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© Il Blog di Giacomo Palumbo - Home ufficiale

lunedì 22 ottobre 2012

Interferenze politiche nella libera informazione

E' ormai opinione diffusa che progresso tecnologico e democrazia siano destinati a percorrere parallelamente le strade del futuro. I benefici di cui godiamo quotidianamente sono, per la maggior parte conseguenza della terza rivoluzione industriale: l’invenzione del chip e le sue rispettive logiche di utilizzo in ogni settore. Noi, in primis, possiamo apprezzarne gli effetti che colpiscono la diffusione dell’informazione e la qualità della democrazia stessa. Nell’anno 2011 gli effetti di cui parlo sono stati sotto gli occhi di tutti, sarebbe stato impossibile non notare come la "Primavera Araba" sia stata concertata dal web attraverso gli appelli dei manifestanti. Il quale è stato ed è il primo evento storico legato in qualche modo all’uso della rete internet! Bene, osservazioni preliminari a parte, facciamo un viaggio a ritroso nel tempo e immaginiamo lo stesso evento senza l’appoggio della rete internet, luogo libero per antonomasia – fino ad oggi - in cui è possibile scavalcare ogni forma di censura. Non possiamo sapere come sarebbe andata, ma potremmo immaginare come ora sarebbero gli effetti di eventuali limitazioni alle nostre vite e abitudini digitali nella nostra realtà occidentale e democratica.
I negoziati per il nuovo trattato internazionale ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement) hanno inizio nel 2007. Essi coinvolgono 40 Stati, associazioni di industrie cinematografiche e discografiche, nonché multinazionali note come eBay, Google &Co., Facebook, Sony, Apple, Toshiba, Acer, Microsoft.
Dalla sigla estesa e dal background di provenienza dei partecipanti al negoziato, intuiamo quali siano le mire dell’accordo. L’obiettivo è naturalmente quello di contrastare la pirateria, la contraffazione, la violazione del copyright o la proprietà intellettuale dei brevetti. Nonostante l’accordo sia poco trasparente, anzi totalmente oscuro fino al 2009, il Consiglio Europeo concede il suo appoggio nel continuare a prender parte ai negoziati di un trattato segreto e dai contenuti poco chiari. C’è da aggiungere che il Parlamento Europeo era, al pari dell’opinione pubblica, altrettanto all’oscuro tanto da presentare 6 interrogazioni parlamentari fra il 2009 e il 2010 al fine di prendere finalmente visione dei documenti concernenti l’ACTA e chiedere una maggiore trasparenza. Tuttavia, non ebbero molta fortuna, poiché quanto capirono lo devono al sito Wiki-Leaks che riuscì a far trapelare parzialmente i contenuti dell’accordo.
Tutto ciò è in violazione del TFEU (Treaty on the Functioning of the European Union), secondo cui il Parlamento dovrebbe essere sempre informato su simili decisioni. La conclusione del cammino europeo verso la piena accettazione dell’ACTA sembra sempre più vicina nonostante le forti proteste dell’opinione pubblica.
In attesa di nuovi sviluppi basti sapere che il 26 gennaio 2012 a Tokyo, l’Unione Europea ha siglato l’ACTA. Le idee che inizialmente si ergevano dietro questo trattato potevano anche essere giustificabili, in quanto si voleva arginare il fenomeno della pirateria informatica di contenuti protetti da copyright. Tutti in generale hanno nella loro vita scaricato almeno una volta musica o film dal web!
Tuttavia con grande sforzo potremmo anche comprendere le ragioni dell’industria cinematografica e discografica, ma si è andati ben oltre lo spirito che ha animato i suddetti interessati.
I princìpi dell’ACTA sarebbero stati “avvelenati” da un “position paper” elaborato dalla coalizione CMBA (Creative Media Business Alliance), sorretta dagli interessi di Francia, USA, The Walt Disney Company e anche dalla Mediaset di Berlusconi fra gli altri.
Questo progetto inviato alla Commissione Europea auspicava che i diritti fondamentali in internet non fossero rispettati se non in eccezioni ad hoc. Un diritto interessato è ad esempio quello alla privacy.
Fu proposta anche la coercizione alla collaborazione dei fornitori di internet nel sorvegliare i contenuti della rete imponendo il copyright e, in caso di violazioni commesse in rete, ad essi sarebbero corrisposte le dovute responsabilità. Questo elaborato si colloca nella discussione sulla riforma europea sulle telecomunicazioni del Telecom Package, che sfociò poi nella successiva discussione sull’ACTA e che fu l’occasione perfetta per alcune legislazioni nazionali di apportare emendamenti alla precedente regolamentazione di internet.
L’Italia poi ha risposto senza indugi alla chiamata con il DDL 668/2010, la Delibera Agcom nota ad alcuni come “Legge Bavaglio”. Un capolavoro modellato dalla mente superiore dell’On. Carlucci, che ha cercato di far passare con successo il 6 luglio 2011, il progetto di legge in sostituzione del vecchio Decreto Romani, per una misura necessaria contro la pedofilia digitale e l’anonimato. Il suddetto è un DDL antipirateria concepito piuttosto dalla mente di Davide Rossi che gestisce il blog dell’onorevole e che, casualità, è presidente della Società Univideo.
Che cosa cambia per l’Italia? Detto in breve, qualsiasi piattaforma, blog, sito non ha la possibilità di rivolgersi ad alcun giudice nel caso in un cui l’Autorità competente decida che i contenuti da lui pubblicati violino il copyright. Nessuna indagine, nessun giudice. In casi estremi lo stesso sito può essere oscurato. E come se non bastasse questa delibera è diventata un faro internazionale.
L’Italia è un modello per tutti dicono! Quindi le celebri SOPA e PIPA, proposte americane che legiferano in materia di diritti del web, non sono altro che una riproduzione del nostro DDL.

 






Sritto da Camilla Mastrangelo per Koiné e in parte rivisitato.

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