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martedì 12 aprile 2011

Eguaglianza e Libertà – Norberto Bobbio

Prefazione

· La libertà indica uno stato, l'eguaglianza un rapporto: l'uomo inteso come persona, o, per essere considerato come persona, deve essere, in quanto individuo della sua singolarità, libero, in quanto essere sociale, l'essere con gli altri individui in un rapporto di eguaglianza. Spesso il termine eguaglianza viene sostituito con il termine giustizia nel binomio giustizia e libertà: le vittime di un potere oppressivo chiedono prima di tutto di essere liberi, rispetto a un potere arbitrario invocano invece giustizia.

· Libertà e di uguaglianza rappresentano quei valori che appartengono allo Stato dell'individuo. Libertà ed uguaglianza sono i valori che stanno a fondamento della democrazia: fra le tante definizioni democrazie possiamo darne una;

· possiamo intendere la democrazia non tanto come una società di liberi ed eguali, ma come una società regolata in modo che gli individui che la compongono sono più liberi ed eguali che in qualsiasi altra forma di convivenza sperimentata l'uomo.

· Il suffragio universale è un esempio di applicazione del principio di uguaglianza, in quanto rende uguali rispetto ai diritti politici. Nello stesso tempo è anche applicazione del principio di libertà, inteso come diritto di partecipare al potere politico. Quindi attraverso suffragio universale i cittadini diventano più liberi e più eguali.

EGUAGLIANZA

Eguaglianza di fronte alla legge, giuridica, dell'opportunità, di fatto

· delle varie determinazioni storiche dell'uguaglianza, quella universalmente accolta è quella che afferma che "tutti gli uomini sono eguali di fronte alla legge" oppure "la legge è uguale per tutti".

· L'eguaglianza di diritto indica qualcosa di più che la mera uguaglianza di fronte alla legge come esclusione di ogni discriminazione ingiustificata, ma significa l'eguale godimento da parte dei cittadini di alcuni diritti fondamentali garantiti.

· Mentre l'uguaglianza di fronte legge è soltanto una forma specifica di eguaglianza di diritto o dei diritti (per esempio il diritto di tutti di accedere alla giurisdizione comune, o le principali cariche civili e militari indipendentemente dalla nascita), l'uguaglianza nei diritti comprende tutti i diritti fondamentali enumerati in una costituzione.

· Per uguaglianza giuridica si intende di solito l'eguaglianza in quel particolare attributo che fa parte di ogni membro di un gruppo sociale cioè un soggetto dotato di capacità giuridica.

· Il principio dell'uguaglianza di opportunità è l'applicazione della regola di giustizia a una situazione in cui vi siano più persone in competizione tra loro per il raggiungibile l'obiettivo unico, un obiettivo che non può essere raggiunto da uno dei concorrenti (una gara, un duello…).

· in altre parole, il principio dell'uguaglianza delle opportunità mira a mettere tutti i membri di quella determinata società della condizione di partecipare alla gara della vita, o per la conquista di ciò che si vuole, partendo da posizioni eguali.

· Tuttavia ciò implica l'introduzione di discriminazioni altrimenti non esistenti, poiché per mettere tutti nelle stesse condizioni di partenza bisogna favorire i più agiati e favorire i più disagiatià una diseguaglianza diventa strumento di eguaglianza perché corregge una diseguaglianza precedente: la nuova eguaglianza è risultato del pareggiamento di due disuguaglianze.

· per uguaglianza di fare si intende l'uguaglianza rispetto ai beni materiali, o eguaglianza economica, la quale si viene così a distinguere dall'eguaglianza formale o giuridica, e dell'uguaglianza delle opportunità o sociale.

· Particolarmente difficile è capire quali siano i modi per attuare tale eguaglianza: i beni saranno distribuiti secondo la formula "a ciascuno in parti eguali" oppure "a ciascuno e in proporzione di ".

Dottrine egualitarie e inegualitarie

· per determinare il significato specifico di un rapporto di eguaglianza occorre rispondere ad almeno due domande: eguaglianza tra chi?, eguaglianza in che cosa?. Le possibili risposte sono:

a) eguaglianza fra tutti in tutto = ideale-limite dell’ egualitarismo

b) eguaglianza fra tutti in qualche cosa

c) eguaglianza fra alcuni in tutto

d) eguaglianza fra alcuni in qualche cosa.

· egualitaria è una dottrina che sostiene l'eguaglianza per il maggior numero di uomini del maggior numero di beni.

· Tuttavia dal momento che l'eguaglianza assoluta intesa quindi come l'eguaglianza di tutti in tutto è un'idea limite cui si può attendere, è lecito parlare di dottrine più egualitarie di altre.

· Si può parlare di egualitarismo parziale o limitato quando si tratta di dottrine che sostengono l'eguaglianza tutto però limitatamente a una categoria di persone.

· Il fine ultimo dell'egualitarismo si identifica con l'eliminazione della proprietà privata, l'eliminazione di ogni forma di potere politico (anarchismo).

o Il punto di partenza delle dottrine egualitarie è la considerazione della comune natura degli uomini, tuttavia ammesso che sia vero che tutti gli uomini solo uguali, non ne discende necessariamente che tutti gli uomini debbano essere trattati in modo eguale.

o La prova è la dottrina in egualitarie come quella sperimentata da Hobbes, che considera come scopo supremo degli uomini di vivere in società non la maggior uguaglianza possibile, ma esclusivamente la pace sociale, e fonda questa proprio sulla rinuncia all'eguaglianza naturale e sulla costituzione di un ordinamento che demarca coloro che hanno il dovere di comandare e coloro che hanno il diritto di ubbidire.

o Gli uomini secondo Hobbes sono di fatto eguali debbono essere diseguali, per i teorici del socialismo scientifico (marxismo) gli uomini sono stati di fatto sinora diseguali ma debbono essere uguali.

o Dal momento che le società sono esistite finora sono società diseguali, le dottrine in egualitarie rappresentano la tendenza a conservare tale stato: sono quindi dottrine conservatrici.

