di adeguatezza agli esseri per i quali essa è vincolante (o ha la pretesa di esserlo). Lo spirito umano è per Montesquieu incapace di definire quei valori assoluti ai quali, in teoria, il diritto positivo si dovrebbe uniformare:

Bisogna mettersi chiaro in testa questo principio; esso è la spugna che cancella la maggior parte dei pregiudizi. E' il flagello di tutta la filosofia antica…

(da Pensieri e frammenti inediti, cit. in B. Groethuysen, Filosofia della Rivoluzione Francese)

Si tratta del prodotto ultimo del relativismo di Montesquieu, così come esso si esprime sia nelle Lettere Persiane, in cui il pensatore ha buon gioco a sfruttare la diversa mentalità degli osservatori per smascherare i vizi e le ipocrisie della società francese del suo secolo, sia nello Spirito delle leggi, in cui si trova formulata la tesi per cui le leggi devono in ultima analisi uniformarsi allo spirito determinato dalle condizioni materiali di vita del popolo.
L'unico modo in cui è possibile accostarsi con imparzialità alle leggi per giudicarne l'operato è quello di considerarle sempre all'interno del copro legislativo a cui appartengono, studiare la loro organicità e la loro efficacia nel raggiungimento di fini non in contraddizione gli uni con gli altri. L'unica disarmonia ammessa tra le leggi è quella che si costituisce in vista di un obiettivo particolarmente importante, come la coesione sociale , la quale può essere ottenuta talora solo promulgando leggi diverse a seconda dei soggetti cui fanno riferimento. Secondo Montesquieu

Le leggi umane statuiscono sul bene, non sul meglio.[…]Di beni ne esistono molti, ma il meglio è uno solo.

(da Lo spirito delle leggi, XXVI, 2)

Il meglio non è conoscibile, né può essere tradotto in leggi applicabili nella concretezza storica.
L'unico approccio alla scienza politica è allora quello induttivo, basato sulla collazione di forme di governo specifiche di luoghi e epoche diverse, fermo restando il riferimento le variabili che hanno portato alla loro formazione e a prescindere da ogni pretesa di giudizio sulla base di principi assoluti universalmente validi.
Come non esistono leggi universalmente valide al di là degli specifici contesti applicativi, così non esistono fini ai quali uno Stato debba mirare, sia in riferimento alla cittadinanza, sia per quanto riguarda obiettivi per i quali uno Stato entri in conflitto con altri: unico oggetto degli sforzi della macchina statale deve essere l'autoconservazione, mentre altri fini possono esistere complementarmente a questo (la conquista di un impero, il commercio, la libertà individuale, etc), ma non necessariamente sono presenti né restano invariati nel corso dei secoli.

L'uomo animale socievole

Se le leggi e le forme di governo hanno valore solamente relativo, lo Stato, inteso come aggregazione politica in generale, astraendo cioè dalla sua forma specifica, possiede una sua utilità intrinseca nella misura in cui l'uomo , essere limitato e portato per natura ad errare, trova in esso un senso per la propria esistenza e attività. Mentre l'individuo isolato non persegue alcun fine significativo, lo Stato, aggregazione di molteplici individui, dà forma e contenuto alle aspirazioni dell'uomo.
L'uomo non va però a inserirsi in società precostituite in virtù di un intervento estraneo alle semplici dinamiche della storia: l'uomo crea da sé il proprio Stato, modellandolo e migliorandolo nel tempo in accordo con le proprie esigenze e parallelamente a loro eventuali variazioni. Le leggi non sono altro che prodotti della ragione umana che si adatta alle diverse situazioni naturali, umane, economiche con cui l'uomo ha a che fare nel momento in cui si aggrega con altri individui.
Non è dunque corretto vedere da parte di Montesquieu solo posizioni di rigido determinismo: l'uomo ha viceversa una parte fondamentale nel processo di modellazione delle istituzioni. Studiare la genesi e lo sviluppo di queste ultime equivale a gettare uno sguardo sulla palestra dove si mette alla prova ai massimi livelli la ragione.

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