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giovedì 10 marzo 2011

Storia della Spagna dal 1973 al 1977.

Nel 1973 il franchismo dà i suoi ultimi colpi di coda. Il Caudillo affida al suo amico ammiraglio Luis Carrero Blanco la presidenza del governo per tenere per se solo il ruolo di capo dello Stato.
Il potere reale è dagli anni sessanta nelle mani dell’Opus Dei, che occupa i posti chiave del Paese.
Alla morte di Carrero B. nell’attentato dell’ETA del 20 dicembre 1973 gli succede per decisione della famiglia Franco, Carlos Arias Navarro, già ministro e vecchio direttore della Sicurezza Nazionale. Carlos A. non piace a nessuno: ha propositi "aperturisti" che consistono nel riformare le Leyes Fundamentales ( la Costituzione del Franchismo), la cui rimozione avrebbe dovuto dar margine sufficiente per l’evoluzione dello Stato.
Queste rispettabili inquietudini di C.A. e dei riformisti del regime non possono piacere agli integralisti del Franchismo e nemmeno a Franco che è alla fine dei suoi giorni e ai gerarchi che cercano di conservare lo status quo. Tanto meno piace il governo di Arias all’opposizione democratica, perché Arias non è per nulla democratico tanto che nel discorso del 24 giugno 1975 definisce una triade di "Principi immutabili":
1) esclusione radicale del comunismo "nelle sue tendenze, gruppi o manifestazioni" che include qualsiasi gruppo con connotazioni operaie rivendicative. Il che esclude dalla possibilità di legalizzazione un gran numero di organizzazioni sia politiche che sindacali.
2) Affermazione della Unità Nazionale, che mette fuori discussione qualsiasi rivendicazione nazionalista e qualunque progetto autonomistico.
3) Riconoscimento della forma monarchico-parlamentare dello Stato.
Franco ha abbandonato nel 1972 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è sempre stato il suo "Parlamento de bolsillo" (Parlamento del taschino) : i suoi Ministri avevano solo una funzione di meri consiglieri. Mai si adottava una decisione collettiva opposta alla decisione del capo supremo. Secondo le parole di Diego Lopez Garrido " il consiglio dei ministri era una appendice di Franco".
Nel periodo di Carrero e di Arias, in cui Franco non presiede il consiglio, questo continua ad essere il baluardo opposto alle tesi aperturiste che provengono da tutti i lati, compresa una piccola parte dell’esercito.
Gli ultimi provvedimenti del dittatore
A dispetto della sua vecchiaia, al dittatore non manca la forza di firmare , durante il caffè secondo alcuni, la pena di morte di cinque terroristi (due dell’ETA e tre del FRAP, Fronte Rivoluzionario Antifascista Patriottico), che sono eseguite il 27 settembre 1975.
Questo episodio provoca una forte reazione dell’opinione pubblica Europea, tanto prima quanto soprattutto dopo le esecuzioni: migliaia di telegrammi di protesta inondano gli organismi ufficiali mentre vengono assaltate le ambasciate e i consolati spagnoli. Le agenzie di viaggio e gli uffici dell’ Iberia e le bandiere della Spagna vengono incendiate. Il primo ministro olandese chiama il paese ad una manifestazione di protesta, a cui partecipa tutto il gabinetto, contro il regime spagnolo e invita i suoi cittadini a non visitare la Spagna. Il governo del Portogallo non si dichiara responsabile della distruzione totale da parte di manifestanti indignati dell’ambasciata spagnola in Lisbona. Migliaia di manifestanti gridano contro il dittatore spagnolo nelle vie delle capitali europee, gli ambasciatori dei paesi della CEE sono richiamati per consultazione dai rispettivi governi e viene sollecitata la riunione urgente del consiglio di sicurezza dell’ONU perché voti l’ espulsione della Spagna dagli organismi internazionali.
Nemmeno nella Santa Sede l’inasprimento del regime passa inavvertito: Paolo VI scrive tre lettere segrete al dittatore prima delle esecuzioni, chiedendo la grazia per i terroristi, ma non riceve risposta a nessuna delle tre, per cui fa una allusione chiarissima a questo fatto dopo l’Angelus della domenica seguente, quando i terroristi sono già stati passati per le armi. Dopo le parole pubbliche del Pontefice, Franco gli scrive una lettera chiamandolo Padre, manifestandosi suo Figlio devoto e dicendogli che il suo animo è dispiaciuto per non aver potuto acconsentire alle sue petizioni perché gravi ragioni di ordine interno glielo impedivano.
Certo è che l’estrema destra manifesta in Spagna a favore della mano dura nei procedimenti contro i terroristi, e che la Guardia Civil prevede incidenti perché a sua parere non si giudicano con la dovuta severità i presunti colpevoli di aver ucciso degli agenti delle forze di ordine pubblico. Sono queste ragioni sufficienti perché Franco respinga le petizioni di indulto del Papa? Nasce il dubbio che le lettere di Paolo VI non finirono nelle mani del destinatario per tempo, grazie alla mano, propone il cardinale Tarancon nelle sue memorie, di Carlos Arias Navarro. Questo incidente diplomatico con il Vaticano non impedisce che il Papa dica di Franco "che ha fatto molto bene alla Spagna e le ha procurato uno sviluppo straordinario e una epoca lunghissima di pace. Franco merita un finale glorioso e un ricordo pieno di gratitudine".
