Sono qui riprodotte le argomentazioni svolte in un articolo di Albert O. Hirschman scritto originariamente come nota per un incontro di scienziati politici latinoamericani e statunitensi dedicato a esplorare i problemi del consolidamento democratico in America Latina, svoltosi a São Paulo nel dicembre 1985. L’incontro è stato organizzato dallo scienziato politico argentino Guillermo O’Donnell, con l’appoggio dell’Helen Kellogg Institute of International Studies presso l’Università di Notre Dame, del Cebrap (un centro di scienza sociale di São Paulo), e della Fondazione Ford.
Il punto di partenza di ogni seria riflessione sulla probabilità del consolidamento democratico in America Latina sembra dover essere il pessimismo. Sotto questo profilo, la recente disintegrazione di regimi autoritari che apparivano saldamente radicati in Argentina, in Brasile e in Uruguay, e il palese vigore delle nuove correnti democratiche in questi paesi, non sono necessariamente incoraggianti. Sembra quasi che nei paesi latinoamericani più sviluppati l’intrinseca caratteristica di qualsiasi regime politico sia l’instabilità: essa affligge anche le forme politiche autoritarie.
Ricercare la causa basilare di questa instabilità ha scarso senso. La sua forza e la sua durata suggeriscono che vi sia all’opera ogni specie di fattori convergenti e interdipendenti, dalla cultura e dalla struttura sociale alla vulnerabilità economica. E è corrispondentemente futile definire "precondizioni" del consolidamento democratico: esse non servirebbero che a formulare uno schema completamente utopico per la trasformazione di tutto ciò che ha caratterizzato la realtà latino-americana, e equivarrebbe pertanto a negare quella realtà.
Una maniera particolarmente perniciosa di pensare il consolidamento della democrazia - e che contribuisce piuttosto verosimilmente a indebolirla - consiste nel definire condizioni rigorose che è indispensabile soddisfare se si vuole che la democrazia abbia qualche probabilità di successo; occorre, ad esempio, rimettere in movimento una crescita economica dinamica, migliorare la distribuzione del reddito, affermare l’autonomia nazionale, mostrare, da parte dei partiti politici, uno spirito collaborativo, comportarsi in modo responsabile da parte della stampa e degli altri media, ristrutturare le relazioni quotidiane tra gli uomini, ecc.
Può essere più costruttivo riflettere sui modi in cui la democrazia può sopravvivere e rafforzarsi di fronte a, e nonostante, un’ininterrotta serie di situazioni o sviluppi ostili sotto parecchi di questi profili.
L’inferenza che discende da tutto ciò va contro le inclinazioni profonde di buona parte del pensiero scientifico-sociale. Anziché ricercare le cause del cambiamento necessarie e sufficienti, occorre addestrarsi a spiare la comparsa di sviluppi storici inconsueti, di rare costellazioni di eventi favorevoli, di sentieri angusti, di passi in avanti parziali suscettibili di essere seguiti da altri, e così via. Occorre pensare a ciò che è possibile piuttosto che a ciò che è probabile.
* Può essere utile contemplare la possibilità di una disgiunzione tra condizioni politiche e condizioni economiche, in passato pensate come indissolubilmente legate. Dopo la distruzione delle fragili democrazie weimariana e spagnola negli anni ’30, è stato sempre considerato assiomatico che un indebolimento della salute economica sarebbe stato fatale a una democrazia che fosse nella sua infanzia. Esperienze più recenti hanno mostrato che in tempi storici diversi il vincolo è meno stretto. I nuovi regimi democratici di Spagna e Portogallo hanno finora retto eccellentemente la prova dei seri turbamenti economici seguiti al secondo shock petrolifero del 1978 e alla recessione mondiale tra 1981 e 1983. Questa recessione è stata particolarmente acuta in Brasile, provocando livelli di disoccupazione senza precedenti, in un paese in cui non vi è alcuna protezione contro tale rischio. Ciononostante, l’apertura politica avviata dal regime militare nel 1974 è proseguita indisturbata e le è succeduta l’attuale fase di "democratizzazione", durante la quale la censura è stata abolita e il potere politico gradatamente restituito a organismi e funzionari elettivi.