Capitolo 13: egualitarismo e liberalismo

· mentre egualitarismo afferma che solo alcuni uomini sono eguali, il liberalismo nega la stessa massima rispetto al trattare soggetti ma la totalità, cioè ammette l'eguaglianza di tutti non in tutto ma soltanto in qualche cosa, e questo "qualche cosa" sono i diritti fondamentali o naturali, o umani.

· Liberalismo e egualitarismo fondano le loro radici in concezioni della città profondamente diverse: per il liberale il fine ultimo è l'espansione della personalità individuale, considerata come un valore per sé stante; per l'egualitario, lo sviluppo armonico della comunità.

· Diversi sono i modi di concepire natura e compiti dello Stato: limitato e garante per i primi; interventista e di regista, lo stato dei secondi.

· I liberali hanno sempre accusato gli egualitari di sacrificare la libertà individuale, all'uniformità e al livellamento imposti dalla necessità di rendere tutti individui il più possibile simili: quindi l'egualitarismo diventa sinonimo di appiattimento delle aspirazioni e dell’ improduttvità delle forze motrici della società.

LIBERTA’

Libertà positiva e libertà negativa

· per libertà negativa si intende nel linguaggio politico, la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza essere costretto, da altri soggetti.

· La libertà negativa si può anche definire come "libertà come assenza di impedimento o di costrizione": quindi alla libertà comprende l'assenza di impedimento, cioè la possibilità di fare, e l'assenza di costrizione, cioè la possibilità di non fare.

· Per libertà positiva si intende nel linguaggio politico la situazione in cui un soggetto alla possibilità di orientare il proprio volere verso lo scopo, di prendere delle decisioni, senza essere determinato dal volere altrui.

· Possiamo definire questa forma di libertà anche come "autodeterminazione" o, ancora più appropriatamente, "autonomia".

· La prima forma è stata definita negativa in quanto designa la mancanza di qualche cosa, intesa come assenza di impedimento, mentre positiva è chiamata la seconda, perché è indicata, la presenza di qualcosa, cioè di un attributo specifico del mio volere, che appunto la capacità di muoversi verso uno scopo senza essere mosso.

Determinismo e indeterminismo

· i primi negano la libertà del volere ma non escludono la libertà di agire, cioè la libertà negativa; i secondi affermano principalmente la libertà di volere, che corrisponde la cosiddetta libertà positiva e non comporta necessariamente la libertà di agire.

· Le due forme di libertà si possono distinguere anche in base al diverso soggetto portatore: quando prendiamo in considerazione libertà negativa, il soggetto a cui ci riferiamo è generalmente l'individuo singolo; quando invece l'oggetto della sua discorso è la libertà positiva di soggetto storico è un ente collettivo.

La libertà degli antichi e la libertà dei moderni

· Alla differenza tra le due libertà è stata fatta corrispondere una distinzione storica, secondo cui la libertà negativa sarebbe libertà dei moderni e libertà positiva quella degli antichi.

· Lo scopo degli antichi era la distribuzione del potere sociale fra tutti cittadini di una medesima patria: libertà.

· Lo scopo dei moderni è la sicurezza nei godimenti privati: chiamano libertà le garanzie concesse dalle istituzioni a questi godimenti.

Rapporto tra liberalismo e democrazia

· le libertà civili sono una condizione necessaria per l'esercizio della libertà politica, cioè il controllo popolare del potere politico: senza le libertà civili, come la libertà di stampa e di opinione, la partecipazione popolare al potere politico è un inganno; ma senza partecipazione popolare al potere le libertà civili hanno ben poche probabilità di durare.

La vera libertà

· se intendiamo per vera libertà l'assenza di costrizione, bisogna parlare di libertà negativa in quanto la libertà positiva qualifica nulla l'agire umano ma la volontà, e ciò può valere per l'agire non è detto che valga anche per volontà.

I due ideali di società libera

· un esempio classico della prima forma ideale di società libera è la comunità di Kant: ciò che Kant intende per libera è una società in cui sia garantita a ciascuno la libertà esterna, cioè la libertà di far tutto ciò che è compatibile con le libertà di tutti gli altri, cioè una società in cui vi sia il massimo possibile di libertà negativa.

· Nell'ideale di Kant una società è tanto più perfetta quanto più estesa quella libertà che consente l'assenza di impedimento di costrizione.

· Tutt'altra è la società libera ideale presente nel pensiero politico di Rosseau: cioè il maggior apprezzamento da libertà positiva rispetto libertà negativa. Una società ideale di Rosseau è quella del contratto sociale ove ciascuno è libero, ma nella misura in cui ubbidisce alla legge che egli stesso attraverso la formazione della volontà generale si è dato.

La storia della libertà

· la libertà in quanto liberazione da un ostacolo presuppone sempre un ostacolo. Tante libertà nella storia quanti ostacoli di volta in volta rimossi. Si può intendere la storia come un continuo e rinnovato tentativo degli individui e dei gruppi (popoli, classi, nazioni) di allargare la propria libertà d'azione (libertà negativa) e di riaffermare il principio dell'autodeterminazione contro le forze oppressive.

· La conquista della libertà è sempre stata una condizione necessaria per la conquista della potenza e la potenza degli uni si afferma e non può non affermarsi a scapito delle verso degli altri. C'è uno stretto rapporto tra potenza e libertà: tutti potenti prima di essere potenti sono stati liberi, la libertà di oggi è la potenza di domani e tale libertà provocherà necessariamente l’illibertà di altri.

· Si può benissimo concepire la storia e quindi il destino dell'uomo dal punto di vista, anziché della libertà, della potenza, come il suo rovescio.

