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sabato 19 febbraio 2011

Schiller: la totalità interrotta - Le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo


Schiller e la realtà comtemporanea: il rapporto con la rivoluzione

Le prime nove Lettere sull’educazione estetica dell’uomo contengono l’esposizione più diffusa e esauriente del pensiero schilleriano sulla società contemporanea. Già l’avvio dimostra la consapevolezza che Schiller ha del momento presente. "Gli sguardi del filosofo come dell’uomo di mondo sono fissati, pieni di aspettativa, sulla scena politica, dove ora, a quanto si crede, si discute il grande destino dell’umanità". Quest’ora è tanto più importante in quanto "una questione che una volta si risolveva solo con il cieco diritto del più forte, è stata portata ora, a quanto pare, davanti al tribunale della ragione pura, e chiunque è capace di mettersi al centro del tutto e di levare il proprio individuo fino alla specie, può considerarsi giudice di quel tribunale della ragione, mentre come uomo e cittadino del tempo è nello stesso tempo parte, e si vede più o meno da vicino coinvolto nell’esito del processo. Non è dunque soltanto una sua propria causa privata che viene decisa in questo grande processo, la sentenza deve essere pronunciata secondo leggi che egli stesso come spirito ragionevole ha la capacità e il diritto di dettare."(NA 20, 1, II 312; it. 207). La specificità introdotta dalla rivoluzione francese è colta qui in tutta la sua portata: la rivoluzione non costituisce solo di fatto una cesura con il passato, ma introduce principi normativi che rendono ciascun individuo e ciascun popolo giudice, oltre che attore della storia. Essa pronuncia un giudizio di condanna sul passato, ma insieme fa appello a valori di civiltà assoluti. E’ in nome di questi che l’intera storia del passato può essere dichiarata nulla, "perché l’opera di forze cieche non possiede un’autorità davanti a cui la libertà debba piegarsi" (NA 20, 1, III, 314). E la pretesa di trasformare questa condizione secondo principi morali è la grande bandiera che l’uomo, divenuto maggiorenne, sventola. Ma questo passaggio dallo stato fisico, che è reale, a quello morale, che è problematico, reca con sé enormi preoccupazioni. Si è infatti in presenza di un processo che avviene nel corso stesso della storia ("si tratta di cambiare la ruota che gira, durante il suo movimento"); occorre abbandonare lo stato naturale, da cui ancora la società dipende, per sostituirvi quello stato morale, che ancora non esiste. Si tratta di passare dallo "stato del bisogno" allo "stato della libertà". Ora, questo passaggio dall’uomo reale, che è l’uomo empirico, all’uomo puro e ideale, che è rappresentato dallo stato, può avvenire, almeno dal punto di vista ipotetico, almeno in due modi: "o l’uomo puro assoggetta l’empirico e lo stato annulla gli individui, o l’individuo diventa stato e l’uomo nel tempo si nobilita diventando l’uomo nell’idea" (NA 20, 1, IV, 316). Ma solo quest’ultima soluzione che non si afferma attraverso il sacrificio della condizione naturale è degna di una cultura che ha raggiunto il suo culmine. "L’uomo colto si rende amica la natura e ne rispetta la libertà, frenandone solo l’arbitrio" (NA 20, 1, IV 318).

Il rapporto problematico con l'Illuminismo e l'educazione estetica

A ragioni di principio va ricollegato il netto rifiuto schilleriano di una trattazione politica: "per risolvere quel problema politico nella pratica bisogna prendere la via attraverso il problema estetico perché alla libertà si giunge solo attraverso la bellezza" (NA 20, 1, II 312)
Ma a esse vanno aggiunte alcune considerazioni di fatto. L’epoca contemporanea è soggetta ai due estremi della decadenza umana: inselvatichimento e rilassamento. "Nelle classe inferiori e più numerose ci si presentano istinti rozzi e anarchici che, sciolto ogni vincolo di ordine civile, si scatenano e corrono con indomabile furore al loro brutale appagamento. D’altra parte le classi colte ci danno lo spettacolo ancora più odioso del rilassamento e di una depravazione del carattere, che tanto più indigna, quanto più ne è fonte la cultura stessa. La possibilità "fisica" che sembra affacciarsi di "mettere la legge sul trono, di onorare finalmente l’uomo come fine a se stesso e di porre la vera libertà a fondamento dell’unione politica" è vanificata dalla mancanza di una possibilità morale. Con un linguaggio certo non schilleriano si potrebbe dire che, se sono presenti le condizioni oggettive per una trasformazione profonda, mancano però quelle soggettive. Il ricorso a un progetto estetico, che è in ultima analisi un progetto di rivoluzione culturale, trova giustificazione anche in ciò. La preoccupazione più acuta di Schiller, che la vicenda storica si chiuda attraverso il cieco gioco delle forze, di sapore anticipatamente hegeliano, determina il suo retrocedere di fronte alla rivoluzione, ma non può essere scambiata semplicemente con un conservatorismo miope. Piuttosto si dovrebbe sottolineare come, congiunto all’acuta consapevolezza della eccezionalità del momento, vi sia il timore che l’esito infelice della rivoluzione abbia un valore che superi la mera contingenza e divenga, anche per le generazioni a venire, elemento di ostacolo. Citando un’affermazione piuttosto che un’altra si può piegare Schiller verso o contro la rivoluzione. L’elemento discriminante comunque va ricercato non nella maggiore o minore adesione a essa, ma nel rifiuto a lasciare decidere alla storia della legittimità o meno dei principi della rivoluzione. Nella misura in cui fa appello a principi ideali e etici sovrastorici quest’atteggiamento può chiaramente essere considerato non - rivoluzionario, anche se ciò non è equivalente a antirivoluzionario. Ciò che entra in crisi in Schiller non è la speranza illuministica in una rivoluzione della ragione, ma la fiducia che la storia empirica e la norma ideale procedessero di pari passo, che nella storia, sebbene nascosta e a volte anche distorta, fosse all’opera la ragione. L’astrattezza ingenua dell’illuminista che enuncia principi senza curarsi del loro divenire realtà era stata contraddetta dallo sviluppo culturale dell’umanità. Lo sviluppo storico per procedere ha bisogno di un termine di mediazione che la cultura illuministica non ha considerato. A questo adempie l’educazione estetica, come mediazione tra intelletto e sensibilità. Il distacco, la forbice che si apre sempre più tra ideale e reale, richiede una correzione in profondo, se non si vuole che sia il cieco domani a giudicare della legittimità dell’oggi. E’ in questa prospettiva, insieme antilluministica, nella misura in cui è criticamente consapevole dei limiti di quella cultura, e illuministica, nella misura in cui il processo passato - presente - futuro è concepito in uno sviluppo lineare, che Schiller muove ancora nelle Lettere.

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