Le implicazioni che contiene questa ennesima minaccia -- perché di questo si tratta e non di un semplice monito, come a tutti appare evidente -- inducono ad alcune riflessioni chiarificatrici anche da parte italiana. Sollecitando, magari, la stessa pubblica opinione ad occuparsi del tema, se non proprio immediatamente magari non appena riusciremo a liberarci del tormentone mediatico sulle pigioni ad equo canone pagate o meno a suo tempo dal Presidente D’Alema. Ci sembra comunque legittimo dare priorità alla questione iraniana, specie dopo che il nostro Ministro degli Esteri si è detto scettico sia sulla proposta del Brasile di farsi mediatore tra l’Iran e l’Occidente sul delicato tema nucleare, che sulle reali intenzioni di Teheran a rispettare gli obblighi internazionali.
In sintesi, ragiona il titolare della Farnesina, se anche in passato l’Iran aveva detto di voler accettare un’analoga proposta di mediazione turca e poi non l’ha accettata, come pure in un nulla di fatto si è conclusa la proposta di trasferire in Russia l’uranio da arricchire, è evidente che nei rapporti con il regime post-khomeinista ormai più che le parole contano solo i fatti. Senza neppure scordarci che già altre volte l’Italia aveva generosamente presentato all’Iran una sincera offerta di collaborazione (a margine del G-8 ministeriale di Trieste del giugno scorso), ben spiegata anche dall’Ambasciatore Giampiero Massolo -- Segretario Generale del MAE e all’epoca rappresentante personale del Presidente del Consiglio Berlusconi nell’Ufficio Sherpa G8 a presidenza italiana -- con la speranza di vedere se l’annunciata positività delle posizioni iraniane fosse reale mentre erano ancora in molti a cercare una soluzione diplomatica alla questione del dossier nucleare.
Ed è proprio alla luce dei fatti che, sulla scorta di quanto è poi accaduto, sarà francamente difficile non essere pienamente d’accordo con il nostro Ministro degli Esteri, quando alle Nazioni Unite i Paesi aventi diritto al voto dovranno (a breve) esprimersi sull’implementazione di un quarto round di scelte sanzionatorie, per contenere i progetti nucleari dell’Iran. Semplicemente perché, nonostante la propaganda di Teheran continui a negare di volersi dotare della bomba atomica, sbandierando ai quattro venti i propri propositi di usare l’uranio esclusivamente per motivi civili e pacifici, in realtà non è la prima volta che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU abbiano dato semaforo rosso ai programmi iraniani di arricchimento dell’uranio. Come pure non è la prima volta che nei rapporti dell’AIEA (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) si sia già già scritto a chiare lettere che ci sono forti dubbi sul fatto che l’Iran non intenda invece utilizzare l’uranio per fini diversi da quelli civili e pacifici che pure a parole dichiara.
Per cui, se questo è il momento che attualmente tutti viviamo con comprensibile apprensione, un eventuale voto a favore delle sanzioni dato questa volta da Paesi come Brasile, Bosnia, Gabon, Libano, Nigeria, Uganda, Giappone, Messico, Austria e Turchia sancirebbe agli occhi del mondo libero la loro rispettabilissima posizione nella comunità internazionale a favore dei più sani principi della diplomazia della pace: quella cioé che difende i Diritti Umani e che si oppone strenuamente e con ogni mezzo sia al terrorismo che alla proliferazione delle armi di distruzioni di massa. Il che, ove ciò auspicabilmente accadesse, andrebbe anche a corroborare, rinsaldandole, le posizioni osservate sul tema da gli altri cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Russia, Cina, Francia, Inghilterra e Stati Uniti) ai quali -- nei primi del 2010 e per un periodo di due anni, per effetto del principio di rotazione -- sono venuti ad aggiungersi Brasile, Bosnia, Gabon, Libano e Nigeria. Laddove invece Uganda, Giappone, Messico, Turchia e Austria il loro primo anno come membri del Consiglio lo hanno già svolto e dunque gliene resta ancora un secondo.
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