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domenica 13 marzo 2011

America Latina. Dall'autoritarismo alla democrazia.


In America Latina, il processo di democratizzazione è il fatto più caratterizzante degli anni Ottanta, così come la fine dei regimi populisti caratterizzò gli anni Cinquanta, l'obiettivo rivoluzionario e la guerriglia gli anni Sessanta, l'autoritarismo e i regimi militari, espressioni dell'ideologia della "sicurezza nazionale" gli anni Settanta. Dal 1980 a oggi, la maggior parte dei paesi ha mutato forma di governo, abbattendo i regimi autoritari; in realtà non si può parlare per tutti questi paesi propriamente di riconquistata democrazia. La situazione di El Salvador e quella di Haiti dimostrano che la fine dei regimi autoritari o di brutali dittature non comporta sic et simpliciter la riconquista del sistema democratico. La fine di un regime autoritario, come sostiene O'Donnell, "non porta necessariamente a una stabilizzazione minima della democrazia politica". Come ha dimostrato l'esperienza argentina degli anni Settanta, "si possono generare repressioni che accentuano le caratteristiche dell'autoritarismo precedente". Ma non vi è dubbio che un intero ciclo si è chiuso. La fragilità dei nuovi regimi tuttavia non consente di riferirsi a questi paesi come a democrazie consolidate.
Il fallimento dei regimi militari che hanno caratterizzato l'intera decade degli anni Settanta è evidente, non solo per il fatto che sono crollati l'uno dopo l'altro come un castello di sabbia, ma soprattutto perché tutti i problemi che tali regimi si proponevano di risolvere, come propria missione storica, sono rimasti insoluti e in alcuni casi si sono perfino aggravati; il fallimento si riscontra inoltre nell'incapacità di creare forme di egemonia che fossero fondate sul consenso sociale. La successiva crisi economica, con la recessione e gli alti livelli di disoccupazione, l'accresciuta dipendenza dall'estero, la generale consapevolezza, sorretta da numerose ricerche, che i tassi di povertà sono ulteriormente aumentati, con la conseguente disintegrazione sociale che tutto ciò ha provocato, dimostrano con estrema eloquenza la dimensione di questo fallimento. Gli stessi tentativi di modernizzazione delle strutture economiche e sociali non hanno avuto obiettivi di generalizzazione, provocando con ciò un forte incremento delle disuguaglianze e ulteriori forme di dualità interna. I regimi militari in sostanza sono falliti anche in quanto "progetti nazionali".
Tuttavia la presenza politico-istituzionale di questi regimi ha prodotto conseguenze di notevole importanza nelle società latino-americane, sia sul piano istituzionale e del sistema politico, sia sul piano delle trasformazioni sociali. Ciononostante, si allarga la consapevolezza che i regimi militari hanno introdotto modifiche tali da imporre alle organizzazioni politiche e sociali una incisiva riflessione sul ruolo dello Stato e dei partiti politici, sui meccanismi di rappresentanza, sui rapporti tra Stato e società civile, sulla stessa forma della politica.
A causa della profonda natura repressiva di questi regimi militari, che ha ostacolato o comunque impedito le normali forme di mediazione politico-partitica, mentre lo stesso progetto di trasformazione comportava la formazione di vaste aree di marginalità sociale, l'espressione politica durante il periodo autoritario ha visto l'emergenza di nuovi soggetti collettivi che hanno posto ai normali strumenti di mediazione politica l'esigenza di una maggiore articolazione degli stessi soggetti ma anche di una maggiore autonomia per la società civile. I movimenti sociali in effetti sono uno degli aspetti di maggiore novità nella fase di transizione democratica.

I punti cardine della trasformazione democratica
Il consolidamento della democrazia appare come una difficile sfida laddove i fattori contrari al suo sviluppo, quali le vecchie forme della politica, la crisi economica, il ruolo talvolta destabilizzante dei movimenti sociali, sono sempre in agguato pronti a manifestarsi e a crescere.
* Il primo fattore è quello di una profonda rivisitazione della politica, dei suoi valori, della sua struttura, delle sue anomalie. Trovare nuove regole del gioco dove la democrazia sia non solo la caratteristica della forma di governo, ma un metodo che si diffonde nel sociale e regola i rapporti tra i vari soggetti espressioni della società civile è il compito storico che assilla le nuove democrazie. Sulle recenti democrazie confluiranno con una carica dirompente nuove domande e tante pressioni non di rado di natura centripeta. Alle nuove domande sui problemi di gestione del territorio si aggiunge il bisogno di regolare diversamente il rapporto tra Stato, partiti e società civile; in particolare si avverte il bisogno di non assolutizzare come nel passato il momento della mediazione attraverso la monotona logica dei partiti (Cile, Uruguay) o, peggio ancora, dello Stato (Brasile e in parte Argentina).