* E’ anzi necessario contemplare la possibilità di procedere in avanti secondo un andamento che si potrebbe definire "navigare contro il vento". Dati due obiettivi altamente desiderabili - per esempio uno Stato con istituzioni democratiche consolidate e un’economia più prospera in cui la ricchezza sia più equamente distribuita - è concepibile che una società possa, in certi periodi, avanzare in una di queste due direzioni auspicabili soltanto al prezzo di perdere terreno nell’altra. Purché alla fine il movimento si rovesci, è possibile realizzare progressi in entrambe le direzioni; solo che in un qualsiasi momento dato si può avanzare in una direzione solo al prezzo di arretrare nell’altra.
* In un paese nel quale si sperimenti una nascita, o una rinascita, della democrazia, tra i molti altri cambiamenti a un tempo desiderabili per se stessi e atti a sviluppare la democrazia, alcuni sono più facilmente conseguibili di altri. Il compito è allora quello di impegnarsi a scoprire tali differenze (invece di attenersi a una nozione preconcetta delle priorità) e di applicarsi con particolare energia a cogliere le opportunità che di volta in volta si presentano. Per effetto dei regimi oppressivi del passato recente, una reazione contro le forme politiche autoritarie e un desiderio di maggiore partecipazione sono ora vigorosi e largamente diffusi, e hanno fatto sorgere numerose nuove forme di mobilitazione e di impegno attivo. In questo orizzonte, il clima generale può favorire l’introduzione di valori democratici di tolleranza e di apertura non soltanto nel processo politico, ma anche nei comportamenti quotidiani degli individui e dei gruppi
Occorre inoltre riflettere sulla natura dei valori la cui diffusione nella società è importante ai fini del consolidamento democratico.
Lo scienziato politico dell’Università di Chicago Adam Przeworski ha sottolineato - in un articolo intitolato nella sua versione portoghese Ama l’incertezza e sarai un democratico ("Novos Estudios Cebrap", luglio 1984) - che una differenza basilare tra democrazia e autoritarismo sta nel fatto che nella prima l’incertezza circa il corso del processo decisionale politico è un tratto eminentemente democratico, giacché questo corso dipende dagli esiti, incerti, delle elezioni popolari. Naturalmente, neppure in regime autoritario la certezza circa il processo decisionale futuro è completa. Ma c’è una sicurezza molto maggiore riguardo alle specie di politiche e di orientamenti che non saranno mai adottati. Accettare l’incertezza circa la realizzazione dei propri programmi è dunque una virtù essenzialmente democratica: occorre porre la democrazia più in alto della realizzazione di programmi e riforme specifici, per quanto fondamentali possano essere giudicati ai fini dell’ulteriore progresso democratico, o economico, o di altra natura.
Perché questo "amore dell’incertezza" prenda forma, una condizione minimale è che i cittadini acquisiscano un certo grado di pazienza. Posto che esistano due partiti con posizioni diversissime su tutte le questioni importanti sul tappeto, perché la democrazia sia mantenuta dopo un’elezione, occorre che il partito sconfitto sia disposto a aspettare l’elezione successiva, anziché incominciare a preparare un colpo di forza, un movimento guerrigliero o una rivoluzione. Fatto salvo questo punto, la società può avere un’esperienza democratica pur restando spaccata in due o più campi antagonistici e senza che nessuno cambi le sue opinioni.
Secondo il politologo francese Bernard Manin, un autentico processo politico democratico implica che buona parte di coloro che vi partecipano abbiano un’opinione inizialmente male definita e alquanto incerta sulle diverse questioni di politica pubblica. Malgrado l’aria di certezza con cui i candidati annunciano le proprie posizioni, molti votanti e decisori matureranno opinioni pienamente articolate soltanto a misura che un effettivo dibattito e una prolungata deliberazione sulle questioni si svolgano entro la cornice dei processi elettorali e legislativi. Una funzione capitale di queste discussioni è quella di sviluppare nuova informazione, oltre che nuovi argomenti. E il risultato può ben essere che le posizioni finali divergano alquanto da quelle iniziali; e non soltanto per effetto di compromessi politici con le forze avversarie.
