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domenica 19 settembre 2010

Rosarno. Gli africani si sono ribellati due volte.

L'idea secondo cui i migranti di Rosarno sono «un serbatoio di braccia a cui spesso accede la malavita organizzata» non è soltanto falsa. È offensiva nei confronti di centinaia di ragazzi che non hanno mai fatto da manovalanza alle 'ndrine, preferendo il durissimo lavoro nei campi. Al contrario, gli africani si sono ribellati due volte contro la violenza mafiosa, collaborando in almeno cinque occasioni con le forze di polizia e la magistratura (la rapina del dicembre 2008, i "fatti di Rosarno" di gennaio 2010, le tre inchieste sul caporalato, tra cui quella denominata "Migrantes", rese possibili dalla collaborazione e dalle testimonianze dei lavoratori stranieri). Eppure, l'idea del "serbatoio di braccia" è contenuta nel comunicato ufficiale del Pon Sicurezza (www.sicurezzasud.it) che presenta il progetto del "Centro di formazione per gli immigrati" - due milioni di euro di stanziamento del Ministero dell'Interno e dell'Unione Europea -, giustificandolo come un argine allo sfruttamento. «Il centro di formazione sarà costruito interamente», ci spiega Rosario Fusaro, uno dei tre commissari prefettizi che reggono il Comune. «L'edificio sorgerà ex novo, due piani fuori terra. La fabbrica esistente» - la "Beton Medma" confiscata al clan dei Bellocco - «sarà demolita, il sito ristrutturato. Il progetto definitivo è in via di approvazione, prevede circa 60 posti letto nella foresteria. Contiamo di completare i lavori in un anno». A ottobre dovrebbe essere avviato il cantiere, giusto l'inizio della stagione agrumaria, che coincide con l'autunno e l'inverno. Da due decenni, i raccoglitori stranieri arrivano nella Piana, molti provengono dai campi di pomodori in Puglia e Basilicata. Anche quest'anno avranno il solito, banale, problema: «Dove dormiamo questa notte?» Con quello che guadagnano fanno fatica a pagare un affitto. «Sono 60 euro al mese per un posto letto nelle case in centro», ci dicono alcuni ragazzi. «Le leggi sono molto restrittive», ribadisce Giuseppe Pugliese dell'Osservatorio Migranti. «Chi affitta case agli stranieri rischia tanto. Gli africani devono anche mandare i soldi a casa, a differenza dei comunitari che in genere si spostano con le famiglie».
Lo scorso anno c'erano almeno 2500 stranieri nella Piana. Distrutta dalle ruspe la "Rognetta", sgomberata un anno fa la "Cartiera", chiusa da mesi l'"Opera Sila" (tutte fabbriche in disuso), sgomberate nelle scorse settimane anche le piccole masserie, rimane irrisolto il problema dell'accoglienza. In realtà, la legge dice che spetta ai datori di lavoro, ma non è applicata da nessuna parte, figurarsi nella Piana del lavoro nero e dell'illegalità diffusa. «Ognuno deve trovarsi dove stare, non siamo un tour operator», chiarisce Fusaro, che ci tiene a delimitare la competenza territoriale dell'intervento. Solo una parte dei migranti ricade nel territorio rosarnese. «Noi cerchiamo di fare formazione e avviamento al lavoro. L'ospitalità non è nostro compito. E poi non è semplice risolvere dall'oggi al domani, per venti anni è mancata la programmazione. Il lavoro nero? Non dipende noi, ci sono gli organi competenti che se ne devono occupare, anche se tutti devono concorrere a eliminare l'illegalità diffusa». «Il problema principale nei territori resta l'accoglienza, nessuno parla di una sistemazione», risponde Pugliese. «Rimango perplesso, sento parlare solo di corsi di formazione». Ma gli africani torneranno a Rosarno? «Non abbiamo previsioni su quanti ne arriveranno», dice Fusaro. «In questo momento sono pochi. L'importante è che non si creino le situazioni che hanno dato origine ai fatti dell'anno scorso». «Abbiamo ricevuto diverse telefonate di africani che vogliono venire a lavorare», ci racconta un produttore. «Ma adesso siamo noi ad avere paura. Dei controlli, degli arresti. Non assumeremo nessuno che non sia in regola». A lavori terminati, il centro sarà diviso in tre grandi spazi. Ci sarà la sezione per l'intrattenimento e il supporto scolastico dei bambini, l'area degli sportelli e quella per la formazione professionale con aule e laboratori. Il primo è poco utile (i braccianti non vengono con le famiglie e si fermano solo d'inverno), mentre da due anni sono aperti gli info point del progetto Assi della Provincia. E veniamo all'inserimento lavorativo. Si agisce a valle e non a monte. Come se il problema fossero i braccianti - da formare attraverso i corsi - e non un sistema economico prosciugato dalla 'ndrangheta, dominato da sciacalli che si sono arricchiti con le truffe, drogato dai falsi braccianti, bloccato dai "monopoli ambientali" dei criminali che impediscono lo sviluppo. Annientato dal "darwinismo sociale" che vede nel lavoratore un limone da spremere, nel fisco un vampiro da ingannare.

La paura e il sospetto
«Con l'integrazione e l'inserimento lavorativo si migliorano le condizioni di vita degli stranieri e si combatte quel senso di xenofobia nei cittadini che nasce dalla paura e dal sospetto», spiega il comunicato ufficiale. Secondo il dizionario della lingua italiana, il termine «integrazione» indica il «completamento di qualcosa attraverso l'aggiunta di ciò che è mancante». Oppure «l'assimilazione di gruppi in una comunità». È evidente che la ribellione degli africani è stata possibile solo grazie allo scarso livello di integrazione. «Se gli hanno sparato solo alcune persone, perché se la sono presa con tutto il paese?», ci chiese una signora, nella corsia dell'ospedale di Gioia Tauro, mentre nella stanza accanto c'erano quattro africani con le gambe piene di pallini di piombo. Erano i giorni dei "fatti di Rosarno". Il 7 gennaio del 2010, alcuni sconosciuti avevano sparato contro tre lavoratori africani. La rivolta dei migranti causerà la reazione dei violenti del paese: una feroce caccia all'uomo, decine di feriti, migliaia di uomini di colore sgomberati in poche ore. Gli africani avevano comunque scelto la soluzione collettiva (la ribellione dell'intera comunità) per affrontare un problema individuale, contrariamente alla cultura del luogo dove un fatto analogo sarebbe stato risolto con una vendetta privata. La rivolta non ha avviato la stagione dei progetti, ha solo incrementato le attività. Nel 2007, con un solenne protocollo alla Prefettura di Reggio Calabria si decise di trasformare la "Cartiera" in un centro d'aggregazione sociale. Non se ne fece nulla e per anni gli africani passarono gli inverni dormendo tra i cartoni e sperando - inutilmente - che qualcuno riparasse il tetto sfondato. Maroni stanziò 200 mila euro utilizzati per i box doccia dell'Opera Sila. Un piccolo intervento senza esito, non paragonabile a quanto fatto dalla società civile con mezzi di gran lunga inferiori. Anche la provincia di Vibo Valentia ha presentato nei mesi scorsi un progetto per l'integrazione, sempre con il Pon, cui parteciperanno piccoli paesi in cui è davvero difficile rinvenire presenze significative di stranieri.
C'è un aspetto positivo. Tutto questo, per una volta, è responsabilità di una sola persona: Roberto Maroni. Il comune è stato sciolto per mafia dal 10 dicembre 2008, per due volte consecutive. Nel prossimo novembre, finalmente, si voterà. Finora ci sono stati tre commissari prefettizi, dunque direttamente collegati al ministero dell'Interno, da cui dipende il PON Sicurezza. Gli stanziamenti non sono il frutto dell'azione di politici calabresi, ma del leghista pronto ad affermare, nelle prime ore della rivolta di gennaio, che il problema era «il degrado prodotto dai clandestini». In realtà i migranti erano un argine al degrado. Ma quelle furono le parole che legittimarono le ronde, gli assalti, la pulizia etnica. È difficile, ministro, ammettere di aver sbagliato rotta. Ma perseverare può essere ancora peggio.