Le proteste internazionali dispiacciono molto in Spagna e C.A. trova la soluzione a questa ingerenza vessatoria: si rivolge in televisione agli spagnoli dicendo "non sappiamo cosa ci provoca più stupore: se la violenza degli agitatori, o la colpevole irresponsabilità dei governi e dei media che la assecondano.(…) In questa notte sono con tutti voi spagnoli per chiedere che si rinnovi il vostro aiuto al governo con l’esempio della vostra unità di fronte alla ignobile aggressione esterna.(…)" La maschera aperturista che si era messa il 12 febbraio 1974 è già stata riposta nel dimenticatoio di C.A., che è ora l’autentica sentinella della ortodossia franchista.
Raccontano che Franco pianse vedendo il suo primo ministro invitare per televisione i suoi cittadini a rendergli omaggio in occasione del 39° anniversario della sua " Esaltazione alla presidenza dello Stato", nella Plaza de Oriente di Madrid. Accorrono secondo la TV spagnola, un milione di persone il 1 ottobre 1975 a rendere omaggio a un Franco che sale al balcone del palazzo con uniforme militare, gli occhiali da sole, il morbo di Parkinson e una voce debole che si ode dire attraverso i microfoni: " Spagnoli: grazie per la vostra virile adesione e per questa serena e degna manifestazione pubblica che mi offrite a riparazione alle azioni di cui sono state oggetto le nostre rappresentanze in Europa…tutto obbedisce ad una cospirazione massonica e sinistrosa della classe politica in combutta con la sovversione comunista che a noi onora, mentre a loro dà disprezzo. Queste manifestazioni dimostrano, d’altra parte, che il popolo spagnolo non è un popolo morto, che si può ingannare…Evidentemente l’essere spagnolo è oggi essere una cosa seria nel mondo. Arriba Espana!" Il Generale piange mentre intona il Cara al Sol, mentre il Principe Juan Carlos rimane fermo, senza alzare il braccio e in assoluto silenzio e il Cardinale Primate di Spagna da la benedizione apostolica al Caudillo. Questo sarà l’ultimo atto pubblico a cui parteciperà.
Il governo di C.A. è acclamato ora nelle vie dagli stessi manifestanti che in numerose occasioni hanno chiesto le sue dimissioni come aperturista.
La muerte
Franco muore alle 4.20 del mattino del 20 novembre del 1975 ed è sepolto nella Valle de los Caidos. Juan Carlos I° e il suo successore come lo stesso Franco aveva deciso il 22 luglio 1969, in base alla legge di successione del 1947, nella quale si diceva che "la presidenza dello Stato spetta al Caudillo de Espana y de la Cruzada, generalissimo degli eserciti, don Fransisco Franco Bahamonde" ( art 2) e che a lui era riservato il diritto di designare il successore.
Una nuova tappa
L’incoronazione avviene il 27 novembre nelle Cortes, alla presenza dei capi di Stato e di Governo che avevano rifiutato di presenziare al funerale del Generale. Dice il nuovo monarca nel suo discorso: "Oggi comincia una nuova tappa della storia della Spagna…Una società libera e moderna richiede la partecipazione di tutti nei centri di decisione, nei mezzi di informazione, nei diversi livelli educativi e nel controllo della ricchezza nazionale. Fare ogni giorno più certa ed efficace questa partecipazione deve essere un impegno di tutti e un impegno del Governo".
Franco si rivolta nella tomba.
Il primo problema che deve affrontare il re Juan Carlos, è decidere chi collocare alla presidenza del Governo, del Consiglio del Regno e delle Cortes.
Decide finalmente di mantenere Carlos Arias come primo Ministro, cosa desiderata dalla famiglia Franco, dai Consiglieri del Regno, e dal Cardinal Tarancon. Con l’aiuto di Arias Navarro ottiene che il suo vecchio precettore, Torquato Fernandez Miranda sia nominato Presidente delle Cortes e del Consiglio del Regno. E’ un cattedratico di diritto politico abile ed intelligente, freddo, odiato dai franchisti, che aveva occupato ad interim la presidenza del Governo dopo la morte dell’ammiraglio Carrero Blanco, e che aveva studiato la forma in cui si poteva applicare la riforma del regime.
Carlos Arias riforma il suo gabinetto il 12 dicembre del 1975, inserendo come ministri dei "riformisti" come Manuel Franga, che è la vera testa pensante del governo.
Ufficialmente il programma è costituito dalla riforma (denominata ufficiosamente Arias-Fraga), ma la cosa non funziona: non ha l’appoggio delle forza dell’opposizione democratica semplicemente perché il governo non si consulta con loro per formulare le sue decisioni. Per di più la forma innegoziabile di Fraga consiste nel bicameralismo, la composizione oligarchica del Senato e una autonomia politica del governo nei confronti delle Cortes, che, come nell’Inghilterra georgiana dovrebbe evolvere in un decennio verso il parlamentarismo. Il Re cerca di convincere Arias della convenienza di accelerare il processo, ma si scontra con il fatto che il Presidente risponde sempre "Sì maestà". Poi non fa nulla anzi fa il contrario di quello che il re suggerisce. Il "bunker", come sono conosciuti i fedeli di Franco, continua ad avere molto potere.

