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lunedì 21 marzo 2011

Media, democrazia e sviluppo telematico.


E' interessante dal punto di vista della riflessione sulle problematiche attuali riguardanti la democrazia risulta la considerazione del complesso rapporto che tale forma politica intrattiene con le moderne tecnologie. Sono o possono diventare strumenti di un sistema più democratico o producono invece nuove oligarchie?
La discussione su queste tematiche è molto articolata e lascia spazio a diversi e spesso contrastanti giudizi, tutti egualmente veri ma, allo stesso tempo, assai limitati. Data la relativa novità dell’argomento non esistono schemi già fissati, ma è facile trovare, sui giornali o nella rete, le testimonianze di una presa di coscienza più o meno interessata e strumentale, ma di fondamentale rilevanza: ormai le nuove tecnologie sono parte della vita quotidiana e difficilmente possono essere ignorate, pena l’esclusione dalla società, sia a livello, per così dire "alto", sia a livello di rapporti personali con gli amici e le istituzioni.
A questo proposito un documento importante è costituito dalle parole di Stefano Rodotà, garante per la privacy, che spaziano dalla necessità dell’adeguamento del sistema politico, italiano e non, all’evoluzione dei media, al problema della pubblicità scorretta e condizionante, alla tutela della sfera privata del cittadino, questioni che si rivelano inscindibilmente legate alla democrazia e che solo un paese democratico è in grado di porsi con la pressante necessità di risposte soddisfacenti e al passo con i tempi.

Vizi di forma e luoghi comuni nella discussione sull’evoluzione dei media

Il dibattito relativo all’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, pur indirizzandosi nella direzione di una più piena e consapevole comprensione e osservazione della realtà, rimane ancora prigioniero di vizi di forma e di luoghi comuni da cui è indispensabile liberarsi per affrontare in modo più completo e sereno la questione. Da combattere è innanzitutto la superbia tecnologica ovvero la convinzione che le tecnologie producano da sé le proprie regole senza tenere conto della reazione della società in cui vengono introdotte. Nulla è più falso, basti pensare che al momento dell’introduzione delle prime tecnologie informatiche si sosteneva che non servissero regole, ora invece tali regole stimate inutili sono indispensabili e codificate e anzi, l’Italia costituisce un’anomalia proprio in virtù del suo vuoto legislativo in questo ambito. Le leggi non sono utili soltanto per imbrigliare la "portata rivoluzionaria" delle tecnologie, ma ne valorizzano le potenzialità. Si pensi in particolare alla facilità di accesso alle informazioni; se il diritto all’accesso non fosse stato sancito la tecnologia sarebbe stata sfruttata solo in minima parte, ma sono necessarie regole.
Altro ostacolo all’apertura di un dibattito serio è l’ottimismo del mercato: non tutto, infatti, si risolve con la spontaneità del mercato che, privilegiando ovviamente gli interessi economici può stabilire addirittura categorie di cittadini o intere aree a cui non è conveniente far giungere alcune tecnologie, il che significa, dal momento che oggi si comunica soltanto se si è a conoscenza dell’alfabeto tecnologico, escluderli automaticamente dalla società. Pertanto non può essere il mercato a condurre le sorti della diffusione delle tecnologie ma esso deve essere guidato affinchè renda un servizio universale portando ovunque ciò che ormai è indispensabile per far parte del mondo civile.
Un ulteriore rischio è quello relativo alla semplificazione politico-ideologica per cui sembra che non vi sia nel giudizio riguardo alla nuove tecnologie una via di mezzo: le posizioni oscillano tra una visione quasi miracolistica della tecnologia, grazie al cui intervento la democrazia sarà finalmente democrazia di tutti, la democrazia diretta dell’antica Atene, e una concezione della tecnologia che controlla, spia e ordina ogni cosa imprigionando l’individuo.
Si tratta in tutti e tre i casi di una semplificazione della problematica, sottoposta inoltre all’azione di molti luoghi comuni tra cui i principali sembrano essere la pretesa neutralità delle tecnologie, per cui esse possono assumere un volto positivo o negativo a seconda dell’uso che se ne fa, e il loro carattere liberatorio. In queste considerazioni esiste un fondo di verità, ma nel primo caso si opera una generalizzazione e una deresponsabilizzazione delle tecnologie cui corrisponde invece un’eccessiva responsabilizzazione di chi le utilizza senza tener conto di come la tecnologia effettivamente si comporta: diverso infatti è prendere in considerazione uno strumento come la televisione, dove il messaggio va tendenzialmente da un oratore a milioni di spettatori che lo ricevono passivamente e che è dunque un mezzo "autoritario", dall’osservare invece il meccanismo della rete che consente un’interazione, un dialogo paritario dove pertanto no esistono gerarchie. A questo punto entra in gioco però il secondo luogo comune che vede nell’interattività l’elemento risolutore del sistema autoritario, immagine parzialmente falsa dal momento che, se all’interno di una rete alcuni partecipanti possono solo rispondere senza facoltà di porre domande, ciò rappresenta di certo un passo avanti rispetto al silenzio precedente, ma ancora limitato rispetto alla domanda di partecipazione.

