La guerra che ha portato al rovesciamento del regime di Saddam Hussein è quindi finita, almeno sulla carta. Quattromila soldati statunitensi hanno varcato quello stesso confine che nel 1990 le truppe di Saddam Hussein avevano attraversato per invadere l’emirato. Quella, però, era un’altra guerra. Perché la “seconda guerra nel Golfo”, decisa dall’allora presidente Usa, George W. Bush, convinto che Hussein possedesse armi di distruzione di massa (che non sono mai state trovate), ha portato a un solo risultato certo: la morte di Saddam.
Per il resto la guerra ha creato profonde divisioni in Europa, tra paesi come la Gran Bretagna che hanno combattuto al fianco degli Stati Uniti (registrando un alto tasso di vittime) e paesi che hanno preferito rimanere sempre contrari alla guerra, come la Francia.
Non è stato un ritiro inaspettato. Barack Obama aveva già annunciato, il 2 agosto, il ritiro delle truppe entro la fine del mese, quando in Iraq rimarranno 50mila militari americani con il compito di formare forze di sicurezza irachene, proteggere personale e strutture americane. Il momento, però, è storico perché sembra segnare la fine di una guerra che poteva continuare all’infinito.
Certo, oggi l’Iraq non è un paese più sicuro del 20 marzo 2003. Solo due giorni fa, infatti, un nuovo attacco kamikaze è stato letale per 61 persone.
L’ex presidente Bush aveva annunciato la fine dei combattimenti il primo maggio del 2003. Fu solo un discorso propagandistico, però, perché proprio negli ultimi anni gli scontri sono diventati ancora più duri. Ed è stato proprio Bush a chiedere, nel 2007, un aumento considerevole di uomini per contrastare le violenze nel paese.
In questa guerra gli Stati Uniti hanno versato mille miliardi di dollari ed è comprensibile che Philip Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato, dichiari “dobbiamo fare tutto quello che ci è possibile per salvaguardare questo investimento e per garantire all'Iraq e ai Paesi vicini una situazione pacifica utile ai nostri interessi e ai loro”. La realtà è che ci vorranno mesi per capire se gli iracheni riusciranno a farcela da soli. Il generale iracheno Babaker Zebari è convinto che prima del 2020 sarà difficile per le forze militari dell’Iraq assumere il controllo del paese. E ha anche affermato che i problemi in Iraq inizieranno a partire dalla fine del 2011, quando gli statunitensi avranno abbandonato la zona di guerra. Le obiezioni di Zebari, però, sono state subito respinte dai vertici americani.
Il ritiro delle truppe dall’Iraq, in realtà, permetterà di rafforzare il fronte statunitense in Afghanistan, dove la guerra invece continua. L’Iraq sarà abbandonato al suo destino. Senza un vero governo. E con la prospettiva, avanzata anche da alcuni quotidiani, che le forze di Al-Qaeda intensifichino il loro potere.
Con questo ritiro il presidente Obama mantiene la promessa fatta durante la sua campagna elettorale. Sarà il popolo iracheno, ancora una volta, a pagare le conseguenze di oltre sette anni di guerra: l’esercito va via, ma le violenze non sono destinate a diminuire.
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martedì 7 settembre 2010
In Iraq inizia il ritiro degli americani
Ci sono voluti sette anni e mezzo di guerra, 4.419 soldati americani uccisi, un numero di civili morti imprecisato e un nuovo presidente per vedere le truppe americane iniziare il ritiro dall’Iraq. Secondo quanto riferito dalla Nbc, l’ultima brigata da combattimento ha superato nella notte il confine con il Kuwait, anticipando, di fatto, la fine dell’impegno diretto in combattimento dell’esercito statunitense, fissato per il prossimo 31 agosto.
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