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sabato 24 agosto 2024

L'arte di manipolare l'opinione pubblica - Come funziona la fabbrica del consenso

Gli oligarchi del nuovo ordine mondiale si celano sotto il manto di un ingannevole democrazia, fingono che gli stati europei siano sovrani, inscenano il pluralismo dei partiti, per nutrire nei sudditi, l’illusione di poter scegliere, incantano l’elettorato, con mirabolanti promesse, sistematicamente disattese, e aggirano persino l’esito dei referendum, istituiscono commissioni di inchiesta che non hanno mai svelato nessuna verità, altrimenti ne sarebbe emerso l’imbarazzante coinvolgimento dei servizi segreti CIA, MOSSAD, MI6. Condannano il colonialismo salvo quando a esercitarlo siano la nato, gli Stati Uniti, L’Inghilterra la Francia e Israele. Ma perché i padroni del mondo come li ha definiti Avram Noam Chomsky sono così ipocriti? Azzardo un’ipotesi, i grandi burattinai lavorano alla costruzione di una società distopica, contraria all’ordine naturale delle cose. Se dichiarassero le loro autentiche intenzioni, l’opinione pubblica non li seguirebbe, da provetti giocolieri della menzogna hanno perciò allestito un ingegnoso Truman Show di portata planetaria. 

Gesù ci aveva avvertiti, guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Casualmente lo stemma della Fabian society raffigura proprio un lupo travestito da agnello e i vili affaristi del calibro di Bill Gates e George Soros non si sono del resto fregiati del titolo di benefattori? Qual è allora la sorgente di tanta doppiezza?

I Signori del denaro e dell’impostura hanno preso lezioni dai gesuiti? Soffrono di sindrome bipolare? Sono seguaci di Satana? O più semplicemente obbediscono a precetti religiosi del tipo “il nome di Dio non è profanato quando un ebreo mente a un cristiano” Talmud Baba Kama, 113b. “Gli ebrei devono sempre cercare di imbrogliare i cristiani” Zohar I 160a. “Non è permesso derubare un fratello ma è permesso derubare un non ebreo” Bava Metzia 61a.

Chissà, addentrarsi nel ginepraio rabbinico sull’esegesi delle norme ebraiche è poco prudente; tuttavia, nessuno potrebbe negare che le lobby cosmopolite siano specializzate in lavaggi del cervello. “Ritorno al mondo nuovo” uscito nel 1958 a firma del massone Aldous Leonard Huxley mentore di Orwell ne è una riprova, citiamo testualmente “è chiaro che un governo del terrore funziona meno bene del governo che con mezzi non violenti manipola l’ambiente, i pensieri e i sentimenti dei singoli, forze impersonali da noi incontrollabili, nell’interesse di una minoranza, lavorano per irregimentare la società e centralizzare il potere, una crisi permanente giustifica da parte di un governo centrale, il controllo su tutto e su tutti. È proprio una crisi permanente dobbiamo attenderci in questo mondo, dove l’eccesso di popolazione rende quasi inevitabile la dittatura. Le costituzioni non si abrogheranno, rimarranno elezioni e parlamenti, ma la sostanza dietro le quinte sarà un nuovo tipo di totalitarismo non violento. Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e libertà, intanto l’oligarchia al potere con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello manderà avanti lo spettacolo, a suo piacere. Formidabile strumento di controllo della realtà è il bipensiero che nel romanzo 1984 uscito nel 1949, George Orwell ci illustra con chiarezza, ci illustra così “credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciano le menzogne più artefatte, ricorrere all’uso della logica contro la logica, rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla, essere pienamente consapevoli nell’indurre inconsapevolezza. Gustave Le Bon  in “Psicologia e politica” pose le basi della moderna demagogia già nel 1910 la lucidità delle masse è estrema quando le si sappia guidare soltanto in apparenza governano le moltitudini, la grammatica della persuasione serve soltanto per creare opinioni e credenze. Da tali opinioni e credenze deriva l’enorme maggioranza delle nostre azioni, chi le fa nascere è il nostro vero padrone. Nel 1928 Edward Bernays di famiglia ebraica e nipote di Sigmund Freud affrontò analoghe tematiche in “Propaganda l’arte di manipolare l’opinione pubblica”, eccone qualche stralcio “la manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni delle masse è un elemento fondamentale nella società democratica, uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare governano i nostri corpi, modellano le nostre menti, forgiano i nostri gusti, suggeriscono le nostre idee, la propaganda è il braccio esecutivo del governo invisibile. Il filosofo ebreo e tedesco Günther Siegmund Stern, più noto con lo pseudonimo di Günther Anders nel saggio del 1956 “L’uomo è antiquato” ha svelato come funziona la fabbrica del consenso. Quanto più totale è un potere, tanto è più muto il suo comando, quanto più muto è il suo comando tanto più naturale è la nostra obbedienza e quanto più è naturale la nostra obbedienza tanto è più assicurata l’illusione di libertà, quanto è più assicurata l’illusione di libertà tanto è più totale il potere. Mediante raffinati metodi di persuasione occulta è insomma possibile alterare la percezione, il giudizio, i comportamenti, la coscienza, nel perseguire il traguardo della omologazione mondialista, i laboratori di scienze sociali, istituto Tavistock in testa, fabbricano cavalli di Troia per sovvertire tradizioni millenari, scardinare consuetudini, annacquare civiltà, sciogliere il nucleo etico della società, i cavaliere dell’apocalisse agiscono con perizia, lucidità, tenacia, e risorse quasi illimitate, hanno introdotto il consumismo, l’aborto e il divorzio, gli Erasmus studenteschi, il nomadismo aziendale utili a spezzare i legami familiari. Hanno puntato su droghe, industria pornografica, dissoluzione del principio di autorità, e adesso ci bombardano con armi subdole, come il politicamente corretto, la Cancel Culture, la rivoluzione Woke, l’ideologia gender, strumenti atti ad annientare l’istinto di procreazione il buonsenso avito l’orgoglio della stirpe, l’anelito verso la spiritualità, veleni ideologici che inducono angoscia frustrazione, smarrimento, dissonanza cognitiva al punto di minare compattezza, l’armonia, la sopravvivenza stessa di una collettività. Il nostro nemico è vile, è astutissimo, da quasi ottant’anni ci tende trappole insidiose che però noi potremmo evitare se solo la smettessimo di credere a tutte le sporche menzogne che i politicanti ci rifilano senza tregua, né vergogna. 


Trascrizione di Giacomo Palumbo

Della grande scrittrice Lidia Sella 

  


sabato 25 aprile 2020

25 Aprile: Buon anniversario dalla liberazione. W la Democrazia.

Oggi è una data molto importante per tutti i cittadini italiani, perché il 25 aprile di 75 anni fa donne e uomini di idee diverse liberarono l'Italia dall'occupazione nazista e dal regime fascista. 

È il giorno in cui rendere omaggio a coloro che offrirono la propria vita per la liberazione del nostro paese, a chi ci ha consegnato gli ideali di una società libera e democratica.
Tuttavia festeggiare è il modo migliore per dimostrare di aver tratto insegnamento dal passato e saper richiamare le giovani generazioni ai valori della pace e della solidarietà, sostenendo nuove forme di liberazione e di riscatto della nostra società. 

Il 25 aprile di 75 anni fa fu il momento fondante della nostra democrazia, che trova le sue radici nella nostra Costituzione.

mercoledì 4 marzo 2020

Taglio dei parlamentari approvato dalla Corte Costituzionale.


