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venerdì 28 ottobre 2011

La lettera del governo italiano all'Europa

PREMESSA

L’Italia ha sempre onorato i propri impegni europei e intende continuare a farlo. Quest’estate il Parlamento italiano ha approvato manovre di stabilizzazione finanziaria con un effetto correttivo sui saldi di bilancio al 2014 pari a 60 miliardi di euro. Sono state così create le condizioni per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, con un anno di anticipo rispetto a quanto richiesto dalle istituzioni europee. Dal 2012, grazie all’aumentato avanzo primario, il nostro debito scenderà.

Tuttavia, siamo consapevoli della necessità di presentare un piano di riforme globale e coerente.

La situazione italiana va letta tenendo in debita considerazione gli equilibri più generali che coinvolgono l’intera area europea. Mesi di tensioni sui mercati finanziari e di aggressioni speculative contro i debiti sovrani sono, infatti, il segnale inequivocabile di una debolezza degli assetti istituzionali dell’area euro.

Per quel che riguarda l’Italia, consapevoli di avere un debito pubblico troppo alto e una crescita troppo contenuta, abbiamo seguito sin dall’inizio della crisi una politica attenta e rigorosa.

Dal 2008 ad oggi il nostro debito pubblico è cresciuto, in rapporto al Pil, meno di quello di altri importanti paesi europei. Inoltre, la disciplina da noi adottata ha portato a un bilancio primario in attivo. Situazione non comune ad altri Paesi.

Se problemi antichi, come quello del nostro debito pubblico, danno luogo oggi a ulteriori e gravi pericoli, ciò è soprattutto il segno che la causa va cercata non nella loro sola esistenza, ma nel nuovo contesto nel quale ci si è trovati a governarli.

A. I FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA

Il Governo italiano ha risanato i conti pubblici e conseguirà l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Il debito pubblico in rapporto al PIL è stato ricondotto su un sentiero di progressiva riduzione.

Nel 2014 avremo un avanzo di bilancio (corretto per il ciclo) pari allo 0,5% del PIL, un avanzo primario pari al 5,7% del PIL e un debito pubblico al 112,6% del PIL. Per realizzare questo obiettivo sono state approvate durante l’estate in tempi record due importanti manovre di finanza pubblica che comporteranno una correzione del deficit tendenziale nel quadriennio 2011-2014 pari rispettivamente a 0,2%, 1,7%, 3,3% e 3,5% del PIL. Nel 2011 si prevede un avanzo primario consistente pari allo 0,9% del PIL. Nonostante l’aumento delle spese per il servizio del debito, questo consentirà la riduzione del rapporto debito/PIL già nel 2012. I dati relativi ai primi otto mesi dell’anno in corso sono coerenti con questi obiettivi.

È doveroso segnalare che la nuova serie dei conti nazionali indica che nel 2010 il Pil italiano è cresciuto dell’1,5% e non dell’1,3% e, nei due anni della crisi, il Pil si è ridotto meno di quanto prima stimato (-1,2% invece di -1,3% nel 2008 e -5,1% invece di -5,2% nel 2009).

Come conseguenza della revisione contabile operata da Eurostat il rapporto deficit/Pil, che è stato confermato a 4,6% per il 2010, è praticamente allineato a quello della Germania, rivisto dal 3,3% al 4,3%. Si noti, inoltre, che l’Eurostat ha rettificato al rialzo anche i rapporti deficit/Pil della Francia (dal 7% al 7,1%), della Spagna (dal 9,2% al 9,3%), della Grecia (dal 10,5% al 10,6%) e del Portogallo (dal 9,1% al 9,8%).

In conclusione, nel 2010 l’Italia aveva, insieme alla Germania, il comportamento largamente più virtuoso in termini di indebitamento netto in rapporto al Pil.

B. CREARE CONDIZIONI STRUTTURALI FAVOREVOLI ALLA CRESCITA

Siamo ora impegnati nel creare le condizioni strutturali favorevoli alla crescita. Il Governo ritiene necessario intervenire sulla composizione del bilancio pubblico per renderla più favorevole alla crescita.

Con questo obiettivo il Governo intende operare su quattro direttrici nei prossimi 8 mesi:

- Entro 2 mesi, la rimozione di vincoli e restrizioni alla concorrenza e all’attività economica, così da consentire, in particolare nei servizi, livelli produttivi maggiori e costi e prezzi inferiori;

- Entro 4 mesi, la definizione di un contesto istituzionale, amministrativo e regolatorio che favorisca il dinamismo delle imprese;

- Entro 6 mesi, l’adozione di misure che favoriscano l’accumulazione di capitale fisico e di capitale umano e ne accrescano l’efficacia;

- Entro 8 mesi, il completamento delle riforme del mercato del lavoro, per superarne il dualismo e favorire una maggiore partecipazione.

