Nel Sesto secolo, in molte città greche, le aristocrazie scacciano i tiranni e ne assumono il controllo politico. Spesso ciò avviene grazie al sostegno anche delle armi di Sparta, che certamente fu centro e modello della aristocrazia greca. Il potere, in tale città, era detenuto dai liberi, cittadini a pieno titolo, dediti innanzitutto all’esercizio della guerra, gli Spartiati. Si trattava di una élite che si contrapponeva alla massa di ceti dipendenti, Perieci ed Iloti. Tale contrapposizione creava una costante tensione tra le due classi che talora sfociava in contrasti concreti vissuti come una vera e propria guerra. Il sistema spartano, pur suscitando ammirazione negli aristocratici ateniesi e pur essendo oggetto di chiara approvazione ne "La costituzione degli Ateniesi", primo testo in prosa attica, non è mai stato concretamente realizzato in Atene, tranne che nei due periodi del 411 a.C. e del 404/403 a.C. dopo le sconfitte militari subite nel conflitto con Sparta.
Jones, nell’esaminare i motivi di tale fatto, evidenzia come, in Atene, ben difficilmente gli aristocratici "si sarebbero adattati a una comunità così chiusa e spiritualmente sterile". In sostanza, in Atene, la nobiltà era riuscita ad adattarsi ad un "sistema politico aperto" - la democrazia assembleare, nel quale il popolo lasciava ai "signori" il diritto di dirigere lo Stato riconoscendo ad essi il possesso delle necessarie competenze e di determinati valori.
I greci e gli altri
La città arcaica è molto piccola e la popolazione vive in grande parte nel contado interamente dedita ai lavori agricoli. Fino a quando la situazione si mantiene tale, la lotta per il potere è solamente tra i signori che portano le armi, e, a mezzo di esse, esercitano la loro egemonia. Le forme di governo che vengono attuate sono essenzialmente la tirannide o l’oligarchia, ben poco distinguibili tra di loro. Con l’andar del tempo, le attività dei campi si riducono decisamente e, nel Sesto secolo circa, una grande quantità di persone affluisce in città prevalendo sui nobili, ormai ridotti a miserabili, e avendo come effetto la nascita della vera e propria democrazia a seguito della spinta della popolazione alla gestione diretta della comunità. Quindi è da ritenersi che il nascere della democrazia greca non abbia avuto, come presupposto, una innata spinta dei greci verso la politica, ma il concreto verificarsi del fenomeno sopra descritto.
Erodoto sostiene , a tal proposito, che erano individuabili tentativi precedenti di organizzazione di stampo democratico nell’ambito delle comunità persiane. Né vi è motivo per non prestargli fede, considerato che fa riferimento ad eventi concreti ricordando le proposte in senso democratico al momento della morte di Cambise, nonché il fatto che, mentre Dario marciava contro la Grecia, Mardonio, il suo collaboratore, abbatteva i tiranni della Ionia ed instaurava democrazie nelle città. Di ciò non ci si deve stupire, perché i Greci, che sempre hanno sostenuto la propria superiorità ed autonomia ideologica, in realtà, furono spesso collegati o, per lo meno, vicini ai Persiani, anche nell’esperienza politica. Testimonianze di questi rapporti sono le facili relazioni di alcuni uomini politici come Alcibiade, Temistocle e Lisandro.
Il cittadino guerriero
Il più antico regime democratico prevede la partecipazione all’Assemblea esclusivamente di coloro che godono della cittadinanza. Di fondamentale rilevanza è, quindi, l’accertare chi godesse di essa nella città antica. In Atene potevano essere cittadini i soli maschi adulti, figli di padre e madre ateniesi liberi dalla nascita, in grado di combattere e, quindi possidenti, poiché solo chi aveva ricchezza poteva sostenere i costi per l’acquisto delle armi. Di conseguenza una grande parte della popolazione, cioè i nullatenenti ed i figli di un solo genitore libero, erano esclusi dalle funzioni politiche cittadine. Quando, però, sorge in Atene l’esigenza di avere a disposizione una forte flotta e perciò di ricorrere a un gran numero di marinai, si attua una svolta fondamentale nell’individuazione degli aventi il diritto alla cittadinanza, poiché la stessa viene estesa anche ai marinai benchè nullatenenti e pertanto non in grado di armarsi : si può dunque fondatamente ritenere che l’ampliamento della cittadinanza e, quindi, per così dire, una maggiore democrazia, sia strettamente connessa con la nascita , in Atene, dall’impero marittimo.