La destituzione di Arias Navarro
Nel giugno del 1976 sua Maestà non vede altro rimedio che sostituire A. Navarro, ma ciò non gli è facile.
In quei giorni il re compie la sua prima visita di stato negli USA. Lì riceve un applauso generale ed entusiasta in un discorso davanti ai senatori e congressisti nel quale niente di quello che dice ha a che vedere con quello che il suo Primo Ministro difende a Madrid. Prima di tornare a Madrid il suo proposito è di liquidare Arias Navarro ma si scontra con una situazione spinosa: viene a conoscenza di quale sia la volontà dei militari che gli inviano una lettera chiedendo la destituzione di Arias, accusato di essere troppo tollerante e per tanto debole. Una decisione del re da luogo a una amnistia che libera non pochi prigionieri politici; le forza democratiche, ancora non legalizzate, spingono tutti a una ondata di scioperi e manifestazione che al grido di "amnistia e libertà" mettono il governo alle corde. Arias da la colpa di questi avvenimenti ai giudici, alla stampa, alla chiesa e "all’erotismo che tutto invade" ma i militari chiedono una risposta adeguata. Per di più Manuel Fraga Ministro dell’Interno dichiara al New York Times "che un giorno dovrà essere legalizzato il partito comunista". Juan Carlos si rende conto che deve destituire Arias con urgenza . "Così non si può continuare sotto la pena di perdere tutto… io dovevo prendere una decisione difficile e l’ho presa" dice confidenzialmente a Josè Maria de Areilza, ministro degli Esteri, il 1 luglio, poco prima di ricevere privatamente Carlos Arias e dirgli che ha gradito i suoi servizi alla Patria e alla Corona, ma che i nuovi tempi esigono nuovi politici.
Detto e fatto : raccontano che Arias è sorpreso ma si dimette. Sembra che il Re già sappia quali qualità si debbano richiedere per il successore di Arias, ma è necessario che il consiglio dei regno gli dia questo nome in una terna, sulla cui base egli dovrà decidere.
Entra in scena Adolfo Suarez, un anonimo funzionario franchista con aspetto da capo reparto di El Corte Ingles (i più conosciuti grandi magazzini spagnoli), ministro nel gabinetto di Arias. Aspetta impaziente la chiamata di sua Maestà dal mezzogiorno di sabato 3 luglio: voci di palazzo e alcune allusioni di sua maestà lo danno come candidato a sostituire Arias Navarro.
E’ così che quando poco dopo le cinque del pomeriggio suona il telefono e il Re lo invita per un caffè egli accetta con serenità.
Il re lo riceve e pronuncia una celebre frase : "Adolfo ti chiedo di farmi un favore.
Accetta la presidenza del Governo", "Già era ora" risponde Suarez.
"Già era ora" perché erano mesi che correvano voci su Suarez presidente, ma soprattutto perché Arias era un cadavere politico ormai da molto tempo. Durante tutta la sua presidenza tenne nel suo ufficio un gigantesco ritratto di Franco che era il suo punto di riferimento più fermo e che citava nei suoi discorsi più del re. Forse voleva riformare il regime, ma rimase tormentato per i dubbi nelle sua fedeltà e nella sua ignoranza di come farlo.
Non si può tralasciare che il governo Suarez, che presta giuramento davanti al Re il lunedì 5 luglio, non è approvato da nessuno, né dal bunker né dall’opposizione democratica né dai riformisti : né Fraga né Areilza vogliono portare avanti il governo, che è conosciuto come il governo dei "penenes", (sigla della denominazione Professori non di ruolo), ironizzando sul fatto che Suarez si è visto obbligato a cercare personalità minori per comporre l’esecutivo.
Una serie di misure economiche prese in agosto con le quali si sopprime la tassa di plusvalore della Borsa, che riceve scarsa attenzione per il suo "carattere estivo" e che non impedisce che la borsa continui a scendere, in settembre il nuovo governo da alla luce il suo progetto di riforma politica: si andrà a "… le prime elezioni a Cortes per costituire un congresso di 350 deputati ed eleggere 207 senatori". Il suddetto progetto deve essere approvato da 2/3 della stessa Cortes e poi giudicato dagli spagnoli. Il primo passo è tremendamente difficile: come possono votare a favore della democrazia i procuratori della Cortes franchista? Chi potrebbe votare a favore della propria destituzione? Ma il 18 novembre si compie il miracolo: più dei 2/3 necessari della Cortes franchista votano a favore del progetto di legge, firmando poi il loro stesso atto di destituzione. Non vogliamo nemmeno pensare alle promesse che convinsero i gerarchi franchisti: il miracolo ebbe sicuramente qualche trucco. A questo episodio si da il nome di harakiri.
Il 15 dicembre del 1976 si celebra il referendum nel quale il 94% dei votanti dice Sì, nelle prime elezioni libere dal febbraio del 1936.
Liberi dai dubbi sulla veridicità del risultato, contrariamente a quanto accadde con i due referendum del regime franchista, bisogna sottolineare che non è un plebiscito democratico per la semplice ragione che le forze dell’opposizione ancora non sono legalizzate e per il fatto che c’è solo una campagna istituzionale a favore della partecipazione al voto ("Habla , pueblo, habla"…Parla, popolo, parla) e per il Sì, e incitazioni alla astensione delle forze dell’opposizione, non legali ma tollerate. Circola durante la campagna questa spiegazione di Miguel Herrero de Minon , funzionario del Ministero della Giustizia: "non è, senza dubbio, un referendum democratico, dal momento che non esistono le libertà proprie della democrazia; ma è un referendum per instaurare la democrazia e le libertà che le appartengono". Si dubita che sia un referendum viziato, dal momento che si domandano cose come : " Volete la libertà o no?" senza che ci si consulti con nessuno sulla forma in cui si va a dare questa libertà e dando ad intendere che il processo consiste nel rinnovare le leggi del franchismo al fine che non ci siano discontinuità. Per tanto le forze democratiche che, inevitabilmente, sono a favore della rottura, del rinnovamento della svolta e dell’elaborazione di un nuovo sistema, non possono approvare il referendum. L’astensione raggiunge il 23% del corpo elettorale, ma quelli che si astengono pregano perché vinca il Sì.