La Corte Costituzionale ha approvato il #Referendum2020 per il taglio dei parlamentari, vuol dire che è in linea con la Costituzione per cui non c'è nessun pericolo di avere una minore democrazia, tanto è vero che nessun costituzionalista fino ad ora si è allarmato per il taglio.
Non è dunque un taglio alla democrazia sostanziale e alla rappresentanza del paese.

giovedì 11 maggio 2017

Differenza: Liberale o socialdemocratico?

Qual è la differenza tra un liberale e un socialdemocratico?
E, soprattutto, è una differenza formale o sostanziale?

Michael Walzer, filosofo statunitense che si occupa di filosofia politica, sociale e morale, è un socialdemocratico. Il suo distintivo d’onore è la vecchia Volvo che ha guidato per tanti anni (l’auto di seconda mano tradizionalmente associata ai socialdemocratici di mezz'età).

Sidney Morgenbesser, anch'egli filosofo e professore alla Columbia University, un maestro in questo tipo di indovinelli, provò a rispondere alla domanda con una celebre battuta: il liberale è disposto a chiedere ai più ricchi per dare ai poveri, ma si identifica in quella categoria di cittadini a cui non va chiesto né dato nulla; il socialdemocratico è disposto a dare qualcosa anche di suo.

Rispetto ai liberali, i socialdemocratici hanno molto più a cuore la distribuzione del reddito. Ai loro occhi, non basta chiedere ai ricchi per dare ai poveri: occorre applicare il principio di equità a tutte le fasce di reddito.

Cito un’altra battuta (di cui però ignoro l’autore): il socialdemocratico è un socialista che è sceso a compromessi con la realtà, il liberale è un anarchico sceso agli stessi compromessi con la realtà.

I liberali sono passati dalla difesa del libero scambio per affrancarsi dal giogo del protezionismo di ottocentesca memoria alla promozione dell’intervento del governo nel mercato. 
Al contempo, i socialdemocratici sono passati dall'ideale della proprietà pubblica dei mezzi di produzione a un’economia mista di imprese private e pubbliche nella cornice di uno Stato sociale.
Quanti biasimano le versioni annacquate delle due ideologie non dovrebbero dimenticare che il cambiamento è stato dettato da una nobile causa: gli uni e gli altri erano disposti a conquistare il potere solo con mezzi democratici. 
La democrazia parlamentare richiede continui compromessi, i quali tendono a stemperare i messaggi e ad attenuare le differenze.
Ma il rapporto tra liberalismo e democrazia non è complementare, come quello tra latte e caffè. Il liberalismo è in tensione con la concezione popolare della democrazia.


Il liberalismo pone l’accento sui diritti individuali (civili e umani), soprattutto in contrapposizione allo Stato. 
In quasi tutte le nazioni, a eccezione forse dei Paesi scandinavi e dell’Olanda, l’interesse per tali diritti è circoscritto alle élite culturali e rimane estraneo a quanti concepiscono la democrazia come governo della maggioranza e sistema per cambiare l’esecutivo senza ricorrere alla violenza.
Neppure la socialdemocrazia è frutto di un connubio perfetto: si è dovuta scontrare con i rivoluzionari scettici riguardo alla possibilità di realizzare un cambiamento strutturale solo con mezzi democratici. Eppure, tanto i liberali quanto i socialdemocratici sono fedeli alla democrazia, con le sue continue esigenze di compromesso. E per questo meritano rispetto e ammirazione.

In realtà, i partiti democratici dovrebbero essere giudicati non in base ai loro programmi, ma per la qualità dei loro compromessi. È importante passare al vaglio non tanto i loro ideali, quanto le loro effettive soluzioni. 
Il liberalismo e la socialdemocrazia ormai condividono più o meno gli stessi valori. 

La differenza sta nell'importanza relativa che attribuiscono a tali valori e, di conseguenza, nel tipo di compromessi che sono disposti ad accettare: per i socialdemocratici i diritti dei lavoratori vengono prima di quelli dei gay, per i liberali vale il contrario.
Vorrei mettere in luce alcuni presupposti fondamentali della distinzione tra il prototipo del liberale e quello del socialdemocratico, così come evidenziata da Michael Walzer negli articoli pubblicati su Dissent Magazine e nei suoi saggi.

Partiamo dalla discrepanza tra la concezione socialdemocratica e quella conservatrice della psicologia umana. Solo in un secondo momento prenderò in considerazione la prospettiva liberale. I conservatori attribuiscono grande importanza ai tratti caratteriali, e in particolare ad attitudini come il coraggio e la pigrizia.
I liberali sono convinti che tali caratteristiche rappresentino validi indicatori del comportamento umano: l’individuo coraggioso darà prova di audacia, in battaglia così come nella società civile; il fannullone si sottrarrà ai suoi doveri e vivrà del denaro pubblico, se ci saranno degli stupidi a procurarglielo.
I conservatori ci mettono bene in guardia dal chiudere un occhio sulle cattive propensioni, che a loro giudizio fanno parte della natura umana. Gli individui possono essere tenuti sotto controllo solo con una rigorosa disciplina, che infonda in loro un forte senso di dovere e responsabilità.

I socialdemocratici sono di diverso avviso. Per capire le propensioni di un individuo occorre considerare la situazione in cui si trova, non la sua indole caratteriale.
Le probabilità che si comporti da buon samaritano di fronte a una persona in stato di bisogno dipendono non tanto dal suo carattere, quanto dagli eventuali altri impegni che deve affrontare in quel momento.
I socialdemocratici sono dunque scettici riguardo alla possibilità di plasmare il carattere degli individui. Ma credono fermamente nell'importanza delle istituzioni e di un ambiente vivibile in cui tutti possano comportarsi in modo “decente”.
Per esempio a Stoccolma e a Oslo la gente rispetta la fila per salire sull'autobus, al Cairo e a Calcutta no. E non perché gli scandinavi abbiano un carattere migliore; il punto è che vantano servizi di trasporto pubblico più efficienti. I conservatori accusano i socialdemocratici di non considerare i cittadini responsabili delle loro azioni. I socialdemocratici, dal canto loro, accusano i conservatori di attribuire ai cittadini colpe non loro.

Qual è la collocazione dei liberali nell'asse carattere-ambiente?
Gli esponenti del liberalismo classico, come Wilhelm von Humboldt, promossero l’ideale della Bildung (formazione), della formazione del carattere in un percorso di autoeducazione; erano contrari a uno Stato impegnato in quel ruolo.
Il liberale contesta la pretesa, da parte dei conservatori, di plasmare il carattere degli individui, ma guarda con sospetto anche al paternalismo dei socialdemocratici e al proposito di intervenire sull'ambiente sociale.

I socialdemocratici più avveduti, come Walzer, non credono che la “buona vita” sia un’idea oggettiva, né che si riduca a una questione di desiderio o appagamento soggettivo. Quel che rende buona la vita umana è inter-soggettivo: è determinato non individualmente ma socialmente. Società o – per essere più precisi – culture diverse possono avere concezioni radicalmente diverse del bene.
Nelle parole di Walzer, “la giustizia ha le sue radici in quelle specifiche concezioni delle posizioni sociali, degli onori, dei lavori e di tutti i generi di cose che costituiscono una forma di vita condivisa. Calpestare queste concezioni significa sempre agire ingiustamente”.