Due sono i gruppi dirigenti principali che, a questo punto, si formano nell’ambito della città: da un lato una minoranza di signori, gli oligarchi, che si riuniscono in eterìe, che rifiutano l’apporto dei nullatenenti, che non accettano il sistema democratico e costituiscono per esso una minaccia costante; dall'altro coloro che accettano di dirigere un sistema di cui sono parte maggioritaria i non possidenti.
Da tutto ciò emerge la rilevanza fondamentale della cittadinanza, da un lato perché solo chi è cittadino partecipa al potere, dall’altro perché la prevalenza di un gruppo dirigenziale rispetto ad un altro è strettamente collegata ai componenti della cittadinanza, sia come numero che come qualità. Sintomatico è il fatto che gli oligarchi, conquistato il potere, abbiano immediatamente ridotto il numero di cittadini e che i democratici, riacquistato il potere, abbiano escluso dalla cittadinanza i cittadini sostenitori degli oligarchi.
Caratterizzante del regime politico di Atene è anche il fatto che i cittadini, non poche volte pronti a contendersi il bene della cittadinanza, si sono sempre trovati d’accordo, tranne che in situazioni eccezionali, nel non estendere la cittadinanza al di fuori della comunità.
La "mucca"
Nell’ambito della società democratica era di rilevanza fondamentale una sorta di patto tra i non possidenti e i signori, per il quale questi ultimi potevano dirigere la città democratica, ma dovevano fornire un sostanzioso contributo economico per il funzionamento della comunità.
Il capitalista, dice Rosemberg usando una terminologia modernistica per rappresentare figurativamente questa realtà, è dunque come una mucca che viene munta fino in fondo e che occorre mantenere con abbondante foraggio affinché possa continuare a produrre latte: quanto più una persona guadagna, tanto più deve allo stato. Proprio per questo il proletariato ateniese nulla ha in contrario ed anzi desidera che il ricco guadagni, anche all’estero quanto più possibile ed è portato a sostenere una politica degli imprenditori imperialistica e volta all’espansione. Significativo, a questo proposito, è il fatto che, proprio dopo l’ascesa al potere del proletariato, Atene intraprese guerre espansionistiche sia contro i Persiani per la conquista dell’Egitto, sia, nella stessa Grecia, per la conquista delle repubbliche di Egina e di Corinto, sue concorrenti commerciali. I signori, naturalmente, per conquistare potere e prestigio, elargiscono, con generosità il proprio denaro anche direttamente al demo.
Tipico è il caso di Cimone, l’antagonista di Pericle e di quest’ultimo. Egli, ampiamente possidente, non esita ad aprire i suoi possedimenti al pubblico, lasciando ad ognuno la possibilità di raccogliere i frutti dei campi, offrendo pranzi per tutti i poveri, organizzando feste con possibilità di accesso al consumo della carne e così via, non trascurando di trattare con particolare favore i componenti del suo demo. Pericle, con minori disponibilità economiche, ricorre ad altri metodi per ottenere lo stesso risultato, non esitando ad usare, senza limiti e per fini personali, il denaro delle casse dello stato elargendolo, in vari modi, alla popolazione e superando gli attacchi politici degli avversari con mosse ed atteggiamenti ad effetto.
