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mercoledì 9 marzo 2011

Le origini della crisi: la sfida al parlamentarismo

Il ruolo della prima guerra mondiale

La prima guerra mondiale non fu l’origine della crisi del parlamentarismo; essa di certo non favorì questo regime, anche se ne assicurò l’apparente trionfo sulle monarchie degli imperi centrali: una guerra esige la sospensione di attività parlamentari, incapaci di garantire la rapidità, la segretezza e l’efficacia richieste; inoltre il concetto stesso di guerra implica la sottomissione del più debole con la forza, opponendosi ai principi basilari della democrazia parlamentare che garantiscono la tutela delle minoranze, la loro libertà di espressione e il dialogo con la maggioranza; infine le sofferenze della guerra e l’incontro tra le classi sociali che essa produce, nonché la terribile uguaglianza di tutti di fronte alla morte generano una forte spinta di estrema sinistra accrescendo così al forza di partiti che si oppongono al regime parlamentare. Le vittorie elettorali dei socialisti nel 1919-20 e dei comunisti nel 1945-46 sono la testimonianza più evidente. La guerra contribuì ad accelerare la crisi, ma non la determinò; essa era già in atto dai primi anni del secolo, di pari passo con l’ingresso nella vita politica delle masse popolari e con altri elementi di carattere nazionale e generale, pur con un ruolo di secondo piano.

Il carattere borghese del regime parlamentare

La democrazia parlamentare è essenzialmente un regime borghese e l’indebolimento di questa classe ne costituisce perciò il fattore essenziale di crisi. Le monarchie di diritto divino trovavano riscontro nello strapotere aristocratico, le monarchie costituzionali riflettevano invece un equilibrio relativo tra aristocrazia in declino e borghesia in ascesa, l’annullamento del re a vantaggio dei ministri nominati dall’assemblea in un regime parlamentare è il riflesso del trionfo borghese. In effetti la realtà è più complessa dal momento che le lotte tra aristocrazia e borghesia proseguirono anche all’interno di regimi parlamentari sotto forma di lotta tra partiti, liberali e conservatori, o di rivalità tra le due Camere del Parlamento: il bicameralismo, spesso ritenuto lo strumento perfetto di una democrazia parlamentare, rappresenta invece piuttosto un residuo della struttura sociale precedente. In tale prospettiva si spiegano sia l’indebolimento progressivo della Camera Alta all’inizio del secolo (Gran Bretagna e Francia), sia la sua scomparsa (Scandinavia), sia , ancora , la sua trasformazione in senso più democratico (Italia, Belgio). Del resto anche i termini aristocrazia e borghesia sono molto vaghi e rischiano di dare conto solo in maniera superficiale della complessità del tessuto sociale dove sussistono, in realtà, varie borghesie e varie aristocrazie.

La connotazione borghese del parlamentarismo implica che esso si appoggi a una classe politica ristretta: la sua epoca d’oro coincide infatti con quella del suffragio ristretto (la Gran Bretagna, raggiungerà il suffragio universale solo nel 1918, l’Italia nel 1912); solo in Francia il suffragio universale esisteva fin dal 1848, ma durante i primi vent’anni della Terza Repubblica i partiti operai furono impotenti perché il fallimento della Comune parigina nel 1870 aveva distrutto i loro quadri e pertanto ogni mezzo di azione politica rimaneva saldamente nelle mani della borghesia. Il suffragio universale finisce per essere dunque solo uno pseudosuffragio dal momento che molti elettori non possono votare con cognizione di causa. Il parlamento non è tuttavia borghese solo per i suoi elettori, che sono tali in base al censo, ma anche per i suoi quadri politici composti da notabili, ovvero dalle élites espresse dalla borghesia stessa: banchieri, industriali, uomini d’affari a destra, notai, procuratori, medici, avvocati a sinistra. I partiti non sono di massa, ma si configurano piuttosto come clubs in cui si riuniscono periodicamente i notabili.
Le caratteristiche di uniformità sociale di tali pseudo-partiti si riflettono sull’ideologia stessa del parlamentarismo che è decisamente borghese: liberalismo economico, individualismo, rispetto della proprietà, libertà concepita sotto il solo aspetto politico e supremazia della parola propria di una concezione borghese dei rapporti umani che prevede un’azione sugli uomini con la parola piuttosto che, come un operaio o un contadino, un’azione sulle cose con una pressione materiale.