In quest’ottica, il socialdemocratico è disposto ad accettare l’idea che culture diverse possano avere concezioni diverse del bene, ma non radicalmente diverse.
Il liberalismo e la socialdemocrazia sono due ideologie di pace. Non intendo dire che siano ideologie pacifiste (anche se non è una possibilità da escludere).
Il punto è che sono concepite solo ed esclusivamente per tempi di pace.
Viceversa, il fascismo, il comunismo rivoluzionario e il neo-conservatorismo sono tutte ideologie di guerra. Un’ideologia di guerra non richiede necessariamente uno Stato governato da guerrafondai. Mussolini era un fascista temerario, mentre Franco si muoveva con prudenza. A fare la differenza non è il carattere del leader, ma quello dell’ideologia; per un’ideologia di guerra, lo scontro violento (o la minaccia di innescarlo) è qualcosa di essenziale.

Tra i socialdemocratici, Michael Walzer è forse l’unico ad aver affrontato la questione della guerra sul piano dei principi. I partiti socialdemocratici hanno dovuto spesso fare i conti con l’azione bellica, ma in circostanze del tutto eccezionali, e di solito senza successo. Quando erano lontani dal potere, venivano attaccati sul piano morale dalla destra, che ha sempre messo in dubbio il loro patriottismo. Una volta saliti al governo, sono passati all’eccesso opposto, rifacendosi a un nazionalismo aggressivo.
Guy Mollet, per esempio, nominato Primo ministro francese alla fine degli anni Cinquanta, intraprese la sua carriera politica da convinto anticolonialista.
Ma fu traumatizzato dai manifestanti di destra che in Algeria lo ricoprirono di pomodori marci, accusandolo di complicità con il nemico. A quel punto Mollet diede inizio a una “campagna di pacificazione” nella colonia francese che sfociò in una guerra a tutti gli effetti, tra le più dure e violente del Ventesimo secolo.

Walzer non è l’artefice della teoria della guerra giusta; il problema era già stato affrontato da una lunga serie di importanti autori cattolici. Ma è stato l’unico a impostare il dibattito in chiave laica e contemporanea.

La teoria “walzeriana” della guerra giusta può essere utile tanto ai liberali quanto ai socialdemocratici. Walzer pone le due dottrine di fronte alla necessità di pronunciarsi sulla legittimazione morale della guerra. E lo fa passando al vaglio tutti gli interventi militari statunitensi dalla Guerra del Vietnam in poi.
La sua è una prospettiva internazionalista più che cosmopolita.
Walzer parte dal presupposto che la realtà del mondo sia quella degli Stati-nazione, senza possibilità di appellarsi ad autorità politiche superiori. E questo, a mio giudizio, è perfettamente in linea con l’approccio dei socialdemocratici in generale.
Come lui stesso fa notare, i socialdemocratici prendono i confini nazionali molto sul serio; non solo perché l’azione politica si svolge per lo più al loro interno, ma anche perché solitamente delimitano la portata della solidarietà effettiva.
La solidarietà espressiva può superare i confini nazionali, mentre quella effettiva – caratterizzata cioè da un concreto impegno ad agire – non lo fa quasi mai. La solidarietà effettiva può determinare un’azione collettiva, quella espressiva solo un sentimento collettivo. Svariate organizzazioni non governative, come Medici Senza Frontiere (MSF), si impegnano concretamente per cause nobili, ma sono una goccia nel mare dell’indifferenza.
Agli occhi dei socialdemocratici, la solidarietà è un fine umanamente importante in sé e per sé, ma anche un mezzo indispensabile per affermare la giustizia sociale.
Agli occhi dei liberali, non è la solidarietà ma il contratto sociale a tenere unita la società.
I socialdemocratici fanno affidamento su due tipi di solidarietà: la solidarietà di classe e quella nazionale, ovvero sulla loro combinazione.
Nelle società capitalistiche avanzate, tuttavia, la solidarietà di classe è ormai ininfluente. La classe operaia industriale, su cui i socialdemocratici hanno sempre contato per realizzare un cambiamento sociale, si è notevolmente rimpicciolita.
Tutto ciò ha contribuito ad attenuare le differenze tra liberali e socialdemocratici. L’universo della “classe media” comprende praticamente chiunque abbia un reddito fisso, una famiglia stabile e aspirazioni borghesi per i propri figli. Ed è diventato il bacino di riferimento di entrambe le ideologie.

Walzer prende la solidarietà molto sul serio, ma non solo per le ragioni già citate. Lo fa perché considera altrettanto seriamente la realtà, o la possibilità, della guerra. Le guerre nazionali richiedono un sentimento di solidarietà; i contratti hanno valore solo per i mercenari. E la difesa dello Stato comporta enormi sacrifici: dal punto di vista fisico, ma soprattutto sul piano umano. La solidarietà è un importante fattore motivazionale, mentre i contratti si riducono a un semplice calcolo.

L’idea di una giustizia sociale limitata ai confini nazionali solleva quella che è probabilmente la questione più importante nell’attuale agenda politica internazionale, ossia la sfida dell’immigrazione.
I poveri della Norvegia sono ricchi in confronto alla maggior parte della popolazione dell’Africa rurale, dell’Asia o dell’America Latina. Il fatto di essere norvegesi è di per sé una garanzia di successo. I socialdemocratici norvegesi hanno giustamente a cuore la giustizia distributiva. Ma il loro interesse è comunque circoscritto a un club di privilegiati. A quanto pare, la vera questione non è come distribuire il reddito, ma come, e se, concedere visti d’ingresso.

In Sfere di Giustizia, Walzer è stato probabilmente il primo filosofo a rilevare l’incongruenza tra l’interesse per la giustizia distributiva in una data società e il disinteresse rispetto a chi potrebbe o dovrebbe entrare a far parte di quella società.
Il fenomeno dell’immigrazione pone i socialdemocratici di fronte a un dilemma. Essi intendono difendere le conquiste dei lavoratori e dei loro sindacati. Per farlo, tuttavia, di solito ricorrono a politiche fiscali e di immigrazione protezionistiche. È qui che liberali e socialdemocratici seguono strategie diverse.
I primi adottano politiche più permissive in materia di immigrazione, ma sono meno attenti alla sorte degli immigrati una volta che hanno varcato i confini del loro paese; i secondi fanno l’opposto.

Anche laddove non si pongono il problema della guerra giusta, liberali e socialdemocratici hanno a cuore la condizione umana (sia effettiva sia ideale) nelle società capitalistiche avanzate.
Il capitalismo è un’etichetta di comodo applicata a una realtà che è molto più complessa. Il sistema capitalistico è associato a un particolare tipo di società, definito “borghese” da Karl Marx e Max Weber.
Il liberalismo classico mirava a un’economia di libero scambio, non soggetta a vincoli protezionistici. Il liberalismo dei giorni nostri presta molta più attenzione alla natura della società capitalistica. L’interesse non si concentra più sul libero scambio, ma sulla libertà di espressione, sui matrimoni gay e altri diritti civili.

Il liberale e il socialdemocratico hanno una posizione diversa rispetto al capitalismo.
Il primo considera il mercato uno strumento fondamentale per mettere in relazione domanda e offerta, e attribuisce un enorme valore al libero scambio.
Il secondo ha un atteggiamento molto più ambivalente. Ai suoi occhi il mercato è un po’ quello che la democrazia era per Winston Churchill: il sistema peggiore, eccetto tutti quelli già sperimentati. Per il socialdemocratico, la politica deve cercare di correggere gli aspetti più iniqui e vergognosi del capitalismo.

Tale differenza si manifesta nel modo in cui le due ideologie rispondono alle tre domande fondamentali dell’economia:
  • cosa produrre?
  • in che modo produrre?
  • e come distribuire i prodotti?

