Il contratto per sostituzione maternità è, in sostanza, un particolare tipo di contratto a tempo determinato stipulato nel caso di una sostituzione temporanea. Viene detto anche “contratto per sostituzione con diritto alla conservazione del posto” proprio per esplicitare il fatto che il posto offerto non è vacante, ma richiede di essere occupato solo per un tempo limitato.
Questo contratto può essere applicato quando un dipendente è temporaneamente assente. Nel caso di un contratto per sostituzione maternità, la persona sarà appunto assente perché incinta e lascerà il suo posto per il tempo della gravidanza e anche oltre, se lo richiederà. Ma potrebbe capitare anche di dover sostituire un padre in congedo di paternità, ricordiamolo.
Di tutto quel che si può dire di questa tipologia di contratto, però, una delle più importanti riguarda i diritti del lavoratore. Anche se il vincolo è temporaneo, puoi stare tranquillo: i tuoi diritti sono gli stessi del lavoratore che sostituisci, fino al termine dell’accordo contrattuale.
Le caratteristiche di un contratto per sostituzione maternità
Ora che ti è più chiaro cosa sia un contratto per sostituzione maternità, vediamo assieme nel dettaglio quali sono le caratteristiche che deve avere.
1. Proprio per la sua natura “sostitutiva” è fondamentale che sul documento sia riportato esplicitamente il nome e cognome del dipendente sostituito. Sono pochissimi i casi in cui questo elemento non è richiesto, come ad esempio per i magazzini della grande distribuzione, dove la sostituzione riguarda più il turno di lavoro che un singolo lavoratore.
2. Insieme alle generalità della persona sostituita, dovranno essere messe per iscritto anche tutte le caratteristiche del suo contratto di lavoro, che si devono riflettere sul nuovo sostituto. Come dicevamo, i tuoi diritti – e doveri – saranno gli stessi della persona che sostituisci e tutto questo deve essere riportato nel tuo contratto per sostituzione maternità (mansione, qualifica, contratto collettivo, retribuzione, ferie).
3. Un’altra caratteristica del contratto per sostituzione maternità è la durata. Tema molto dibattuto questo, ma sicuramente se viene esplicitato già in fase contrattuale sia tu che il datore di lavoro vi potete togliere un bel pensiero. Attenzione però alla dicitura “fino al rientro della signora X dalla maternità” che, pur essendo legittima non ti darà molte certezze sulla durata effettiva del contratto. Ma questo lo approfondiremo tra poco.
4. Sempre in relazione alla durata, è importante che tu legga attentamente il tuo contratto per capire se già da ora puoi escludere una futura assunzione a tempo indeterminato. Se nel contratto è riportata la fine del rapporto lavorativo ai 12 mesi (che la persona sostituita sia rientrata o meno al lavoro), sicuramente il tuo contratto non potrà passare automaticamente a tempo indeterminato. Questa è una clausola importante da conoscere, per evitare di fare progetti nella speranza di un’evoluzione del contratto che è già negata in partenza. Sempre che il datore di lavoro non decida di farti un nuovo contratto in seguito.
Quanto dura un contratto per sostituzione maternità
Eccoci arrivati alla questione. L’avevamo detto: questo è uno dei punti più dibattuti a proposito del contratto per sostituzione maternità, ma cercheremo di fugare ogni dubbio.
Innanzitutto, da quando inizia un contratto per sostituzione maternità? Non tutti lo sanno, ma è previsto per legge che il contratto cominci un mese prima dell’inizio della sostituzione vera e propria, in modo che ci sia il tempo utile di affiancamento. È importante saperlo perché – sia chiaro – non è un’agevolazione generosa accordata dal datore di lavoro, ma un dovere. In questo modo puoi già tenere conto di un mese di lavoro.
Per fare il calcolo di quanto dura un contratto per sostituzione maternità bisogna poi tener conto inizialmente dei 5 mesi obbligatori previsti per legge per la maternità. Con il mese di affiancamento si arriva quindi a 6 mesi, che è in sostanza il minimo che puoi aspettarti da un contratto di questo tipo.
