La legge di Mosè
L’interesse che guida Die Sendung Moses (1790) è lo studio dell’attività legislatrice di Mosè, il quale avrebbe ricavato dai misteri dei sacerdoti egiziani quella dottrina dell’unicità di Dio che, adeguata alla primitiva mentalità del popolo ebraico, egli pose a fondamento della legge. Il centro del saggio non è la figura religiosa di Mosè, ma il significato politico della sua dottrina. In piena corrispondenza con lo spirito illuministico, si dà della religione un’interpretazione razionalistica, distinguendo tra un nocciolo centrale vero e compatibile con la ragione e il modo proprio di ogni religione positiva di rendere sensibile e di annunciare alle menti questo contenuto. Né particolarmente originale è il riconoscimento della funzione politica della religione, attorno alla quale un popolo può riunificarsi e combattere per la propria liberazione come avvenne appunto per gli ebrei sottomessi dagli egiziani. Due sono le idee realmente nuove qui contenute. In primo luogo il fatto che Schiller attribuisca a Mosè l’intento di dare agli ebrei non solo una costituzione giusta, ma che li renda realmente e durevolmente felici; in secondo luogo la preoccupazione di riconoscere un nocciolo di verità nella legge mosaica perché solo una costituzione che si fondi sulla verità può essere ripresa e proseguita da un futuro riformatore (NA 17, 396-397). Ritornano in queste idee la già notata accentuazione del tema della felicità come ultimo obiettivo politico, e la convinzione che per costruire una Universalgeschichte occorra trovare un filo rettilineo di congiunzione tra passato e presente. Solo l’esistenza di una verità, per quanto espressa in una forma adatta a popoli primitivi, può consentire la trasmissione di una conquista storica. Illuministicamente tra passato e presente non compaiono cesure.
Le leggi di Licurgo e Solone a confronto
Al tema della legge è dedicata anche Die Gesetzgebung des Lykurgus und Solon(1790). Lo scritto è dedicato alla trattazione delle legislazioni di Licurgo e di Solone, viste nei loro aspetti di opposizione e considerate l’una, quella spartana, modello e tipo delle costituzioni che tutto sottomettono allo stato e l’altra, quella ateniese, modello e tipo di costituzione democratica. Proprio quest’indagine per opposizioni impone allo studio una andamento piuttosto rigido, che fa sì che esso si configuri, più che come un’indagine storica, come una tipizzazione di modelli ideali. Oltre all’ovvia attenzione per la funzione politica della legge, Schiller è interessato a due temi: la funzione etica della legge e il rapporto tra legge e sviluppo umano e culturale del cittadino.
Relativamente al tema etico, Schiller ritiene che alla legge si debba attribuire solo una funzione strumentale rispetto alla virtù. Quella può porre le premesse per questa, ma non può costringere a essa, perché il valore cogente della legge contrasta con la libertà del volere che è presupposta dall’agire morale: "la più nobile prerogativa della natura umana è di determinare se stessa e di compiere il bene in vista del bene"(NA 17, 438). L’errore della legislazione di Licurgo fu quello di sostituire alla virtù la legge, facendo di un mezzo un fine, ma tale errore caratterizzò, seppure in altra forma, l’intera legislazione antica, che caricò sempre la legge di un significato etico. Senza per ciò cadere nell’eccessiva neutralità che contraddistingue la legislazione moderna, osserva Schiller, bisogna riconoscere consapevolmente i limiti che sono imposti alla legge. Quando essi vengono superati, come nel caso di Licurgo, ci si avvia verso forme dispotiche.
Dal punto di vista del rapporto tra legge e sviluppo del cittadino, Schiller riconosce la funzione di stimolo (o di freno) che una costituzione svolge, e perciò la sottomette a un criterio fondamentale: se compito della legge non è solo quello di creare un buon cittadino, ma di rendere possibile l’uomo, essa allora deve mirare a promuovere tutte le facoltà dell’uomo. L’uomo non può essere sacrificato allo stato, servendogli da mezzo, ma è lo stato che deve servire l’uomo (NA 17, 440). Ciò non fece la legislazione spartana, che , promuovendo solo la virtù militare, si vide privata di quegli artisti, di quei poeti e di quei saggi, che invece circondarono il legislatore ateniese, chiamandolo, grati "padre e creatore" (NA 17, 441). Attorno alla libertà si dispiegano tutte le facoltà dello spirito, mentre di fronte alla spaventosa servitù imposta dalla tirannia ogni grazia e ogni sapere vengono meno.