Scontro etnico?
Il problema è molto semplice: l'agricoltura del Sud si basa sul lavoro stagionale dei migranti, i quali però sono costretti a vivere in condizioni drammatiche. Dopo la rivolta, i media hanno raccontato qualunque paese che ospita un po' di migranti come un'altra Rosarno, una potenziale Rosarno, una nuova Rosarno. Il paese della Piana poteva diventare il simbolo della ribellione contro la violenza mafiosa e lo sfruttamento bestiale, invece è diventato sinonimo di tensioni interrazziali che possono sfociare nello scontro. La "sindrome Rosarno" ha inciso profondamente sugli interventi nelle campagne del Sud. A Nardò, in Salento, ha convinto l'amministrazione comunale a ristrutturare una masseria affidata a un'associazione e utilizzata come centro d'accoglienza per i raccoglitori di angurie che operano in agosto. A Palazzo San Gervasio, invece, il comune ha deciso di non aprire lo stabile - tra l'altro un bene confiscato - che per anni è servito a dare rifugio a un migliaio di migranti impegnati nella raccolta del pomodoro, al confine tra le province di Potenza e Foggia. Ad Alcamo, la vendemmia di settembre la fanno i maghrebini, e spesso si sono ritrovati a dormire nelle strade del paese in provincia di Trapani o nei giardini pubblici. Da un paio d'anni, il sindaco ha fatto impiantare una tendopoli al campo sportivo.
In tutte le campagne è emergenza, non c'è coordinamento e neppure confronto tra le varie esperienze. Il governo è assente, gli enti locali improvvisano. Eppure, non si tratta di profughi ma di semplici lavoratori. Basterebbe dare loro un documento, come accaduto per bulgari e rumeni con l'ingresso nell'Unione Europea, per rendere la loro situazione meno precaria, ed eliminare la ricattabilità strutturale creata da leggi discriminatorie. Caporalato e salari da fame sono le vere emergenze, ma combatterle non porta voti, né soldi. Meglio dunque interventi a pioggia, stanziamenti assistenziali, provvedimenti d'emergenza, progetti milionari.

venerdì 17 settembre 2010

Il torto mostruoso che fu fatto a Enzo Tortora

PRECARI NELLA SCUOLA PUBBLICA

Per molti ragazzi italiani è ricominciato l’anno scolastico e, puntuale come le malattie stagionali, ricomincia la polemica decennale sui precari della scuola. Si tratta di una polemica che va avanti da svariati anni e che quest’anno ha come bersaglio il ministro Gelmini reo di aver “espulso dalla scuola” svariate decine di migliaia di giovani insegnanti precari. Per orientarsi sulla questione è necessario fare qualche osservazione preliminare. Il fenomeno del precariato nella P.A. deriva dalla cattiva abitudine di molte amministrazioni di fare ricorso a forme contrattuali flessibili (contratti a termine, co.co.pro., …..) invece di procedere a regolari assunzioni a tempo indeterminato previo pubblico concorso.

I veri motivi di questa sciagurata prassi sono essenzialmente due: aggirare i vincoli alle nuove assunzioni disposti per contenere la spesa pubblica e disporre di procedure di selezione del personale più rapidi e soprattutto più discrezionali. La flessibilità del lavoro anche nelle pubbliche amministrazioni fu introdotta con le riforme Bassanini che si basavano sul presupposto che fosse opportuno modernizzare anche il lavoro pubblico con l’introduzione di forme contrattuali flessibili, come era già stato fatto – a partire dalla riforma del ministro Treu – per il lavoro privato. Alla base vi è un errore di impostazione. Mentre nel privato, per le imprese che sono sul mercato e contatto con la concorrenza, la flessibilità rappresenta un fattore di modernizzazione perché consente di adeguare l’offerta di lavoro alle reali e mutevoli esigenze produttive ed alle effettive capacità economiche delle imprese, nel pubblico nulla di tutto ciò si verifica. Il precariato nella burocrazia è essenzialmente uno strumento al servizio delle peggiori logiche clientelari ed assistenziali. Non è altro che un modo per alimentare la tendenza a gestire la cosa pubblica per favorire le reti di amicizie e conoscenze o, peggio, per proseguire quella folle politica che ha caratterizzato gli ultimi quattro decenni della pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale. Il precariato nella scuola presenta suoi tratti particolari, perché in qualche misura deriva da alcuni elementi strutturali che caratterizzano la scuola e la differenziano da tutte le altre pubbliche amministrazioni. Nella scuola il precariato è servito storicamente, e serve tuttora, a supplire alla mancanza temporanea dei docenti di ruolo (malattie, maternità, aspettative). In un qualsiasi ufficio pubblico, se viene provvisoriamente a mancare un dipendente, il lavoro di questo viene normalmente svolto dai colleghi dell’ufficio, o al massimo si potrà applicare un dipendente di altro ufficio pubblico. Nella scuola invece ogni classe di alunni richiede una costante presenza di un insegnante per ogni ora di lezione e quindi l’insegnante mancante temporaneamente deve essere necessariamente sostituito da altro insegnante. Insegnante che, per le supplenze brevi, potrà essere un collega della stessa scuola (semmai di altra materia) ma che, per le supplenze lunghe, non può che essere un nuovo insegnate per l’appunto precario, ovvero non titolare di una sua cattedra di insegnamento. Per questo è del tutto illusorio pensare di risolvere “definitivamente” il problema dei precari. Se anche, con la bacchetta magica, fosse possibile immettere istantaneamente nei ruoli della scuola tutti gli attuali precari, immediatamente il problema si riproporrebbe perché avremmo bisogno di nuovi supplenti per coprire tutte le legittime assenze degli insegnati di ruolo (ex precari compresi). E ciò a prescindere dagli effetti negativi in termini di qualità del servizio che tale immissione inevitabilmente produrrebbe.

L’unico modo per affrontare il problema precari nella scuola è cercare di ridurre la domanda di personale docente non di ruolo per far fronte alla necessità di sostituire il personale docente di ruolo momentaneamente indisponibile. Il che vuol dire semplicemente aumentare le ore di disponibilità (alle supplenze) degli insegnanti di ruolo. Ma tale soluzione, già praticata negli ultimi anni, potrebbe servire a ridurre il problema ma non certo ad eliminarlo. Se un professore di matematica è assente per sei mesi non posso certo pensare di sostituirlo con la rotazione degli altri insegnati della scuola di italiano, inglese o educazione fisica! O forse potrebbe essere utile porre un limite massimo alle supplenze che i docenti precari possono svolgere. Ciò non determinerebbe una riduzione delle dimensioni del problema ma servirebbe almeno ad impedire che si consolidino aspettative degli insegnanti temporanei verso la tanto agognata immissione in ruolo. Sono queste le ragioni per le quali gli attacchi al ministro Gelmini sono del tutto sbagliati. La sua unica colpa sarebbe quella di aver introdotto alcune riforme che riducono la necessità di insegnanti temporanei! Ma è proprio questa la strada per ridurre il problema del precariato. Abbiamo abolito i gloriosi concorsi a cattedra che, pur con tutte le loro pecche, selezionavano i giovani laureati più preparati (vincere un concorso a cattedra rappresentava un traguardo importante).