L’irruzione delle masse popolari sulla scena politica

La fragile costruzione borghese del regime parlamentare è stata sconvolta dall’irrompere delle masse popolari, termine che indica soprattutto il proletariato operaio. I contadini, infatti, si accostano piuttosto alla borghesia dal momento che i contadini medi o agiati costituiscono un ponte tra essa e gli agricoltori più poveri. Nei paesi europei prima del 1914 la piccola e media proprietà occupa un posto di rilievo, il che assicura la preponderanza di tale borghesia agricola sul mondo agricolo; classe operaia e borghesia sono invece divise da una barriera netta. Inoltre parte del mondo contadino era già integrato nel paese legale censuario, al contrario le masse proletarie entrarono bruscamente nella vita politica con il suffragio universale. Infine la vita del mondo contadino, la sua economia semichiusa, l’attaccamento alle tradizioni, conducono i suoi appartenenti a accettare i quadri politici borghesi. Il proletariato è invece una massa senza radici, disumanizzata, isolata e opposta alla borghesia non solo economicamente, ma anche politicamente: priva del diritto di voto o della possibilità di esercitarlo efficacemente, si sente governata da altri. Tra il 1900 e il 1914 si innesca un processo che, se non muterà lo sfruttamento economico del proletariato, tuttavia gli consentirà di ottenere parte del potere politico: in sostanza la distinzione su cui si basa il regime parlamentare tra un paese legale censuario e borghese, che assicura la funzionalità delle istituzioni, e un paese reale, privo di prerogative politiche, si disgrega. Due sono i fatti determinanti: l’avvento del suffragio universale e la formazione dei partiti socialisti. Il primo, ponendo la borghesia in una situazione di minoranza, distrugge la fonte del suo potere; la seconda farà in modo che il diritto acquisito non resti solo teorico offrendo al proletariato educazione politica e facendo sorgere quadri politici operai che consentono al proletariato di votare per suoi autentici rappresentanti.

Tale trasformazione si concretizzerà in modo duplice: un cambiamento di dimensione e un cambiamento di spirito. Le istituzioni abituate a una classe politica poco numerosa, a legami personali elettore-candidato, a questioni relativamente semplici da risolvere vengono messe di fronte ai partiti di massa, e a nuovi problemi; inoltre il sistema si basava sul tacito accordo non soltanto sul valore del regime parlamentare, ma anche sui suoi orientamenti: ora la regola del gioco non è più riconosciuta da tutte le componenti, alcune delle quali non lottano all’interno del regime, ma contro di esso, e se accettano la gara elettorale lo fanno solo a titolo provvisorio. Il fragile equilibrio e i compromessi basilari nel regime parlamentare vengono meno per una necessaria evoluzione in senso democratico.

La crisi nei sistemi parlamentari nati dopo il 1919

Nei sistemi parlamentari dell’Europa orientale nati dopo il primo conflitto mondiale la crisi fu determinata non tanto dall’invecchiamento del sistema dovuto alla perdita del monopolio politico da parte della borghesia, quanto, piuttosto, dall’immaturità della borghesia stessa, ancora debole mentre il dominio rimaneva aristocratico. Il suffragio universale non poteva modificare la situazione poiché il voto veniva così concesso a una massa di contadini ignoranti e arretrati, fortemente inquadrati dai feudatari verso cui finivano per indirizzarsi i loro voti. Se in un caso, dunque, il sistema parlamentare non funzionava bene perchè la borghesia stava perdendo potere politico, nell’altro tale potere non era ancora stato da essa conquistato, ma il risultato era identico dal momento che il sistema risultava privato della sua naturale infrastruttura.

La trasformazione economica

Dal 1919 gli stati che non adottano un sistema economico sovietico si evolvono verso un semi-interventismo statale. Certamente la necessità di far funzionare durante il conflitto un’economia di guerra, quindi un’economia controllata, promuove tale trasformazione precipitando la fase finale del capitalismo, ma essa si sarebbe realizzata comunque e in tal senso l’influenza della grave crisi economica degli anni ‘30 è stata certo più determinante della guerra.
Economia controllata significa, nella vita politica, ingresso dei tecnici: i problemi di governo si fanno necessariamente più complessi, troppo per essere risolti solo sulla base del buon senso da chiunque abbia un minimo livello di cultura generale; essi si pongono spesso in termini scientifici che richiedono l’intervento di esperti, diminuendo l’importanza dei dibattiti. Il parlamento non è più centro di decisione, discute, ma non governa più. Anche tale elemento di crisi non è indipendente dall’ingresso nelle vita politica delle masse operaie che in un primo momento ha provocato perlopiù misure sociali a favore dei nuovi elettori, mentre in seguito risultò chiaro che il dirigismo sociale non poteva essere disgiunto dal dirigismo economico; d’altra parte la masse operaie erano ostili al liberismo e favorevoli a forme di socialismo.