Decisione piramidale e decisione in rete

Le società democratiche attuali sono caratterizzate da un sistema decisionale piramidale che può avere o volere avere influssi sullo sviluppo della rete anche per difendersi dalla portata rivoluzionaria dello strumento.
Per decisione piramidale si intende una decisione che, pur potendo avere alla base molte persone che esprimono la propria opinione, tuttavia viene presa solo dopo un progressivo assottigliamento di questa moltitudine di attori che parlano all’inizio e poi tacciono per sempre. Al vertice rimane insomma uno solo che prende effettivamente la decisione. Il passaggio a un tipo di decisione in rete moltiplica le possibilità di intervento creando uno scambio, un dibattito che, pur prevedendo un indispensabile momento di sintesi finale, lo raggiunge dopo essersi arricchito da tale discussione in rete. Alcune decisioni possono persino essere prese attraverso questa struttura di rete proponendo, ad esempio una serie e di variabili; la decisione è in tal caso immediatamente espressa dalla risultante delle opinioni in merito a tali variabili espresse dai partecipanti alla rete: non c’è quindi in questo caso una proposta fatta da qualcuno prima a cui successivamente altri dicono semplicemente si o no, ma una serie di variabili e il risultato viene da ciò che la rete dice. Certamente da parte dei tradizionali detentori del potere tale possibilità non è accolta con favore; essi tentano pertanto di relegare alla periferia o di dare solo un ruolo consuntivo alle nuove possibilità di decisione.

Il futuro delle culture locali

L’esistenza di una rete globale pone il difficile problema della conservazione e promozione delle culture regionali a favore delle quali negli anni scorsi la Francia ha adottato diverse misure di protezione. La rete è però per definizione uno strumento che abbatte i tradizionali confini, pertanto non funzionano misure protezionistiche. Piuttosto tali culture devono essere mantenute: in Francia un primo intervento in tale direzione è consistito nell’introduzione in rete di opere in lingua francese con l’intento di stimolare la curiosità degli utenti che si imbattono in questi documenti. Si tratta di una intelligente risposta all’incondizionato dominio linguistico da parte dell’inglese che rischia di diventare anche e soprattutto dominio culturale. La rete tende piuttosto a rafforzare interessi minuti, in precedenza sostenuti da sparuti gruppuscoli non in grado di aggregarsi e di formare un fronte forte; ora la rete consente a uomini geograficamente molto lontani gli uni dagli altri un dialogo che li unisce e accresce enormemente la loro incidenza all’esterno. La globalizzazione può dunque trasformarsi in nuova linfa per identità locali e gruppi limitati che, peraltro, erano già in difficoltà.

Cittadini passivi e cittadini attivi: la "democrazia virtuale"