Abbiamo istituito le fallimentari Scuole di Specializzazione all'Insegnamento ed una procedura di selezione dei docenti che ricorda quella dei vecchi uffici di collocamento. Ci manca solo che dichiariamo intangibile il diritto dei precari a continuare a lavorare e semmai ad essere immessi in ruolo indipendentemente dalle necessità della scuola ed indipendentemente da una realistica valutazione sul loro effettivo contributo alla qualità del servizio scolastico. Certo, in Italia troppo spesso la scuola, come le altre pubbliche amministrazioni, è stata governata avendo di mira non le esigenze degli utenti del servizio ma quelle dei dipendenti che vi prestano la loro opera. Il che ha storicamente rappresentato la principale causa della sua dequalificazione. E questo dovrebbe far riflettere i cantori della scuola pubblica, oggi evidentemente troppo presi dalla necessità di cavalcare demagogicamente la protesta dei precari.

domenica 12 settembre 2010

Gheddafi's provocations in Europe and its women?

Colonel Gheddafi during his last visit to our country, has not lost an opportunity to lead not only Italy but also Europe and the West. After having stated that "Islam should become the religion of Europe," did not hesitate to say that "in Libya, women are more respected in the West and the United States." Well, the claims of Islam are not new. What is most striking is the effrontery to judge the status of women in the West. Just read the report by Human Rights Watch, 2009 (http://www.hrw.org/en/node/79302) that about Libya's complaint states: "The Government's position with respect to violence against women remains a position denial, leaving victims unprotected and without solutions. Libya has a law to protect domestic and inadequate laws that punish sexual violence. The government pursues only the most violent rape, and judges have the right to offer marriage between the rapist and the victim as 'remedy social' crime. The victims of rape are likely in turn to be punished for adultery or fornication if they try to aggravate the charge. [...] The government has dozens of victims of rape places of 'social rehabilitation'. Many women are denied the right to object to the detention. The authorities oppose their forcible virginity control and punitive treatment, including isolation. "

I believe that as described above may in itself represent an aberrant response to Gheddafi's statements. However we must not forget that in 1970 Islam is the state religion in Libya. Therefore deserves a parenthesis also the description of the status of women in Islam.

The scriptures are an "enemy" important, but fictitious, for Muslims. Indeed it is not the Qur'an itself to be "hostile" to their condition, but a misinterpretation, conservative and fundamentalist - in fact very close to that in which Gheddafi believes - that it is provided. Unfortunately the Islamic preachers, whose pulpits are some Arab satellite television stations, all male, which means a "comfortable" literal interpretation of the Koran refer the woman to constant humiliation and violence and, more generally put it in a state of extreme inferiority. Unfortunately, in some countries, like Saudi Arabia, Iran, Libya, not least, this interpretation is practically the law of State. We analyze the situation. What is causing this situation? Machismo or sexism to a certain cultural tradition? Or is internal and organic to the Qur'an? As the Islamic holy scripture "Men are in charge of women." Some men apply to women only the principles reaffirmed by many imams, who are they to impose their superiority, with the ultimate aim of subduing their wives, making false shield of criteria that are misunderstood, although in some verses of the Koran emphasizes that women must be protected from man. And 'significant history of French, Dounia Bouza. Daughter of an Algerian and a French, is grown by respect of the two religions, Islam and Christianity. Later he married a Tunisian who after some years of marriage begins to beat her in the name of Islam. Bouza's reaction was to deepen the study of the Koran to understand if it was true what her husband claimed. The result of his study was the separation from her abusive husband and his conversion to Islam. In his eyes the Koran to protect women. Dounia Bouza today is one of the greatest exponents of Islam French fought with great courage Islamic extremism.

It 'true that the Koran has improved the status of women than when pre-Islamic Arabia: Before preaching both nomadic and urban environment dominated by the principle of patriarchy in which male offspring attributed to the male possession of women. Was a widespread practice of infanticide, restricted to daughters also mentioned in the text of the Koran (XVI, 58-59). With the advent of Islam, women also began to have property in their name. The lives of two wives of Muhammad, Khadija and Aisha, is significant. Khadija, the Prophet's first wife was a widow, rich and active is indicated by the Islamic tradition as the first convert to Islam. Aisha, the favorite wife, who was married at the age of nine years, however, led first-person battles. Regarding the status of women issues that arise are due to the ambiguity of the legal discourse and the confusion created over the centuries between human law and divine law. These problems are addressed in part in the Koran, where two 'sure' are dedicated to women one o'clock (IV) another divorce (LXV), and many other verses dealing with other problems such as adultery, modesty ol'eredità . The Qur'an not only states that "Men are in charge of women" (IV 34-35), but also that "men are a step higher" (II, 228). Moreover, the woman is worth half the man: you need two witnesses when a man would be sufficient. The portion of inheritance is generally half that of the same level of human sequence (IV, 11-12). Polygamy is allowed (IV, 3). A great indulgence is assured divine men "Even if you do not want to act with fairness with your wives, but not all follow your inclination, so as to leave as a suspended" (IV, 129) subject to certain limits: "Do not compel your maids to prostitution" (XXIV, 33) and certain prohibitions: "There is forbidden to take in marriage your mothers, your daughters, your sisters ..." (IV, 23-24). Even if the bride is free "as a field for you, then come to your camp at your leisure, but start with a pious act, be useful to you, and fear God" (II, 223). Hierarchically situated at the level of children and vulnerable beings to be protected (VII, 127, 141, XIV, 6; XL, 25), will be maintained by the Koran and paternalism over the centuries in a state of almost complete subjection.

But a look even more severe is aimed at "women of the Prophet" referential models that will more closely imprisoned in her veil and its prohibitions, "O women of the Prophet!" Who among you commit indecency'll manifest punishment doubled with two doubles, this easy thing to God! Who of you will be devoted to God and His messenger and operating the well, to give her reward twice, and prepared for her generous commission! O women of the Prophet! You are not like other women . If you fear God, do not be too humble to speak, that does not happen we want those who have a disease in heart, but spoken with dignity. Rimanetevene peace in your homes and v'adornate vain as they did in the days of idolatry, even Fulfill prayer, pay the tithe and obey God and His messenger. because God wants you to be free from all filth, or people in the house of the Prophet, and He will purify purification pure "(XXXIII, 30-33). Proponents of fundamentalism have hardened the positions of the Qur'an further support to the hilt the literal interpretation of sacred text. So the qualities that the second verse of Sura 4 Women should be paid immediately to the brides were never actually paid in this manner. The act of marriage, for example, in principle, stripped of all religious, concluded by offer and acceptance, without obligatory presence of religious authority, an act purely civil law is sacralized and becomes an act for the people subjected to divine law. The constraints imposed on women are increasing. Adultery, or unlawful carnal intercourse, punishable in the Koran with a hundred lashes for both men and for women (XXIV, 2) will then, for legal sanction the stoning to death of one woman. Even worse, if we consider that the Koran required four witnesses of the act of adultery before authorizing punishment (XXIV 4:13) practice will be back even faster and allow the death sentence of convicted suspected by her husband or brother .