Nel sistema capitalistico, la risposta dipende da quanto sono liberi i prezzi del mercato. È il “quanto” che fa la differenza.
I liberali invocano una limitazione delle regolamentazioni e dell’intervento da parte di soggetti esterni, primo tra tutti il governo.
I socialdemocratici, dal canto loro, sono pronti a intervenire sulla distribuzione del reddito e della ricchezza.
Walzer giudica la distribuzione di un bene giusta o ingiusta solamente in base al significato di quel bene in una determinata società. I criteri in base ai quali si riconosce prestigio, per esempio, in una società di eruditi (come quella vagheggiata dagli ebraici ultraortodossi) o in una società di guerrieri sono molto diversi. Le due società, infatti, concepiscono diversamente ciò che merita prestigio.

Per spiegare le mie perplessità al riguardo, ricorro all’aiuto di un altro esempio. Pensiamo a una società che attribuisce un grande valore alla classe dei guerrieri, come la Prussia del XIX secolo, con la sua élite degli Junker, una casta rigorosamente aristocratica. Le barriere all’accesso alla classe degli Junker vanno considerate un problema di giustizia? In fondo, i suoi membri morivano anche giovanissimi nelle interminabili battaglie, e, nonostante la pompa e il prestigio, venivano sepolti sotto tetre e pesanti lapidi. Quale che fosse la considerazione del guerriero nello Stato prussiano, ritrovarsi a marciare verso il fronte non era poi una grande fortuna. Gli Junker erano anche grandi proprietari terrieri, ma questo meriterebbe un discorso a parte.
In ogni caso, il principio affermato da Walzer, prestare attenzione al significato intrinseco di ogni bene della società che si vuole trasformare, è una buona norma generale per una politica tesa a conseguire un’effettiva giustizia sociale. Ed è proprio questa, in fondo, la cosa che più sta a cuore ai socialdemocratici.

La tesi “walzeriana” secondo cui beni diversi devono essere distribuiti per ragioni diverse è di fondamentale importanza. Il servizio sanitario e la pubblica amministrazione svolgono due funzioni ben distinte. Le disparità di reddito non dovrebbero incidere sulla distribuzione di servizi come la sanità e l’istruzione. La giustizia del socialdemocratico è sostanziale, non formale (quest’ultima sta più a cuore al liberale).

Come si ricollega tutto ciò al divario tra socialdemocratici e liberali?
I liberali concepiscono la giustizia sociale come il raggiungimento di un corretto equilibrio tra uguaglianza e libertà individuale, con la libertà come valore prioritario.
Di qui la forte enfasi sul diritto degli individui di fare quel che desiderano, purché non rechino danno agli altri.
Ai socialdemocratici, eredi della tradizione socialista, interessa non tanto il diritto di fare quel che si vuole, ma la possibilità di accedere alle risorse per fare (legittimamente) quel che si vuole. Accedere a tali risorse significa, nell'ottica socialdemocratica, accedere alla libertà.

È sbagliato pensare che la differenza tra il socialdemocratico e il liberale stia nel fatto che il primo tiene soprattutto all'uguaglianza mentre il secondo privilegia la libertà. Entrambi mettono al primo posto la libertà, ma per il socialdemocratico quel che conta è la libertà sostanziale, e l’uguaglianza è uno strumento indispensabile per raggiungerla.
Jean Jaurès, padre e martire della socialdemocrazia, esortava a prendere dall'altare degli avi non le ceneri, ma la fiamma. Michael Walzer ha raccolto il testimone di quella gloriosa tradizione. La speranza è che dalla sua fiaccola scaturisca la scintilla di una nuova socialdemocrazia.

Di Avishai Margalit 

(Traduzione di Enrico Del Sero)

Avishai Margalit è Professore emerito di Filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme. Il suo ultimo libro, Sporchi compromessi (Il Mulino 2011), è stato premiato nel 2012 dall’Istituto di ricerca filosofica di Hannover (FIPH). L’autore desidera ringraziare Nancy Rosenblum per la preziosa collaborazione.

Fonte: reset.it

sabato 30 gennaio 2016

Che c'è da sapere sul voto al ddl Cirinnà?

Ennesima melina del Governo e della sua maggioranza sgangherata. Il ddl verrà snaturato e le colpe della presumibile bocciatura affibbiate al M5S.


Ricordate? C'era la campagna elettorale e Renzi prometteva di rendere un fatto le unioni civili in 100 giorni. Del resto, il provvedimento già esisteva. Il Governo Renzi si insedia il 22 febbraio 2014, ma il ddl Cirinnà su unioni civili e stepchild adoption era stato presentato un anno prima, il 25 marzo 2013, quando Presidente del Consiglio era ancora Letta. Ed eccoci qua, dopo 700 giorni, quasi due anni dopo dall'insediamento di Renzi, mille da quando il provvedimento è stato presentato, e ancora stamani l'ennesimo rinvio. Che potrebbe non essere necessariamente la parte peggiore della notizia per i molti che attendono sulle unioni civili una legge degna di un Paese laico e libero. Già, perché il rischio che tutto si concluda con un nulla di fatto cresce di ora in ora.
Unioni civili, la legge che il Governo non ha mai voluto

Che l'alleato di Governo, l'NDC, avesse le idee chiare sul NO, era già stato sbandierato. Alfano in persona si è erto a protettore dello sdegno cattolico senza mezzi termini. Era stato poi il sito gay.it a far emergere il fatto che non meno di venti senatori della maggioranza PD avrebbero votato NO al provvedimento. Tutte le forze di opposizione si sono smarcate ad eccezione del M5S, il quale sul ddl per le unioni civili non ha presentato neppure un emendamento. Ma qui sta uno dei grattacapi di Renzi: al Movimento 5 Stelle il ddl sta bene com'è, senza modifiche, esattamente come hanno chiesto quasi cento piazze lo scorso 23 gennaio.

Nell'ennesima melina in scena oggi, dopo che anche la ministra Boschi si è schierata per il NO, tutte le incongruenze di una maggioranza, quella del PD, per cui i dilemmi sono due: rischiamo di vedere bocciata la nostra proposta emendando i passaggi sulle adozioni del figliastro; o sosteniamo (paradossale scriverlo) il M5S e approviamo la nostra legge sulle unioni civili com'è e ci attiriamo le ire del mondo cattolico?

Sta di fatto che le ultime parole di Renzi sull'argomento sono state "temo un dietrofront del M5S". A dire che, se dietrofront ci sarà, avrà la casacca del PD e l'inevitabile smarcamento del M5S porterà a una bocciatura della legge. Salvati i voti cattolici tanto cari al PD, Renzi potrà dire a televisioni unite che la colpa della bocciatura del ddl sulle unioni civili è del M5S. Sperando che qualcuno di sinistra ci caschi e rafforzi la schiera cattolica che si ritrova a proprio agio nel PD.

domenica 23 marzo 2014

Papa a media: disinformazione è peccato

Papa a media: disinformazione è peccato
                                 
 Papa a media: disinformazione è peccato
 "Per me i peccati dei media più grossi 
 sono quelli che vanno sulla strada del
 la bugia e della menzogna,e sono 3: di-
 sinformazione, calunnia e diffamazione.
 Ma la disinformazione è anche peggiore,
 è dire la metà delle cose, quelle più  
 convenienti per me". E' duro il monito 
 del Papa ai media, chiamati a racconta-
 re la realtà e i suoi avvenimenti.     

 Rivolgendosi alle tv cattoliche locali 
 della rete Corallo. il Papa le ha messe
 in guardia dalle "forme di inquinamen- 
 to" e dai "veleni" del clima mediatico,
 "un'aria sporca che non fa bene".      