Per comprendere che cosa si intenda con l’ormai diffuso slogan democrazia virtuale è necessario innanzitutto prendere in considerazione il ruolo dei cittadini. Lo spettatore televisivo, generalmente considerato spettatore passivo, elabora in realtà strategie di difesa la più comune delle quali è quella di cambiare canale non appena compare la pubblicità. Inoltre oggi esistono altre opportunità quali l’acquisto di videocassette e la registrazione dei programmi preferiti che consentono persino la costruzione di un palinsesto personalizzato, non più schiavo di ciò che il canale offre. Alla luce di tali considerazioni si può affermare che esiste già un’attività, una reazione da parte del cittadino. Per democrazia virtuale si intende una sorta di esasperazione di tale attività proprio attraverso i mezzi di comunicazione, ma ciò pone diversi problemi dovuti alla novità degli spazi e dei mezzi in cui essa si esplica rispetto ai tradizionali comizi, alle piazze ormai vuote. Non hanno più senso i propagandisti porta a porta, nè i comizi dal momento che il leader politico gode ormai dell’ubiquità, diffonde i suoi discorsi registrati con cui parla in luoghi diversi con discorsi diversi tagliati sulla misura dei vari elettorati. Tali operazioni fanno salire i costi della politica che, da settore ad alto investimento di lavoro, diventa settore ad alto investimento di capitale, dematerializzandosi e allontanandosi sempre più dalle persone e dai mediatori tradizionali.
Altro rischio della democrazia virtuale, oltre a quello dell’allontanamento della politica dai cittadini, è quello relativo alla cosiddetta democrazia plebiscitaria, la democrazia delle emozioni per cui se, ad esempio, si mostra un omicidio e si fa seguire ad esso la domanda ai cittadini "Volete o no la pena di morte?" la reazione dell’opinione pubblica sarà diversa rispetto a quella provocata da altre immagini proposte per orientarla in una diversa direzione.
E’ pur vero che, accanto a questi pericoli, la democrazia virtuale offre anche diverse opportunità riguardanti la possibilità per il cittadino di accedere direttamente alle informazioni e di rielaborarle producendo un intervento attivo da parte del cittadino stesso. L’ex presidente degli Stati Uniti George Bush è stato distrutto anche da una frase da lui pronunciata, "Leggete sulle mie labbra: non più tasse", ossessivamente ripetuta nella successiva campagna presidenziale dopo che le tasse erano state aumentate. Bisogna quindi fornire una molteplicità di fonti di informazione per consentire realmente, anche se con il limite dalla faziosità, ai cittadini di scegliere e elaborare criticamente la massa di informazioni oggi disponibile uscendo dallo stato di passività.

Rete e uguaglianza

La discussione sulla tecnologia telematica risente spesso, soprattutto da parte degli entusiasti, di un certo determinismo tecnologico; in particolare c’è chi ritiene che in pochi anni grazie alle nuove tecnologie sarà possibile superare il divario economico esistente tra Nord e Sud del mondo. Altri partecipanti al dibattito sostengono però la tesi opposta e convalidata dai fatti. I dati parlano infatti di analfabetismo tecnologico: in passato l’analfabeta era vittima di un processo di esclusione legalizzato per cui, ad esempio, non poteva votare, così oggi esistono nuovi analfabeti, ovvero persone non in grado di far uso delle tecnologie più avanzate che restano perciò esclusi da processi di alta rilevanza sociale. Si assiste dunque all’apertura di un fossato tra chi conosce i nuovi linguaggi e chi non li conosce e lo stesso avviene anche tra i diversi Stati e qui non si tratta più di analfabetismo ma di neocolonialismo. L’antico problema del trasferimento di tecnologie che ha segnato da sempre i rapporti tra le aree di diverso sviluppo del mondo, oggi assume i connotati di una questione di uguaglianza non risolvibile da parte del mercato dal momento che non si tratta solo di mettere a disposizione di un consumatore certi servizi, ma c’è anche una dimensione legata al suo essere cittadino: tutti quindi devono essere messi in una condizione di parità. Non a caso si parla di diritto di accesso ai mezzi come diritto universale, come qualcosa di cui tutti devono disporre indipendentemente da altri fattori specie di origine economica. In Italia, ad esempio, il Comune di Bologna, sperimenta l’accesso gratuito a Internet proprio per realizzare tale diritto e allo stesso tempo per dare un incentivo alla necessaria alfabetizzazione informatica che sarà certo uno dei maggiori requisiti di cittadinanza del prossimo futuro. Interessanti sono a questo proposito le parole di Tim Berners-Lee, l’ideatore del primo programma basato sul modello ipertestuale che, nel 1989, ebbe l’intuizione di adattarlo a una rete di comunicazione globale. Egli afferma infatti: "Tra un paio di decenni gli storici presenteranno probabilmente Internet come uno dei fattori che più hanno contribuito a cambiare il mondo. Forse la metteranno sullo stesso piano della rivoluzione industriale, ma il giudizio degli storici potrebbe veramente essere duplice. Potrebbero sostenere che Internet ha contribuito a unire l’umanità, che ha permesso a ogni individuo di avere gli stessi diritti perché ha dato accesso alle stesse informazioni. Ma sono anche consapevole del fatto che gli storici potrebbero guardarsi indietro e vedere in Internet quello strumento che ha reso del tutto incolmabile il vuoto tra paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, tra chi ha accesso alle informazioni e chi no" (L’Espresso- 7 Gennaio 1999)

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