In Islamic law the repudiation (II, 226-32 and the whole Sura LXV) is an absolute right reserved to the husband who is always (LXV, 2) use the testimony of trustworthy people. However, this principle has been narrowly failed in practice over the centuries. A new law would be established and allow humans to use the police to bring his wife to flee her home. Despite the constant reference to the Koran, even when it was would serve to sanctify the status imposed on women. The problem of the Arab woman has perhaps cause this "sacralization" of his inferiority. Ontologically, is a human being second fiddle, which comes after the man in the hierarchy of divine beings, submissive to his duties, powers and limited in not having a say in its making or on that of his body. All that concerns it was considered taboo. In this view, unfortunately widespread in many mosques in the West, the intellectual Tunisia Benslama Raja replied: "The question of women is inseparable from Islam. When I say that is inseparable means that there is a central question that reveals everything is a part of everything that is revealed and so is a matter paradigm, central because the woman is the other primitive, is the first else to open their eyes and then determines the ratio of each community in relation to ' otherness of every other. And 'the woman on the meter which can measure the degree of tolerance of society and its capacity to transform the difference into inferiority. The companies that do not accept the otherness of women as free and his equality, his equality as such, accept no other, and transform all the different minorities who embody what you call the feminist literature become female, which is precisely represented by a series of categories that do not necessarily represent the women. discrimination builds hatred, a hatred wisely elevated system, is a mine in action, is a machine that attacks women, continues to break the lives of all beings become children of all traditional and patriarchal society. Men weak, poor, children, homosexuals, the insane, the handicapped, the bastards, not the fellow. The issue of women is inseparable then as part of the Islam. Islam and women have a common enemy , which is religious totalitarianism in all its forms. Our sacred texts can no longer be a source of law except by creating the worst inequalities freedom. We must abandon the idea, which I think is a sham IP, widely used even among females and among the anti-feminist Islamic, that Islam has liberated women, which makes sharia justice, which puts it on equal terms with men. This thing is not true, is a real denial of historical reality . It thus remains unacceptable to allow a guest of our country, in this case, Colonel Gaddafi, to say that the best woman alive in Libya and the Islamic world. Nobody denies the commodification of the female body in the West, but also occur with the "Amazons" does not mean respect the woman as a person. It would be good for Italy in particular and Europe in general and to invite the media gave prominence to those women, intellectuals or activists, who fought within the Islamic world today to "become a people" and they pay on their skin arrogance el 'arrogance of a society in which radical interpretation of religious text and tradition go hand in hand male.

Adapted from CulturaCattolica.it

Gheddafi provoca l'Europa e le sue donne?

Il colonnello Gheddafi nel corso della sua ultima visita al nostro paese, non ha perso occasione per provocare non solo l’Italia, ma anche l’Europa e l’Occidente. Dopo avere affermato che "l’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta Europa", non ha esitato a ribadire che "in Libia la donna è più rispettata che in Occidente e negli Stati Uniti". Ebbene, le affermazioni sull’islam non sono una novità. Quel che più colpisce è la sfrontatezza nel giudicare la condizione della donna in Occidente. Basterebbe leggere il rapporto di Human Rights Watch del 2009 (http://www.hrw.org/en/node/79302) che a riguardo della Libia denuncia quanto segue: "La posizione del governo rispetto alla violenza contro le donne resta una posizione di negazione, che lascia le vittime non protette e senza soluzioni. La Libia non ha una legge di protezione domestica e leggi inadeguate che puniscono la violenza sessuale. Il governo persegue solo i casi più violenti di stupro, e i giudici hanno il diritto di proporre il matrimonio tra lo stupratore e la vittima come 'rimedio sociale' al crimine. Le vittime di stupro rischiano a loro volta di essere punite per adulterio o fornicazione se cercano di aggravare l’accusa. […] Il governo detiene decine di vittime di stupro in luoghi di 'riabilitazione sociale'. A molte donne viene negato il diritto di opporsi alla detenzione. Le autorità le oppongono a controllo forzato della loro verginità e a un trattamento punitivo, compreso l’isolamento".

Ritengo che quanto appena descritto possa di per sé rappresentare una risposta alle aberranti affermazioni di Gheddafi. Tuttavia non dobbiamo nemmeno dimenticare che dal 1970 l’Islam è la religione di Stato in Libia. Quindi merita una parentesi anche la descrizione della condizione della donna nella religione islamica.

I testi sacri rappresentano un "nemico" importante, ma fittizio, per le musulmane. Infatti non è il Corano in sé ad essere "ostile" alla loro condizione, ma una interpretazione errata, conservatrice e integralista – di fatto molto vicina a quella in cui crede Gheddafi - che di esso viene fornita. Purtroppo i predicatori islamici, i cui pulpiti sono alcune televisioni satellitari arabe, tutti di sesso maschile, che attraverso una "comoda" interpretazione letterale del Corano sottopongono la donna a continue umiliazioni e violenze e, più, in generale la pongono in una condizione di estrema inferiorità. Purtroppo in alcuni paesi, come l’Arabia Saudita, l’Iran, non da ultimo la Libia, questa interpretazione è praticamente legge di Stato. Analizziamo meglio la situazione. A che cosa è dovuto questo stato di cose? Al maschilismo o al sessismo di una certa tradizione culturale? O è interna e organica al Corano? Come afferma la sacra scrittura islamica "Gli uomini sono preposti alle donne". Alcuni uomini applicano nei confronti delle donne esclusivamente i principi, ribaditi da molti imam, che servono loro per imporre la propria superiorità, al fine ultimo di sottomettere le mogli, facendosi scudo di falsi criteri, che vengono fraintesi, anche se in alcuni versetti del Corano si sottolinea che la donna deve essere protetta dall’uomo. E’ significativa la storia dell’antropologa francese, Dounia Bouzar. Figlia di un algerino e di una francese, viene cresciuta all’insegna del rispetto delle due religioni, Islam e Cristianesimo. In seguito si sposa con un tunisino che dopo qualche anno di matrimonio inizia a picchiarla in nome dell’Islam. La reazione della Bouzar fu quella di approfondire lo studio del Corano per capire se era vero quanto sosteneva il marito. Il risultato del suo studio furono la separazione dal marito violento e la sua conversione all’Islam. Ai suoi occhi il Corano proteggeva le donne. Oggi Dounia Bouzar è una delle maggiori esponenti dell’islam francese che combatte con estremo coraggio l’estremismo islamico.

E’ indubbio che il Corano abbia migliorato la status delle donne rispetto all’epoca preislamica: prima della predicazione sia in ambiente nomadico sia in ambito urbano dominava il principio del patriarcato a discendenza maschile che attribuiva al maschio il possesso della donna. Era diffusa la pratica dell’infanticidio, limitato alle figlie femmine ricordato anche nel testo coranico (XVI, 58-59). Con l’avvento dell’Islam le donne iniziarono anche ad avere proprietà a loro nome. La vita di due mogli di Maometto, Khadija e Aisha, è significativa. Khadija, prima moglie del Profeta, era una vedova attiva e ricca e viene indicata dalla tradizione islamica come la prima convertita all’Islam. Aisha, la moglie prediletta, che venne però sposata all’età di nove anni, guidò in prima persona battaglie. Per quanto riguarda lo statuto della donna i problemi che si pongono sono dovuti all’ambiguità del discorso giuridico e alla confusione nata nel corso dei secoli tra legge divina e legge umana. Tali problemi sono affrontati in parte nel Corano, dove due 'sure' sono dedicate l’una alle donne (IV) l’altra al divorzio (LXV), e molti altri versetti trattano altri problemi quali l’adulterio, il pudore o l’eredità. Il Corano non solo afferma che "Gli uomini sono preposti alle donne" (IV, 34-35), ma anche che "gli uomini sono un gradino più in alto" (II, 228). Inoltre la donna vale la metà dell’uomo: sono necessarie due testimoni ove un uomo sarebbe sufficiente. La porzione d’eredità è, in generale, la metà di quella dell’uomo dello stesso livello di successione (IV, 11-12). La poligamia è autorizzata (IV, 3). Una grande indulgenza divina è assicurata agli uomini "Anche se lo desiderate non potrete agire con equità con le vostre mogli, però non seguite in tutto la vostra inclinazione, sì da lasciarne una come sospesa" (IV, 129) nel rispetto di certi limiti: "Non costringete le vostre ancelle al meretricio" (XXIV, 33) e di alcuni divieti: "V’è proibito prendere in ispose le vostre madri, le vostre figlie, le vostre sorelle…" (IV, 23-24). Anche se libera la sposa è "come un campo per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere, ma premettete qualche atto pio, utile a voi, e temete Iddio" (II, 223). Gerarchicamente situata a livello dei bambini e degli esseri deboli da proteggere (VII, 127, 141; XIV, 6; XL, 25), sarà mantenuta dal paternalismo coranico e nel corso dei secoli in uno stato di soggezione quasi totale.