Una missione difficoltosa
Si tratta ora di andare alle urne per eleggere un Congresso e un Senato la cui missione sarà costituente. Ma le difficoltà prima di arrivare al momento di queste elezioni saranno molte. C’è chi dice che i sei mesi che trascorsero tra il 15 dicembre del 1976 al 15 di giugno del 1977 nel quale si realizzarono queste elezioni, furono i più difficili della transizione politica. E questo per varie ragioni: la conflittualità socio lavorativa, il terrorismo, la legalizzazione dei partiti, i nazionalismi, la situazione economica che va peggiorando di giorno in giorno… Tutte queste questioni collegate e congiunte, necessitano di una risposta rapida e il governo non può dare una soluzione soddisfacente senza farsi fardello delle critiche della maggioranza. Bisogna tener presente che la maggior parte delle forze democratiche, forti del fatto di essere tollerate, si sentono in diritto di fare rivendicazioni, comizi, riunioni e manifestazioni (è che questi democratici, specialmente quelli di sinistra, sono come la peste), mentre l’estrema destra, i nostalgici, mantiene una forte rilevanza non solo per il numero di simpatizzanti, ma per quelli che li controllano: parte del bunker (Blas Pinar, Silva Munoz), ampi segmenti dell’esercito e chi sa quali settori finanziari.