* Il secondo fattore è quello più visibile nella realtà latino-americana e appare come una delle più pesanti eredità dei regimi militari: la crisi economica. La disoccupazione, l'inflazione, il debito con l'estero sono solo alcune dimensioni, sia pure macroscopiche, della crisi. Per i governi democratici la sfida è rappresentata dalla necessità di far coincidere la democrazia con lo sviluppo economico e quindi dal ripensamento del modello di sviluppo e di organizzazione sociale dominante negli ultimi anni dell'autoritarismo.
* Il terzo fattore è quello che riguarda più specificamente il ruolo dei movimenti sociali e in particolare del movimento sindacale. Per quanto riguarda quest'ultimo non c'è dubbio che il consolidamento democratico dipenderà anche dalla forma che assumerà l'azione rivendicativa e conflittuale. In alcuni paesi il sindacalismo è impegnato nel rafforzamento degli istituti democratici, adeguando rivendicazione congiunturale e strategia a tale obiettivo. In diversi paesi tuttavia il sindacalismo è un elemento dirompente di instabilità democratica.
Forse più che a qualsiasi altro attore sociale, questa fase di transizione democratica pone al
movimento sindacale notevoli difficoltà. Il decennio precedente ha visto ovunque un forte arretramento delle condizioni di lavoro. Le strategie neoliberistiche si sono fatte sentire anche nei paesi che non hanno subito il dominio dei regimi militari. La privatizzazione dei sistemi sanitari, della previdenza sociale, l'intensificazione dei ritmi e degli orari di lavoro, le radicali trasformazioni del salario e dei diritti negoziali sono alcuni esempi di cambiamenti peggiorativi in tutto il sistema dei rapporti di lavoro.
Ma vi è una ulteriore minaccia alla costituzione del nuovo ordine, e si tratta della cultura antidemocratica che esiste nelle forze armate e in parte delle classi dirigenti capitalistiche. Le forze armate, pur nella debolezza che attraversano nella fase di transizione democratica, conservano interamente la propria forza e autonomia gerarchica e organizzativa. La cultura delle forze armate, fondata sulla sfiducia nelle forme di rappresentanza politica, sul rifiuto del conflitto, sulla convinzione di essere l'unico "supporto morale e spirituale della nazionalità", si è conservata pressoché inalterata fino a qualche anno fa anche perché sorretta da prussiani sistemi di gerarchizzazione e di disciplina assai radicati e dalla dipendenza dal sistema militare "emisferico" egemonizzato dagli Stati Uniti e mantiene strascichi significativi in praticamente tutti i paesi latino-americani. Da parte loro, le classi capitalistiche hanno una storica inclinazione verso le forme politiche autoritarie come principale meccanismo di tutela dei propri interessi. E' vero che non sempre questi settori privilegiano il potere militare, ma vi ricorrono ogniqualvolta la propria capacità di egemonia viene messa in discussione.
Il consolidamento della democrazia deve fare i conti con i segni profondi lasciati dal decennio autoritario. Il germe autoritario si è sparso non solo nella strutture istituzionali, ma è penetrato profondamente nel tessuto sociale e culturale della società latino-americana. A questo proposito ci sono due premesse sulle quali c'è una notevole convergenza: la prima è che, se l'autoritarismo ha messo radici anche nella consapevolezza della gente e nella società civile, ciò è dovuto alla presenza di valori storici di natura autoritaria nella stessa cultura latino-americana. L'importanza degli eroi dell'indipendenza, prevalentemente militari, la lunga sequela di governi e asonadas militari, la proiezione anche nella vita civile di valori e gerarchie castrenses, dal ciaciquismo al patrimonialismo, al populismo, dimostrano che il fenomeno dell'autoritarismo è cresciuto in un humus già per certi aspetti consolidato e fecondo. La seconda premessa è quella che vede l'apertura del nuovo ciclo democratico non come ritorno alle situazioni precedenti l'irruzione dei regimi autoritari, né come un semplice cambiamento di regime o come un normale trapasso di consegna tra governi di natura diversa. Il periodo dell'autoritarismo è visto non come una parentesi della vita istituzionale e sociale del subcontinente, ma come un fenomeno complesso che richiede di ripensare e di rivedere il modo stesso di pensare la politica, il rapporto tra società civile e istituzioni, l'azione rivendicativa e le forme della conflittualità tra le organizzazioni degli interessi.