Concezione personale dello stato
La concezione personale dello stato è quella per cui lo stato non ha una personalità giuridica autonoma al di sopra e al di fuori delle persone, ma coincide esattamente proprio con le persone, con i cittadini. Questa concezione di stato ha conseguenze precise quando la città è divisa da una guerra civile. Può allora accadere che la comunità si separi anche fisicamente in più parti e che una parte divenga anti-stato e si proclami unico e legittimo stato.
Ciò è quanto è accaduto ad Atene nel 411 a.C. quando gli oligarchi prendono il potere e la flotta di stanza a Samo reagisce a tale situazione e costituisce un contro-stato mossa dalla convinzione che lo stato sono le persone e che il " demo è tutto" in conformità alla ideologia democratica. Nel 404/ 403 a.C., nel corso della più grande guerra civile dell’Attica, si crea, sempre in relazione alla concezione personale dello stato, una divisione tripla della popolazione: si ha prima di tutto il predominio dei Trenta; poi i democratici costituiscono una contr’Atene democratica al Pireo, mentre gli oligarchi si stabiliscono, divisi in due tronconi, ad Atene e ad Eleusi. Infine, quando gli Spartani stabiliranno la pacificazione, verrà riconfermata la democrazia, pur rimanendo ad Eleusi la repubblica oligarchica .
Un’altra situazione, sempre connessa con la concezione personale dello stato, si può creare al momento della rottura del patto. In tale caso l’esule scacciato si coalizza con i nemici della città per poter ritornare. Ciò accade poiché egli ritiene di essere stato messo al bando non dallo Stato considerato come entità sovrapersonale, ma dai cittadini e, quindi, entra in guerra personale contro la propria città affinchè sia eliminata l’ingiustizia da lui subita.
Mutare le leggi
Ma il popolo se è tutto, è al di sopra di ogni legge in quanto esso stesso fa la legge e questa non può considerarsi immutabile ed indipendente dalla volontà popolare, ma si adegua ad essa concretizzandosi nel "kinèin toùs nòmous"(nel mutare le leggi). Sia per i democratici, sia per i loro nemici, è utile rifarsi alla costituzione avita, la pàtrios politèia. Diodoro Siculo tramanda che, sia i Trenta, sia Trasibulo, loro fervido oppositore, davano un ruolo fondamentale a questa pàtrios politèia. Ciò benchè gli uni perseguissero l’abolizione della democrazia radicale e l’altro ne volesse il ripristino più completo.
Questa contrapposizione appare anche nell’oratoria politica, tanto che il sofista Trasimaco, sostenitore della tesi per cui la giustizia è il diritto del più forte, evidenziava che gli oratori "nella convinzione di sostenere gli uni argomenti contrari a quelli degli altri, non si accorgono di mirare a un identico risultato e che la tesi dell’avversario è compresa nel proprio discorso". Dal fatto che si fa riferimento ad una stessa parola programmatica , emerge un fondamentale carattere della democrazia: tende a modellarsi sempre sull’ideologia comune dominante. A questo proposito il Canfora afferma che il richiamo al passato come a un dato di per sé positivo, si coniuga con la connotazione negativa dell’alterazione delle leggi vigenti(kinèin).Ma una modificazione della legge avviene comunque con il passare del tempo, come afferma Aristotele, e il fine perseguito non è la tradizione, ma il bene. Kinèin indica sia l’alterazione sia lo sviluppo e viene a coincidere con l’epìdosis, progresso, per così dire, inevitabile. Aristotele in un excursus fornisce una sorta di archeologia del diritto giungendo alla conclusione che è proprio quella sintesi di innovazione e conservazione che rende il diritto una costruzione unica. Inoltre stabilisce una misura con la quale valutare quando innovare e quando rinunciare a qualsiasi cambiamento: "Quando il miglioramento previsto è modesto, in considerazione del fatto che abituare gli uomini a modificare alla leggera le leggi è un paradosso , è chiaro che conviene lasciare in vigore norme palesemente difettose: giacché non ci sarà vantaggio tale da compensare lo svantaggio dell’ingenerarsi di un’abitudine a disubbidire alle leggi".