La situazione pre-elettorale
Santiago Carrillo ritorna dall’esilio in un clima rovente. La legalizzazione di tutti i partiti politici fa delle elezioni alle Cortes del giugno 1977 un episodio del tutto democratico.
Santiago Carrillo segretario Generale del PCE (Partito Comunista Spagnolo) torna dall’esilio nel febbraio 1976 e vive in Spagna clandestinamente, dato che nell’agosto del medesimo anno, essendo già presidente Suarez, gli si nega il passaporto spagnolo. Benché resti nascosto, mantiene i contatti con le maggiori forze democratiche, e si fa vedere sempre più frequentemente per le strade di Madrid, con il fine di forzare, un riconoscimento del PCE, in un momento in cui nessuna forza democratica è stata ancora legalizzata. Di fronte a queste spavalderie il governo non può che voler dimostrare la sua autorità e la sua efficacia nella repressione. La polizia lo arresta e lo tiene recluso per una settimana negli ultimi giorni del dicembre del 1976, sottomettendolo a vessazioni in un commissariato di polizia. Non contenta di ciò l’estrema destra passa all’azione: il 24 gennaio del 1977 avviene la" Matanza de Atocha" (la strage di Atocha) in cui muoiono sette avvocati del lavoro del PCE. E’ un episodio che provoca dimostrazioni di solidarietà e che permette che il PCE dimostri che è capace di controllare i suo seguaci: la risposta di massa all’assassinio degli avvocati comunisti è impressionante per la dimostrazione di forza e serenità. Si ha il paradosso che la polizia debba proteggere i membri di un partito che non è legalizzato, mentre gli agenti che arresteranno i responsabili della " Matanza" rinunceranno a riscuotere la ricompensa a cui hanno diritto.
La "Matanza de Atocha" è il più grave di una serie di avvenimenti violenti che pongono in grave pericolo il cammino della riforma: tanto l’ETA (Baschi e libertà) come il GRAPO come per esempio il MPAIAC ( Movimento per l’autonomia e l’indipendenza dell’arcipelago delle Canarie), diedero guerra in quei mesi. Al momento di iniziare la transizione la totalità dei nazionalisti baschi si rifiuta di impiegare il termine "terrorismo" per designare l’ETA, benché la medesima uccida 26 persone nel 1975, 21 nel 1976 e 28 nel 1977, passando poi a cifre molto più alte ( 85 del 1978, 118 nel 1979, e 124 nel 1980). Per quanto riguarda il GRAPO, un gruppo maoista di cieca violenza, compie due sequestri nel dicembre 1976 che terminano con la liberazione degli ostaggi da parte della polizia nel febbraio 1977.
In mezzo a questo caos nel febbraio 1977 spariscono i requisiti più restrittivi per la legalizzazione dei partiti, così che tutti meno il PCE conseguono la legalità. Nel medesimo mese Suarez si incontra segretamente con Carrillo e parlano per sei ore. E’ significativo che il giorno seguente il Governo Civile di Madrid proibisca una riunione che i comunisti vogliono convocare nascondendosi sotto una innocua denominazione: questi comunisti vanno trattati con il bastone e la carota. Racconta Carrillo che nel suo incontro con Suarez nessuno pone condizioni a nessuno su nessun punto: ne Suarez chiede che i comunisti abbassino il tono delle loro rivendicazioni, ne Carrillo pretende che il Monarca fugga dal paese per instaurare una Repubblica di cui lui sarà il presidente.
Racconta Carillo che Suarez gli chiede senza molto entusiasmo, solo per coprire l’espediente, che i comunisti si presentino come indipendenti alle prossime elezioni, e ciò per poter evitare la legalizzazione del PCE. Racconta Carrillo che egli rifiuta , come rifiuta di annullare il prossimo viaggio di Berlinguer e Marchais, segretari generali dei partiti comunisti italiano e francese , a Madrid dove si sta per celebrare la conferenza euro-comunista. Racconta Carrillo che la rivendicazione repubblicana già la tiene parcheggiata nella via della dimenticanza.
Furono come furono i termini della conversazione è certo che il 9 aprile 1977, Sabato Santo Rosso, il Governo decide la sparizione del Movimiento, il partito unico franchista, e legalizza il partito comunista di Spagna e, due giorni dopo, il PSUC ( Partito socialista unificato di Catalogna), causando la dimissione istantanea dell’Ammiraglio Pita de Veiga, ministro della Marina e il grugnire dell’esercito al completo. Franco si rivolta nella Valle de Los Caidos, Fraga giudica l’avvenimento un vero colpo di Stato, ma il popolo è d’accordo in un 45% e contrario per un 17%. Inoltre immediatamente nei comizi del PCE finisce di ondeggiare la bandiera repubblicana e Carillo dice: " coloro che fischiano non sanno che non c’è color violetto che valga una nuova guerra civile tra gli spagnoli". La rivendicazione repubblicana non uscirà più dalla bocca di un dirigente del PCE.
Il 17 marzo Suarez ha promulgato il decreto di Amnistia per i prigionieri politici, il 28 aprile di legalizzano i sindacati e, infine, il 13 maggio ritorna dall’URSS Dolore Ibarruri, la pasionaria, presidente del PCE.
Le elezioni del 15 giugno saranno del tutto democratiche, benchè rimanga il dubbio sul pochissimo tempo che si è lasciato al PCE e ai maggiori partiti democratici per organizzarsi nella legalità.

Due dimissioni

Le dimissioni di Torquato Fernandez Miranda, fedele consigliere del re, della presidenza delle Cortes, e del Consiglio del Regno, e l’abdicazione di Don Juan de Borbone a favore di suo figlio Juan Carlos sono due episodi emblematici che precedono le elezioni del 1977.
Vale la pena di ricordare due episodi che precedono le elezioni del 15 giugno 1977.
Torcuato Fernandez Miranda, che è stato precettore di Juan Carlos , alla morte del dittatore ha rifiutato l’offerta del re di essere Presidente del Governo perché ha considerato che il suo ruolo stava nella presidenza delle Cortes e del Consiglio del Regno.
Durante la campagna elettorale del 1977 si dimette da queste cariche, in silenzio, voltando le spalle a Sua Maestà e contro l’opinione di Adolfo Suarez.
Don Torcuato si è sorpreso molto al vedere che Suarez non è un fantoccio suo e di coloro che hanno fatto di Juan Carlos il successore di Franco, ma che ha una politica propria e si dedica a scendere a patti con Felipe Gonzales e Santiago Carrillo. A Fernandez Miranda disgusta inoltre che il Re sia così contento di questo ruolo di Adolfo Suarez e non lo consulti mai per riformare il sistema. Il suo piano per la transizione era la creazione di un sistema in cui si sarebbero alternati nel Governo della Nazione due partiti, il socialdemocratico PSOE (h) (PSOE historico) di Rodolfo Llopis, anticomunista, e un partito di centro destra che potesse frenare gli ultras.
Per queste ragioni probabilmente Fernandez Miranda presenta le sue dimissioni e nel suo fututo cadono il titolo di Duca, il Toisòn de Oro, una poltrona come Senatore per disignazione reale e molta amarezza.
Perché Franco ha nominato proprio Juan Carlos de Borbone suo successore? Cosa è sembrata questa nomina a Don Juan, il legittimo successore di Alfonso XIII e padre di Juan Carlos? Queste sono domande a cui gli storici non hanno dato risposte definitive. L’unico fatto che possiamo ricordare è che il 14 maggio 1977 Don Juan di Borbone rinuncia ai suoi diritti dinastici a favore di suo figlio, in un atto che avviene nel palazzo della Zarzuela, davanti alla famiglia reale e una rappresentanza dei mezzi di comunicazione e al Notaio Maggiore del Regno Landelino Lavilla. E’ un atto che contribuisce a dare legittimità storica alla Transizione.

