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lunedì 18 maggio 2020

Il mondo che sarà, vede anche il lato positivo.


Cara Selvaggia, mi sento un po’ cinica a scriverti queste righe. Qualcuno potrebbe indignarsi (e tu sai bene oggi com'è facile) e quindi premetto ciò che è ovvio: questa pandemia è una tragedia immane, soffro per i morti tanto quanto per i vivi, che non sanno per quanto tempo resteranno tali, tra il contagio del virus e quello della povertà. Però una piccola parte di me, quella che riesce ancora a guardare avanti e intravedere il mondo che sarà, vede anche il lato positivo. Qualcosa che un terremoto come questo ci ha insegnato per sopravvivere, ma che se resta ci insegna anche a vivere meglio. Sono una delle fortunate che in questi mesi ha potuto continuare a lavorare in smart-working, e sai cosa abbiamo scoperto in ufficio? Che la produttività non cala, anzi, non mi sono mai sentita così produttiva. Sveglia alle sei, doccia al volo, trucco, colazione terribilmente veloce e povera, e poi corsa, fermata del tram, tragitto, lavoro. Pausa pranzo al bar con una roba surgelata o riscaldata, pagata troppo, prima di tornare dietro alla scrivania con il cibo ancora sullo stomaco. Poi via, di ritorno all'ora di punta, con il tram pieno del crepuscolo, che arrivi a casa e non hai tempo di fare la spesa, di prepararti qualcosa che è già sera. È esser produttivi questo? Ora mi sveglio un’ora e mezza dopo, faccio mezz'ora di yoga (le dirette hanno creato un mostro), mangio un frutto che faccio in tempo a sbucciare e mi siedo davanti al computer con il caffè ancora caldo. Quando ho voglia mi fumo una sigaretta, a pranzo cucino io, appena  finisco posso pensare a me e non al ritorno. La spesa non è più una preoccupazione perché la faccio una volta alla settimana; sì c’è un po’ di coda ma è tutto così meravigliosamente lento. Ho riscoperto il mio quartiere, l’aria, lo spazio e il tempo. Questo virus ha tolto a tanti il tempo, ma credo che a tutti gli altri ne abbia fatto dono. Un dono di cui voglio far tesoro perché è costato dolore e sacrificio ma, proprio per questo, mi domando: era proprio necessario? Dovevamo morire come mosche per capire che si può andare più piano senza per questo andare meno veloce? Per capire che lavoro non vuol dire fatica e privazione ma anche tempo per sé e benessere? Spero finisca tutto il più presto possibile, ovviamente. Che trovino un vaccino al virus, ma non a questa nuova coscienza.
Silvia

Cara Silvia, da casa, resta anche il tempo per mandare mail preziose come questa. Mail su cui magari tutti non saranno d’accordo, ma che stimolano riflessioni interessanti su come e quanto possa cambiare ancora il mondo del lavoro. Grazie.
Redazione FQ 18 maggio 2020

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