Libertà/democrazia, tirannide/oligarchia
Il Pericle tucidideo, descrivendo il sistema politico ateniese, pone una contrapposizione tra democrazia e libertà. La democrazia appare realizzare in realtà il prevalere anche violento del demo, cioè di una parte su un’altra, tanto da assumere le caratteristiche proprie della tirannide, prima fra tutte la rivendicazione da parte del popolo del diritto di essere al di sopra della legge, rivendicazione questa che è propria anche del tiranno. Per altro, nel linguaggio politico ateniese si afferma anche il ben diverso concetto che colloca, da un lato la democrazia e la libertà e, dall’altro, l’oligarchia e la tirannide. Lo stesso Tucidide, quando esamina il significato e le conseguenze del colpo di stato oligarchico del 411, evidenzia che gli oligarchi hanno "tolto al popolo di Atene la libertà cento anni dopo la cacciata dei tiranni". Il che significa contrapporre, alla libertà democratica, la non libertà della tirannide e dell’oligarchia. Verosimilmente tali contrastanti teorizzazioni della democrazia sono connesse con il fatto che, in concreto, la democrazia, nella Grecia classica, è sorta da un compromesso tra popolo e signori ai quali il popolo affida il governo della città democratica, signori che ritengono tale regime accettabile perché depurato da ogni residuo tirannico.
Altri pensatori greci, approfondendo il problema, si orientano nel suddividere ogni forma politica in due sottotipi, quello buono e quello cattivo e Aristotele, addirittura, usa due termini parlando di politeia per la democrazia buona e di demokratia per la democrazia irrispettosa della libertà. Emerge anche il concetto per il quale ogni forma politico/costituzionale degenera nella sua faccia deteriore e, in tal modo, da una costituzione si passa ad un’altra.
La teoria "ciclica"
Dario, cui si deve l’intervento più importante a proposito di tale tesi, afferma che, nel dibattito sulle tre forme politiche, monarchia, democrazia e aristocrazia, ognuna di esse ottiene due opposte caratterizzazioni: Otane evidenzia i difetti della monarchia ed esalta la democrazia; Megabizo condivide le obiezioni alla monarchia, ma critica gli aspetti positivi della democrazia ed esalta l’aristocrazia; infine lo stesso Dario mette in luce gli aspetti negativi del governo aristocratico e ritorna al punto di partenza esprimendo l’elogio della monarchia. In relazione a tali contrastanti valutazioni dei tre sistemi, Dario evidenzia come, in realtà, "a parole", cioè in linea astratta, tutti e tre siano ugualmente validi, essendoci, in ognuno di essi, una variante positiva in cui operano allo stato puro i presupposti teorici su cui ciascuno si basa. I caratteri negativi delle tre forme di governo si evidenziano, però, quando si passa dalla teoria alla pratica.Dario, a tal proposito, osserva che quando vengono concretamente attuate, sia le democrazie che le aristocrazie pervengono ad una situazione di grave disordine sociale che provoca il passaggio alla monarchia. Il potere monarchico deriva, dunque, da una stasis, spesso sanguinosa, conseguente al fallimento di una delle due altre forme di governo. Ma, d’altra parte, anche la cattiva monarchia determina una stasis, con connesso mutamento del regime .Da tutto ciò emerge che ogni forma politico/istituzionale è sostituita da un’altra attraverso il doloroso passaggio dalla stasis, dalla guerra civile.
Quale correttivo altamente positivo di questo eterno ripetersi del ciclo viene, in linea teorica, proposto il sistema della costituzione "mista", che dovrebbe racchiudere in sé le forme migliori dei tre modelli unificandoli ed eliminando gli effetti distruttivi di ciascuno di essi. Questo tema domina la riflessione greca, soprattutto in epoca ellenistica e romana. Peraltro i sistemi concreti che vengono indicati come realizzanti, in Grecia, tale tipo di costituzione hanno ben poco di misto ed appaiono essere oligarchie, essendo caratterizzati dall’eliminazione della piena cittadinanza ai nullatenenti.