I risultati delle elezioni: il nuovo governo

Il governo che esce dalle urne è dell’UCD (Unione di Centro Democratica) e Adolfo Suarez è il suo presidente. La soluzione della crisi economica e la stesura di una nuova costituzione sono i due grandi obbiettivi del nuovo governo.
L’UCD vince le elezioni per maggioranza relativa e le urne portano varie sorprese: il PSOE (Partito Socialista Operaio) avanza e toglie molti voti della sinistra al PCE, mentre AP (Alleanza Popolare) che ha fatto una ampia e costosissima campagna elettorale ottiene dei risultati molti modesti. I risultati elettorali si fanno aspettare molti giorni semplicemente per l’inesperienza nello scrutinio dei voti. Il 4 luglio del 1977 Adolfo Suarez giura nuovamente davanti al Re nella carica di Presidente del Governo, assieme ai suoi nuovi Ministri. Nella formula del giuramento per la prima volta non si fa riferimento al Movimiento, ne il Notaio Maggiore del Regno, Landelino Lavilla, gli risponde " se farai così che Dio vi premi, e altrimenti che ve ne chieda ragione".
Il nuovo gabinetto, il terzo della Monarchia, e il primo legittimo democraticamente dopo il Fronte Popolare del 16 febbraio 1936, è espressione delle diverse componenti dell’UCD. C’è un solo militare: il tenente Generale Gutierrez Mettado, persona di inclinazione moderata, senza dubbio di origine franchista ma attualmente un democratico sicuro, che riceve l’incarico di vice Presidente del Governo e Ministro della Difesa. Le altre due vicepresidenze vanno rispettivamente a Enrique Fuentes Quintana ( economia) e a Fernando Abril Martorell (affari politici), entrambi alti funzionari al tempo di Franco e ora politicamente indipendenti, senza dubbio moderati e senatori designati dal Re. Altri Ministri sono Francisco Fernandez Ordonez ( finanze), social democratico assimilato all’UCD che avrà una impressionanate cariera politica, Alberto Oliart ( industria ed energia), Joaquin Garrigues Walker ( opere pubbliche) e Landelino Lavilla (giustizia), già ministro nel precedente governo e pertanto senatore per designazione per Re. Sono due gli obbiettivi principali delle Cortes recentemente elette: dare soluzione alla drammatica situazione economica e sociale del paese ed elaborare una Costituzione che formalizza la rinnovata situazione democratica.

I patti della Moncloa

I patti della Moncloa sono un accordo tra tutte le forze politiche parlamentari in favore dell’allarmante situazione economica.
Nel 1977 la situazione economica è esplosiva:

* In un paese in cui il 66% dell’energia è importata la crisi petrolifera del 1973 è passata inavvertita. Gli ultimi governi di Franco non hanno preso nessuna misura di fronte al barile di petrolio che passa in dodici mesi da 1,63 a 14 dollari.
* Le esportazioni coprono il 45% delle importazioni, il paese è carente di risorse per mantenere il suo interscambio con l’estero e perde 100 milioni di dollari al giorno di riserve esterne.
* Si accumulano tra il 1973 e 1977, 14.000 milioni di dollari di debito estero, il che rappresenta un importo superiore al triplo delle riserve auree e di divisa del Banco di Spagna.
* L’inflazione è a livelli quasi sudamericani: dal 20% del 1976, si passa a mediamente al 44% del 1977. Le imprese hanno debiti per centinaio di migliaia di milioni di pesetas
* La disoccupazione raggiunge una larghissima crescita: già si situa in 900.000 persone delle quali solo 300.000 ricevono il sussidio di disoccupazione e continuerà a salire fino agli attuali (1998) 2 milioni di disoccupati.