La Democrazia in America di Alexis de Tocqueville

(brani scelti)

La Democrazia in America, pubblicata per la prima volta a Parigi fra il 1835 e il
1840, è al tempo stesso uno studio sull'ordinamento degli Stati Uniti e una ricerca sulle
istituzioni e le tendenze generali della democrazia nel campo politico, sociale, culturale e
morale. Questa prima opera sistematica sulla democrazia, espressione classica del liberalismo francese dell'Ottocento, fu scritta da uno studioso di provenienza aristocratica.
L'autore, Alexis-Ckarles-Henri Clérel de Tocaueville, nacque a Parigi il 29 luglio 1805
da ma famiglia di antica nobiltà normanna,Ma il suo aristocraticismo si collegoa un carattere molto indipendente.


Di fronte alla lotta in corso durante la Restaurazione, in
particolare durante il regno di Carlo X (1824-1830) — tra i liberali, che volevano
rafforzare a estendere le garanzie costituzionali e i poteri del parlamento, egli ultras, che miravano ad abolire o quanto meno a svuotare di fatto la Carta concessa da Luigi XVIII nel 1814 — le simpatie del giovane Tocqueville andarono ai primi.

Ma ne/le sue riflessioni politiche si spinse oltre il liberalismo
dell'età della Restaurazione, ancora in misura notevole aristocratico. Egli, infatti, anche
prima de! viaggio in America, ebbe l’intuizione che poi fu alla base di tutto il suo sistema politico. Si rese conto, cioè, che era in atto e si avviava sempre più celermente al suo compimento un grandioso mutamento politico-sociale, cominciato molto prima della rivoluzione francese e da questa reso irresistibile: il cammino dell'umanità verso "l'eguaglianza delle condizioni", espressione questa di cui si vedrà più avanti il significato che aveva per Tocqueville. Di conseguenza, secondo lui, l'età dell'aristocrazia era definitivamente chiusae il problema politico principale era ormai quello di fondare un governo democratico capace di garantire la libertà in una società dominata dal principio dell’eguaglianza,

Frattanto la rivoluzione del luglio 1830 portò alla caduta di Carlo X, all’avvento di LuigiFilippo d’Orléans e alla vittoria del liberalismo moderato.

Tocqueville, sebbene non avesse alcuna simpatia per Luigi Filippo, giurò
fedeltà al nuovo regime orleanista, perché era convinto che la politica di Carlo X e dei suoi
consiglieri aveva reso inevitabile la caduta di quest’ultimo. Ma la nuova situazione politica
non si presentava favorevole al giovane aristocratico, desideroso di affermarsi non tanto
nella carriera giudiziaria quanto nel mondo della cultura e della politica. Fu allora che
Tocqueville e il suo collega e amico Gustavo de Beaumont, di poco più anziano di lui,
pensarono di fare un viaggio di inchiesta negli Stati Uniti. A questi scopo i due amici
riuscirono a ottenere dal ministro della giustizia l’incarico di studiare il sistema peniten-
ziario americano in vista di un’eventuale riforma di quello francese. Ma in realtà essi si
proponevano soprattutto di conoscere a fondo gli Stati Uniti e di studiare i caratteri e il
funzionamento delle istituzioni democratiche americane. Con queste idee i due amici, dopo essersi forniti del maggior numero possibile di lettere di presentazione, partirono per l'America e sbarcarono a New York, dopo trentotto giorni di navigazione, il 10 maggio 1831.

Intorno al 1830 la conoscenza dell'effettivo stalo sociale e del funzionamento delle istituzioni politiche americane era ancora scarsa e superficiale in Francia e negli altri paesi continentali d'Europa.

Ma la rivoluzione di luglio, che pur aveva portato alla vittoria del liberalismo moderato alleato del ramo orleanista dei Borbone, aveva stimolato fortemente una ripresa delle correnti democratiche.

Perciò dopo il 1830, uno studio sulle istituzioni democratiche degli Stati
U'niti aveva forti possibilità di suscitare un vivo interesse nell'opinione pubblica francese e
anche di altri paesi d'Europa. L'acuto e ambizioso Tocqueville ebbe quindi una giusta
intuizione quando pensò di andare a studiare in America una democrazia funzionante per
trame insegnamenti utili per il futuro sviluppo della democrazia in Francia, che egli
giudicava inevitabile, per quanto non senza un certo timore.

A circa mezzo secolo dalla fine della guerra di indipendenza e a più di quarant'anni
dall'entrala in vigore della costituzione federale, gli Stati Uniti avevano avuto anzitutto un
grande sviluppo territoriale. Quando Tocqueville li visitò, altri undici stati si erano
aggiunti ai tredici originari e nell'Ovest vari temtori stavano per divenire movi stati.
Tutta la zona tra i monti Allegheny e il Mississippi era ormai colonizzata e in corso di
rapido popolamento e due stati, la Louisiana e il Missouri, erano situati sulla destra del
grande fiume. La frontiera mobile avanzava ogni anno di vari chilometri verso occidente;

coloni americani avevano cominciato a penetrare nel Texas, allora provincia messicana. La
popolazione, che era circa di Ire milioni all'epoca dell'indipendenza, era salila a quasi
tredici milioni nel 1830. Nel vastissimo territorio dell'Unione, che superava ormai i quattro
milioni di chilometri quadrati, le comunicazioni avevano già compiuto grandi progressi,
soprattutto grazie allo sviluppo della navigazione a vapore, ancora poco usata nel campo
marittimo, ma largamente diffusa in quello interno. Grandi steam boats percorrevano i
fiumi, i laghi e i canali, scavati da paco tempo, come quello che congiungeva il lago Eric
all'Hudson e al porto di New York, a cui si aggiunse nel 1834 quello che univa lo stesso lago
all'Ohio e al Mississippi. Ma già nel 1831 era stata inaugurata la prima ferrovia che
congiungeva Charleston a Hamburg nella Carolina del Sud e altre ferrovie erano in
costruzione, destinate nel corso di pochi decenni a soppiantare in gran parte la navigazione
intema. Comunque, nella rivoluzione dei mezzi di trasporto, che caratterizzò il cinquan-
tennio tra il 1820 e il 1870, gli Stati Uniti erano press'a poco allo stesso livello
dell'Inghilterra, cioè del paese allora tecnicamente più avanzato del mondo.