Il motivo che rende delicata e difficile l’opera del legislatore e che spiega per quale ragione essa rechi con sé tanti problemi e così strette connessioni con i temi etici e antropologici è icasticamente espresso da Schiller: "solo il legislatore tratta una materia che oppone una resistenza propria: la libertà umana"(NA 17, 426). Quanto qui si dice della legge vale più in generale per ogni agire politico o, più ampiamente ancora, per ogni agire storico. Incidere sulla storia significa avere a che fare con la libertà umana. Ciò impone un duplice limite: per un verso vieta che la legge o l’istituzione politica si sostituiscano alla libertà umana, facendosi norma etica e negandone il primato, per un altro richiede che a questa libertà esse impongano tuttavia limiti e freni. Il riferimento al primato dell’etica evidenzia un limite ideale e immutabile, il riferimento al conflitto tra l’opera del legislatore e la libertà umana indica viceversa un condizionamento storico e variabile. La resistenza che gli uomini oppongono alla legge è infatti relativa alle condizioni storiche e ambientali, e muta con esse. Viene formulato così un duplice criterio di giudizio: l’uno fornito di un’universalità che trascende i tempi, l’altro viceversa storicamente connotato. In base a quest’ultimo Schiller è condotto a domandarsi se una determinata costituzione sia adatta a un popolo o no. Non appena ci si mette in questa direzione ci si accorge però che il problema si modifica sensibilmente. Schiller, che pure era partito dalla descrizione di un paese come premessa esplicativa del sorgere di una determinata costituzione, volta precisamente a porre freno alle libertà anarchiche, si avvede che la legge, più ancora che regolare una libertà che oppone resistenza, "la tratta", la "modella": "Il carattere di un intero popolo è la più fedele riproduzione delle sue leggi", secondo un assunto che ricorda Montesquieu. In altre parole genera condizioni tali che modificano, dandole una direzione piuttosto che un’altra, la libertà dell’uomo. Ma proprio a causa di questa tendenza della legge a non regolare solamente i conflitti esistenti in una determinata società, ma a indirizzare la società in questa o in quella direzione e corrispondentemente a inibire altri sbocchi, diviene urgente che, a tutela di un libero sviluppo dell’umanità, si abbia continuamente coscienza della condizionatezza storica della legge. Essa non solo deve dunque essere subordinata alla morale (prima norma), ma deve altresì riconoscere che la sua validità è limitata nel tempo (seconda norma). Ciò non facendo Licurgo ha aggiunto un ulteriore errore alla sua legislazione e ne ha confermato, con la pretesa validità perenne, il carattere assolutistico. Solone viceversa, che si riprometteva una durata limitata della sua legislazione, fu più rispettoso di questa norma, e proprio per ciò vide riprese e mantenute in vigore, anche nella mutata situazione politica introdotta da Pisistrato e dai suoi successori, numerose sue leggi. Sulla scorta di questi principi è facile ricostruire l’intero giudizio che Schiller formula sulle due costituzioni prese in esame. La costituzione spartana viene radicalmente condannata, anche se, per obiettività storica, se ne riconosce la efficacia contingente. Si può dire che essa ha adempiuto almeno al compito di rispondere a certe esigenze immediate e su queste ha saputo costruire se non una civiltà certo una potenza. La costituzione ateniese viceversa viene elogiata per il proprio spirito democratico e per la propria moderazione, anche se non si manca di farne osservare i pericoli nascosti. La storia, il cui compito non è di tessere elogi, non può tacere che in ogni costituzione democratica è contenuto il pericolo dell’anarchia e che l’assemblearismo politico genera, almeno potenzialmente, individui inclinati alla ricerca dell’applauso e della gloria più che della verità, e curiosi di novità più che di norme sagge. La libertà, sfrenandosi, si getta da sé in nuove catene e non obbedendo a una guida si sottopone a nuove signorie. Ai saggi succedono così i sofisti e il tempo del disordine che sopravverrà al termine della vita di Solone vi è già annunciato.
Dracone:la legge fondata sulla paura
Un cenno merita il breve intermezzo che Schiller dedica a Dracone, nei cui confronti esprime un giudizio assai duro:" un uomo senza sentimenti umani, che non credeva la natura umana capace di alcunché di bene, che vedeva ogni azione solo attraverso lo specchio opaco della sua anima cupa e era senza alcuna indulgenza per le debolezze dell’umanità; un cattivo filosofo e un ancor peggiore conoscitore degli uomini, di cuore duro, limitato nell’intelligenza e inflessibile nei suoi pregiudizi"(NA 17, 429). Il principio fondamentale che permeava l’intera sua legge era la paura, perché solo per mezzo di essa confidava di ottenere quanto veniva comandato. Ma un progetto costituito su tali falsi presupposti, per Schiller non può che fallire.