 22/03/2014 13:06
 
 Papa:classe dirigente lontana da popolo
 Papa:classe dirigente lontana da popolo
 Una classe dirigente che si è "allonta-
 nata dal popolo", che si è "chiusa nel 
 proprio gruppo, partito, nelle lotte   
 interne", diventa "gente dal cuore     
 indurito". Lo afferma Papa Francesco   
 durante la messa a San Pietro per i    
 parlamentari italiani.                 

 "Tutti siamo peccatori,tutti. Ma questi
 sono più peccatori", da "peccatori sono
 scivolati in corrotti", sottolinea il  
 Papa. Tra gli oltre 500 parlamentari   
 presenti alla messa del mattino presie-
 duta dal Papa, i presidenti di Senato e
 Camera, Grasso e Boldrini. 
 
27/03/2014 08:36.
 
 

@palgiac
 

martedì 18 marzo 2014

"Credibilità e scelta di voto"

Il legame tra politica e media è sempre stato stretto e uno degli effetti di questa relazione è la leaderalizzazione, cioè la personalizzazione della politica.
Se ne parla spesso perchè si cercano di raccontare le dinamiche della politica italiana, tutti i giorni, facendo capo sempre a qualche leader carismatismo di una certa corrente politica.
Tuttavia è interessante percepire come questo tema incida sulla politica estera o/e sulla politica europea.
Qualcosa è cambiato nella personalizzazione della politica, il modo di inquadrare gli avvenimenti importanti geopolitici sovranazionali, nei momenti cruciali della “gestione della cosa pubblica” all'estero.

Dal punto di vista collettivo lo spirito che incarna, il premier, è quello di divenire leader nazionale come allo stesso modo leader internazionale. E quella connessione che si dà tanto per scontato è invece tema su cui rispecchia la capacità di comunicazione di un governo piuttosto che un altro. La capacità di un leader di esprimersi al meglio rispetto a un altro. In sostanza è immagine della nazione che rappresenta.
Aggiungo che nel caso di Enrico Letta c'è da fare un plauso per l'operato svolto durante la sua carica di Presidente del Consiglio. Che a sua volta aveva fatto un ottimo lavoro di politica estera.

Forse un po' bislacca e allo stesso modo poco “diplomatico” è stata la strategia utilizzata da Silvio Berlusconi nell'inserimento delle “grazie” internazionali. Mi riferisco alla “scortesia” di Berlusconi di fare attendere, mentre parlava al cellulare, Angela Merkel in un appuntamento importante con i capi di stato. 

O forse come riportato in foto, la giacca del Presidente del Consiglio Matteo Renzi abbottonata in maniera poco idonia, mentre parlava con la Merkel, "insulta" la sua immagine di politico, “ingiuria” all'estero l'immagine della Repubblica Italiana e lo rende così umano che lo depotenzia dalla carica acquisita. Il quale ha “dismesso” per “acclamazione” del partito democratico il suo predecessore Enrico Letta. Anche se quella carica gli è stata concessa tramite la base del suo partito. E non direttamente dal popolo. E qui ci sarebbe da farci un altro articolo. Ma qui non mi dilungo.

Sennonché citando A. King si suppone che: “La concentrazione sulla personalità del leader e su altre sue caratteristiche spesso confina con l’ossessione”. Io aggiungerei con l'ossessione dell'opinione pubblica di percepirsi indefettibile.

Intanto subito va detto che è un ruolo crescente ha avuto e ha la televisione, i media e la relazione politica che si caratterizza. In questa triangolazione il risultato è paradossale, nel senso che i leader diventano un po' i grandi mediatori del linguaggio politico.
Diciamo in un tempo di grande personalizzazione spinta della politica, questo processo tocca anche la lettura, le immagini, dei fenomeni internazionali. Con effetti che ricadono sull'opinione pubblica e su personaggi pubblici come ad esempio in questo momento su Matteo Renzi. Ci sono stati casi in cui si era superato il limite. Ma anche qui non ci dilunghiamo.

Quindi la volontà dell'opinione pubblica di legare la percezione di una personalità politica alle caratteristiche normalmente associate all'immagine di credibilità, autorità, stabilità dice molto sulla profondità dei legami che intercorrono tra essi. In quanto al minimo livello di consulenza politica, vengono ipotizzati tra l'impressione della personalità, immagazinata nel cervello dell'elettore e scelta di voto a livello individuale.

lunedì 17 marzo 2014

Lection 2 - Diritto dell'Unione Europea

Il preambolo del trattato di Roma del 25 marzo 1957 ci dice che le alte parti contraenti hanno deciso di istituire una comunità economica europea.
Gli obiettivi di pace, libertà e benessere possono essere raggiunti col mercato comune.
Quindi c'è stata la necessità di dover istituire organi istituzionali per realizzare questi ideali.

Che cos'è la CEE? (Comunità Economica Europea)
Per certi aspetti non era così chiaro all'epoca.
Infatti convivono tre diverse rappresentazioni tra loro alternative, in conflitto:
organizzazione internazionale (organismo di cooperazione tra un certo numero di stati, che collaborano in organismi internazionali e secondo le loro procedure.)
E non c'è nessun trasferimento di sovranità.

L'Organizzazione Internazionale: è un soggetto della comunità mondiale che opera come proiezione degli stati. Elementi del trattato che lo confermano sono:
La fonte istitutiva che è un trattato tra più stati. Gli stati invece nascono quando un territorio è governato da un principe che riesce  ad esercitarvi un imperio. Il compimento di ciò è una costituzione.
Istituzioni: c'è un consiglio, che è tipico delle organizzazioni.
Competenze: ha solo le competenze espressamente attribuitegli dal trattato. Diversamente gli stati  hanno sempre fini generali poiché la costituzione non li limita.

Elementi difformi dalle organizzazioni  normali:
Il parlamento europeo, composto da rappresentanti dei singoli, del popolo degli stati membri. I parlamenti delle altre organizzazioni invece sono costituiti da rappresentanti dei governi.
C'è un anomalo meccanismo di controllo della Commissione sugli stati membri riguardo il diritto comunitario. Ciò era quasi inconcepibile nelle altre organizzazioni, dove erano gli stati che controllavano le organizzazioni.

Embrione di stato federale
Gli elementi federali sono:
Non esserci trasferimento di sovranità. E l'esistenza del parlamento europeo.
Il federalismo è stato pensato come un processo: non si vuole creare subito uno stato federale, si vuole solo dare qualche elemento che dopo qualche tempo potrebbe portare al federalismo (federalismo funzionale: si segue un processo di trasformazione graduale).

Ordinamento composito.
Cioè l'idea che ci sia una alternativa allo stato federale e all'organismo internazionale.
La CEE:
non è uno stato federale perché gli stati continuano a mantenere una loro voce
non è una organizzazione internazionale perché ne fanno parte i singoli.

Dunque la CEE è un sistema in cui coesistono singoli e stati membri in una unica cornice.
Ciò non è detto espressamente dal trattato, ma l'idea è chiara, specie se si pensa al processo normativo, affidato a tre voci disomogenee:
la procedura è avviata e composta dalla Commissione (che rappresenta la comunità)
su questa si esprime il Parlamento europeo (che rappresenta i singoli)
ed è conclusa dal consiglio (che rappresenta gli stati)

L'ideologia delle tre rappresentazioni è:
1. La cooperazione internazionale (De Gaulle)
2. Il super-stato europeo (l'idea è superare il grande trauma della seconda guerra mondiale creando una cornice super statale in cui gli stati scompaiono)
3. Il sovranazionalismo comunitario (cornice unitaria in cui le tradizioni nazionali non scompaiono)

Preambolo del Trattato sull'Ue (1992): continuità con il passato.
La novità è quella di segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea.
Il suo contenuto è:
1. partire con il fatto che gli obiettivi passati non sono stati raggiunti, per cui è necessario rafforzare il funzionamento delle istituzioni, intensificare la solidarietà tra i popoli.
2. Gli obiettivi originari vengono ingranditi per sostenere la pace, la sicurezza che comprende l'ordine pubblico, la sicurezza militare quindi le minacce derivanti dall'esterno e il progresso in Europa e nel mondo. Si afferma l'Europa con un ruolo nella risoluzione dei problemi internazionali.