Tuttavia gli Stati Uniti, quando Tocqueville li visitò, erano ancora in prevalenza un
paese agrario. Le città, molto cresciute per popolazione rispetto agli anni della rivoluzione,
non avevano ancora il peso demografico ed economico che dovevano acquistare nei decenni
successivi (New York aveva appena 200.000 abitanti; Filadelfia 160.000) ed erano
soprattutto centri commerciali e marittimi. Molto forte era infatti lo sviluppo della marina
mercantile negli stati del Nord-Est. Nelle città con più di 8.000 abitanti si concentrava
allora soltanto il sei per cento circa della popolazione. L'agricoltura prevaleva nettamente
sull'industria, sebbene quest'ultima avesse cominciato a svilupparsi negli stati del Nord-
Est quando le guerre rivoluzionarie e napoieoniche avevano reso costose e diffìcili le
importazioni di prodotti industriali dall'Europa e successivamente fosse stala sostenuta da
tariffe doganali protettive, poi in parte abolite per l'opposizione degli stati del Sud. Questi producevano soprattutto cotone, la cui coltivazione si era molto estesa e aveva in parte
sostituito quelle preesistenti del riso, dell'indaco e del tabacco dopo {'invenzione della
macchina sgranatrice nel 1793 e grazie alla tortissima richiesta di cotone greggia da parti
dell'industria tessile europea, soprattutto inglese. Di conseguenza si era grandemente
esteso, anche nei nuovi stati dell'Alabama, del Mississippi e della Louisiana e nei temtori
meridionali che via via venivano colonizzati all'Ovest, il sistema delle piantagioni coltivate
da schiavi negri e si andava di pari passo rafforzando una classe di grandi proprietari
bianchi. Invece nel Nord-Est e nel Nord-Ovest, dove prevalevano la coltivazione dei cereali
e l'allevamento del bestiame, la proprietà era molto suddivisa ed erano numerosi i
coltivatori diretti, piccoli proprietari e fittavoli. La produzione era destinata soprattutto al
mercato intemo, poiché solo negli ultimi decenni del secolo XIX comincici la grande
esportazione di grano verso l'Europa.

Non esistevano dunque ancora, intomo al 1830, nel Nord degli Stati Uniti forti
squilibri sociali e non si erano ancora/ormate quelle grandi concentrazioni di ricchezza che
il gigantesco sviluppo del capitalismo industriale e finanziario determinò negli ultimi
decenni del secolo XIX e ancora di più successivamente. Inoltre la colonizzazione dell'Ovest
assicurava una eguaglianza di possibilità a tutti i giovani dell'Est, desiderosi di far
fortuna. A questa situazione si riferisce Tocqueville quando indica con l'espressione —
senza dubbio un po' vaga — "eguaglianza delle condizioni" la cosa nuova che maggior-
mente lo aveva colpito nel suo viaggio negli Slati Uniti. L'America dei liberi coltivatori del
Nord e dei pionieri che avanzavano nell'Ovest è quella su cui si sofferma maggiormente lo
studioso francese, quando descrive le istituzioni e il funzionamento della democrazia.

Si deve pure ricordare che in tutti gli stati dell'Unione l'eguaglianza giuridica dei
cittadini liberi (in pratica quelli di razza bianca) era garantita in modo completo dalle
costituzioni statali e da quella federale. Inoltre tutti gli stati entrati nell'Unione dopo
l'indipendenza e la maggior parte dei tredici originari avevano adottalo il suffragio
universale maschile. Infine, un fatto significativo era stato reiezione a presidente degli Stati
Uniti nel 1828 del generale Andrew Jackson, originario del Tennessee, uomo di modesti
natali, col quale si interruppe la serie dei presidenti appartenenti a importanti famiglie
della Virginia o del Massachusetts. Un uomo nuovo, dunque, imposto dagli elettori degli
stati dell'Ovest e rieletto nel 1832, fu a capo del governo dell'Unione dal 1829 al 1837. Fu
questa l'era della democrazia jacksoniana caratterizzata, non tanto per merito personale di
Jackson quanto per lo spirito dominante nel paese, dalla larga diffusione della mentalità
egualitaria, dal sorgere di varie iniziative umanitarie, dal progresso della cultura,
dall'accentuarsi della fiducia nell' "uomo comune" e dall’intensificarsi della mobilità
sociale: tulli caratteri, questi, che apparvero e in parte furiino effettivamente tipici della
democrazia americana ancora per molti anni.

Tocqueville si trattenne in America per circa nove mesi; visitò le principali città degli
Stati Uniti e si spinse anche in qualche zona ancora poco abitata dell'Ovest; prese contatto
con molte personalità della politica e della cultura e con molti uomini comuni; raccolse un

Vasto materiale documentario che poi integrò con varie letture dopo il ritomo in Francia.
Nel 1833 pubblicò, insieme a Beaumont, il rapporto sulle prigioni americana e nel gennaio 1835 pubblicò la prima parte della Democrazia in America, divisa a sua volta in due volumi, dedicati rispettivamente alle istituzioni americane e al funzionamento di esse.