L’interesse che guida Die Sendung Moses (1790) è lo studio dell’attività legislatrice di Mosè, il quale avrebbe ricavato dai misteri dei sacerdoti egiziani quella dottrina dell’unicità di Dio che, adeguata alla primitiva mentalità del popolo ebraico, egli pose a fondamento della legge. Il centro del saggio non è la figura religiosa di Mosè, ma il significato politico della sua dottrina. In piena corrispondenza con lo spirito illuministico, si dà della religione un’interpretazione razionalistica, distinguendo tra un nocciolo centrale vero e compatibile con la ragione e il modo proprio di ogni religione positiva di rendere sensibile e di annunciare alle menti questo contenuto. Né particolarmente originale è il riconoscimento della funzione politica della religione, attorno alla quale un popolo può riunificarsi e combattere per la propria liberazione come avvenne appunto per gli ebrei sottomessi dagli egiziani. Due sono le idee realmente nuove qui contenute. In primo luogo il fatto che Schiller attribuisca a Mosè l’intento di dare agli ebrei non solo una costituzione giusta, ma che li renda realmente e durevolmente felici; in secondo luogo la preoccupazione di riconoscere un nocciolo di verità nella legge mosaica perché solo una costituzione che si fondi sulla verità può essere ripresa e proseguita da un futuro riformatore (NA 17, 396-397). Ritornano in queste idee la già notata accentuazione del tema della felicità come ultimo obiettivo politico, e la convinzione che per costruire una Universalgeschichte occorra trovare un filo rettilineo di congiunzione tra passato e presente. Solo l’esistenza di una verità, per quanto espressa in una forma adatta a popoli primitivi, può consentire la trasmissione di una conquista storica. Illuministicamente tra passato e presente non compaiono cesure.
Le leggi di Licurgo e Solone a confronto
Al tema della legge è dedicata anche Die Gesetzgebung des Lykurgus und Solon(1790). Lo scritto è dedicato alla trattazione delle legislazioni di Licurgo e di Solone, viste nei loro aspetti di opposizione e considerate l’una, quella spartana, modello e tipo delle costituzioni che tutto sottomettono allo stato e l’altra, quella ateniese, modello e tipo di costituzione democratica. Proprio quest’indagine per opposizioni impone allo studio una andamento piuttosto rigido, che fa sì che esso si configuri, più che come un’indagine storica, come una tipizzazione di modelli ideali. Oltre all’ovvia attenzione per la funzione politica della legge, Schiller è interessato a due temi: la funzione etica della legge e il rapporto tra legge e sviluppo umano e culturale del cittadino.
Relativamente al tema etico, Schiller ritiene che alla legge si debba attribuire solo una funzione strumentale rispetto alla virtù. Quella può porre le premesse per questa, ma non può costringere a essa, perché il valore cogente della legge contrasta con la libertà del volere che è presupposta dall’agire morale: "la più nobile prerogativa della natura umana è di determinare se stessa e di compiere il bene in vista del bene"(NA 17, 438). L’errore della legislazione di Licurgo fu quello di sostituire alla virtù la legge, facendo di un mezzo un fine, ma tale errore caratterizzò, seppure in altra forma, l’intera legislazione antica, che caricò sempre la legge di un significato etico. Senza per ciò cadere nell’eccessiva neutralità che contraddistingue la legislazione moderna, osserva Schiller, bisogna riconoscere consapevolmente i limiti che sono imposti alla legge. Quando essi vengono superati, come nel caso di Licurgo, ci si avvia verso forme dispotiche.
Dal punto di vista del rapporto tra legge e sviluppo del cittadino, Schiller riconosce la funzione di stimolo (o di freno) che una costituzione svolge, e perciò la sottomette a un criterio fondamentale: se compito della legge non è solo quello di creare un buon cittadino, ma di rendere possibile l’uomo, essa allora deve mirare a promuovere tutte le facoltà dell’uomo. L’uomo non può essere sacrificato allo stato, servendogli da mezzo, ma è lo stato che deve servire l’uomo (NA 17, 440). Ciò non fece la legislazione spartana, che , promuovendo solo la virtù militare, si vide privata di quegli artisti, di quei poeti e di quei saggi, che invece circondarono il legislatore ateniese, chiamandolo, grati "padre e creatore" (NA 17, 441). Attorno alla libertà si dispiegano tutte le facoltà dello spirito, mentre di fronte alla spaventosa servitù imposta dalla tirannia ogni grazia e ogni sapere vengono meno.