Polibio sostiene che, in Roma, si sarebbe realizzato concretamente e stabilmente il modello astratto della costituzione "mista" e ciò in relazione all’originale soluzione che era stata data al problema della cittadinanza e della sua combinazione con l’esigenza di un potere stabile e forte: Roma sarebbe sopravvissuta alla sconfitta di Canne proprio grazie a tale costituzione.
Jones, nell’esaminare i motivi di tale fatto, evidenzia come, in Atene, ben difficilmente gli aristocratici "si sarebbero adattati a una comunità così chiusa e spiritualmente sterile". In sostanza, in Atene, la nobiltà era riuscita ad adattarsi ad un "sistema politico aperto" - la democrazia assembleare, nel quale il popolo lasciava ai "signori" il diritto di dirigere lo Stato riconoscendo ad essi il possesso delle necessarie competenze e di determinati valori.
I greci e gli altri
La città arcaica è molto piccola e la popolazione vive in grande parte nel contado interamente dedita ai lavori agricoli. Fino a quando la situazione si mantiene tale, la lotta per il potere è solamente tra i signori che portano le armi, e, a mezzo di esse, esercitano la loro egemonia. Le forme di governo che vengono attuate sono essenzialmente la tirannide o l’oligarchia, ben poco distinguibili tra di loro. Con l’andar del tempo, le attività dei campi si riducono decisamente e, nel Sesto secolo circa, una grande quantità di persone affluisce in città prevalendo sui nobili, ormai ridotti a miserabili, e avendo come effetto la nascita della vera e propria democrazia a seguito della spinta della popolazione alla gestione diretta della comunità. Quindi è da ritenersi che il nascere della democrazia greca non abbia avuto, come presupposto, una innata spinta dei greci verso la politica, ma il concreto verificarsi del fenomeno sopra descritto.
Erodoto sostiene , a tal proposito, che erano individuabili tentativi precedenti di organizzazione di stampo democratico nell’ambito delle comunità persiane. Né vi è motivo per non prestargli fede, considerato che fa riferimento ad eventi concreti ricordando le proposte in senso democratico al momento della morte di Cambise, nonché il fatto che, mentre Dario marciava contro la Grecia, Mardonio, il suo collaboratore, abbatteva i tiranni della Ionia ed instaurava democrazie nelle città. Di ciò non ci si deve stupire, perché i Greci, che sempre hanno sostenuto la propria superiorità ed autonomia ideologica, in realtà, furono spesso collegati o, per lo meno, vicini ai Persiani, anche nell’esperienza politica. Testimonianze di questi rapporti sono le facili relazioni di alcuni uomini politici come Alcibiade, Temistocle e Lisandro.
Il cittadino guerriero
Il più antico regime democratico prevede la partecipazione all’Assemblea esclusivamente di coloro che godono della cittadinanza. Di fondamentale rilevanza è, quindi, l’accertare chi godesse di essa nella città antica. In Atene potevano essere cittadini i soli maschi adulti, figli di padre e madre ateniesi liberi dalla nascita, in grado di combattere e, quindi possidenti, poiché solo chi aveva ricchezza poteva sostenere i costi per l’acquisto delle armi. Di conseguenza una grande parte della popolazione, cioè i nullatenenti ed i figli di un solo genitore libero, erano esclusi dalle funzioni politiche cittadine. Quando, però, sorge in Atene l’esigenza di avere a disposizione una forte flotta e perciò di ricorrere a un gran numero di marinai, si attua una svolta fondamentale nell’individuazione degli aventi il diritto alla cittadinanza, poiché la stessa viene estesa anche ai marinai benchè nullatenenti e pertanto non in grado di armarsi : si può dunque fondatamente ritenere che l’ampliamento della cittadinanza e, quindi, per così dire, una maggiore democrazia, sia strettamente connessa con la nascita , in Atene, dall’impero marittimo.