Ma uno sguardo ancora più severo è rivolto alle "donne del Profeta" modelli referenziali che permetteranno di imprigionare più strettamente nei suoi veli e nei suoi divieti: "O donne del Profeta! A chi fra voi commette manifesta turpitudine toccherà castigo raddoppiato di due doppi, cosa questa facile a Dio! Ma chi di voi sarà devota a Dio e al Suo messaggero e opererà il bene, daremo a lei, mercede due volte, e generosa provvigione preparammo per lei! O donne del Profeta! Voi non siete come le altre donne. Se temete Iddio, non siate troppo umili nel parlare, che non accada vi desideri chi ha un morbo in cuore, ma con dignità parlate. Rimanetevene quiete nelle vostre case e non v’adornate vanamente come avveniva ai tempi dell’idolatria; compite anzi la preghiera, pagate la Decima e obbedite a Dio e al Suo messaggero. Iddio infatti vuole che siate liberi da ogni sozzura, o gente della casa del Profeta, ed Egli vi purificherà di purificazione pura" (XXXIII, 30-33). I fautori dell’integralismo hanno irrigidito ulteriormente le posizioni del Corano sostenendo a spada tratta l’interpretazione letterale del testo sacro. Così le doti che secondo il versetto 4 della sura delle Donne dovevano essere versate spontaneamente alle spose di fatto non furono mai versate in questa maniera. L’atto stesso del matrimonio, per esempio, in principio spogliato di ogni carattere religioso, concluso per offerta e accettazione, senza presenza obbligatoria dell’autorità religiosa, un atto puramente civile, si sacralizza nel diritto e diventa per le popolazioni un atto sottomesso alla legge divina. Le costrizioni imposte alla donna sono sempre maggiori. L’adulterio, ovvero il commercio carnale illecito, punito nel Corano con cento frustate sia per l’uomo che per la donna (XXIV, 2) avrà in seguito, per sanzione legale la lapidazione a morte della sola donna. Ancora peggio, se si considera che il Corano esigeva quattro testimoni dell’atto di adulterio prima di autorizzare la punizione (XXIV,4,13) la pratica posteriore sarà ancora più rapida e consentirà la condanna a morte della colpevole sospettata dal marito o dal fratello.

Nel diritto islamico il ripudio (II, 226-32 e tutta la sura LXV) è un diritto assoluto riservato allo sposo che deve sempre (LXV,2) ricorrere alla testimonianza di persone fidate. Tuttavia questo principio restrittivo è stato omesso nella pratica, durante i secoli. Un nuovo diritto sarà istituito e consentirà all’uomo di ricorrere alla autorità di polizia per ricondurre la sposa in fuga al tetto coniugale. Ciononostante il riferimento costante al Corano, anche quando non era in causa serviva per sacralizzare lo statuto imposto alla donna. Il problema della donna araba ha forse per causa prima questa "sacralizzazione" della sua inferiorità. Ontologicamente, è un essere umano di secondo piano, che viene dopo l’uomo nella gerarchia delle creature divine, sottomessa ai suoi doveri, limitata nei poteri e non avendo voce in capitolo sul suo divenire né su quello del suo corpo. Tutto ciò che la riguarda è ritenuto un tabù. A questa visione, purtroppo diffusa in molte moschee anche in Occidente, l’intellettuale tunisina Raja Benslama risponde: "La questione della donna è inscindibile da quella dell’Islam. Quando dico che è inscindibile vuol dire che c’è una questione centrale che rivela il tutto, è una parte di un tutto che si rivela e quindi è una questione paradigmatica, centrale perché la donna è l’altro primigenio, è il primo altro su cui si aprono gli occhi e quindi determina il rapporto di ogni comunità rispetto all’alterità di ogni altro essere. E’ la donna il metro su cui si può misurare il grado di tolleranza della società e la sua capacità di non trasformare la differenza in inferiorità. Le società che non accettano l’alterità della donna come essere libero e la sua uguaglianza, la sua parità come simile, non accettano nessun altro e trasformano tutti i diversi in minoranze che incarnano quello che nella letteratura femminista si chiama il divenire femminile, che appunto è rappresentato da una serie di categorie che non necessariamente rappresentano le donne. La discriminazione si costruisce sull’odio, un certo odio sapientemente elevato a sistema, è una mina in azione, è una macchina che attacca le donne, continua a spezzare le vite di tutti gli esseri resi minori da tutte le società tradizionali e patriarcali. Gli uomini deboli, quelli poveri, i bambini, gli omosessuali, i pazzi, gli handicappati, i bastardi, i non correligionari. La questione della donna è quindi inscindibile in quanto parte di quella dell’Islam. L’Islam e la donna hanno un nemico comune, che è il totalitarismo religioso in tutte le sue forme. I nostri testi sacri non possono più essere una fonte di legislazione se non creando le peggiori disuguaglianze liberticide. Dobbiamo rinunciare all’idea, che secondo me è un’impostura intellettuale, molto diffusa anche fra le femministe e fra le antifemministe islamiche, che l’islam ha liberato la donna, che la sharia le rende giustizia, che la mette in condizione di parità rispetto all’uomo. Questa cosa non è vera, è una vera negazione della realtà storica". Resta quindi inaccettabile che si consenta a un ospite del nostro paese, in questo caso il colonnello Gheddafi, di affermare che la donna viva meglio in Libia e nel mondo islamico. Nessuno nega la mercificazione del corpo della donna in Occidente, ma anche presentarsi con le "amazzoni" non significa certo rispettare la donna in quanto persona. Sarebbe bene che l’Italia in particolare, l’Europa in generale invitassero e dessero risalto mediatico a quelle donne, intellettuali o attiviste, che in seno al mondo islamico combattono ancora oggi per "diventare persone" e che pagano sulla propria pelle la prepotenza e l’arroganza di una società in cui interpretazione radicale del testo religioso e tradizione maschilista vanno di pari passo.

Tratto da CulturaCattolica.it

“Mission accomplished” For Hillary Clinton

In keeping with his old commitment, August 31, 2010 Barack Obama in a speech from the Oval Office of the White House said on completion of the operation "Iraqi Freedom". Curiously, it gives the word "victory" nor could it, given that his predecessor, George W. Bush had declared "mission accomplished" on 1 May 2003, when the mission was not accomplished at all. And so "Iraqi Freedom" has passed into history for some strange primates: the first war was declared over when it was not the first war-yogurt fixed and fixed deadline, the first war was over twice and the first war without winners.

What has changed in Iraq since 1 September 2010? Nothing, except for a novelty that will see the end. In politics nothing changes: the government was not there before and there is now. Five months after the elections, the positions of various blocks remain irreconcilable. The moderate Shiite bloc of Prime Minister Nuri al-Maliki has 89 seats out of a total of 325, almost as many (91, but not enough) has the Sunni bloc of Iyad Allawi, but the two rivals not only look askance at, but not even talk. So Al-Maliki does not know with whom to ally themselves: the Kurdish bloc has an insufficient number of seats to form a majority and the Shiite party of Muqtada Al-Sadr rejects what Al-Maliki.