Nei prossimi 4 mesi è, ad ogni modo, prioritario aggredire con decisione il dualismo Nord-Sud che storicamente caratterizza e penalizza l’economia italiana. Tale divario si estrinseca in un livello del Pil del Centro-Nord Italia che eguaglia il livello delle migliori realtà europee, e quello del Mezzogiorno, che è collocato in fondo alla graduatoria europea.

A riguardo, l’esecutivo è intenzionato a utilizzare pienamente i fondi strutturali, impegnandosi in una loro revisione globale, inclusi quelli per lo sviluppo delle infrastrutture, allo scopo di migliorarne l’utilizzo e ridefinirne le priorità in stretta collaborazione con la Commissione Europea. Tale revisione consentirà un’accelerazione, una riconsiderazione delle priorità dell’uso dei Fondi e una regia rafforzata, dove l’Italia è disposta a chiedere un sostegno tecnico alla commissione europea per la realizzazione di questo ambizioso obiettivo. Il programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno è definito in maniera evocativa “Eurosud” e nasce dalla convinzione che la crescita del Sud è la crescita dell’Italia intera.

Il Governo, quindi, definirà ed attuerà la revisione strategica dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013. Tale revisione risponde alle Raccomandazioni del Consiglio del 12 luglio 2011 sul Programma Nazionale di Riforma dell’Italia.

Esso si basa su una più forte concentrazione dei Programmi sugli investimenti maggiormente in grado di rilanciare la competitività e la crescita del Paese, segnatamente intervenendo sul potenziale non utilizzato nel Sud, e su un più stringente orientamento delle azioni ai risultati (istruzione, banda larga, ferrovie, nuova occupazione). Tale revisione potrà comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari.

Le risorse resesi disponibili a seguito di questa riduzione saranno programmate attraverso un percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il Commissario europeo competente e le regioni interessate basato su una cooperazione rafforzata con la Commissione europea attraverso un apposito gruppo di azione.

Tale piano d’azione sarà definito entro il 15 novembre 2011.

La creazione delle condizioni strutturali per la crescita dell’intero Paese passa inevitabilmente per la revisione delle politiche di:

a. promozione e valorizzazione del capitale umano;

b. efficientamento del mercato del lavoro;

c. apertura dei mercati in chiave concorrenziale;

d. sostegno all’imprenditorialità e all’innovazione;

e. semplificazione normativa e amministrativa;

f. modernizzazione della pubblica amministrazione;

g. efficientamento e snellimento dell’amministrazione della giustizia;

h. accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia;

i. riforma dell’architettura costituzionale dello Stato.

a. Promozione e valorizzazione del capitale umano

L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.

Si amplieranno autonomia e competizione tra Università. Si accrescerà la quota di finanziamento legata alle valutazioni avviate dall’ANVUR e si accresceranno i margini di manovra nella fissazione delle rette di iscrizione, con l’obbligo di destinare una parte rilevante dei maggiori fondi a beneficio degli studenti meno abbienti. Si avvierà anche uno schema nazionale di prestiti d’onore.

Da ultimo, tutti i provvedimenti attuativi della riforma universitaria saranno approvati entro il 31 dicembre 2011.

b. Efficientamento del mercato del lavoro

È prevista l’approvazione di misure addizionali concernenti il mercato del lavoro.

1. In particolare, il Governo si impegna ad approvare entro il 2011 interventi rivolti a favorire l'occupazione giovanile e femminile attraverso la promozione: a. di contratti di apprendistato contrastando le forme improprie di lavoro dei giovani; b. di rapporti di lavoro a tempo parziale e di contratti di inserimento delle donne nel mercato del lavoro; c. del credito di imposta in favore delle imprese che assumono nelle aree più svantaggiate.

2. Entro maggio 2012 l’esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro a. funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato; b. più stringenti condizioni nell'uso dei "contratti para-subordinati" dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato.

c. Apertura dei mercati in chiave concorrenziale

Entro il 1° marzo 2012 saranno rafforzati gli strumenti di intervento dell’Autorità per la Concorrenza per prevenire le incoerenze tra promozione della concorrenza e disposizioni di livello regionale o locale. Verrà generalizzata, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali in accordo con gli enti territoriali.