Bisogna però considerare che il contratto può essere prorogato in base alle successive richieste della neomamma, che può avvalersi di ulteriori 6 mesi di congedo parentale (conosciuto comunemente come “maternità facoltativa”). Possiamo dire quindi che il tuo contratto può durare fino a un massimo di 12 mesi.
Questo termine, lo ricordiamo, è fissato non solo dalla somma dei mesi riconosciuti alla madre per la maternità, ma anche perché altrimenti, allo scadere dei 12 mesi, il tuo contratto dovrebbe trasformarsi per legge in contratto a tempo indeterminato. Come un qualsiasi contratto a tempo determinato, insomma.
Quante volte può essere rinnovato il contratto
Se ci hai fatto caso, abbiamo parlato di “proroga” poco fa. Già, perché ogni rinnovo di contratto è considerato una proroga del tuo contratto di sostituzione maternità.
Anche in questo caso, il contratto si comporterà a pieno titolo come un tempo determinato, ed esiste un limite al rinnovo. La legge che regolamenta questo aspetto è l’articolo 21 del Decreto Legislativo n.81/2015 che afferma che il contratto può essere prolungato solo se la durata iniziale non supera i 36 mesi (ma non è questo il tuo caso) e vale la regola del rinnovo massimo di 5 volte.
Se il datore di lavoro vuole prolungare il contratto oltre i 12 mesi o più di 5 volte, cosa succede? Per legge il tuo contratto deve passare a tempo indeterminato.
Fai inoltre attenzione a un altro aspetto importante: come anticipato in precedenza, per poter allungare il tuo contratto deve essere specificata la possibilità di proroga al momento della prima sottoscrizione. Quindi presta attenzione prima di firmare!
Congedo di maternità
Estensione del divieto, interruzione della gravidanza, flessibilità del congedo di maternità, documentazione, trattamento economico e normativo, mobilità, prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico.
È vietato adibire al lavoro le donne:
durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, (salvo quanto previsto in caso di flessibilità del congedo) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; durante i tre mesi dopo il parto, (salvo quanto previsto in caso di flessibilità del congedo), durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
Congedo in caso di parto prematuro
In caso di parto prematuro il diritto al congedo obbligatorio di maternità scatta dal ritorno a casa del neonato. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con sentenza 7 aprile 2011, n. 116 dichiarando illegittimo l’articolo 16 del T.U. “nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare”. In quanto la finalità perseguita dall’istituto del congedo obbligatorio, è quella di tutelare la salute della donna nel periodo successivo al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro, ma permettendo altresì, lo sviluppo del rapporto tra madre e figlio che si instaura proprio in tale periodo (messaggio INPS 14448 del 13 luglio 2011).
Estensione del divieto
Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con decreti del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.
In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell’istanza della lavoratrice.
Interruzione della gravidanza
L’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, verificatasi durante i primi 90 giorni di gravidanza e per aborto terapeutico è considerata a tutti gli effetti come malattia.
In tali casi trova applicazione la speciale tutela di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 1026/1976, pertanto le malattie determinate dalla gravidanza non operano ai fini del superamento del periodo di comporto (conservazione del posto) previsto da regolamenti o da contratti collettivi. La certificazione dello stato di malattia può essere rilasciata dal medico di base convenzionato, senza che sia necessario ricorrere ad uno specialista del Servizio sanitario nazionale (ML interpello n. 32/2008).
Il D.lgs. 119/2011 art. 2 ha apportato modifiche al congedo di maternità nei casi di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla loro salute.».
Fino ad oggi in base alla previsione del D.P.R. n. 1026/1976 art. 12 era considerato invece come parto, a tutti gli effetti, l’interruzione spontanea, o terapeutica, della gravidanza avvenuta successivamente al 180º giorno dall’inizio della gestazione e quindi nei tre mesi successivi operava il divieto di adibire le lavoratrici al lavoro.
Ai sensi dell’articolo 17 della legge 22 maggio 1978, n. 194, la pena prevista per chiunque cagioni ad una donna, per colpa, l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. In caso di parto prematuro la pena prevista dal comma precedente è diminuita fino alla metà.
Nei casi previsti dal comma precedente, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.