// libro ebbe un grande successo, fu giudicato favorevolmente da critici autorevoli e
fu tradotto poco dopo in inglese e in tedesco. Il giovane autore acquistò grande fama negli ambienti intellettuali e pensò di dedicarsi alla politica: fu eletto deputato del circondario di Valognes in Normandia nel 1839. Questa attività politica e altri impegni del Tocqueville ritardarono la preparazione della seconda parte della Democrazia in America, dedicata all'influenza della democrazia sulla cultura, i sentimenti, i costumi e la società politica in generale, che fu pubblicata soltanto nel febbraio 1840. Le due parti dell'opera sono pertanto notevolmente diverse sia per il contenuto, sia per l’'impostazione, sia per i momenti in cui furono pubblicate, e diversi devono quindi essere i giudizi su di esse, come fu diversa l'accoglienza dei contemporanei. Infatti, la seconda parte della Democrazia in America ebbe un successo inferiore a quello della prima.

La descrizione delle istituzioni americane e l'analisi del loro funzionamento prevalgono nettamente nella prima parte, Tocqueville, sociologo e politologo (come oggi si direbbe) oltre che storico, fa un largo uso del metodo comparativo:

talvolta in modo esplicito paragona gli Stati Uniti alla Francia e in minor misura
all'Inghilterra, ma quasi sempre implicitamente tiene presente la Francia nella sua
trattazione. Questo punto è essenziale per la comprensione dell'opera.

Dopo una sommaria descrizione geografica dell'America del Nord e uno sguardo, forse
troppo rapido, al!'origine e allo sviluppo delle colonie inglesi in questo continente, nel quale
mette in luce l'importanza dell'unione dello spirito religioso dei puritani con lo spirilo di
libertà nelle colonie della Nuova Inghilterra, Tocqueville si sofferma sullo "stato sociale"
degli americani, Lo stato sociale è infatti, secondo lui, "la causa prima della maggior parte
delle leggi, dei costumi e idee che regolano la condotta delle nazioni". Afferma quindi che lo
stato sociale degli americani "è eminentemente democratico", sia perche' nella Nuova
Inghilterra "non fu mai deposto il germe dell'aristocrazia", sia perche la classe dei
proprietari di schiavi del Sud non aveva goduto di privilegi paragonabili a quelli della
nobiltà europea dell'antico regime e si era messa anzi alla lesta del popolo nella lotta per
l’indipendenza dall'Inghilterra, sia perché importanti progressi verso la democrazia (che
l'autore intende qui come progressi verso l'eguaglianza) furono compiuti durante la
rivoluzione americana o subito dopo.

L'autore ricorda poi altri motivi che favorivano allora in America una sostanziale eguaglianza sociale, come il
fatto che quasi tutti gli americani ricchi avevano cominciato con l'esser poveri, poiché la
fortuna circolava negli Siati Uniti con grande rapidità, e il fatto che esisteva "un livello
medio di istruzione in modo che tutti gli spiriti si sono avvicinati, gli uni elevandosi, gli
altri abbassandosi". A questo punto Tocqueville fa un'osservazione fondamentale per la
comprensione di tutto il suo pensiero. Dice infatti che il principio dell'eguaglianza, una volta affermatesi nel campo sociale, non può non penetrare in quello politico.
Secondo Tocqueville,gli americani hanno creato un sistema politico fondato sulla libertà in uno stato sociale caratterizzo dall'eguaglianza. Per chiarire questo concetto Tocqueville passa all’esame delle istituzioni politiche degli StatiUniti e lo studio del loro funzionamento, proponendosi anche di informare i suoi lettori dei principali problemi politici e sociali esistenti negli Stati Uniti di quell'epoca. Egli comincia il suo quadro studiando l'amministrazione e
in particolare l'amministrazione locale, cioè quell'aspetto dell'attività di governo che tocca
più da vicino gli interessi e la vita quotidiana dei cittadini. A proposito dell'amministrazione fa una distinzione fondamentale tra accentramento politico (indispensabile per l'esistenza stessa dello slato) e accentramento amministrativo e nota che negli Stati Uniti esiste il primo (sebbene diviso tra gli stati particolari e l'Unione), ma non il secondo ,poiché vi regna la più completa libertà comunale e non esistono a questo livello agenti governativi
che non siano elettivi. Questo decentramento amministrativo è la prima garanzia di libertà
in una società democratica, mentre l'accentramento amministrativo di tipo francese (problema che Tocqueville affronterà nell'altra sua grande opera, L'Antico regime e la
rivoluzione, pubblicata vent'anni dopo) è per sua natura autoritario e può essere un punto
di partenza per il dispotismo. Altre garanzie di libertà sono l'indipendenza del potere
giudiziario (su cui Tocqueville si sofferma a lungo e ripetutamente esprimendo idee in parte
discutibili sull'importanza della giuria e sul giudizio politico), la libertà di stampa e la
libertà di associazione. Molto accurato è l'esame che l'autore fa della costituzione federale,
di cui mette in luce il carattere nuovo rispetto alle forme di confederazione preesistenti o
ancora esistenti in Europa in quell'epoca. Questo carattere nuovo consiste nella precisa
determinazione dei campi nei quali si deve esercitare il potere centrale, stabilita dalla
costituzione federale stessa, mentre in tutti gli altri settori non previsti da questa si esercita
il potere dei singoli stati. Il governo federale è quindi definito da Tocqueville un "governo
nazionale incompleto".

Tuttavia sui governi democratici, in cui necessariamente ogni decisione viene presa
sulla base della volontà della maggioranza, incombe sempre, secondo lo scrittore, il pericolo
della "tirannide della maggioranza" stessa. A questo pericolo in linea generale non si
sottrae neppure il governo democratico degli Siati Uniti. Tocqueville tuttavia nota l'esistenza di alcune circostanze che contribuiscono alla conservazione della repubblica democralica negli Stati Uniti. Alcune di esse sono di carattere fisico o puramente contingenti, come il relativo isolamento geografo degli Slati Uniti, che li rendeva immuni da invasioni
e da attacchi esterni pericolosi e quindi rendeva non necessarie grosse forze militari; il fatto
che non esisteva negli Stati Uniti una grande capitale, possibile luogo di concentramento di
forze rivoluzionarie; il fatto che gli americani avevano occupato un paese quasi vuoto,
abitatato originariamente soltanto da tribù di cacciatori relativamente piccole; il benessere
generale, che spingeva gli americani stessi a non desiderare mutamenti politici radicali; l'emigrazione verso l'Ovest e l'emigrazione europea nell'Est, che assicuravano la mobilità sociale e il ricambio della manodopera.