Le principali disposizioni contenute nella bozza di disegno di legge sulla concorrenza riguardano i settori della distribuzione dei carburanti e dell’assicurazione obbligatoria sui veicoli. Le misure relative al mercato assicurativo sono state definite all’interno di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che è già stata approvata dalla camera dei deputati ed è attualmente all’esame del senato. Le misure concernenti i mercati della distribuzione carburanti sono state integralmente inserite nel Decreto Legge n.98/2011 e pertanto sono già in vigore. Si è preferito adottare uno strumento legislativo quale il decreto che garantisce l’immediata efficacia degli interventi. nel medesimo decreto legge sono state inserite anche altre disposizioni di apertura dei mercati e liberalizzazioni, tra cui si ricorda in particolare la liberalizzazione in via sperimentale degli orari dei negozi. Nel frattempo, fra i primi in Europa, l’Italia ha aperto alla concorrenza il mercato della distribuzione del gas: sono stati adottati e saranno a breve pubblicati nella gazzetta ufficiale i regolamenti che disciplinano le gare per l’affidamento della distribuzione del gas in ambiti territoriali più ampi dei comuni.

Già con il Decreto Legge n.138/2011 sono state adottate incisive misure finalizzate alla liberalizzazione delle attività d’impresa e degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali. In particolare già si prevede che le tariffe costituiscano soltanto un riferimento per la pattuizione del compenso spettante al professionista, derogabile su accordo fra le parti. Il provvedimento sullo sviluppo conterrà recherà altre misure per rafforzare l’apertura degli ordini professionali e dei servizi pubblici locali.

Sempre in materia di ordini professionali, nella manovra di agosto, in tema di accesso alle professioni regolamentate, è stato previsto che gli ordinamenti professionali debbano garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Inoltre, già in sede di conversione della manovra di luglio (DL n. 98/2011) è stato previsto che il Governo, sentita l'Alta Commissione per la Formulazione di Proposte in materia di Liberalizzazione dei Servizi, elaborerà proposte per la liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche da presentare alle categorie interessate. Dopo 8 mesi dalla conversione del decreto legge, tali servizi si intenderanno liberalizzati, salvo quanto espressamente regolato.

Verranno rafforzati i presidi a tutela della concorrenza nel campo dei servizi pubblici locali, con l’introduzione a livello nazionale di sistemi di garanzia per la qualità dei servizi nei comparti idrico, dei rifiuti, dei trasporti, locali e nazionali e delle farmacie comunali, seguendo rispettivamente questa sequenza temporale 3 mesi, 6 mesi, 9 mesi e 12 mesi.

Per quanto riguarda la riforma dei servizi pubblici locali che il Governo italiano - riprendendo quanto già previsto dall’articolo 23 bis del DL 112/2008 - ha approvato nella manovra di agosto 2011 escludendo il settore idrico a seguito di un referendum popolare. Con le disposizioni che si intende varare si rafforza il processo di liberalizzazione e privatizzazione prevedendo che non è possibile attribuire diritti di esclusiva nelle ipotesi in cui l’ente locale affidante non proceda alla previa verifica della realizzabilità di un sistema di concorrenza nel mercato, ossia di un sistema completamente liberalizzato. Inoltre, viene previsto un ampliamento delle competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché un sistema di benchmarking al fine di assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni.

d. Sostegno all’imprenditorialità e all’innovazione

Entro il 2011, al fine di favorire la crescita delle imprese il Governo prevede di utilizzare la leva fiscale per agevolare la capitalizzazione delle aziende, con meccanismi di deducibilità del rendimento del capitale di rischio. Verranno potenziati gli schemi a partecipazione pubblica di venture capital e private equity, preservando la concorrenza nei relativi comparti.

Il Governo trasformerà le aree di crisi in aree di sviluppo, rendendo più semplice ed efficace la procedura per definire i programmi di rilancio, che potranno essere finanziati anche con risorse comunitarie.

Forte impegno dell’esecutivo verso le PMI, destinando loro il 50% delle risorse non utilizzate ogni anno del Fondo Rotativo per il Sostegno alle imprese e per gli investimenti in ricerca.

Questi interventi – insieme al Contratto di Sviluppo, già operativo – rientrano a pieno titolo nell’ambito del riordino generale degli incentivi contenuto nello Statuto delle Imprese, che diventerà legge nelle prossime settimane.