Flessibilità del congedo di maternità
Ferma restando la durata complessiva dell’astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Le lavoratrici hanno altresì la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l'evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Il periodo di flessibilità, che va da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese, può essere successivamente ridotto su istanza della lavoratrice o per fatti sopravvenuti.
Con circolare n. 106 del 2022, l’Inps ha modificato la precedente regolamentazione riferita alla consegna all’Istituto della documentazione medica necessaria per fruire della flessibilità del congedo di maternità e per astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto. In ragione delle nuove disposizioni, le certificazioni devono essere presentate esclusivamente ai datori di lavoro e l’Istituto si limiterà ad effettuare i controlli sui requisiti di accesso alla fruizione flessibile del congedo.
La lavoratrice che intende avvalersi dell’opzione deve pertanto presentare apposita domanda al datore di lavoro corredata della certificazione sanitaria acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza.
Le domande di flessibilità cui siano allegate certificazioni sanitarie con data successiva alla fine del settimo mese sono, invece, integralmente respinte e l’indebita permanenza al lavoro determina:
• per la lavoratrice, la perdita del diritto all’indennità per le relative giornate e, in ogni caso, la non computabilità nel periodo "post partum" delle giornate medesime, secondo quanto disposto dall’art. 22, D.P.R. n. 1026/1976;
• per il datore di lavoro che consente la prosecuzione dell’attività lavorativa, la violazione di cui all’art. 16 T.U. e la conseguente applicazione della sanzione di cui al successivo art. 18 (arresto fino a sei mesi).
Documentazione
In merito alla documentazione richiesta, la lavoratrice è tenuta a due adempimenti, da assolvere, prima e dopo il parto (art. 21 T.U.).
Prima dell’inizio del periodo di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) T.U. (due mesi prima della data presunta del parto), la lavoratrice deve consegnare al datore di lavoro e all’INPS, il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.
Successivamente al parto, la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio, o la dichiarazione sostitutiva.
L’art. 14, D.P.R. n. 1026/1976, dispone che nel certificato medico di gravidanza devono essere riportate:
a) le generalità della lavoratrice;
b) l’indicazione del datore di lavoro e della sede dove l’interessata presta il proprio lavoro, delle mansioni alle quali è addetta;
c) il mese di gestazione alla data della visita;
d) la data presunta del parto.
Il certificato di gravidanza deve essere rilasciato in tre copie, due delle quali devono essere prodotte a cura della lavoratrice rispettivamente al datore di lavoro e all’Istituto assicuratore.
Al rilascio del certificato medico sono abilitati i medici del SSN si considerano equivalenti ai certificati rilasciati dai medici del SSN quelli redatti da medici convenzionati con il SSN, e quindi devono essere accettati dall’INPS e dal datore di lavoro (INPS circ. n. 62/2010).
Il datore di lavoro è tenuto – ex art. 16, D.P.R. n. 1026/1976 – a rilasciare alla lavoratrice la ricevuta dei certificati e di ogni altra documentazione prodotta dalla lavoratrice stessa.
Trattamento economico e normativo
Le lavoratrici hanno diritto a un’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità (salvo condizioni di miglior favore prevista dalla contrattazione collettiva)
L’indennità di maternità viene anticipata dal datore di lavoro.
I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima e quattordicesima mensilità e alle ferie. Il congedo di maternità non è computabile, ai sensi dell’art. 7, D.P.R. n. 1026/1976, ai fini della durata del periodo di apprendistato.
Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non possono essere godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità.
Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico
(legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 17; decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, comma 3)
L’indennità di maternità è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto per cessazione dell’attività dell’azienda a cui la lavoratrice è addetta, di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità.
Le lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell’indennità giornaliera di maternità purché tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e il congedo di maternità non siano decorsi pi di sessanta giorni.
Ai fini del computo dei sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali, né del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità, né del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento, né del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.
Qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all’inizio del periodo di congedo, disoccupata e in godimento dell’indennità di disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità anziché all’indennità ordinaria di disoccupazione.
La lavoratrice, che si trova nelle condizioni di cui al comma precedente, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali.
La lavoratrice che, nel caso di congedo di maternità iniziato dopo sessanta giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all’inizio del congedo stesso, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all’indennità giornaliera di maternità.