Strumenti per raggiungere gli obiettivi:
1. Il mercato unico e moneta unica;
2. L'unione di politiche, volta a garantire che i progressi compiuti sulla via dell'integrazione economica in altri settori.
3. L'integrazione politica: della politica estera e della difesa comune, con l'inclusione di disposizioni relative alla giustizia e agli affari interni.

domenica 16 marzo 2014

"L'Italicum fa acqua da tutte le parti"

"Viviamo tempi complessi, dove ci capita di vedere un Parlamento modificare la legge elettorale – che, non dimentichiamocelo, è la prima regola del gioco – non per garantire fin da subito una rappresentanza reale e una governabilità adeguata, ma piuttosto per allontanare proprio il momento elettorale. Sembrerebbe un paradosso, un nonsense,  ma ormai sembra che ci stiamo assuefacendo alla mediocrità del tatticismo e della furbizia.
 
Le riforme in questo Paese sembra che debbano servire non a migliorare e a far progredire la società ma a garantire la longevità dell’attuale mandato parlamentare: lo dimostra l’attività delle Camere di queste ultime due settimane. Tempo fa, il Presidente del Consiglio parlando delle sorti del passato governo, aveva paragonato il suo predecessore all’eroe di un videogioco che deve allungare la barra di energia per sopravvivere di più. Temo che ormai, a voler allungare la propria vita sia proprio chi aveva utilizzato questa metafora. Di più, e che stia estendendo il videogioco a tutti i parlamentari.
 
La nuova legge elettorale, che vedremo se il Senato approverà, è un compromesso al ribasso che fa acqua da tutte le parti: da una parte pretende di garantire governabilità senza impegnare i partiti a raggiungere un vero ampio consenso nell’elettorato, dall’altra sacrifica la rappresentanza in nome della governabilità. In sintesi, si vuole poter governare grazie al voto di circa un terzo dell’elettorato e ancora meno considerando anche chi si astiene; in più si è talmente pessimisti sulla propria capacità di creare consenso da voler costringere altre forze ad unirsi per fare massa critica e raggiungere l’agognata quanto francamente insoddisfacente soglia del 37%. Poi, dopo il voto, come già abbiamo visto in passato, partirà il momento dei dubbi, dei distinguo, dei do ut des che ci hanno tenuti per vent’anni nel congelatore della storia e del contesto economico globale.
 
Ricordo l’attesa spasmodica del mondo politico per la sentenza della Corte Costituzionale che doveva indicare i capisaldi per la riforma elettorale. Ebbene, oltre allo scellerato premio di maggioranza in assenza di un tetto minimo di percentuale di consensi, la Corte era stata chiara nell’indicare nelle liste bloccate un altro grave vulnus al concetto di democrazia e quindi di rappresentanza. Anche qui la maggioranza parlamentare non ha saputo agire di conseguenza, presentando le cosiddette “liste corte” come un’innovazione e un ripristino del potere di scelta dell’elettore. Non so se la Corte interverrà di nuovo per sanzionare questi escamotage ipocriti, quello che è certo è che la classe politica dominante continua ad avere paura del consenso popolare che potrebbero avere donne e uomini liberi da condizionamenti partitici o di altra natura.
 
A prescindere da come la si pensi, sulle cosiddette “quote rosa” abbiamo assistito allo spettacolo penoso dell’ipocrisia mascherata da motivazione politica e addirittura etica. Abbiamo visto deputati uomini ma anche donne che hanno votato contro perché sostenitori del merito, ma in realtà interpreti di una volontà politica tatticista e conservatrice. Vogliamo fare finta che oggi la politica italiana non sia un club di soli uomini? Intendo il vero potere politico, è forse co-gestito da qualche donna? Io non credo, credo invece che, al contrario, la vita delle donne in politica sia piena di ostacoli che impediscono loro di emergere come meriterebbero.
 
E’ già triste pensare che si debba votare un meccanismo per garantire la presenza delle donne in Parlamento, così come è triste registrare che a tutt’oggi la remunerazione del lavoro femminile è inspiegabilmente più bassa di quella maschile.
Sappiamo tutti che Governo e Parlamento sono sotto osservazione da milioni di persone, sfiancate da promesse non mantenute. Un Paese non può andare avanti per proclami e slogan. Perciò, avere immolato la possibilità di una buona legge elettorale, dovrà avere come contropartita misure reali ed efficaci per il rilancio dell’economia nazionale e famigliare. Se così non fosse, per la politica sarebbe un’ulteriore sconfitta. E la definitiva perdita della sua credibilità".
 
Carlo Pontecorvo (Presidente di Italia Futura)

sabato 15 marzo 2014

Lection 1 - Diritto dell'Unione Europea

Perchè dar vita all'Europa? Perché alcuni stati nel 1950 vogliono dar vita ad un organismo ultrastatale chiamato Unione Europea?
Ci chiediamo questo per capire in modo funzionale il diritto dell'Unione Europea, per valutarlo in modo critico. Vogliamo qui capire l'Unione Europea in alcune delle sue fasi.

Come possiamo capire L'Europa?
- facendo un esame cronologico, ossia guardandone l'evoluzione nel tempo, vedere l'evoluzione dei fini dell'UE;
- interpellando le fonti, in particolare i trattati, perché sono la fonte cronologicamente primaria. La storia dell'Unione Europea nasce con un trattato, poi modificato da altri trattati. In particolare fonti sono i primi articoli (I principi fondamentali) e soprattutto il preambolo (firmato dai paesi aderenti), che contiene principi ed aspirazioni principali (il preambolo dà il senso complessivo). I principali trattati che studieremo man mano sono:
    - 1957: Trattato di Roma 25 marzo 1957
    - 1992: Trattato di Maastricht
    - 2003-2007: Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1/12/2009)

Il Preambolo del Trattato CEE (1957)

-    Quali sono gli obiettivi del progetto di integrazione dell'Europa?
Gli stati firmatari dicono che sono “risoluti a rafforzare le difese della pace e della libertà” facendo appello agli altri popoli d'Europa, animati dagli stessi ideali, di unirsi a loro.
In altre parole pace e libertà sono gli obiettivi primari della Comunità Economica Europea, dunque gli obiettivi non sono il mercato, la protezione dell'ambiente o simile, ma soprattutto la pace e la libertà.
Il preambolo ha un punto di avvio nel 1950. Afferma l'interesse di ribadire la pace e la libertà dopo la seconda guerra mondiale, in particolare fra Francia e Germania, e di lasciarsi alle spalle il totalitarismo.
C'è stato un interesse di avere come obiettivo primario e ideale la pace e la libertà. Ciò significa non poter compiere scelte che non siano immediatamente in relazione con questi valori.
Inoltre la carta delle Nazioni Unite mette tra i suoi obiettivi principali la pace e la libertà, ma li vede come obiettivi, non come ideali.
L'ONU e la CEE rispondono alle stesse esigenze.

Dichiarazione di Schuman (ministro degli esteri francese) del 9 maggio 1950: invita tutti gli stati dell'Europa occidentale a dare vita ad un organismo ultranazionale, ad una conferenza intergovernativa, per dar vita ad una Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio.
L'idea è di unire la gestione dei territori e delle risorse di carbone e acciaio delle ex nemiche Francia e Germania. E' una idea economica ma soprattutto Politica. Significa mettere insieme, su un problema definito, i due paesi più contrapposti durante la seconda guerra mondiale.