All’accettazione dell’incertezza degli esiti di Przeworski, Mani aggiunge dunque come tratto distintivo della democrazia un certo grado di incertezza da parte dei cittadini circa la via giusta da imboccare, o perlomeno circa la validità delle loro opinioni iniziali sulle diverse questioni. Quest’incertezza si risolverebbe soltanto nel corso delle deliberazioni che si svolgono entro una varietà di sedi democratiche di discussione. Manin scorge (Volonté générale ou déliberation? Esqisse d’une théorie de la déliberation politique, in "Le Débat ", n.22, gennaio 1985) in questa incertezza, nella mancata adesione a un’immutabile posizione aprioristica, e nel processo di deliberazione circa la giusta via da imboccare che ne risulta, i sostituti dell’utopico requisito rousseauiano - ai fini della legittimazione della forma di governo democratica - dell’unanimità della volontà popolare. Egli guarda pertanto all’incertezza e al processo deliberativo che ne consegue più come a un ideale cui ci si deve avvicinare, che non come a una rigida precondizione di una società democratica.
Ai fini di un’analisi della situazione latinoamericana, tali osservazioni possono essere però illuminanti. Perché un regime democratico abbia una qualche probabilità di sopravvivere, i suoi cittadini devono accettare l’incertezza riguardo agli esiti di Przeworski. Per consolidarsi, il regime ha bisogno inoltre di una certa dose dell’incertezza di Manin, ossia della consapevolezza, da parte dei cittadini, del fatto che le loro opinioni circa le giuste soluzioni sui problemi sul tappeto sono e devono essere (anteriormente a ogni dibattito democratico) in certa misura mal definite.
I recenti regimi autoritari argentino, brasiliano e uruguayano possono essere in parte spiegati come lo sbocco finale di una lotta politica in cui entrambe le specie di incertezza erano interamente assenti dalla mente dei principali attori politici. E il successivo fenomeno di rigetto di tali regimi implica probabilmente una messa in discussione di queste abitudini mentali, per quanto radicate possano essere state in passato.
Il punto di partenza di ogni seria riflessione sulla probabilità del consolidamento democratico in America Latina sembra dover essere il pessimismo. Sotto questo profilo, la recente disintegrazione di regimi autoritari che apparivano saldamente radicati in Argentina, in Brasile e in Uruguay, e il palese vigore delle nuove correnti democratiche in questi paesi, non sono necessariamente incoraggianti. Sembra quasi che nei paesi latinoamericani più sviluppati l’intrinseca caratteristica di qualsiasi regime politico sia l’instabilità: essa affligge anche le forme politiche autoritarie.
Ricercare la causa basilare di questa instabilità ha scarso senso. La sua forza e la sua durata suggeriscono che vi sia all’opera ogni specie di fattori convergenti e interdipendenti, dalla cultura e dalla struttura sociale alla vulnerabilità economica. E è corrispondentemente futile definire "precondizioni" del consolidamento democratico: esse non servirebbero che a formulare uno schema completamente utopico per la trasformazione di tutto ciò che ha caratterizzato la realtà latino-americana, e equivarrebbe pertanto a negare quella realtà.
Una maniera particolarmente perniciosa di pensare il consolidamento della democrazia - e che contribuisce piuttosto verosimilmente a indebolirla - consiste nel definire condizioni rigorose che è indispensabile soddisfare se si vuole che la democrazia abbia qualche probabilità di successo; occorre, ad esempio, rimettere in movimento una crescita economica dinamica, migliorare la distribuzione del reddito, affermare l’autonomia nazionale, mostrare, da parte dei partiti politici, uno spirito collaborativo, comportarsi in modo responsabile da parte della stampa e degli altri media, ristrutturare le relazioni quotidiane tra gli uomini, ecc.