Tra le forze politiche è unanime la preoccupazione per questa situazione e il Governo sente la necessità di elaborare una soluzione che metta d’accordo tutto l’arco parlamentare. E’ deciso a proporre in questa situazione una " politica di concentrazione". Bisogna tener presente che dall’ottobre 1973, quando la recessione comincia ad evidenziarsi, sono otto i "pacchetti di riforme economiche" pubblicati. Il nono deve funzionare.
Durante il mese di agosto il governo si incontra con i sindacati per convincerli della necessità della moderazione salariale per farla finita con l’inflazione, in settembre Fuentes Quintana discute con il resto del Governo su un documento base e in ottobre si redige il testo finale con i maggiori partiti politici: nel fine settimana del 8 e 9 si mette a punto un " riassunto di lavoro" e nei i giorni seguenti si sviluppa questo riassunto in commissioni specializzate e il giorno 25 di questo mese firmano i Patti della Moncloa i rappresentanti dei principali partiti politici, inclusi Santiago Carillio e Manuel Fraga, benchè costui non sottoscriva, logicamente, il patto sopra le questioni giuridiche e politiche:

* Diritto di riunione e associazione
* Riforma del codice penale
* Riorganizzazione delle forze di ordine pubblico

I patti sono approvati dal parlamento il giorno 27 e il loro contenuto si divide in misure urgenti ( contro l’inflazione e lo squilibrio esterno) e riforme necessarie a medio termine per ripartire i costi della crisi.
Le misure di risanamento a breve termine sono:

* Una politica monetaria che freni l’espansione della massa monetaria e una preventiva che riduca il deficit pubblico
* La fissazione di un cambio della pesetas realistico che riduca il debito esterno
* L’obbligo di incrementare i salari in base all’inflazione prevista e non a quella passata, con l’obbiettivo che i salari non aumentino più del 22% medio nel 1978 rispetto al 1977
* Contro la disoccupazione si presentano una serie di norme che permettono la contrattazione a tempo, soprattutto per i giovani che non hanno ancora avuto un posto di lavoro.

Ma ci sono ancora riforme da studiare:

* La fiscale e quella della Amministrazione tributaria perché tutti i cittadini paghino le loro imposte
* L’applicazione di un controllo reale alla liquidità e alla capacità di essere solventi delle Banche e della Casse di Risparmio
* La riforma in senso di flessibilità del mercato di lavoro: ai tempi di Franco il licenziamento era praticamente impossibile.