In terms of public order does not change anything, if not worse terrorist attacks, which were decreased by 90% compared to 2007, are now growing steadily, supported also by American disengagement. In late August has left a wave of attacks on the ground some fifty victims. In terms of quality of life results are controversial. It 'true that the number of Internet connections has increased over the last seven years from 4,500 to 1 million and 600,000, and mobile phones has risen from eighty thousand to 20 million, but two million Iraqis have fled the country and 150,000 have lost their life, with nearly 5,000 coalition soldiers. The American taxpayers have paid $ 700 billion, yet the electricity is only a few hours a day, drinking water is scarce, education and health systems are inadequate and unemployment remains high. Under the military "revolution" of August 31 actually leave things as they were before. The much touted start of the last "combat units" Italian American actually occurred. What you do in Italy when it becomes apparent that the blue cars are too many? It leaves unchanged the number (or increases) but you change the color of the cars. What you do in Italy when a public referendum decides to repeal the law which provides for a certain ministry? We leave that ministry in its place but the name is changed. And 'what exactly did the U.S. in Iraq because there are still eleven brigades armed to the teeth, seven Army National Guard two and two "combat aviation." The difference is that the U.S. Army brigades will not retain the name of the first (Infantry, Heavy or Stryker) but take the good-natured name brigades "Advise and Assist" while remaining unaltered. In total it is 50,000 soldiers, plus another 10,000 in neighboring Kuwait, ready for any eventuality. The future of the country of Mesopotamia is written in an agreement signed between U.S. and Iraqi governments, under which by December 31, 2011 the last American soldier leaves Iraq. Will be the case? Not exactly. From 1 January 2012 onwards (and no one knows how many more years, unless 12 December of that year does not happen very end of the world) the responsibilities that were once the Pentagon will be made by the U.S. State Department, that will oversee the training of Iraqi police. Military bases will be replaced by consular offices and the U.S. military will be replaced by private security companies. These warriors will run for Iraq aboard armored vehicles and helicopter gunships, but will respond (and this is the main novelty) but not Robert Gates to Hillary Clinton. Let's hope so.

Missione riuscita per Hillary Clinton

Mantenendo fede ad un suo vecchio impegno, il 31 agosto 2010 Barack Obama, in un discorso dallo studio ovale della Casa Bianca, ha dichiarato conclusa l’operazione “Iraqi Freedom”. Curiosamente, non ha pronunciato la parola “vittoria”, né poteva farlo, visto che il suo predecessore George W. Bush aveva già dichiarato “mission accomplished” il 1° maggio 2003, quando la missione non era ancora per nulla compiuta. E così “Iraqi Freedom” è passata alla storia per alcuni bizzarri primati: è stata la prima guerra dichiarata finita quando non lo era, la prima guerra-yogurt a tempo determinato e a scadenza prefissata, la prima guerra finita due volte e la prima guerra senza vincitori.

Cosa cambia in Iraq dal 1° settembre 2010? Niente, a parte una novità che vedremo alla fine. In politica interna non cambia nulla: il governo non c’era prima e non c’è adesso. Cinque mesi dopo le elezioni, le posizioni dei vari blocchi restano inconciliabili. Il blocco sciita moderato del premier Nuri Al-Maliki dispone di 89 seggi su un totale di 325, quasi altrettanti (91, ma non abbastanza) ne ha il blocco sunnita di Iyad Allawi ma i due avversari non solo si guardano in cagnesco, ma non si parlano neppure. E così Al-Maliki non sa con chi allearsi: il blocco curdo ha un numero di seggi insufficiente a formare una maggioranza e il partito sciita di Muqtada Al-Sadr disprezza quello di Al-Maliki.

Sul fronte dell’ordine pubblico non cambia alcunché, se non in peggio: gli attentati terroristici, che erano diminuiti del 90% rispetto al 2007, ora sono in costante aumento, favoriti anche dal disimpegno americano. A fine agosto un’ondata di attentati ha lasciato sul terreno una cinquantina di vittime. Dal punto di vista della qualità della vita i risultati sono controversi. E’ ben vero che il numero delle connessioni internet è aumentato negli ultimi sette anni da 4.500 a 1 milione e 600.000 e che i telefoni cellulari sono passati da ottantamila a 20 milioni, ma due milioni di irakeni hanno lasciato il paese e 150.000 hanno perso la vita, insieme a quasi 5.000 soldati della coalizione. I contribuenti americani hanno pagato 700 miliardi di dollari, eppure la corrente elettrica appare solo per poche ore al giorno, l’acqua potabile scarseggia, i sistemi scolastico e sanitario sono inadeguati e la disoccupazione resta altissima. Sotto il profilo militare la “rivoluzione” del 31 agosto in realtà lascia le cose come stavano prima. La tanto propagandata partenza dell’ultima “unità da combattimento” americana in realtà è avvenuta all’italiana. Cosa si fa in Italia quando risulta evidente che le auto blu sono troppe? Si lascia invariato il numero (o lo si aumenta) ma si cambia il colore delle macchine. Cosa si fa in Italia quando un referendum pubblico decide di abrogare la legge istitutiva di un certo ministero? Si lascia quel ministero al suo posto ma gli si cambia nome. E’ esattamente ciò che hanno fatto gli statunitensi, perché in Iraq rimangono ancora undici brigate armate fino ai denti, di cui sette dell’esercito, due della guardia nazionale e due di “combat aviation”. La differenza sta nel fatto che le brigate dell’US Army non manterranno il nome di prima (Infantry, Stryker o Heavy) ma assumeranno la bonaria denominazione di brigate “Advise and Assist” pur restando tali e quali. In totale si tratta di 50.000 soldati, più altri 10.000 nel vicino Kuwait, pronti ad ogni evenienza. Il futuro del paese mesopotamico sta scritto in un accordo firmato fra i governi USA e irakeno, in base al quale entro il 31 dicembre 2011 l’ultimo soldato americano lascerà l’Iraq. Sarà proprio così? Non esattamente. Dal 1° gennaio 2012 in avanti (e non si sa per quanti anni ancora, a meno che il 12 dicembre di quell’anno non accada davvero la fine del mondo) le responsabilità che prima erano del Pentagono saranno assunte dal Dipartimento di Stato USA, che sovrintenderà all’addestramento della polizia irakena. Le basi militari verranno sostituite da uffici consolari e i militari americani verranno rimpiazzati da compagnie private di sicurezza. Questi armigeri gireranno per l’Iraq a bordo di veicoli corazzati e di elicotteri armati, ma risponderanno (ed è questa la principale novità) non a Robert Gates bensì a Hillary Clinton. Speriamo bene.

sabato 11 settembre 2010

11 settembre 2001: per non dimenticare

Nove anni fa accadeva questa strage. Passeranno anni per ricordarcelo ancora. Quale sia stato la causa di questo brutto evento, a noi non ci sarà mai detto. Tutte coperture o false bugia hanno accompagnato questi video. Io ve li mostro come i Media ce li hanno trasmessi poichè non eravamo presenti. C'è da dire che anche i presenti non saprebbero come interpretare questo gesto, questo omicidio di massa, questo fatto religioso inconsiderabile, questa esplosione premeditata,... improntato sul male e sul dolore. C'è solo da sperare in un cambiamento globale di fratellanza e di speranza verso la pace.

giovedì 9 settembre 2010

La Lega non può che abiurare il decorso naturale della legislatura

Conoscendo la storia della Lega non sorprende poi tanto l'atteggiamento compulsivo del Bossi di questi giorni ed in ultimo l'ipotesi azzardata di sfiduciare il Cavaliere per ottenere il voto subito. Del resto è chiaro che l'unico attore politico a cui in questo momento conviene sopra ogni cosa il ricorso alle urne è proprio il Carroccio.

Si ripeterebbe infatti un risultato molto simile alle ultime amministrative e prima ancora alle elezioni europee, ovvero il registrarsi di uno sfondamento leghista sulla spinta del proprio elettorato fidelizzato che fa da contraltare alla diaspora del Pdl ed in genere ad un molto probabile crescere del tasso di astensionismo. D'altra parte, in queste condizioni, la Lega non può che abiurare il decorso naturale della legislatura giacché Fini, e lo ha fatto intendere abbastanza subdolamente a Mirabello con il giochino dell'uomo decisivo in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo, punterebbe innanzitutto a creare un polarizzazione Nord-Sud sulla riforma federalista per fare ottimizzare la rendita, anche mediatica, del suo nuovo soggetto politico ed insediarlo prevalentemente nel Mezzogiorno. La costruzione dell'utile politico di Fli su questo fronte comporterebbe come suo specchio e fattore il rallentamento e la rilettura costante dell'azione del Governo con continue richieste di modifiche e di condivisione, strumentale, della grande riforma federalista.