Il problema della legittimità del sistema parlamentare

Un regime politico si definisce legittimo se è conforme all’opinione della gran massa dei cittadini. Certo la legittimità del parlamentarismo non è mai stata accettata in modo unanime: per lungo tempo parte dell’antica legittimità monarchica sopravvisse in certa parte dell’opinione pubblica, ma si trattava di settori anacronistici, lontani dal flusso della potenza materiale e ideologica. Ben diversa è la carica destabilizzante del proletariato per la cui azione il parlamentarismo non era messo in discussione in nome di un vecchio regime, ma sulla base di un’analisi spietata di quello esistente e sulla speranza di un regime futuro idealizzato: la speranza messianica è più forte della fedeltà a un ricordo. La diffidenza verso i deputati mostrata all’interno del partito, il mito dello sciopero generale, l’ideologia rivoluzionaria, il divieto di partecipazione a coalizioni con partiti borghesi, l’adesione al marxismo, le lotte operaie contro la polizia governativa mostrano chiaramente l’opposizione al regime. Paradossalmente la messa sotto accusa, da parte dei movimenti operai, della legittimità del parlamentarismo provoca una posizione simmetrica anche da parte della borghesia, che reagisce alla dinamicità di certi movimenti operai staccandosi essa stessa dal parlamentarismo e rivolgendosi a mezzi più efficaci per proteggere i propri interessi: anche da tale esigenza sorgerà il fascismo. Già negli anni ’20 la paura dei bolscevichi, visto il loro potere ormai affermato in Russia, e l’esempio italiano provocheranno una prima ondata in tale direzione, poi, negli anni ‘30, dopo l’avvento di Hitler, i movimenti fascisti si diffonderanno in tutta l’Europa: la collaborazione con l’occupante in molti paesi europei nel corso del secondo conflitto mondiale dimostra la forza di tali tendenze.

L’introduzione del sistema proporzionale

L’adozione della rappresentanza proporzionale fu uno dei più gravi errori commessi nell’assetto dei regimi parlamentari. Stabilita nel 1899 in Belgio e nel 1909 in Svezia , essa si estese con la prima guerra mondiale a tutto il continente esclusa la Francia che, dopo l’introduzione di un sistema misto, tornò al maggioritario nel 1928. La rappresentanza proporzionale ha il grande difetto di non porre alcun ostacolo alla proliferazione dei partiti politici, mentre lo scrutinio maggioritario tende a coagularli in due grandi blocchi. Le maggioranze governative si costituiscono e si mantengono con difficoltà aggravando l’instabilità e l’impotenza dei governi, già punto debole del parlamentarismo; inoltre il sistema proporzionale è molto sensibile alle infatuazioni passionali dell’opinione pubblica che la gettano nelle mani di un uomo, pericolo grave soprattutto in paesi dove destra e centro-destra sono deboli e disorganizzati e si disperdono all’interno di numerosissime formazioni senza prestigio producendo la tendenza a raggrupparsi attorno a una personalità forte. Se difficilmente si può attribuire la responsabilità dell’affermarsi del fascismo al sistema proporzionale, in uso ancora da troppo poco tempo, il peso di questo fattore è innegabile nel caso del nazionalsocialismo. A tale sensibilità corrisponde, d’altro canto, in momenti normali, una tendenza all’immobilismo che cristallizza le posizioni elettorali dei partiti; tuttavia, in tal caso bisogna, distinguere i vecchi paesi parlamentari dai "convertiti" del 1919 che presentano effetti diametralmente opposti. In un giovane Stato, con un’opinione pubblica ancora malformata, senza tempo per costituire tradizioni politiche, i voti variano molto da uno scrutinio all’altro, dunque l’instabilità ministeriale si complica a causa dell’instabilità politica. Al contrario dove la democrazia è piuttosto antica l’opinione pubblica è solitamente stabile, pertanto la ripartizione dei seggi varia poco da uno scrutinio a quello successivo con legislature che si susseguono praticamente senza variazioni. Tale stabilità parlamentare provoca però, paradossalmente, un’instabilità ministeriale ancora più grave poiché, mentre nel maggioritario chi ha avuto la maggioranza forma il governo, nel proporzionale nella maggior parte dei casi nessuno avrà ottenuto la maggioranza e pertanto la maggioranza governativa sarà un puro gioco parlamentare senza possibilità di intervento per l’elettore.