Gli effetti dei Patti della Moncloa sono positivi in alcuni versi e meno in altri: l’inflazione crolla nell’anno al 26,4% contro le previsioni del 80% e chiuderà nel 1978 al 16%, le riserve di divise duplicano, i conti delle imprese cominciano a migliorare e cominciano il cammino verso un bilancio in attivo. Le riforme a breve termine senza dubbio non si cominciano a discutere.
I partiti politici
Alle elezioni democratiche del 15 giugno si presentano i partiti tradizionali dell’opposizione al franchismo e forze nate nel periodo della transizione. Analizziamo brevemente le caratteristiche più salienti di queste forze.
Il Partito Comunista Spagnolo (PCE) durante tutto il regime è stato identificato con l’opposizione. Al momento di presentarsi davanti ai cittadini non ha rinnovato la sua dirigenza basata sui vecchi "miti" Santiago Carrillo e Dolores Ibarruri e appare come una forza poco moderna, tradizionale, con un linguaggio moderato che non convince i conservatori e non infiamma i progressisti. Otterrà solo 20 seggi nelle nuove Cortes. Alla sinistra del PCE c’è un mosaico di forze che cerca di assorbire il voto di chi non comprende la ricerca di moderazione del partito e delle Commissioni Operaie da questo strettamente controllate. Non otterranno alcun seggio alle nuove Cortes.
Il Partito Socialista ( PSOE) è quello che raccoglierà il massiccio voto della sinistra. Dopo la morte di Franco si è dato una immagine di gioventù, dinamismo e di capacità di organizzazione a cui si aggiunge una legittimazione internazionale data dalla presenza dei maggiori leaders europei ( Brandt, Olaf Palme, Bruno Kreisky, Pietro Nenni) al XXVII congresso del partito tenutosi a Madrid del dicembre 1976. Costoro hanno consacrato Felipe Gonzales capo carismatico del partito. Se il XXVII congresso è stato estremamente retorico e populista, pieno di programmi e parole del tipo " blocco anticapitalista di classe " , " marxismo", " repubblica", " nessun accordo con i capitalismi", " scuola pubblica unica", " tribunali popolari", e " modello nuovo mai realizzato in nessun paese", il tutto per infiammare i militanti, d’altro canto il partito si rivolge all’elettorato in termini molto moderati accordandosi con " Convergencia Socialista", di ispirazione cattolica e con i Catalani del PSC. Nell’area socialista solo il Partito Socialista Popolare (PSP) di Galvan, più radicale, corre da solo assorbendo un voto più intellettuale tanto da ottenere 6 seggi.
La simpatia di Gonzales unita al populismo di Alfonso Guerra fa passare il POE dal pronosticato 10% al 29% dei voti con 118 seggi.
L’Unione di Centro Democratico (UCD) è una invenzione di Adolfo Suarez che con al sua figura abile e carismatica coagula molti partitini che solo per la sua presenza possono convivere. Lo scopo dell’UCD è di portare alle urne i progetti del gruppo Tacito, che nasce al tramonto del dittatore ed è formato da moderati del regime. L’origine della coalizione è complessa, essendosi inizialmente aggregata attorno al Partito Popolare sorto nel 1976 e retto da Ministri del gabinetto Suarez. Il nome originale è Centro Democratico, ma quando Suarez elimina uomini di destra come Areilza, che passano ad Alleanza popolare e vi imbarca per dirigerlo Leopoldo Calvo Sotelo, costui adotta la denominazione definitiva di Unione di Centro Democratico.
Dei candidati alle elezioni dell’UCD il 36% sono indipendenti, cioè collaboratori moderati del Franchismo, il 17% vengono dal Partito Popolare e il 12% dai Democratici Cristiani. Dei 165 deputati che l’UCD ottiene il 17,5% sono stati procuratori delle Cortes franchiste.
Dei partiti di centro solo la Democrazia Cristiana corre da sola, convinta, guardando alla esperienza italiana, di andare verso un successo. Ma la Spagna non è l’Italia e il risultato sarà pessimo ottenendo un solo senatore in collaborazione con altre forze di sinistra.
A destra c’è Alleanza Popolare, il partito in cui il brillante altro funzionario franchista Manuel Fraga Iribarne riunisce tutti i nostalgici del precedente regime. La violenza verbale di Fraga ne diminuisce la credibilità democratica, benchè proclami di credere nella " democrazia , ma con ordine, legge e autorità". In AP si incorporano uomini di notevole prestigio come Carlos Arias Navarro e Josè Maria de Areilza. In pratica è la continuazione politica del Bunker. Otterrà solo 16 seggi, 4 meno dei Comunisti. L’estrema destra è raggruppata in Fuerza Nueva (FN) di Blas Pinar e nella Falange Spagnola della JONS. Non otterranno rappresentanti.
Notevole importanza ha poi il ruolo del nazionalismo catalano.
Nel XX secolo in Catalogna il nazionalismo ha dato origine a due branche: una radicale, rappresentata dalla Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), di sinistra, che vuole l’indipendenza e un ramo che difende gli interessi della industriosa e ricca borghesia catalana, rappresentato negli anni settanta dal Partito Democratico di Catalunya (PDC) il cui nucleo principale è la Convergencia Democratica di Catalunya (CDC) di Jordi Pujol, uomo singolare, potente dal 1976 fino ad oggi.
E’ visto come un paladino della libertà di un popolo represso e, benché conservatore e con molti interessi personali, anche la sinistra lo considera come il padre di tutti i catalani.
Nel 1976 i principali partiti catalani sono: il Partito dei Socialistis Unificati della Catalunia (PSUC), di orientamento comunista e associato per le elezioni al PCE, il Partito Socialista della Catalunia (PSC), associato al PSOE, e l’Unione Democratica di Catalunia (UDC) di Pujol, di destra. Tutti riuniti nell’assemblea di Catalunya dal 1971 hanno l’esigenza di far riconoscere dalla nuova Monarchia la Generalità abolita da Franco nel 1939 e mantenuta in vita in esilio da Josep Torradellas, che non vuole trattare con Madrid. Pujol disubbidisce e inizia le trattative con il governo Suarez assieme alle opposizioni ufficiose. Da qui cresce la statura politica di Pujol che, scavalcando le altre forze politiche, egemonizza per tutti il ruolo di rappresentante della Catalunia.
Ben diversa è la situazione politica del Paese Basco. Qui durante la seconda repubblica, poco prima dell’inizio della guerra civile, si è formato un governo autonomo. Il Partito Nazionalista più rappresentativo era il Partido Nacionalista Vasco (PNV), di origine borghese, che ha mantenuto un governo in esilio e si è proposto presso le corti internazionali ( ONU, USA, ) come forza legittima, ma non ha proposto una attività di lotta reale nel paese Basco. Perciò nel 1958 un gruppo di giovani si stacca dal PNV e fonda l’ETA (EUSKADI ETA ASKATASUNA: Baschi e libertà), un gruppo politico che vuole un indipendentismo innegoziabile con posizioni radicali sempre più esasperate fino al ricorso alla lotta armata. L'ETA amava definirsi antispagnola e non solo antifranchista. Le azioni violente si fanno sempre più visibili dalla V Asamblea del 1967 seguito dall’assassinio di un poliziotto. E’ poi tutta una escalation di violenza che non si ferma con la morte di Franco e che viene unanimamente condannata come un ostacolo alla transizione democratica da tutti gli altri partiti.
Dopo la morte di Franco l’ETA si divide in ETA Politico Militare (ETA-pm) e ETA Militare (ETA-m). La prima associa alla lotta armata una azione politica costruttiva, la seconda si inventa una guerra contro il resto della Spagna. Prima delle elezioni del 1977, una parte dell’ETA-pm abbandona la lotta armata e entra a far parte del partito di Sinistra EUSKADIKO EZKERRA (EE) che ottiene un seggio. La rimanente parte di ETA-pm, progressivamente perde forza e si dissolve del settembre 1982. Nel frattempo ETA-m assassina senza criterio cittadini di ogni tendenza mentre si proclama l’unica ETA e nel 1978 si appoggia al partito HERRI BATASUNA (HB), suo braccio politico. Il PNV continua del resto a raccogliere il voto nazionalista moderato come il PDC in Catalogna.

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