Ciò che caratterizza l'azione politica in America latina è la sua condizione di "ultima spiaggia": ogni scontro politico diviene decisivo per la sopravvivenza di ciascun attore. Una forte carica ideale, con toni messianici e utopistici, ha da sempre caratterizzato l'azione politica in tutte le sue forme. La sinistra in particolare, ma anche la destra e il centro politico, hanno sovraccaricato la politica di progetti "totalizzanti", spesso con connotati religiosi o comunque sacralizzanti. L'utopia è diventata la forma politica del progetto. Essa penetra nel presente e condiziona i comportamenti quotidiani. Si perde la dimensione del futuro e ogni programma (quando esiste in modo strutturato) si carica di un passato intriso di risentimento e di un presente che incorpora il futuro, sia pure idealizzato. In questo modo il presente viene dimezzato dall'ideologia. La lotta politica diventa così una crociata. Non concependo la politica come spazio di negoziazione, essa è diventata luogo di scontro di identità antagoniste radicalmente differenti, dove ciascuna si sente minacciata dai principi costitutivi dell'altra. Forse per questo, più che altrove, in America latina il linguaggio della politica assomiglia tanto a quello della guerra: le avanguardie, le armi, l'attacco, le battaglie, i combattenti, le conquiste, le vittorie, le sconfitte...
Il rifiuto di questa concezione della politica è l'aspetto innovativo più interessante del processo di democratizzazione in atto. Intendere la politica come spazio di negoziazione, spogliandola dall'utopia e dall'idealizzazione nel rispetto di regole e procedure accettate da tutti, è l'obiettivo sul quale maggiormente si insiste. La politica viene intesa ora come forma di mediazione delle domande sociali.
Il tema della democrazia sta affascinando importanti gruppi di intellettuali e è l'argomento più dibattuto nel mondo politico latino-americano. L'idea della democrazia è fortemente rivendicata dal centro politico, ma anche dalle aree progressiste, compresi quei settori che in passato erano inclini a farlo con interesse strumentale.
La fragilità dell'idea democratica, nelle classi politiche ma anche nella società civile, deriva probabilmente dall'itinerario storico che ha visto la società latino-americana passare dall'egemonia dei caudillos della post-indipendenza a quella dei leaders patrimonialisti e populisti, a quella di un'oligarchia autoritaria e culturalmente arretrata. L'imposizione dei regimi di fatto (talvolta determinata dall'esterno) si è appoggiata su questo humus storico-sociale. Il decennio autoritario degli anni Settanta ha comportato la perdita dei diritti e delle libertà essenziali: soppressione dei regimi costituzionali, delle libere elezioni, dei partiti e dei sindacati, della libera facoltà di associazione, di riunione, di sciopero. L'esclusione dal sistema politico di vasti settori sociali e la repressione di massa non ha colpito solo i nuclei dirigenti dei partiti e delle associazioni, ma anche i semplici cittadini e le loro famiglie. L'ulteriore concentrazione della ricchezza e la crescita dei livelli di povertà e emarginazione sociale sono primati negativi che i regimi militari non possono nascondere. Sono questi stessi regimi e i loro progetti storici che pongono la democrazia come un imperativo etico, provocando la rivalutazione del sistema democratico tout court.
Le dittature hanno accresciuto l'eterogeneità e la frammentazione sociale. I tentativi di modernizzazione non hanno fatto che allargare le disuguaglianze tra i cosiddetti settori dinamici e quelli tradizionali. Le trasformazioni dei regimi autoritari dunque hanno innescato forti meccanismi reattivi, sostanzialmente di due generi. Il primo è quello che pone l'accento sulla conquista (per altri "riconquista") della democrazia. Il secondo invece accentua i valori riduzionisti e dogmatici, ricercando con modelli totalizzanti la ricomposizione sociale come risposta alle ideologie totalizzanti egemoni nel decennio dell'autoritarismo.
Il dibattito sulla democrazia non è disgiunto a quello della trasformazioni della politica. La democrazia che oggi si rivendica parte dal rifiuto dell'idea centrale sostenuta dai movimenti e partiti progressisti latino-americani negli anni passati e cioè che la garanzia per ogni sistema democratico stia nell'accentramento del massimo della forza nello Stato e nelle sue istituzioni. Il mondo progressista subcontinentale ha sempre visto lo Stato come l'unico soggetto capace di giustizia e (attraverso l'assecondamento delle strategie redistributive) di accelerare le spinte egualitarie. La democrazia rivendicata oggi è velatamente antistatalista. Si progetta un sistema politico che non veda lo Stato come il soggetto principale della politica. Si pone invece l'accento sulla società civile e sulle sue articolazioni democratiche; su uno Stato insomma che non soggioghi ma renda la società civile più idonea all'esercizio di un maggiore potere politico. In questo senso le strategie di ciò che è stato definito la socializzazione del potere, cioè l'estensione delle forme di autogoverno, propongono la massima politicizzazione della società civile come un meccanismo teso a allargare gli spazi di partecipazione e quindi di democrazia. Si rovescia dunque lo schema che vedeva il primato dell'economia: adesso è la politica che, attraverso il consolidamento della democrazia, accresce il numero dei suoi attori e rafforza altresì il pluralismo delle istituzioni. Prima la democrazia è stata pensata a partire dalla crescita economica, poi ci si è resi conto che tale associazione non è necessaria. Ciò che oggi si chiede è di invertire l'ordine dei problemi: immaginare prima quale forma di sviluppo favorisca la democrazia e in seguito qual è quella che la distrugge.