Due sono i gruppi dirigenti principali che, a questo punto, si formano nell’ambito della città: da un lato una minoranza di signori, gli oligarchi, che si riuniscono in eterìe, che rifiutano l’apporto dei nullatenenti, che non accettano il sistema democratico e costituiscono per esso una minaccia costante; dall'altro coloro che accettano di dirigere un sistema di cui sono parte maggioritaria i non possidenti.
Da tutto ciò emerge la rilevanza fondamentale della cittadinanza, da un lato perché solo chi è cittadino partecipa al potere, dall’altro perché la prevalenza di un gruppo dirigenziale rispetto ad un altro è strettamente collegata ai componenti della cittadinanza, sia come numero che come qualità. Sintomatico è il fatto che gli oligarchi, conquistato il potere, abbiano immediatamente ridotto il numero di cittadini e che i democratici, riacquistato il potere, abbiano escluso dalla cittadinanza i cittadini sostenitori degli oligarchi.
Caratterizzante del regime politico di Atene è anche il fatto che i cittadini, non poche volte pronti a contendersi il bene della cittadinanza, si sono sempre trovati d’accordo, tranne che in situazioni eccezionali, nel non estendere la cittadinanza al di fuori della comunità.
La "mucca"
Nell’ambito della società democratica era di rilevanza fondamentale una sorta di patto tra i non possidenti e i signori, per il quale questi ultimi potevano dirigere la città democratica, ma dovevano fornire un sostanzioso contributo economico per il funzionamento della comunità.
Il capitalista, dice Rosemberg usando una terminologia modernistica per rappresentare figurativamente questa realtà, è dunque come una mucca che viene munta fino in fondo e che occorre mantenere con abbondante foraggio affinché possa continuare a produrre latte: quanto più una persona guadagna, tanto più deve allo stato. Proprio per questo il proletariato ateniese nulla ha in contrario ed anzi desidera che il ricco guadagni, anche all’estero quanto più possibile ed è portato a sostenere una politica degli imprenditori imperialistica e volta all’espansione. Significativo, a questo proposito, è il fatto che, proprio dopo l’ascesa al potere del proletariato, Atene intraprese guerre espansionistiche sia contro i Persiani per la conquista dell’Egitto, sia, nella stessa Grecia, per la conquista delle repubbliche di Egina e di Corinto, sue concorrenti commerciali. I signori, naturalmente, per conquistare potere e prestigio, elargiscono, con generosità il proprio denaro anche direttamente al demo.
Tipico è il caso di Cimone, l’antagonista di Pericle e di quest’ultimo. Egli, ampiamente possidente, non esita ad aprire i suoi possedimenti al pubblico, lasciando ad ognuno la possibilità di raccogliere i frutti dei campi, offrendo pranzi per tutti i poveri, organizzando feste con possibilità di accesso al consumo della carne e così via, non trascurando di trattare con particolare favore i componenti del suo demo. Pericle, con minori disponibilità economiche, ricorre ad altri metodi per ottenere lo stesso risultato, non esitando ad usare, senza limiti e per fini personali, il denaro delle casse dello stato elargendolo, in vari modi, alla popolazione e superando gli attacchi politici degli avversari con mosse ed atteggiamenti ad effetto.
Concezione personale dello stato
La concezione personale dello stato è quella per cui lo stato non ha una personalità giuridica autonoma al di sopra e al di fuori delle persone, ma coincide esattamente proprio con le persone, con i cittadini. Questa concezione di stato ha conseguenze precise quando la città è divisa da una guerra civile. Può allora accadere che la comunità si separi anche fisicamente in più parti e che una parte divenga anti-stato e si proclami unico e legittimo stato.
