Datemi una metafora e vi solleverò la sinistra. I progressisti americani alla ricerca di una leva per scalzare Bush dalla Casa Bianca hanno scoperto un novello Archimede: George Lakoff, professore a Berkeley, attivista per hobby e guru politico a tempo perso. Dopo anni passati a studiare le radici profonde del linguaggio (un suo aspro dibattito del 1973 con Noam Chomsky su linguistica strutturale e grammatica generativa, Lakoff ha deciso di mettere la sua specializzazione al servizio della causa liberal. Scoperto da movimenti di sinistra virtuali come AlterNet.org e MoveOn.org, si è guadagnato la stima di Howard Dean, il candidato movimentista che grazie all’uso innovativo della Rete l’anno scorso si presentò alla primarie democratiche da favorito. Tutto questo mentre l’ultimo libro di Lakoff, Don’t think of an elephant. Know your values and frame the debate (”Non pensare a un elefante! Conosci i tuoi valori e imposta il dibattito”), diventava su Internet un caso da manuale di marketing virale (la versione telematica dell’antico passaparola).
Come accade sempre più frequentemente, il successo nel regno dell’attivismo virtuale ha aperto al professore di Berkely le porte del mondo reale. Nel dicembre scorso, all’indomani della batosta elettorale, George Lakoff era tra i relatori ad un meeting dei deputati democratici. In quell’occasione, il linguista ha consegnato ai notabili del partito le regole auree esposte nel best seller: fare chiarezza sui propri valori e scegliere le metafore giuste per modellare il contesto del dibattito a proprio favore, un’arte in cui negli ultimi trent’anni la destra americana è stata maestra. Agli smarriti orfani di Clinton e alla sinistra in cerca della vittoria perduta Lakoff ricorda che una volta che certe immagini si sono infilate nella nostra testa sono difficili da eliminare. Anzi, ogni tentativo di negarle finisce per rafforzarle: come suggerisce il titolo del suo libro è quasi impossibile non pensare ad un elefante se qualcuno ci ordina di farlo.
Nell’agone politico ogni metafora evoca valori e costruisce cornici (“frame”) di discorso favorevoli a chi sostiene certi principi piuttosto che altri. Come la famosa metafora bushiana del “tax relief”, il sollievo fiscale: una volta impostasi nel dibattito pubblico, ha offerto ai Repubblicani un vantaggio formidabile. Ogni volta che un candidato democratico argomenta contro quella misura, si oppone a una manovra che nella percezione comune ormai evoca qualcosa di positivo.
Discutere nel contesto definito dalle metafore degli avversari, è un po’ come giocare in trasferta. Inseguire gli avversari sul loro terreno, secondo Lakoff, è una perdita di tempo se non un esercizio dannoso. In America come in Italia. Basta pensare alla sorte della controproposta della sinistra italiana al taglio delle tasse di Berlusconi. Nella migliore delle ipotesi è scomparsa senza incidere nel dibattito politico. Nella peggiore ha in qualche modo confermato negli elettori la tesi berlusconiana: le tasse vanno comunque tagliate perché ingiuste.
Dopo tutto, i cittadini, secondo Lakoff, votano soprattutto in base ai valori, ai quali non di rado sacrificano il proprio interesse. Svendere il proprio capitale morale è dunque il peccato principale che una coalizione politica può commettere. Con buona pace di Rutelli, D’Alema e del Riformista, ogni spostamento verso il centro alla ricerca dei moderati aliena la base di sinistra e suggerisce a tutti gli elettori indistintamente che la ragione sta comunque dall’altra parte.
Ai progressisti in cerca di identità il libro di Lakoff offre, quasi ossessivamente, una parola d’ordine: reframing. Ovvero rimodellare costantemente il contesto e “incorniciare” le varie questioni, dalla guerra in Iraq allo stato sociale, in un modo congeniale alla mentalità liberal. Non troppo diversamente, insomma, da quanto facevano gli esponenti del vecchio Pci quando alle domande dei giornalisti rispondevano che “il problema vero è un altro”. Tuttavia perché questa non sia solo una mossa retorica fine a se stessa c’è bisogno di metafore che, ripetute costantemente, evochino nelle mappe cognitive degli elettori un universo progressista di riferimento. C’è bisogno di fondazioni, istituti di ricerca, think tanks che finanzino borse di studio, pubblichino libri, organizzino convegni con un solo scopo: produrre metafore che evochino i valori progressisti. Magari presentando le tasse come un investimento per il futuro o come il giusto pagamento per l’iscrizione a un club che ci dà diritto a usare autostrade, l’Internet, gli ospedali.
Quanto le tesi di Lakoff faranno breccia nell’establishment democratico è difficile dirlo. L’ideologia moderatista ha fatto breccia in tutti i partiti progressisti d’occidente e, come le metafore di cui si parla nel libro, è una pianta difficile da estirpare. Sicuramente sarà difficile toglierla dalla testa di Hillary Clinton che martedì scorso ha iniziato la sua manovra di avvicinamento alla presidenza distanziandosi dall’immagine pro-aborto del partito democratico predicando l’astinenza per i giovani. In questo caso, forse, non c’è bisogno di conoscere Lakoff per comprendere i probabili effetti di questa mossa.
Nessun commento:
Posta un commento