Questa idea, concordata con altri politici di altri stati, non è stata scritta da Schuman, ma da Jean Monnet (vice segretario generale della società delle Nazioni).
In un passaggio, di una conferenza, dice:
“ ogni guerra deve diventare materialmente impossibile e impensabile”
Impensabile: culturalmente non più concepibile.
L’elemento culturale alla base di ciò era la morale cristiana (cultura del perdono reciproco, appello alla riconciliazione).

Finalità ulteriore dell’integrazione europea: la prosperità.
Le Nazioni sottoscriventi erano: “decise ad assicurare, mediante una azione comune, il progresso economico e sociale dei loro paesi, assegnando ai loro sforzi per scopo essenziale il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli”.

Art.2: Le Nazioni si impegnano a “promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata”.
L'Europa è la terra in cui tutti potremo essere liberi, in pace e prosperità.
Qui entra la morale cristiana: la terra promessa, la vigna biblica.
Si parla di una prosperità Comune. Cioè si cresce insieme. E' in prosperità futura come progetto sociale.
Le barriere sono ostacoli alla libera circolazione delle persone e quindi eliminare le barriere vuol dire eliminare i dazi doganali. Bisognava rafforzare l'unità delle economie era il passo successivo all'eliminazione delle barriere.
Cioè la costruzione di uno spazio economico comunitario voleva dire integrazione economica.

Di che tipo vi chiederete?
Art. 2 Trattato comunitario: instaurazione di un mercato comune. Cioè uno spazio in cui sono garantite 4 libertà di circolazione:
1. merci
2. lavoratori
3. servizi (gli imprenditori)
4. capitali

Questo però poneva un problema: come si fa a realizzare un mercato comune? Quali ostacoli devo superare? Devo eliminare i dazi doganali (tasse che pago per esportare un prodotto); vietare i monopoli; restrizioni quantitative. Queste tre cose hanno in comune il fatto che sono divieti.(integrazione negativa).

C'è anche una integrazione positiva (obblighi), per esempio adattare delle regole (direttive, regolamenti) le normative di ravvicinamento, cioè normative di armonizzazione. Che era quello di sostituire le normative nazionali diverse tra loro.

Il principio alla base delle 4 libertà di circolazione è il Principio di non discriminazione, che ha come parametro specifico la nazionalità. Le merci, i servizi, i lavoratori e i capitali non devono essere trattati in modo diverso da paese a paese.

Ci sono state delle alternative al mercato comune:
Il libero scambio di prodotti industriali; le zone di libero scambio (EFTA, NAFTA, prive di una dimensione esterna, concentrate sulla libertà di circolazione delle merci).
C'è da considerare anche il contesto internazionale: creazione del GATT (1947), che ha come obiettivo la riduzione degli ostacoli alla circolazione delle merci.

In conclusione, l'ideologia del mercato comune (che ha una logica interna) comprende:
spazio concorrenziale, in cui vi è:
1.  un'area neutrale (obiettivo era la concorrenza ad armi pari tra imprenditori)
2.  una decisione dei soggetti che determinano il mercato (ruolo sovrano dei consumatori)
3.  un ruolo del potere pubblico molto limitato.
4. spazio sociale (si riconosce il fatto che il mercato comune può favorire un processo di arricchimento, un pluralismo; inoltre si riconosce il fatto che il mercato comune svolge uno sforzo cooperativo; infine il mercato fa un'impresa comune).

Nei fatti, questo non funzionava così bene come è descritto nel preambolo e rimaneva un pò controverso.



martedì 11 marzo 2014

“La riallocazione delle tasse”

L'Italia vuole puntare su crescita e occupazione. Su questo punto tutti sono sulla stessa scia.
Il commissario Rehn ha presentato il testo degli squilibri macroeconomici, a causa dei quali l'italia è stata retrocessa nel gruppo da tenere sotto monitoraggio.
E inconsuete sono considerate le riforme che possono fare recuparare al paese la capacità perduta.
E la riduzione dell'alto debito e il modo di farlo scendere già quest'anno è in prospettiva degli incontri europei in consiglio. Dati alla mano mancherebbero circa otto miliardi nell'anno in corso proprio sul deficit. Ma il governo che ha smentito dice che bisogna agire sulla crescita e riducendo le tasse sul lavoro. Sempre in Europa, nella riunione dell'Euro-gruppo, Padoan ha presentato un quadro alquanto impreciso e a grandi linee del piano del governo Renzi. E' stata considerata una strada stretta che non è facile da percorrere. Ed è sempre l'unione bancaria a tenere il pugno duro sul tavolo, vincendo così il braccio di ferro sull'idea che bisogna salvare le banche in difficoltà.

Da dove prenderà i soldi Padoan? Domanda a cui ha risposto a grandi linee parlando di “riallocazione”, di spending review, e di un intervento una tantum ricorrendo alla cassa deposito e prestiti. Nell'ultimo caso si parla di gioco delle tre carte, poiché se si prendono i soldi da lì e poi mancano per le infrastrutture, da qualche altra parte si devono pur riallocare. Situazione che destabilizza le grandi lobby come Confindustria, i sindacati e le parti sociali tutte. I quali considerano tutta questa azione, questioni, problemi proclami, di Renzi dal punto di vista mediatico uno scossone. E precisa Padoan: “ci saranno riduzioni delle tasse, coperti dai tagli della spesa pubblica”. La partita si gioca in Parlamento e non è detto che con il decreto legge, del rientro dei capitali, del gioco forza del cuneo fiscale o i tagli alla spesa possano poi alla fine essere approvati in sede di discussione parlamentare. Il cammino parlamentare può sempre stravolgere il testo approvato dal governo. Quali saranno le scelte del governo? 

Mentre Giorgio Squinzi domanda agli italiani, sul Sole 24 ore, se preferiscono un lavoro o una decina di euro in più.
Cioè la possibilità che sia toccata l'IRAP anzichè dell'IRPEF. Cioè sulla possibilità per cui è doveroso intervenire o su una o sull'altra tassazione. E' ovvio che gli italiani preferirebbero lavorare, no? Perchè ci sono molti disoccupati, vedi dati ALMALAUREA, ci sono aziende in crisi, c'è un problema di rischio e di declino che deve essere affrontato in maniera urgente. L'IRAP è una tassazione “ingiusta” e bisognerebbe arrivare alla totale abolizione. Ovviamente è una scelta da fare nel tempo, trovando le coperture, tagliando le spese, perchè altrimenti si fanno dei vuoti proclami. La questione dell'IRAP è una strozzatura reale ai processi produttivi e alle dinamiche delle imprese. Perchè senza lavoro non c'è reddito. E se non c'è reddito non c'è consumo.

Il 25 Maggio 2014 si vota per le Europee e c'è una forte critica da tutti i paesi del continente. Perchè una politica di rigore, di risanamento dei conti, forse virtuoso e saggia, sta comprimendo troppo i popoli. Si veda l'aumento che ci sarà con il pagamento della TASI: nuova IMU. La riallocazione significa prendere una cosa da una parte e rimetterla da un'altra. Quindi se io il cuneo fiscale lo levo dalla tasca della famiglia e glielo metto in un altra tasca, vedi la TASI, questo non mi permette di sistemare i conti, in questo caso si parla di riallocazione delle tasse. E i sindacati non ci stanno e nemmeno le imprese.