Il logoramento di questo progetto comporterebbe per il Caroccio una sorta di annichilimento perché, a differenza di altri partiti, il federalismo per la Lega non è soltanto un obiettivo ma il fondamento stesso della propria esistenza. Bossi dovrebbe spiegare al suo elettorato perché, dopo circa 10 anni di governo (e due diverse legislature), la riforma federalista non sia stata portata a definitivo compimento o comunque a compimento "annacquato"e a poco servirebbe dare la colpa a Fini in quanto i militanti padani, come tante volte dimostrato a Pontida, poco si appassionano alle speculazioni politiche-sistemiche e piuttosto danno retta alle recrudescenze ancestrali del territorio e della comunità del Nord. Per cui logico che nella testa di Bossi e di tutto lo stato maggiore leghista adesso ci sia il concetto tribale, ma efficace, del "voto o morte" ancora più comprensibile se si pensa che il tesoretto elettorale potrebbe anche essere reinvestito in un'OPA a Palazzo Chigi con un'ipotesi Tremonti che vedrebbe il definitivo soddisfacimento delle ambizioni leghiste di rivoltare come un calzino la nostra forma di Stato in senso autonomistico.

Come disinnescare allora questa terribile morsa che vede il Premier stretto tra Fini e Bossi, incudine e martello, nel paradossale scenario che vede l'alleato più fedele spingere per lo strappo traumatico delle elezioni subito e quello infedele attendere l'asfissia per logoramento? Per uscirne il Cavaliere, a dispetto delle strampalate operazioni di pallottoliere parlamentare, dovrebbe ancorare la legislatura a 2 grandi riforme: quella attuativa del federalismo ed il lodo Alfano costituzionale. A Bossi basterebbe spiegare che il compimento del federalismo sarà difeso ad obiettivo primario della legislatura anche a costo dello "show down", voto su voto con la pattuglia dei finiani e questi ultimi, d'altro canto, sarebbero inchiodati su 2 precisi "aut aut", contando che, dopo l'annuncio di Fini, dovrebbero per forza di cose convergere sullo scudo costituzionale al premier, senza ulteriori spazi tattici di manovra. Una legislatura per due riforme dunque, su cui brandire la questione di responsabilità nazionale e di conseguenza la fiducia al Governo. Se riesce a piantare queste 2 bandiere, il Cavaliere potrà dire con sicurezza di aver messo l'orma decisiva sul cammino di questa legislatura, del suo Governo e della sua storia politica.

mercoledì 8 settembre 2010

A livella di Totò


Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno l'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'è capitato n'avventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! Si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E 'ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato, dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'o' tubbo, 'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'o muorto puveriello... 'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente"

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo', obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé... - piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti'; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi, ca simmo eguale?
...Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'n'ato è tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

What is creativity?

Creativity is one of the salient features of human behavior is dictated by an intelligence not logical, most obvious in some individuals who are able to produce innovations and changes due to their ability to see new connections between thoughts and objects.

Creativity is marked by originality and legality: the former must be present in every artistic creation, while the second is essential to ensure that a work of art can be recognized as such by other individuals. In fact, users of an artistic product accept it or refuse it as such, influenced by social desirability of the product, the presence or absence of communication, and the distortion of the product.
The creation of an artistic creation will also respect the rules, thus avoiding that it is the result of arbitrariness.
The need to study non-measurable aspects of intelligence through logical reasoning, led Wertheimer to conduct initial research on creativity, around the 40s of last century. This student did the productive thinking, denoted by the ability to open new solutions outside of those notes, using several cognitive aspects.
He devised the original measurement scales to quantify what he called "mental capacity restructuring, not measurable through traditional intelligence tests.

Personality traits of the artist

Creativity seems positively influenced by the individual's ability to continually rearrange their lives, but it is hampered by traits of addiction, emotional blocks and neurosis. Many studies have attempted to sketch a profile of the creative personality, concluding that the artist, in broad outline, have the following characteristics:

- Curiosity

- Need order

- Need for achievement

- Authorities

- Independence

- Aggression

- Lack of inhibition

- Unconventional

- Versatility

- Self-discipline and great capacity for work

- Ability criticism, hardly satisfied

- Wide range of interests, which shall not include economic

- Introversion, just eager to social relations

- Intuition and ability to empathize with others' states of mind

- Description of himself as a creative and significant impact on other

Besides being characterized by particular personality traits, the artist has the knowledge and ability to apply techniques that allow you to enhance creativity.

S. Rams, a distinguished historian of medicine, has identified certain conditions that foster the creative process, they are:

- The ability to be alone that allows the individual to listen to their inner world by reducing exposure to conventional stimuli;

- The idle, the jobs do not pay attention to external facilitates the emergence of patterns that deviate from reality;

- Naivety, a term used to indicate the propensity to perceive common features hidden in seemingly different from each other;

- The excitement and discipline, the ability to submit to the rules to avoid arbitrariness.

well act in accordance with the right amount of creativity.

La creatività cos'è?

La creatività è uno dei tratti salienti del comportamento umano, è dettata da un’intelligenza non logica, più evidente in alcuni individui che sono in grado di produrre novità e cambiamenti grazie alla loro capacità di intuire nuove connessioni tra pensieri ed oggetti.

La creatività è contraddistinta dalle caratteristiche di originalità e legalità: la prima deve essere presente in ogni creazione artistica, mentre la seconda è indispensabile per far sì che un’opera d’arte possa essere riconosciuta come tale da altri individui. Infatti, i fruitori di un prodotto artistico lo accettano o lo rifiutano in quanto tale, influenzati dalla desiderabilità sociale del prodotto, dalla presenza o assenza della comunicazione, e dalla distorsione del prodotto stesso.

La realizzazione di una creazione artistica prevede anche il rispetto di regole, evitando in tal modo che essa sia frutto di arbitrarietà.
L’esigenza di studiare aspetti dell’intelligenza non misurabili attraverso il ragionamento logico, portò Wertheimer a condurre le prime ricerche sulla creatività, attorno agli anni ’40 del secolo scorso. Questo studioso si occupò del pensiero produttivo, denotato dalla capacità di aprire nuove soluzioni al di fuori di quelle note, utilizzando molti aspetti cognitivi.
Egli ideò delle scale di misurazione originali per quantificare quella che lui chiamò "capacità di ristrutturazione mentale", non misurabile attraverso i test di intelligenza classici.

Caratteristiche di personalità dell’artista

La creatività sembra influenzata positivamente dalla capacità individuale di riorganizzare continuamente la propria vita, mentre ne è ostacolata da tratti di dipendenza, blocchi emozionali e nevrosi. Molte ricerche hanno tentato di delineare un profilo di personalità creativa, giungendo alla conclusione secondo cui l’artista, a grandi linee, possiede le seguenti caratteristiche:

- curiosità

- bisogno d’ordine

- bisogno di successo

- autorità

- indipendenza

- aggressività

- scarsa inibizione

- non convenzionalità

- versatilità

- autodisciplina e grosse capacità di lavoro

- capacità critiche, difficilmente si ritiene soddisfatto

- ampia gamma di interessi, in cui non rientrano quelli economici

- introversione, poco desideroso di rapporti sociali

- intuizione e capacità di entrare in sintonia con gli altrui stati d’animo

- descrizione di sé come creativo ed un notevole impatto sugli altri

Oltre ad essere contraddistinto da particolari tratti di personalità, l’artista possiede la conoscenza e la capacità di applicare delle tecniche che permettono di potenziare la creatività.