Può essere più costruttivo riflettere sui modi in cui la democrazia può sopravvivere e rafforzarsi di fronte a, e nonostante, un’ininterrotta serie di situazioni o sviluppi ostili sotto parecchi di questi profili.
L’inferenza che discende da tutto ciò va contro le inclinazioni profonde di buona parte del pensiero scientifico-sociale. Anziché ricercare le cause del cambiamento necessarie e sufficienti, occorre addestrarsi a spiare la comparsa di sviluppi storici inconsueti, di rare costellazioni di eventi favorevoli, di sentieri angusti, di passi in avanti parziali suscettibili di essere seguiti da altri, e così via. Occorre pensare a ciò che è possibile piuttosto che a ciò che è probabile.
* Può essere utile contemplare la possibilità di una disgiunzione tra condizioni politiche e condizioni economiche, in passato pensate come indissolubilmente legate. Dopo la distruzione delle fragili democrazie weimariana e spagnola negli anni ’30, è stato sempre considerato assiomatico che un indebolimento della salute economica sarebbe stato fatale a una democrazia che fosse nella sua infanzia. Esperienze più recenti hanno mostrato che in tempi storici diversi il vincolo è meno stretto. I nuovi regimi democratici di Spagna e Portogallo hanno finora retto eccellentemente la prova dei seri turbamenti economici seguiti al secondo shock petrolifero del 1978 e alla recessione mondiale tra 1981 e 1983. Questa recessione è stata particolarmente acuta in Brasile, provocando livelli di disoccupazione senza precedenti, in un paese in cui non vi è alcuna protezione contro tale rischio. Ciononostante, l’apertura politica avviata dal regime militare nel 1974 è proseguita indisturbata e le è succeduta l’attuale fase di "democratizzazione", durante la quale la censura è stata abolita e il potere politico gradatamente restituito a organismi e funzionari elettivi.
* E’ anzi necessario contemplare la possibilità di procedere in avanti secondo un andamento che si potrebbe definire "navigare contro il vento". Dati due obiettivi altamente desiderabili - per esempio uno Stato con istituzioni democratiche consolidate e un’economia più prospera in cui la ricchezza sia più equamente distribuita - è concepibile che una società possa, in certi periodi, avanzare in una di queste due direzioni auspicabili soltanto al prezzo di perdere terreno nell’altra. Purché alla fine il movimento si rovesci, è possibile realizzare progressi in entrambe le direzioni; solo che in un qualsiasi momento dato si può avanzare in una direzione solo al prezzo di arretrare nell’altra.
* In un paese nel quale si sperimenti una nascita, o una rinascita, della democrazia, tra i molti altri cambiamenti a un tempo desiderabili per se stessi e atti a sviluppare la democrazia, alcuni sono più facilmente conseguibili di altri. Il compito è allora quello di impegnarsi a scoprire tali differenze (invece di attenersi a una nozione preconcetta delle priorità) e di applicarsi con particolare energia a cogliere le opportunità che di volta in volta si presentano. Per effetto dei regimi oppressivi del passato recente, una reazione contro le forme politiche autoritarie e un desiderio di maggiore partecipazione sono ora vigorosi e largamente diffusi, e hanno fatto sorgere numerose nuove forme di mobilitazione e di impegno attivo. In questo orizzonte, il clima generale può favorire l’introduzione di valori democratici di tolleranza e di apertura non soltanto nel processo politico, ma anche nei comportamenti quotidiani degli individui e dei gruppi
Occorre inoltre riflettere sulla natura dei valori la cui diffusione nella società è importante ai fini del consolidamento democratico.