La preponderanza del Parlamento sull’esecutivo

Il regime parlamentare suppone essenzialmente una sorta di contratto tra la maggioranza delle Camere e il governo che ne deriva: quest’ultimo governa sotto il controllo della prima. Tuttavia le assemblee parlamentari hanno sempre la tendenza a superare il ruolo di controllo per sostituirsi progressivamente al governo. In molti regimi formatisi dopo il 1919 la preponderanza assembleare era voluta dai costituenti stessi per la diffidenza verso i governi troppo forti, al potere prima del 1914, e per timore di vederli rinascere; in tal modo si indeboliva ulteriormente, tuttavia, il tessuto politico delle giovani nazioni dove l’autorità governativa necessitava di saldezza. Tale tendenza si affermò tuttavia anche nei paesi di tradizionale parlamentarismo, non sancita costituzionalmente, ma nell’evoluzione dei fatti, in parte per l’impossibilità di costituire una maggioranza governativa, con la conseguente instabilità ministeriale, in parte per il diffondersi dei partiti socialisti che rovesciarono i tradizionali equilibri rendendo più difficile il costituirsi di maggioranze stabili, in parte per l’accrescersi del senso democratico, anche per effetto del suffragio universale. Tuttavia i parlamenti hanno cercato di sostituirsi ai governi proprio nel momento in cui l’evoluzione economica e politica rendeva le assemblee sempre meno in grado di esercitare la direzione dello Stato, con il risultato di indebolire ulteriormente l’autorità politica. Di fronte all’impotenza del parlamentarismo nacquero forme più o meno dittatoriali che ne aggravarono la crisi.

I fattori nazionali

Nell’Europa centrale, specie in Jugoslavia e Cecoslovacchia, le rivalità nazionali hanno contribuito notevolmente ad indebolire il sistema politico: in Austria esse presero l’aspetto della rivendicazione di unificazione con la Germania, ma dovunque divisioni politiche per gruppi etnici si sovrapposero a divisioni politiche per classi sociali e ideologie di governo moltiplicando ulteriormente i partiti e rendendo ancor più difficoltosa la formazione di maggioranze stabili. Anche alcuni paesi dell’Europa occidentale hanno subito difficoltà nazionaliste, l’esempio più evidente è quello del Belgio. Dopo il 1914 il movimento fiammingo ebbe un grande sviluppo, provocando di conseguenza la crescita di un movimento vallone. I fiamminghi più estremisti inclinarono ben presto al fascismo, ma all’interno di ogni partito politico si manifestò costantemente la rivalità tra fiamminghi e valloni, specie in seno al partito cattolico, dove culminò, nel 1939, in una vera scissione che si ricompose solo nel 1945, ma il partito è ancora oggi organizzato in due ali distinte aventi ciascuna pari rappresentanza nelle istanze comuni.
Anche i diversi gradi di coscienza civile in ciascuno dei paesi condizionano il sistema parlamentare che ha sempre funzionato meglio nei paesi nordici e protestanti, più disciplinati, che nei paesi latini e cattolici, più anarcoidi; ma più ancora sembrano aver avuto un ruolo determinante lo stato d’animo e l’organizzazione della destra: in Italia, Francia e Germania la destra è sempre stata divisa in vari partiti, poco organizzati e instabili, che riflettevano la scarsa fiducia di aristocrazia e borghesia nei confronti del regime. Tale situazione ha reso praticamente impossibile il costituirsi di maggioranze di destra o centro-destra contribuendo all’instabilità ministeriale e d’altra parte un vasto settore d’opinione è rimasto sostanzialmente non integrato nel regime, pertanto assai sensibile a ogni appello di un salvatore, fenomeno che porterà alla costituzione dei fascismi. Simile , ma molto aggravata, è la situazione nelle democrazie balcaniche costituitesi dopo il 1919, dove tuttavia si riscontra anche una sostanziale inadeguatezza sociale, la mancanza di una vera e propria classe media.
Caso a parte è quello della Gran Bretagna in cui la crisi del parlamentarismo ha assunto tra 1920 e 1935 una forma particolare dovuta alla rottura del tradizionale bipartitismo, sostituito da un tripartitismo estraneo alle tradizioni; il Regno Unito non aveva ceduto alla tentazione proporzionale, ma il sistema maggioritario può funzionare solo se non vi sono che due candidati e, inoltre, il sistema governativo britannico richiede che un solo partito, con una maggioranza assoluta, formi un solo governo omogeneo: l’improvvisa ascesa del partito laburista dopo la prima guerra mondiale trasformò per quindici anni la tradizionale rivalità tra conservatori e liberali in un combattimento triangolare da cui risultarono una continua instabilità e grandi sperequazioni nella rappresentanza dei partiti in rapporto alle percentuali di voto ottenute.

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