Come deve cambiare questo rapporto tra sindacato e potere politico? Bisogna che il governo ascolti le parti sociali. In effetti decidere senza ascoltare nessuno, è totalmente sbagliato, anche perchè sappiamo bene cosa è successo con la legge fornero. Legge emanata senza ascoltare le parti sociali, considerato un disastro per le assunzioni, facilitando così i licenziamenti.
Legge Fornero che ha portato gli esodati, e i disquilibri con i lavoratori.

La ricetta economica manca da troppo tempo. Come manca da troppo tempo la crescita.
Si vedano le difficoltà riscontrate nella società italiane. Perchè non vengono pagate dalla catena di creditori? Se mettiamo in moto gli investimenti, possiamo usare meglio i fondi strutturali, ci sono degli investimenti che si auto pagano. Se rimettiamo in moto l'economia, si può lavorare sul livello di sviluppo guardando un po' più lontano.
Le opportunità sono importanti e oggi bisogna togliere l'Italia da una situazione difficilissima. E un modo c'è. Il lavoro del governo bisogna puntarlo sul breve termine poichè le famiglie e le imprese stanno finendo le riserve. E quindi mettere i soldi in tasca alle famiglie e alle imprese senza mettere in difficoltà i conti pubblici è possibile.
Trovare i novanta miliardi per ripagare il grande debito “commerciale-amministrativo”, che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese e farlo velocemente, è lì.
Altri paesi come la Spagna lo hanno dimostrato. Bisognerebbe applicare quel modello con alcuni correttivi. Le famiglie possono trovarsi in tasca, se lo vogliono, fino a quasi venticinque miliardi all'anno, dando loro la possibilità di incassare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) fin da subito. Parte del TFR va nei fondi previdenziali e a sua volta attraverso un sistema di investimento arrivano al sistema economico. Mettere davanti a una scelta che per tante famiglie cambia e come, non è da poco. Uno stipendio in più in tasca subito, senza oneri fiscale, può fare la differenza.

Bisogna si, tenere conto delle parti sociali ma anche la posizione delle imprese. Delle PMI che poche settimane fa sono scesi in piazza per dichiarare tutto il loro disagio per la chiusura di molte attività. Siccome abbiamo il debito al 130% del PIL, con molta inconsapevolezza abbiamo firmato dei trattati che ci hanno vincolato delle regole molto severe. Tra cui il pareggio di bilancio in “costituzione”. Dobbiamo pensare qual'è la soluzione per liberare l'economia.
In italia si pagano troppe tasse sul lavoro, ci sono troppe tasse in busta paga, e troppe poche sui patrimoni. Perchè non pensare alla riforma fiscale? Perchè non si sconfiggono i poteri forti?

L'Europa ci dà pochi margini e vogliono vedere Matteo Renzi in azione. In sintesi la nostra crescita quest'anno è molto più bassa dei documenti presentati a Bruxelles. Noi scriviamo 1,1 mentre nelle “carte” dell'Europa prevedono uno 0,6/0,7. Abbiamo un deficit che deve essere sotto a un 3% e non è detto che ci rimanga. L'Europa è disposta a darci flessibilità dopo la forte austerità imposta. C'è sempre la questione della fiducia che bisogna conquistare in sede europea e noi quella fiducia non l'abbiamo ancora conquistata. 


di Giacomo Palumbo
@palgiac

mercoledì 26 febbraio 2014

"La transizione politica necessaria?"

Il disastro sociale nel quale stiamo precipitando è un fatto oggettivo e nessuno lo nega.
Vuol dire che la gente non ha più i soldi per comprare le medicine, significa un costo sociale elevatissimo, quindi disoccupazione. A novembre 2013 gli occupati erano 22 milioni 292 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-55 mila) e del 2,0% su base annua (-448 mila). Vuol dire che il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 254 mila, aumenta dell’1,8% rispetto al mese precedente (+57 mila) e del 12,1% su base annua (+351 mila). La crescita tendenziale della disoccupazione è più forte per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%). Vuol dire che il tasso di disoccupazione oggi è pari al 12,9%, in aumento in termini congiunturali.

Non è un solo un dramma per chi perde il lavoro, è anche un costo aggiuntivo anche per la comunità. Perchè con il disoccupato aumenta la povertà e diminuisce il consumo. Si determina un quadro recessivo. Come si fa a creare occupazione? Con gli investimenti e producendo un nuovo circuito virtuoso in cui lo Stato individui le competenze, e le utilizzi per il proprio sistema economico.

Innanzitutto prima il governo Renzi e il Parlamento metterà mano alla contro riforma Bassanini, e cioè riporterà alla politica delle responsabilità, togliendole ad una burocrazia che ora decide da sé l'ottanta per cento i provvedimenti sui tavoli della politica. Prima si riapproprierà dell'azione vera e proprio della burocrazia. Tuttavia sarò curioso di vedere, per quanto riguarda il governo Renzi, chi saranno i capi di gabinetto dei ministri, i consiglieri di Stato, e se saranno scelti dal Quirinale, se saranno scelti da Palazzo Chigi, o se sarà il solito giro di Walzer.
Ci sono due casi: o il ministro si insedia e decide di fare il salto nel vuoto, dicendo arrivo io e cerco di fare da solo, o si affida a qualcuno che già le cose le sa. E per anni in questo Paese, e per un motivo ben preciso per cui accade i contratti vengono presi in carico dai magistrati amministrativi, gli stessi che fanno il doppio incarico.

Per anni il Paese è sempre stato lontano dall'idea di cambiamento. I nuovi insediamenti, i nuovi ministri hanno avuto idee politiche che non riuscivano ad essere applicate poiché si affiancavano a consigliari di Stato oramai rodati e il passaggio al vero “politicismo tattico” non avveniva o se avveniva riusciva ad incidere poco sui fatti. E poiché oramai la rottura a destra, il congresso del partito democratico, gli scenari politici si sono modificati. Non c'è via di uscita la strada la si fa costruendola.

Il sistema politico italiano dovrà ancora assestarsi e prevede una fine legislatura cioè il 2018, a differenza di quanto si pronosticava con Enrico Letta. Non di meno non sappiamo alla fine di questa transizione cosa succederà. E' certo che con la crisi del governo Berlusconi, al di là di come la si pensi ha segnato la fine di un ventennio. Così che si apre una nuova fase politica. E ciò lo si verificherà alla fine dell'azione politica renziana. Allo stesso tempo dobbiamo fare qualcosa di concreto per l'Italia. Perchè ci siamo “impantanati”, punto molto familiare all'interno dei dibattiti dei consigli dei ministri del governo Letta.


Lo sforzo di Renzi sarà non solo quello di affrontare la questione della scuola, merito che non glielo si nega, ma anche la ricostruzione del futuro. Questo è il tema a partire di qui bisogna segnare le priorità centrali. E in questo senso Renzi ha fatto un grande sforzo, per la nascita del governo. Cercando di costruire un consenso più largo. Ora Renzi ha voluto bruciare le tappe, con un comportamento contradditorio. Ora è al momento della verifica.

Quello che si sta facendo, con la fiducia, è un atto di fede verso il governo Renzi?
Renzi reggerà? Per un più ampio progetto di cambiamento di questo paese?
E davanti al dibattito con i sindacati sul caso Elettrolux di rivedere i contratti?
Farà niente per la delocalizzazione delle imprese che vanno all'estero, lasciando il loro paese? Vedendosi sottratti quei diritti dovuti con la concorrenza sleale?
Perchè le norme da noi sono troppo rigide?
E il progetto di legge del conflitto di interessi che non vuole andare in porto in Parlamento?

di Giacomo Palumbo
@palgiac

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