Altre circostanze favorevoli alla conservazione della repubblica democratica erano offerte dalle leggi, cioè dalla forma federale del governo, che consentiva all'Unione "di godere della potenza di una grande repubblica e
della sicurezza di una piccola", dalle libere istituzioni comunali e dalla capacità del potere
giudiziario di "correggere gli errori della democrazia". Ma Tocqueville attribuisce
un 'importanza ancora maggiore, ai "costumi", che egli intende come l'insieme dello "stato
morale e intellettuale del popolo". Tra i costumi egli fa rientrare la religione, a cui
attribuisce una notevole influenza sulla politica: ricorda infatti che gli Stati Uniti furono
inizialmente abitati da uomini che si erano sottratti all'autorità del papa e non si erano
sottomessi ad alcuna supremazia religiosa, pertanto professavano un cristianesimo spontaneamente portalo a favorire l'instaurazione della repubblica e della democrazia. Successivamente, con l'arrivo di immigrati irlandesi, era molto aumentato negli Stati Uniti il numero dei cattolici, che facevano anche molli proseliti; ma anche i cattolici erano
generalmente sostenitori della repubblica e della democrazia sia perché in maggioranza
erano poveri, sia perché costituivano una minoranza rispetto ai protestanti. Tocqueville
sostiene anche che la religione ha sulla politica un'influenza indiretta, che negli Stati Uniti
favorisce la conservazione della repubblica democratica. Personalmente, pur provenendo da famiglia cattolica, era propenso a una forma piuttosto vaga di deismo o di cristianesimo
razionalizzato, ma attribuiva alla religione la funzione strumentale di forza di conserva-
zione della morale e dell'ordinamento politico stabilito; perciò giudicava positivamente il
rispetto che gli americani professavano per le credenze religiose, nonostante il moltipllcarsi
in quegli unni delle sette religiose, Perciò Tocqueville è in linea di principio sostenitore dilla separazione della Chiesa dallo Slato.

L'esempio degli Stati Uniti dimostrava dunque, secondo lo storico francese, che era possibile l'instaurazione di un governo libero in uno stato sociale fondato sull'eguaglianza; ma dimostrava anche quanto peso avessero avuto per raggiungere questo fine una serie di circostanze in parte non ripetibili in altri paesi, in particolare egli giudica molto diffìcili raggiungere questo fine negli slati europei. Ma afferma anche che, poiché l'unica alternativa che si presenterà in Europa sarà quella tra la "libertà democratica" e la "tirannide dei
Cesari", la scelta non può essere dubbia e che vale la pena di affrontare il diffìcile compito
di instaurare una libera democrazia, ovviamente diversa per molti aspetti da quella degli
Stati Uniti, anche nei paesi europei. E conclude queste sue riflessioni con le seguenti parole,
che sembrano preannunciare il pericolo non solo del bonapartismo di Napoleone III, ma
anche delle dittature ben più terribili del nostro secolo: "Io penso che se non si arriverà a
introdurre a poco a poco e a fondare tra noi istituzioni democratiche, e se si rinuncia a dare a
tutti i cittadini idee e sentimenti che li preparino alla libertà e gliene facilitino l’uso, non vi
sarà più indipendenza per nessuno, neper i! borghese, neper il nobile, né per il povero, né per
il ricco, ma un'eguale tirannide per tutti; e prevedo che, se non si riuscirà col tempo a
fondare tra noi l’impero pacifico degli eletti della maggioranza, arriveremo presto o tardi al
potere illimitato di uno solo".

Energia Nucleare VS Energia Solare: 8 miti da sfatare


Quante volte abbiamo sentito in questi ultimi anni che in realtà le energie rinnovabili, prime fra tutte quella solare, non sarebbero competitive ed economicamente sostenibili rispetto alla tanto decantata e conclamata energia nucleare? Troppe. Con un unico risultato, come ci insegnava Goebbels all’alba del secolo scorso: “A furia di dire una bugia, questa diventerà una verità.”

Anzitutto cominciamo a consigliare una lettura al riguardo, “Energia per l’Astronave Terra”, di Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani (Ed. Zanichelli, euro 11,80), un librettino di 225 pagine che dovrebbe essere usato come breviario da tutti i Soloni che pretendono di occuparsi di politiche energetiche, senza sapere di cosa si parli (primo fra tutti il Ministro Scajola). Se non altro perché nel 2009 ha vinto il Premio Galileo per la divulgazione scientifica.

In secondo luogo, diamo qualche cifra, prima di sfatare i famosi 8 miti che tv e giornali ci ripropongono in tutte le salse da qualche anno a questa parte.

Il Sole invia sulla terra ogni ora 400 milioni di miliardi di joule, pari all’energia che l’intera umanità consuma in un anno. La posizione centrale dell’Italia, “paese del Sole”, consente inoltre a Roma di avere circa il 60% di energia solare in più rispetto a Londra. Si può parlare quindi a ragione del Sole come “il petrolio dell’Italia”, ma chi ci governa evidentemente non ci è ancora arrivato: infatti non solo nel 2003 ha fatto fuggire Rubbia, premio Nobel per la Fisica, in Spagna (dove ha realizzato la centrale solare più grande d’Europa, che doveva essere fatta in Sicilia), ma per quanto riguarda i pannelli solari, in Italia ne abbiamo meno di 15 m² per mille abitanti.

