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martedì 23 aprile 2024

Il verbale di conciliazione sindacale firmato in azienda? E' nullo!

La conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo questa essere annoverata tra le sedi protette aventi il carattere di neutralità per garantire la libera determinazione della volontà del lavoratore. Lo afferma la Cassazione con ordinanza 15 aprile 2024 n. 10065.

Nel caso in esame una società si era impegnata a “non dare seguito ai preavvisati licenziamenti collettivi di cui alla lettera di apertura della procedura di mobilità del 24.11.2015 … a condizione che tutte le maestranze manifest(assero) la propria accettazione alla proposta… di riduzione della retribuzione mensile nella misura del 20% dell'imponibile fiscale per il periodo dall'1.3.2016 al 28.2.2018 eventualmente prorogabile per un massimo di altri due anni”. L'accettazione della proposta era condizionata alla sottoscrizione del verbale in sede protetta.

Un lavoratore aveva accettato la proposta al fine di evitare il licenziamento e aveva firmato presso la sede aziendale il verbale di conciliazione in cui si dava atto che “il rappresentante sindacale ha (ndr aveva) previamente e dettagliatamente informato il lavoratore in merito agli effetti definitivi e inoppugnabili ex art. 2113 quarto comma c.c. della …conciliazione”.

Il lavoratore successivamente aveva impugnato giudizialmente il verbale affinché venisse dichiarata la sua nullità e la condanna della società al pagamento in suo favore della somma di euro 11.186,84 (oltre accessori), vedendosi accolta la relativa domanda da parte del Tribunale.

La posizione del Tribunale era stata condivisa dalla Corte d'appello a cui era ricorsa la società. In particolare, la Corte distrettuale aveva osservato che l'avvenuta stipula dell'accordo presso la sede aziendale, alla presenza del rappresentante sindacale, non valeva a sanare il difetto di neutralità del luogo di stipula. Tant'è che le stesse parti avevano previsto la successiva ratifica dell'accordo presso le sedi abilitate.

La società impugnava così in cassazione la decisione di secondo grado, eccependo l'erronea interpretazione fornita dai giudici, i quali avevano considerato la “sede sindacale” ex art. 411 c.p.c. come “luogo fisico-topografico” e non come luogo virtuale di protezione del lavoratore che “si realizza attraverso l'effettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui lo stesso abbia conferito mandato”.

La società, a suffragio della sua teoria, evidenziava che:

1) solo l'assenza di una effettiva assistenza sindacale, il cui onere è carico del lavoratore, avrebbe potuto determinare l'invalidità dell'accordo, quand'anche sottoscritto nella sede “fisica” dell'associazione sindacale;

2) la locuzione presente nel verbale che rinviava alla “ratifica successiva (…) con le modalità inoppugnabili indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c.” era riferita all'adempimento già realizzato con la sottoscrizione dell'accordo alla presenza e con l'assistenza del rappresentante sindacale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nel formulare la sua decisione, parte dal:

- l'art. 2103 c.c. ai sensi del quale “nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro” e - l'art. 2113 c.c. che al primo comma considera non valide le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del dipendente derivanti da disposizioni inderogabili di legge e di contratti o accordi collettivi;

al quarto comma esclude il divieto e, quindi, legittima le rinunzie e le transazioni qualora siano oggetto di “conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile”.

Con tali disposizioni, secondo la Corte di Cassazione, il legislatore ha ritenuto necessario prevedere una forma peculiare di “protezione” del lavoratore, disponendo l'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l'introduzione di un termine di decadenza per l'impugnativa, così da riservargli la possibilità di riflettere sulla convenienza dell'atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo (cfr. Cass. n. 11167/1991).

Questa forma di protezione giuridica non è necessaria in presenza di adeguate garanzie costituite dall'intervento di organi pubblici qualificati, operanti nelle sedi c.d. protette. E proprio l'ultimo comma dell'art. 2113 c.c. individua come tali la sede giudiziale, le commissioni di conciliazioni presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro (già Direzione Provinciale del Lavoro) e le sedi sindacali, oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato.

Nel caso di specie, il verbale di conciliazione è stato concluso ai sensi degli “artt. 410 e 411 c.p.c. e 2113, 4° comma, cod. civ.” come si legge nell'intestazione, con la precisazione che lo stesso deve “ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate agli artt. 410 e 411 c.p.c.”. Tuttavia, sottolinea la Corte di Cassazione, tale adempimento non è stato effettuato poiché il verbale di conciliazione è stato sottoscritto dal lavoratore e dal datore di lavoro alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali aziendali.

Secondo la Cassazione tale modalità non soddisfa i requisiti previsti dal legislatore ai fini della validità delle rinunce e transazioni. Ciò in quanto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all'assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene. Si tratta di accorgimenti concomitanti “necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”. Tant'è che gli artt. 410 e 411 c.p.c. individuano non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire.

In sostanza, l'assistenza prestata da rappresentanti sindacali (esponenti della organizzazione sindacale cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicati, cfr. Cass. n. 4730/2022; Cass. n. 12858/2003; Cass. n. 13217/2008) deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinuncia e in che misura (cfr. Cass. n. 24024/2013; Cass. n. 21617/2018; Cass. n. 25796/2023 e Cass. n. 18503/2023), così da consentire l'espressione di un consenso informato e consapevole. E i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono equipollenti, sia perché direttamente collegati all'organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all'influenza datoriale.

In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato dalla società, addivenendo alla conclusione che “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”. Fonte: Quotidiano più.

Cass. 15 aprile 2024 n. 10065

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