Per garantire la liquidità delle imprese si prevede un sistema di certificazione di debiti delle Pubbliche Amministrazioni locali nei confronti delle imprese stesse al fine di consentire lo sconto e successivo pagamento da parte delle banche, in conformità alle procedure di calcolo Eurostat e senza impatto addizionale sull’indebitamento della Pubblica Amministrazione.

e. Semplificazione normativa e amministrativa

Il Governo incentiva la costituzione di “zone a burocrazia zero” in tutto il territorio nazionale in via sperimentale per tutto il 2013, anche attraverso la creazione dell’U.L.G. – Ufficio Locale dei Governi quale autorità unica amministrativa che coinvolgerà i livelli locali di governo in passato esclusi.

Il Governo mira a semplificare la costituzione del bilancio delle S.r.l., la digitalizzazione del deposito dell’atto di trasferimento delle quote delle società e lo snellimento in materia di vigilanza delle società di capitali e degli organi di controllo.

I rapporti con la pubblica amministrazione diventeranno più snelli grazie alla completa sostituzione dei certificati con delle autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione resteranno valide solo nei rapporti tra privati.

I controlli sulle imprese si ispireranno a criteri di semplicità e proporzionalità, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni che possano recare intralcio al normale esercizio delle attività imprenditoriali.

Da ultimo, per quanto riguarda la semplificazione amministrativa verrà completata nei prossimi 6 mesi la strategia di revisione della regolamentazione settoriale, elaborando proposte puntuali di semplificazione dei procedimenti e monitorandone gli effetti. Verrà rafforzata e accelerata l’attuazione del programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi di tipo informativo previsti da leggi statali (MOA). Inoltre, ove la disciplina sia di fonte regionale e locale, verranno rafforzati ed estesi gli incentivi previsti dalla manovra estiva per i procedimenti amministrativi relativi all’avvio e alla svolgimento dell’attività d’impresa. L’obiettivo è quello di migliorare il posizionamento dell’Italia nella graduatoria internazionale relativa al Doing Business, nei prossimi 3 anni.

f. Modernizzazione della pubblica amministrazione

La pubblica amministrazione è un volano fondamentale della crescita. Stiamo creando le condizioni perché la pubblica amministrazione sia pronta ad accompagnare la ripresa, svolgendo una funzione di servizio allo sviluppo e non di zavorra burocratica. Ecco perché la semplificazione, la trasparenza e la meritocrazia sono fondamentali. Un tassello rilevante è costituito dalla piena attuazione della Riforma Brunetta della pubblica amministrazione, in particolar modo dalle misure che rafforzano il ruolo della Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (istituita nel dicembre del 2009) e le cui competenze saranno integrate con il disegno di legge in materia di anticorruzione, già approvato dal Senato, e attualmente all’esame della Camera dei Deputati. Esso rappresenta un passaggio importante per la completa implementazione della riforma della pubblica amministrazione in quanto individua una nuova governance per l’attività di prevenzione e contrasto della corruzione, affidando le funzioni alla Commissione e individuando con estrema puntualità le modalità di accrescimento del livello di trasparenza della pubblica amministrazione.

Per rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione tanto a livello centrale quanto a livello degli enti territoriali (oltre al vigente blocco del turnover del personale) renderemo effettivi con meccanismi cogenti/sanzionatori: a. la mobilità obbligatoria del personale; b. la messa a disposizione (Cassa Integrazione Guadagni) con conseguente riduzione salariale e del personale; c. il superamento delle dotazioni organiche.

Contestualmente all’entrata in vigore della legge costituzionale recante l’abolizione e la razionalizzazione delle province è prevista l’approvazione di una normativa transitoria per il trasferimento del relativo personale nei ruoli delle regioni e dei comuni.

g. Efficientamento e snellimento dell’amministrazione della giustizia

Proseguendo sulla linea delle misure definite in estate, verranno rafforzati il contrasto della litigiosità e la prevenzione del contenzioso (anche attraverso la costituzione presso il Ministero della Giustizia di un gruppo tecnico che individui situazioni a forte incidenza di litigiosità e proponga specifici interventi di contrasto). Entro il 30 aprile 2012 verrà completato il progetto in corso presso il Ministero della Giustizia per la creazione di una banca dati centralizzata per le statistiche civili e per quelle fallimentari. Verranno rafforzati i meccanismi incentivanti per gli uffici virtuosi di cui alla Legge n. 111 del 2011. L’obiettivo è quello della riduzione della durata delle controversie civili di almeno il 20 per cento in 3 anni.

h. Accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia

Oltre alla realizzazione degli investimenti già concordati con le società concessionarie, il Governo solleciterà una maggiore partecipazione degli investitori privati, definendo entro il 31 dicembre 2011 standard contrattuali tipo che facilitino il ricorso al project financing, con una più chiara ed efficiente allocazione dei rischi tra le parti e accrescendo le certezze sulla redditività dell’opera e la prevenzione di comportamenti di tipo monopolistico nella determinazione dei pedaggi. Verrà rafforzata la qualità della programmazione finanziaria pubblica, definendo obiettivi pluriennali di spesa e concentrando le risorse su progetti considerati strategici.

Il Governo è impegnato nella definizione nelle prossime 10 settimane di alcune opere immediatamente cantierabili, su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che potranno beneficiare, a titolo di contributo al finanziamento, della defiscalizzazione (IRAP, IRES) a vantaggio dei concessionari dell’opera stessa. Inoltre sono previste una serie di semplificazioni e velocizzazioni nelle procedure di approvazione dei progetti da parte del CIPE e la suddivisione degli appalti in lotti funzionali per garantire alle PMI un accesso facilitato.

Si prevede lo sblocco degli investimenti privati grazie alla semplificazione delle procedure relative ai contratti di programma dei maggiori aeroporti italiani. Infine, sono previste norme mirate all’ottimizzazione delle gestioni negli impianti portuali e di semplificazione in materia di trasporto eccezionale su gomma.

Da ultimo, è in corso di predisposizione una garanzia “reale” dello Stato (attraverso propri beni immobili, e non solo di natura finanziaria) per i mutui prima casa di giovani coppie, prive di contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questo garantirà un nuovo impulso al mercato immobiliare e alle nuove famiglie.

i. Riforma dell’architettura costituzionale dello Stato

Il Governo italiano è impegnato in un processo di complessiva riforma costituzionale. Essa riguarda tanto l’assetto costituzionale dei poteri, quanto la cornice normativa volta a promuovere le condizioni di sviluppo del mercato e una disciplina più rigorosa delle finanze pubbliche.

Pur nella complessità del processo di revisione costituzionale l’Italia intende giungere all’approvazione della prima lettura di tali disegni di legge costituzionale entro i prossimi 6/12 mesi.

In particolare, quanto alla riforma dello Stato, si tratta dei seguenti provvedimenti:

a. Disegno di legge (già approvato in prima lettura alla Camera) sulla modifica dell’elettorato attivo e passivo per l’elezione al Parlamento nazionale al fine di garantire una maggiore partecipazione giovanile alla vita politica.

b. Due disegni di legge (all’esame del Parlamento) di riforma complessiva dell’organizzazione dei vertici delle istituzioni politiche, con particolare riferimento alla riduzione significativa del numero dei parlamentari, all’abolizione delle province, alla riforma in senso federale dello Stato, alla maggiore efficienza dei meccanismi decisionali e al rafforzamento del ruolo dell’esecutivo e della maggioranza.

Sul secondo versante, relativo alla disciplina del mercato e al rigore della finanza pubblica, si prevede:

a. Un disegno di legge (la cui approvazione è in corso proprio in questi giorni presso la Camera dei deputati) di riforma degli articoli della costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della concorrenza, nonché alla riforma della pubblica amministrazione in funzione della valorizzazione dell’efficienza e del merito.

b. Un disegno di legge sull’introduzione del vincolo di pareggio di bilancio sul modello già seguito in altri ordinamenti europei.

A tal fine si deve ricordare che l’articolo 138 della Costituzione Italiana impone che le leggi costituzionali ad intervallo non minore di tre mesi. Quindi, anche con la massima celerità possibile, le riforme costituzionali richiedono dei tempi minimi imprescindibili.

Le conseguenti leggi attuative saranno successivamente attuate senza indugio, non essendovi vincoli temporali nell’ambito della Costituzione.

C. UNA FINANZA PUBBLICA SOSTENIBILE

Le pensioni

Nella attuale legislatura la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali choc negativi.

Grazie al meccanismo di aggancio dell'età pensionabile alla speranza di vita introdotto nel 2010 (art. 12 commi 12-bis e 12-ter, DL 78/2010, come modificato con art. 18 comma 4, DL 98/2011), il Governo italiano prevede che il requisito anagrafico per il pensionamento sarà pari ad almeno 67 anni per uomini e donne nel 2026.