Per soddisfare il fabbisogno elettrico europeo con pannelli fotovoltaici sarebbe sufficiente coprire mediamente lo 0,6% della superficie dei vari Stati. Per l’Italia si tratterebbe di un’area estesa quanto la provincia di Piacenza (2400 km², 0,8% del territorio).

Ma sfatiamo adesso gli 8 miti:

1) L’energia nucleare è necessaria per garantirci una maggiore indipendenza energetica.

In realtà, l’Europa non ha riserve significative di uranio, le cui scorte vanno esaurendosi ogni giorno sempre più: quindi, dal petrolio, diventeremmo dipendenti dall’uranio, che costa anche di più. Ma se anche avessimo scorte a sufficienza per produrre tutta l’elettricità che ci serve, soddisferemmo meno di un quarto del nostro fabbisogno energetico; tre quarti dipendono infatti dai combustibili, che non si producono con centrali nucleari.

2) Serve il Nucleare per contrastare il caro-petrolio.

L’energia nucleare produce solo elettricità, mentre il petrolio solo combustibili liquidi. Quindi le due cose sono disgiunte. Tant’è che la Francia, che produce il 78% della propria elettricità per via nucleare, consuma più petrolio dell’Italia.

3) Siamo costretti a importare energia elettro-nucleare dalla Francia a prezzi elevati.

In realtà l’esigenza è dei francesi, non nostra: le centrali nucleari funzionano a ciclo continuo, quindi la notte, nelle ore di minore domanda, la Francia è costretta a smistare nelle reti dei paesi confinanti l’energia in eccesso. Ed è una vendita a basso costo.

4) Se utilizzassimo l’energia solare, bisognerebbe ricoprire tutta l’Italia di pannelli.

Falso. Con le tecnologie attuali (cioè molto poco ottimizzate e con un rendimento modesto rispetto alle reali potenzialità del mezzo), basterebbero 2400 km², pari allo 0,8% del territorio nazionale.

5) I biocombustibili sostituiranno benzina e gasolio.

Anche usando bioetanolo da canna da zucchero (il più efficiente e conveniente disponibile), per sostituire i 18 miliardi di litri di benzina consumati attualmente in Italia servirebbero 50.000 km² di terreno agricolo, pari al 20% del territorio nazionale. Oltre a non avere a disposizione tutta questa superficie agricola, la canna da zucchero non cresce in Italia.

6) Oggi possiamo disporre di tecnologie a “carbone pulito”.

È uno slogan commerciale che qualsiasi esperto del settore può facilmente smentire. Il carbone rimane la fonte di energia più inquinante al mondo. La tecnologia che dovrebbe renderlo pulito consiste nel confinare la CO2 nel sottosuolo, cosa che non solo sarà possibile fra 30 anni su larga scala, ma attualmente è anche economicamente insostenibile.

7) Le centrali a fissione di nuova generazione e la fusione nucleare risolveranno a breve e definitivamente il problema energetico.

Cominciamo col dire che impianti del genere potranno essere costruiti solo fra 25 anni e che, a proposito, la comunità scientifica internazionale sta lavorando a ben sei progetti diversi, la cui fattibilità in termini economici e tecnici è ben lungi dall’essere appurata. Infatti, le centrali che il governo ha prenotato ai francesi sono ancora di terza generazione. Inoltre, la liberalizzazione dei mercati elettrici, ha dimostrato come il nucleare non riesca a sopravvivere in regime di libero mercato: senza lo Stato, qualsiasi iniziativa economica privata nel campo nucleare si è dimostrata negli ultimi anni un disastro.

8) L’Idrogeno è l’energia pulita del futuro.

L’idrogeno non è una fonte di energia primaria, ma un vettore energetico, come l’elettricità. Per usarlo bisogna prima produrlo, consumando energia: estrarlo dall’acqua richiede un quantitativo energetico pari a quello che genera quando reagisce nuovamente con l’ossigeno per ridare acqua. Inoltre, è pulito se lo è anche la fonte di energia usata per produrlo.

Insomma, ora non resta da fare che una cosa. Il Passaparola.

domenica 10 aprile 2011

L'informazione televisiva!



Al giorno d'oggi l'informazione viene trasmessa capillarmente ovunque grazie a grandi canali di comunicazione di massa: I MASS MEDIA. Invenzione dell'ultimo secolo, la televisione è il più potente strumento di informazione facilmente comprensibile a tutti, che offre immagini reali più chiare ed incisive di qualsiasi articolo di stampa. Essa presenta però numerosi aspetti negativi di cui un normale utente non si cura. Innanzitutto la televisione ha la capacità di distorcere le notizie in vario modo; fornisce le cosiddette "pseudo-notizie", creando delle informazioni esagerate sulla base di fatti che comunemente resterebbero inosservati; farcisce le notizie di false statistiche, "False" non perché numeri e tabelle non siano dati oggettivi, ma perché l'interpretazione televisiva è spesso errata, esagerata e molto soggettiva. Per non parlare delle interviste "casuali", in cui l'intervistatore si aggira per le strade fermando i passanti per chiedere la loro opinione, come se l'opinione di un povero malcapitato preso a "caso" potesse rappresentare l'opinione di tutta una nazione. La televisione può essere anche strumento di propaganda politica; secondo il colore dell'emittente o della produzione, l'informazione può essere controllata e mistificata. Nelle televisioni italiane, per esempio, un grande neo sta nel fatto che nei posti chiave ci siano persone designate dai partiti; il che oltre ad indirizzare lo spettatore verso una determinata interpretazione delle notizie; non favorisce il confronto ed il dibattito, la produzione di nuove idee e punti di vista. Ma non è tutto qui. La televisione di oggi privilegia l'attacco, la trasgressione e l'aggressività per colpire lo spettatore e trattenerlo col fiato sospeso fino alla fine della trasmissione. Entra così, con la stessa semplicità nelle case, anche la violenza, modelli brutali e diseducativi per bambini ed adulti. I bambini e gli adolescenti d'oggi trascorrono in un anno più ore di fronte alla Tv (circa 1000), che nelle aule scolastiche (circa 800); assimilando modelli di scarso valore qualitativo che penalizzano la cultura e la loro crescita civile e d etica; ed in particolare lo spirito critico. La televisione d'oggi non si preoccupa di trasmettere informazione e programmi culturali: le scelte della programmazione sono all'inseguimento dell'audience, da vendere agli sponsor per mandare avanti la "Macchina". Qualsiasi programma, TG compresi , è infarcito di spot che a mio avviso, ne riducono la credibilità. Perché la tv diventi un valido e credibile strumento di informazione, è necessario che sappia rinunciare all'audience, mettere da parte il colore politico, offrire una colta varietà di programmi che diano allo spettatore la possibilità di capire, distinguere, scegliere. Chiedere questo è chiedere troppo?