Ciò è quanto è accaduto ad Atene nel 411 a.C. quando gli oligarchi prendono il potere e la flotta di stanza a Samo reagisce a tale situazione e costituisce un contro-stato mossa dalla convinzione che lo stato sono le persone e che il " demo è tutto" in conformità alla ideologia democratica. Nel 404/ 403 a.C., nel corso della più grande guerra civile dell’Attica, si crea, sempre in relazione alla concezione personale dello stato, una divisione tripla della popolazione: si ha prima di tutto il predominio dei Trenta; poi i democratici costituiscono una contr’Atene democratica al Pireo, mentre gli oligarchi si stabiliscono, divisi in due tronconi, ad Atene e ad Eleusi. Infine, quando gli Spartani stabiliranno la pacificazione, verrà riconfermata la democrazia, pur rimanendo ad Eleusi la repubblica oligarchica .
Un’altra situazione, sempre connessa con la concezione personale dello stato, si può creare al momento della rottura del patto. In tale caso l’esule scacciato si coalizza con i nemici della città per poter ritornare. Ciò accade poiché egli ritiene di essere stato messo al bando non dallo Stato considerato come entità sovrapersonale, ma dai cittadini e, quindi, entra in guerra personale contro la propria città affinchè sia eliminata l’ingiustizia da lui subita.
Mutare le leggi
Ma il popolo se è tutto, è al di sopra di ogni legge in quanto esso stesso fa la legge e questa non può considerarsi immutabile ed indipendente dalla volontà popolare, ma si adegua ad essa concretizzandosi nel "kinèin toùs nòmous"(nel mutare le leggi). Sia per i democratici, sia per i loro nemici, è utile rifarsi alla costituzione avita, la pàtrios politèia. Diodoro Siculo tramanda che, sia i Trenta, sia Trasibulo, loro fervido oppositore, davano un ruolo fondamentale a questa pàtrios politèia. Ciò benchè gli uni perseguissero l’abolizione della democrazia radicale e l’altro ne volesse il ripristino più completo.
Questa contrapposizione appare anche nell’oratoria politica, tanto che il sofista Trasimaco, sostenitore della tesi per cui la giustizia è il diritto del più forte, evidenziava che gli oratori "nella convinzione di sostenere gli uni argomenti contrari a quelli degli altri, non si accorgono di mirare a un identico risultato e che la tesi dell’avversario è compresa nel proprio discorso". Dal fatto che si fa riferimento ad una stessa parola programmatica , emerge un fondamentale carattere della democrazia: tende a modellarsi sempre sull’ideologia comune dominante. A questo proposito il Canfora afferma che il richiamo al passato come a un dato di per sé positivo, si coniuga con la connotazione negativa dell’alterazione delle leggi vigenti(kinèin).Ma una modificazione della legge avviene comunque con il passare del tempo, come afferma Aristotele, e il fine perseguito non è la tradizione, ma il bene. Kinèin indica sia l’alterazione sia lo sviluppo e viene a coincidere con l’epìdosis, progresso, per così dire, inevitabile. Aristotele in un excursus fornisce una sorta di archeologia del diritto giungendo alla conclusione che è proprio quella sintesi di innovazione e conservazione che rende il diritto una costruzione unica. Inoltre stabilisce una misura con la quale valutare quando innovare e quando rinunciare a qualsiasi cambiamento: "Quando il miglioramento previsto è modesto, in considerazione del fatto che abituare gli uomini a modificare alla leggera le leggi è un paradosso , è chiaro che conviene lasciare in vigore norme palesemente difettose: giacché non ci sarà vantaggio tale da compensare lo svantaggio dell’ingenerarsi di un’abitudine a disubbidire alle leggi".