Lo scienziato politico dell’Università di Chicago Adam Przeworski ha sottolineato - in un articolo intitolato nella sua versione portoghese Ama l’incertezza e sarai un democratico ("Novos Estudios Cebrap", luglio 1984) - che una differenza basilare tra democrazia e autoritarismo sta nel fatto che nella prima l’incertezza circa il corso del processo decisionale politico è un tratto eminentemente democratico, giacché questo corso dipende dagli esiti, incerti, delle elezioni popolari. Naturalmente, neppure in regime autoritario la certezza circa il processo decisionale futuro è completa. Ma c’è una sicurezza molto maggiore riguardo alle specie di politiche e di orientamenti che non saranno mai adottati. Accettare l’incertezza circa la realizzazione dei propri programmi è dunque una virtù essenzialmente democratica: occorre porre la democrazia più in alto della realizzazione di programmi e riforme specifici, per quanto fondamentali possano essere giudicati ai fini dell’ulteriore progresso democratico, o economico, o di altra natura.
Perché questo "amore dell’incertezza" prenda forma, una condizione minimale è che i cittadini acquisiscano un certo grado di pazienza. Posto che esistano due partiti con posizioni diversissime su tutte le questioni importanti sul tappeto, perché la democrazia sia mantenuta dopo un’elezione, occorre che il partito sconfitto sia disposto a aspettare l’elezione successiva, anziché incominciare a preparare un colpo di forza, un movimento guerrigliero o una rivoluzione. Fatto salvo questo punto, la società può avere un’esperienza democratica pur restando spaccata in due o più campi antagonistici e senza che nessuno cambi le sue opinioni.
Secondo il politologo francese Bernard Manin, un autentico processo politico democratico implica che buona parte di coloro che vi partecipano abbiano un’opinione inizialmente male definita e alquanto incerta sulle diverse questioni di politica pubblica. Malgrado l’aria di certezza con cui i candidati annunciano le proprie posizioni, molti votanti e decisori matureranno opinioni pienamente articolate soltanto a misura che un effettivo dibattito e una prolungata deliberazione sulle questioni si svolgano entro la cornice dei processi elettorali e legislativi. Una funzione capitale di queste discussioni è quella di sviluppare nuova informazione, oltre che nuovi argomenti. E il risultato può ben essere che le posizioni finali divergano alquanto da quelle iniziali; e non soltanto per effetto di compromessi politici con le forze avversarie.
All’accettazione dell’incertezza degli esiti di Przeworski, Mani aggiunge dunque come tratto distintivo della democrazia un certo grado di incertezza da parte dei cittadini circa la via giusta da imboccare, o perlomeno circa la validità delle loro opinioni iniziali sulle diverse questioni. Quest’incertezza si risolverebbe soltanto nel corso delle deliberazioni che si svolgono entro una varietà di sedi democratiche di discussione. Manin scorge (Volonté générale ou déliberation? Esqisse d’une théorie de la déliberation politique, in "Le Débat ", n.22, gennaio 1985) in questa incertezza, nella mancata adesione a un’immutabile posizione aprioristica, e nel processo di deliberazione circa la giusta via da imboccare che ne risulta, i sostituti dell’utopico requisito rousseauiano - ai fini della legittimazione della forma di governo democratica - dell’unanimità della volontà popolare. Egli guarda pertanto all’incertezza e al processo deliberativo che ne consegue più come a un ideale cui ci si deve avvicinare, che non come a una rigida precondizione di una società democratica.
Ai fini di un’analisi della situazione latinoamericana, tali osservazioni possono essere però illuminanti. Perché un regime democratico abbia una qualche probabilità di sopravvivere, i suoi cittadini devono accettare l’incertezza riguardo agli esiti di Przeworski. Per consolidarsi, il regime ha bisogno inoltre di una certa dose dell’incertezza di Manin, ossia della consapevolezza, da parte dei cittadini, del fatto che le loro opinioni circa le giuste soluzioni sui problemi sul tappeto sono e devono essere (anteriormente a ogni dibattito democratico) in certa misura mal definite.
I recenti regimi autoritari argentino, brasiliano e uruguayano possono essere in parte spiegati come lo sbocco finale di una lotta politica in cui entrambe le specie di incertezza erano interamente assenti dalla mente dei principali attori politici. E il successivo fenomeno di rigetto di tali regimi implica probabilmente una messa in discussione di queste abitudini mentali, per quanto radicate possano essere state in passato.
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