Tema: L'informazione del banco frigo

Nell'ultimo decennio sullo scenario dei media e in particolar modo della televisione si è assistito ad un poderoso mutamento, dettato dal cambiamento dei costumi e dal consolidamento del consumismo. Soprattutto è radicalmente cambiato l'obbiettivo e lo strumento di fare televisione: si è passati da una vasta offerta di programmi per soddisfare le esigenze degli utenti di tutte le categorie ad una mentalità in cui il programma televisivo è ridotto ad un prodotto commerciale. Con la caduta del monopolio della TV di stato e l'agguerrita concorrenza delle emittenti private, i programmi televisivi sono diventati schiavi dell'audience e non della qualità del prodotto stesso. Gli spazi pubblicitari rappresentano la vita o la morte delle emittenti, che di conseguenza sono in competizione tra di loro per accaparrarsi il conduttore o la conduttrice che riesce ad attrarre il maggior numero di spettatori. Insomma, l'etica della televisione se mai ne ha avuta una briciola, è stata soppiantata dalle regole del mercato.
Non vi è alcun programma televisivo che rimane immune dallo share e dall'audience, tantomeno i telegiornali che dovrebbero rappresentare una macchia nera tra il nero della televisione "spazzatura". Alla base dell'informazione televisiva non sta più il senso o il contenuto di una notizia, ma ciò che "fa notizia", cioè che fa parlar di sé. Il telegiornale non è più uno strumento che collega ogni telespettatore al mondo, ma una macchina per catturare l'attenzione, per non far cambiare canale prima e dopo la sigla di apertura e di chiusura.
Il telegiornale, per la sua caratteristica principale, l'immediatezza, e la sua capacità di essere diretto e tempestivo non ha il dovere di rielaborare le notizie fornendo la propria opinione, ma è comunque il ponte che ci collega in tutte le parti del mondo; se non ci fossero i media un fatto potrebbe accadere senza che il, resto dei sei miliardi di persone del globo non coinvolte ne vengano a conoscenza, quindi è come se non avvenisse. Per fare un esempio, per fare un esempio che potrebbe sembrare moralista, ma che rende molto chiaramente il concetto, osserviamo la guerra; nel mondo attualmente ci sono circa una cinquantina di guerre; di queste quali vengono menzionate dai telegiornali generalmente? Tre: il conflitto mediorientale, ormai da anni onnipresente sui nostri schermi; qualche scaramuccia che interessa una certa superpotenza coinvolta in qualche fatto più grosso del normale; i Balcani, perché giustamente non si può far finta di non vedere dei popoli mentre si "scannano" fuori casa nostra.
Queste guerre assumono i risvolti di film hollywoodiani e quindi ci coinvolgono particolarmente, ma se un notiziario ci racconta che in Sierra Leone, per esempio, migliaia di persone muoiono per un a guerra fomentata dalle multinazionali dei diamanti che ci piacciono tanto, allora disgustati cambiamo canale. Di questa, come di molte altre guerre, non conosciamo molto. All'interno del panorama degli argomenti che fanno maggiormente notizia ci sono le tragedie. Le tragedie stimolano in noi una curiosità morbosa; questo avviene perché i drammi che sentiamo nei tg sono estremamente gravi, molto più gravi di quelli che affrontiamo quotidianamente, ma soprattutto capitano a persone estranee. Quindi ogni notiziario bada di presentare tre le prime notizie qualche tragedia, specialmente quelle familiari come è successo con la vicenda di Erica a Novi Ligure.
La notizia per essere venduta efficacemente, nonostante sia più o meno seria, deve diventare un "gossip": un pettegolezzo. Il mestiere di molti telecronisti è diventato perciò quello di sciorinare adeguate parole in modo conciso. Questa antitesi è il segreto per catturare l'interesse del telespettatore, ne sanno qualcosa i rappresentanti di commercio. I vari tg si sono specializzati nell'offrire un prodotto adeguato ad una determinata fascia di utenti, che può essere la classe medioborghese in cerca di sentimenti forti: è il caso di tg1 e tg5, i cosiddetti "tg familiari"; oppure di determinate tendenze politiche, è il caso di tg4 e in minor modo di tg3...
Per concludere l'informazione televisiva è blasfema e se ci si allontana di poco dal fatto nudo e crudo potrebbe rientrare nei demenziali programmi di intrattenimento in prima serata, visto che come è successo recentemente nel programma di Celentano, tutti fanno informazione come e dove vogliono, trasformando notizie in scandali e pettegolezzi. Tuttavia non dobbiamo lamentarci più di tanto, poiché la televisione si è plasmata sui nostri costumi, e né dobbiamo limitarla poiché il prezzo della democrazia è appagato dal diritto e certe volte dal piacere di cambiare canale. O no?

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