Libertà/democrazia, tirannide/oligarchia
Il Pericle tucidideo, descrivendo il sistema politico ateniese, pone una contrapposizione tra democrazia e libertà. La democrazia appare realizzare in realtà il prevalere anche violento del demo, cioè di una parte su un’altra, tanto da assumere le caratteristiche proprie della tirannide, prima fra tutte la rivendicazione da parte del popolo del diritto di essere al di sopra della legge, rivendicazione questa che è propria anche del tiranno. Per altro, nel linguaggio politico ateniese si afferma anche il ben diverso concetto che colloca, da un lato la democrazia e la libertà e, dall’altro, l’oligarchia e la tirannide. Lo stesso Tucidide, quando esamina il significato e le conseguenze del colpo di stato oligarchico del 411, evidenzia che gli oligarchi hanno "tolto al popolo di Atene la libertà cento anni dopo la cacciata dei tiranni". Il che significa contrapporre, alla libertà democratica, la non libertà della tirannide e dell’oligarchia. Verosimilmente tali contrastanti teorizzazioni della democrazia sono connesse con il fatto che, in concreto, la democrazia, nella Grecia classica, è sorta da un compromesso tra popolo e signori ai quali il popolo affida il governo della città democratica, signori che ritengono tale regime accettabile perché depurato da ogni residuo tirannico.
Altri pensatori greci, approfondendo il problema, si orientano nel suddividere ogni forma politica in due sottotipi, quello buono e quello cattivo e Aristotele, addirittura, usa due termini parlando di politeia per la democrazia buona e di demokratia per la democrazia irrispettosa della libertà. Emerge anche il concetto per il quale ogni forma politico/costituzionale degenera nella sua faccia deteriore e, in tal modo, da una costituzione si passa ad un’altra.
La teoria "ciclica"
Dario, cui si deve l’intervento più importante a proposito di tale tesi, afferma che, nel dibattito sulle tre forme politiche, monarchia, democrazia e aristocrazia, ognuna di esse ottiene due opposte caratterizzazioni: Otane evidenzia i difetti della monarchia ed esalta la democrazia; Megabizo condivide le obiezioni alla monarchia, ma critica gli aspetti positivi della democrazia ed esalta l’aristocrazia; infine lo stesso Dario mette in luce gli aspetti negativi del governo aristocratico e ritorna al punto di partenza esprimendo l’elogio della monarchia. In relazione a tali contrastanti valutazioni dei tre sistemi, Dario evidenzia come, in realtà, "a parole", cioè in linea astratta, tutti e tre siano ugualmente validi, essendoci, in ognuno di essi, una variante positiva in cui operano allo stato puro i presupposti teorici su cui ciascuno si basa. I caratteri negativi delle tre forme di governo si evidenziano, però, quando si passa dalla teoria alla pratica.Dario, a tal proposito, osserva che quando vengono concretamente attuate, sia le democrazie che le aristocrazie pervengono ad una situazione di grave disordine sociale che provoca il passaggio alla monarchia. Il potere monarchico deriva, dunque, da una stasis, spesso sanguinosa, conseguente al fallimento di una delle due altre forme di governo. Ma, d’altra parte, anche la cattiva monarchia determina una stasis, con connesso mutamento del regime .Da tutto ciò emerge che ogni forma politico/istituzionale è sostituita da un’altra attraverso il doloroso passaggio dalla stasis, dalla guerra civile.
Quale correttivo altamente positivo di questo eterno ripetersi del ciclo viene, in linea teorica, proposto il sistema della costituzione "mista", che dovrebbe racchiudere in sé le forme migliori dei tre modelli unificandoli ed eliminando gli effetti distruttivi di ciascuno di essi. Questo tema domina la riflessione greca, soprattutto in epoca ellenistica e romana. Peraltro i sistemi concreti che vengono indicati come realizzanti, in Grecia, tale tipo di costituzione hanno ben poco di misto ed appaiono essere oligarchie, essendo caratterizzati dall’eliminazione della piena cittadinanza ai nullatenenti.
Polibio sostiene che, in Roma, si sarebbe realizzato concretamente e stabilmente il modello astratto della costituzione "mista" e ciò in relazione all’originale soluzione che era stata data al problema della cittadinanza e della sua combinazione con l’esigenza di un potere stabile e forte: Roma sarebbe sopravvissuta alla sconfitta di Canne proprio grazie a tale costituzione.
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