S. Arieti, illustre storico della medicina, ha individuato alcune condizioni che favoriscono il processo creativo, esse sono:

- la capacità di stare solo che permette all’individuo di ascoltare il proprio mondo interno grazie alla riduzione dell’esposizione agli stimoli convenzionali;

- l’inattività, il non prestare attenzione a occupazioni esterne facilita l’emergere di fantasie che si discostano dalla realtà;

- l’ingenuità, termine usato per indicare la propensione ad intuire caratteristiche comuni nascoste tra cose apparentemente differenti tra loro;

- la vivacità e la disciplina, ovvero la capacità di sottomettersi a regole per rifuggire all’arbitrarietà.

Create create create!!!

Working as a librarian.

The book. An object often considered superfluous, not essential. Useless pages, which could only make us lose time, and while a growing number of clothing stores, libraries are becoming increasingly rare. Not to mention libraries, sometimes overlooked by those institutions which should ensure a smooth operation: replace the internet, they preserve a heritage unknown to new generations who are losing their taste, simple and unique at the same time, a book.
Yet "culture is personal adventure" since "begins just when the public education ends" (G. Prezzolini). If only we thought that every page you write is a fragment of life, we would realize the great value of a book: someone gives us the most precious part of himself, since the writer, if he does it with passion, expresses its soul . Even a "summary may be a work of art" because "history is a summary of events, the opera is a summary of feelings" (G. Prezzolini).

Young people, nowadays, reject the idea of spending part of their lives to study for, then find yourself ... how do librarians work in a library if you do not need a culture depth! But the librarian could be compared to the doctor because his task is to provide the necessary tools a person can heal their inner self.
The first library was founded, according to tradition, in the fifteenth century BC C. Thebes, went to the door the inscription "Here is the medicine of the soul."
History has known scholars, librarians, beginning with the greek poet Callimachus, who introduced the great library of Alexandria, built in the Hellenistic period, the Pinakes ("tables"), the oldest systematic catalog known. The same U.S. Melvil Dewey, inventor of the classification system used in most libraries around the world (CCD, Dewey Decimal Classification) was a librarian with immense knowledge.

"The participation and the development of democracy depend on satisfactory education as well as a free and unrestricted access to knowledge, thought, culture and information" and "the public library is an essential condition for ' lifelong learning, independent decision-making, cultural development of individuals and social groups, "says the UNESCO Public Library Manifesto, adopted in November 1994. Among the tasks recognized these public institutions (public, not because government, but because open to the public) is to encourage intercultural dialogue, as is the comparison that comes to the inner wealth. Great, then, are the responsibility of a librarian, an intermediary between users, which, as Alfred Serrai, "all have the right to cultivate and to advance intellectually, and resources available to them.

Each operates through its content, puts man in touch with eternity, as inherent in a past in which it was composed, a present, which is read, and a future, which will be broadcast.
Libraries, mute heirs of a historical memory of those who surround the effort, a time when even the press did not exist, what dell'amanuense considered a sacred work, since the possibility was considered sacred to transmit to posterity their mark in the world through writing. An exciting task, then, that the librarian, if we reflect on its core mission and its role in the education of a man.

Many, perhaps, yet not know that there is a "code of ethics of the librarian" who are required to comply members AIB (Italian Library Association) between the duties to be respected is to "honor the profession, with deep awareness of its social utility. "
So why the profession of librarian is not even considered by young graduates? Recall that "if we know the meaning of life, we open a book there, after all, in the darkest chapter, there is a sentence written especially for us" (Paul mentioned).

Fare il bibliotecario

Il libro. Un oggetto spesso ritenuto superfluo, non essenziale. Pagine inutili, che potrebbero solamente farci perdere tempo; e mentre cresce il numero dei negozi di abbigliamento, le librerie diventano sempre più rare. Per non parlare delle biblioteche, a volte trascurate dagli stessi enti che dovrebbero garantirne un buon funzionamento: sostituite da Internet, esse custodiscono un patrimonio sconosciuto alle nuove generazioni, che stanno perdendo il gusto, semplice ed unico allo stesso tempo, di sfogliare un libro.
Eppure «la cultura è un’avventura personale» poiché «incomincia proprio quando la pubblica istruzione finisce » (G. Prezzolini). Se solo pensassimo che ogni pagina scritta è un frammento di vita, ci renderemmo conto del grande valore di un libro: qualcuno ci dona la parte più preziosa di se stesso, dal momento che chi scrive, se lo fa con passione, esprime la propria anima. Persino un «sommario può essere un’opera d’arte» poiché «la storia è un sommario di eventi, la lirica è un sommario di sentimenti» (G. Prezzolini).

I giovani, oggidì, rifiutano l’idea di trascorrere parte della loro vita a studiare per, poi, ritrovarsi a fare i bibliotecari… come se lavorare in una biblioteca non necessitasse di una cultura approfondita! Eppure il bibliotecario potrebbe essere paragonato al medico, poiché suo compito è fornire gli strumenti necessari affinché un individuo possa curare la propria interiorità.
La prima biblioteca, fondata, secondo la tradizione, nel XV secolo a. C. a Tebe, recava sulla porta la scritta «Qui è la medicina dell’anima».
La storia ha conosciuto bibliotecari eruditi, a cominciare dal poeta greco Callimaco, che introdusse nella grande biblioteca di Alessandria, costruita in epoca ellenistica, le pìnakes («tavole»), il più antico catalogo sistematico conosciuto. Lo stesso statunitense Melvil Dewey, ideatore del sistema di classificazione più usato nelle biblioteche di tutto il mondo (la CCD, Classificazione decimale Dewey) era un bibliotecario dotato di immenso sapere.

« La partecipazione costruttiva e lo sviluppo della democrazia dipendono da un’istruzione soddisfacente, così come da un accesso libero e senza limitazioni alla conoscenza, al pensiero, alla cultura e all’informazione » e « la biblioteca pubblica costituisce una condizione essenziale per l’apprendimento permanente, l’indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali » recita il manifesto UNESCO sulle biblioteche pubbliche, approvato nel novembre del 1994. Tra i compiti riconosciuti a queste pubbliche istituzioni (pubbliche non perché statali, ma perché aperte all’uso pubblico) c’è quello di incoraggiare il dialogo interculturale, poiché è dal confronto che proviene la ricchezza interiore. Grandi sono, allora, le responsabilità di un bibliotecario, intermediario tra gli utenti, che, come afferma Alfredo Serrai, «hanno tutti il diritto di coltivarsi e di progredire intellettualmente», e le risorse messe a loro disposizione.

Ogni opera, tramite il suo contenuto, mette l’uomo in contatto con l’eternità, poiché racchiude in sé un passato, in cui è stata composta, un presente, in cui viene letta, ed un futuro, in cui verrà trasmessa.
Le biblioteche, mute eredi di una memoria storica, racchiudono la fatica di chi, un tempo, quando ancora la stampa non esisteva, considerava quello dell’amanuense un lavoro sacro, poiché sacra era ritenuta la possibilità di trasmettere ai posteri la propria impronta nel mondo attraverso la scrittura. Un lavoro appassionante, allora, quello del bibliotecario, se riflettiamo sui suoi compiti principali e sul suo ruolo nell’educazione di un uomo.

Molti, forse, ancora non sanno che esiste un “Codice deontologico del bibliotecario” a cui hanno l’obbligo di conformarsi i membri dell’AIB (Associazione italiana biblioteche): tra i doveri da rispettare c’è quello di «onorare la professione, con profonda consapevolezza della sua utilità sociale».
E allora perché la professione di bibliotecario non viene nemmeno presa in considerazione dai giovani laureati? Ricordiamo che «se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là, in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi » (P. Citati).

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