Altro aspetto assai dibattuto è quello della non coincidenza tra spazio politico e spazio sociale. Le domande di autonomia del sociale nei confronti dello Stato, ma anche dei partiti politici, rivelarono presto il desiderio di una pluralità di istituti. In alcuni paesi (Cile, Perù, Bolivia, Brasile, Uruguay, ecc.) si pone l'accento sui valori democratici di cui sono portatori i nuovi movimenti sociali, specie se esercitano quell'autonomia che consente loro di diventare veri soggetti politici.
Un ulteriore aspetto del dibattito sul consolidamento della democrazia è quello della rimozione dei vincoli di esclusione che penalizzavano fortemente in particolare i movimenti sociali; il problema che si pone al consolidamento democratico è quello della formazione degli attori politici capaci di rendere più stabili gli istituti democratici e di garantire al tempo stesso partecipazione e controllo.
Collegato al problema della formazione degli attori e delle forma della decisione politica è emerso con veemenza in America latina, anche laddove la dittatura non c'è stata, il problema della concertazione sociale. Numerosi settori intellettuali e gruppi politici hanno trovato nei meccanismi concertativi un nuovo modo di intendere e di fare politica. L'avversario non è più il nemico e la politica torna così al suo normale spazio negoziale.
Occorre tenere presente inoltre il dibattito sui problemi della democrazia all'interno del mondo progressista, in particolare della sinistra marxista. L'altra risposta alle trasformazioni provocate dai regimi militari è quella riduzionistica e dogmatica, che con una visione altrettanto totalizzante si propone la ricomposizione del processo sociale ricalcando in modo drastico l'agire politico precedente a quello della frammentazione del decennio autoritario. Ma questa è solo una delle risposte (e peraltro assai minoritaria) esistenti all'interno delle sinistre. In importanti settori progressisti si avverte, oltre che un rifiuto degli aspetti più deteriori quali la violenza, una rivalutazione della democrazia come sistema politico. Certo fenomeni come Sendero luminoso, la guerriglia colombiana e qualche altra limitata esperienza rappresentano più l'eccezione che la regola. Diverso è il fenomeno cileno del Frente Manuel Rodriguez che ha ricalcato le forme della politica assunte negli anni Settanta da numerosi partiti comunisti, e cioè quella della doppia via, della ricerca del proprio riconoscimento istituzionale con strumenti di lotta armata, di propaganda armata o di rebelión popular; il partito comunista cileno fornisce anche l'esempio storico di una adesione al sistema democratico fondamentalmente di carattere strumentale, a causa della maggiori possibilità, in un contesto del genere, di accentuare le strategie rivendicative, anche radicali, poste in essere in precedenza. Benché l'adesione strumentale al sistema democratico non sia stata superata, in particolare dai partiti comunisti e da alcune frange della sinistra più radicale, la sinistra latino-americana e specie quella marxista vive un momento di profonda crisi culturale e di identità storica.
Soprattutto l'inadeguatezza teorica e pratica nei confronti della società civile, che proprio nel periodo autoritario si è costruita nuovi e originali sistemi di rappresentanza, fa risaltare con maggiore evidenza la crisi del marxismo latino-americano. L'impatto dell'autoritarismo sui sistemi politici e la crescita di autonomia nella società civile hanno posto all'ordine del giorno la riflessione sul ruolo, lo spazio, la natura dei partiti politici e sul loro rapporto con lo Stato. Il consolidamento della democrazia vede quindi il problema del ripensamento della politica come una questione centrale.
Le democrazie del passato in gran parte sono caratterizzate da una sorta di doppia separatezza. Da una parte quella esistente tra lotte sociali e istituzioni democratiche, dove l'asse portante delle strategie politiche era la rottura del vecchio ordine oppure la sua immutata conservazione. Il conflitto quindi era facilmente trasportato fuori dagli strumenti mediatori istituzionali, trasformandosi in violenza sociale e violenza politica. Dall'altra quella tra progresso sociale e istituzioni democratiche. Non sempre lo sviluppo economico è stato associato alla democrazia politica. Ripensare la politica oggi in America latina oggi comporta quindi una serie di gravosi compiti e soprattutto è necessario rompere lo schizofrenico comportamento che si fonda sul tradizionale discorso ideologico antisistema e sulla consueta, ma debole, pratica di riaffermazione del sistema stesso messo in discussione.

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