Il motivo che rende delicata e difficile l’opera del legislatore e che spiega per quale ragione essa rechi con sé tanti problemi e così strette connessioni con i temi etici e antropologici è icasticamente espresso da Schiller: "solo il legislatore tratta una materia che oppone una resistenza propria: la libertà umana"(NA 17, 426). Quanto qui si dice della legge vale più in generale per ogni agire politico o, più ampiamente ancora, per ogni agire storico. Incidere sulla storia significa avere a che fare con la libertà umana. Ciò impone un duplice limite: per un verso vieta che la legge o l’istituzione politica si sostituiscano alla libertà umana, facendosi norma etica e negandone il primato, per un altro richiede che a questa libertà esse impongano tuttavia limiti e freni. Il riferimento al primato dell’etica evidenzia un limite ideale e immutabile, il riferimento al conflitto tra l’opera del legislatore e la libertà umana indica viceversa un condizionamento storico e variabile. La resistenza che gli uomini oppongono alla legge è infatti relativa alle condizioni storiche e ambientali, e muta con esse. Viene formulato così un duplice criterio di giudizio: l’uno fornito di un’universalità che trascende i tempi, l’altro viceversa storicamente connotato. In base a quest’ultimo Schiller è condotto a domandarsi se una determinata costituzione sia adatta a un popolo o no. Non appena ci si mette in questa direzione ci si accorge però che il problema si modifica sensibilmente. Schiller, che pure era partito dalla descrizione di un paese come premessa esplicativa del sorgere di una determinata costituzione, volta precisamente a porre freno alle libertà anarchiche, si avvede che la legge, più ancora che regolare una libertà che oppone resistenza, "la tratta", la "modella": "Il carattere di un intero popolo è la più fedele riproduzione delle sue leggi", secondo un assunto che ricorda Montesquieu. In altre parole genera condizioni tali che modificano, dandole una direzione piuttosto che un’altra, la libertà dell’uomo. Ma proprio a causa di questa tendenza della legge a non regolare solamente i conflitti esistenti in una determinata società, ma a indirizzare la società in questa o in quella direzione e corrispondentemente a inibire altri sbocchi, diviene urgente che, a tutela di un libero sviluppo dell’umanità, si abbia continuamente coscienza della condizionatezza storica della legge. Essa non solo deve dunque essere subordinata alla morale (prima norma), ma deve altresì riconoscere che la sua validità è limitata nel tempo (seconda norma). Ciò non facendo Licurgo ha aggiunto un ulteriore errore alla sua legislazione e ne ha confermato, con la pretesa validità perenne, il carattere assolutistico. Solone viceversa, che si riprometteva una durata limitata della sua legislazione, fu più rispettoso di questa norma, e proprio per ciò vide riprese e mantenute in vigore, anche nella mutata situazione politica introdotta da Pisistrato e dai suoi successori, numerose sue leggi. Sulla scorta di questi principi è facile ricostruire l’intero giudizio che Schiller formula sulle due costituzioni prese in esame. La costituzione spartana viene radicalmente condannata, anche se, per obiettività storica, se ne riconosce la efficacia contingente. Si può dire che essa ha adempiuto almeno al compito di rispondere a certe esigenze immediate e su queste ha saputo costruire se non una civiltà certo una potenza. La costituzione ateniese viceversa viene elogiata per il proprio spirito democratico e per la propria moderazione, anche se non si manca di farne osservare i pericoli nascosti. La storia, il cui compito non è di tessere elogi, non può tacere che in ogni costituzione democratica è contenuto il pericolo dell’anarchia e che l’assemblearismo politico genera, almeno potenzialmente, individui inclinati alla ricerca dell’applauso e della gloria più che della verità, e curiosi di novità più che di norme sagge. La libertà, sfrenandosi, si getta da sé in nuove catene e non obbedendo a una guida si sottopone a nuove signorie. Ai saggi succedono così i sofisti e il tempo del disordine che sopravverrà al termine della vita di Solone vi è già annunciato.
Dracone:la legge fondata sulla paura
Un cenno merita il breve intermezzo che Schiller dedica a Dracone, nei cui confronti esprime un giudizio assai duro:" un uomo senza sentimenti umani, che non credeva la natura umana capace di alcunché di bene, che vedeva ogni azione solo attraverso lo specchio opaco della sua anima cupa e era senza alcuna indulgenza per le debolezze dell’umanità; un cattivo filosofo e un ancor peggiore conoscitore degli uomini, di cuore duro, limitato nell’intelligenza e inflessibile nei suoi pregiudizi"(NA 17, 429). Il principio fondamentale che permeava l’intera sua legge era la paura, perché solo per mezzo di essa confidava di ottenere quanto veniva comandato. Ma un progetto costituito su tali falsi presupposti, per Schiller non può che fallire.
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