Sono già stati rivisti i requisiti necessari per l’accesso al pensionamento di anzianità. Tali requisiti aumenteranno gradualmente fino ad arrivare a regime a partire dal 2013. Questi requisiti sono in ogni caso agganciati in aumento all’evoluzione della speranza di vita.

La delega fiscale e assistenziale previdenziale

Il provvedimento di iniziativa governativa è già all’esame del Parlamento e sarà approvato, entro il 31 gennaio 2012, quindi con tempi compatibili all’emanazione dei provvedimenti delegati entro il 2012. Comunque, anche al fine di accrescere la fiducia degli investitori, nel rispetto del percorso di risanamento programmato, il Governo ha fornito, con la Legge 148 del 14 settembre 2011, le risorse che saranno reperite con l’esercizio della delega per la riforma dei sistemi fiscale e assistenziale sulla base degli attuali regimi di favore fiscale e delle sovrapposizioni fra agevolazioni e conseguenti inefficienze ad oggi individuate. Tali risorse ammontano ad almeno 4 miliardi di euro nell’anno 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi di euro annui a decorrere dal 2014. Contestualmente, per dare massima garanzia sul rispetto dei saldi è stata introdotta una clausola di salvaguardia. La clausola prevede che, in caso di ritardo nell’attuazione della delega oltre il 30 settembre 2012, le agevolazioni fiscali vigenti saranno ridotte del 5% per l’anno 2012 e del 20% a decorrere dal 2013. In alternativa, anche parziale, si è stabilita la possibilità di disporre con decreto del Presidente del consiglio, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, la rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa.

In breve, qualora la delega non fosse esercitata entro il 30 settembre 2012 o le nuove disposizioni fiscali e assistenziali non siano in grado di garantire un sufficiente effetto positivo sul deficit (almeno 4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi a partire dal 2014), si avrà una riduzione automatica delle agevolazioni fiscali che garantirà comunque il raggiungimento degli obiettivi di risparmio. Viceversa, se la delega verrà esercitata entro il termine e le nuove disposizioni garantiranno effetti di risparmio almeno pari a quelli previsti, non si procederà dunque al taglio automatico delle agevolazioni.

Le dismissioni

Entro il 30 novembre 2011, il Governo definirà un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all’anno nel prossimo triennio. Previo accordo con la Conferenza Stato-Regioni, gli enti territoriali dovranno definire con la massima urgenza un programma di privatizzazione delle aziende da essi controllate. I proventi verranno utilizzati per ridurre il debito o realizzare progetti di investimento locali.

La razionalizzazione della spesa pubblica

Il Governo ribadisce l’impegno a definire entro il 31 dicembre 2011 il programma per la riorganizzazione della spesa previsto dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148, in particolare per quanto riguarda: l’integrazione operativa delle agenzie fiscali; la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato e degli enti della previdenza pubblica in modo da creare sinergie e ottimizzare l’uso delle risorse; il coordinamento delle attività delle forze dell’ordine; la razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria nel suo complesso in modo da accelerare i tempi della giustizia civile; e la riorganizzazione della rete consolare e diplomatica. Il Governo attuerà i primi interventi dal 1° gennaio 2012 e darà conto dei progressi realizzati con cadenza trimestrale.

Debito pubblico

Entro il 31 dicembre 2011, il governo affiderà l’elaborazione di un piano organico per l’abbattimento del debito attraverso anche le dismissioni ad una commissione ristretta di personalità di prestigio, in collaborazione con gli enti territoriali e con le principali istituzioni economiche e finanziarie nazionali ed internazionali.

Il costo degli apparati istituzionali

Il Governo riconosce la necessità di rafforzare gli interventi volti a ridurre i costi degli apparati istituzionali. In particolare, verrà perseguita entro il 2012, una razionalizzazione e soppressione delle provincie e la riallocazione delle funzioni delle Province alle Regioni o ai Comuni, in modo da assicurare un significativo snellimento dei relativi apparati burocratici e degli organi rappresentativi. Verrà rafforzato il regime di incompatibilità fra le cariche elettive ai diversi livelli di governo.

Il pareggio di bilancio

Il disegno di legge di riforma della Costituzione in materia di pareggio di bilancio è già all’esame della Camera dei Deputati. L’obiettivo è quello di una sua definitiva approvazione entro la metà del 2012.

Con le modifiche introdotte con la Legge n.39/2011 alla “Legge di contabilità e finanza pubblica (L. 196/2009) è stata rivista la normativa relativa alle coperture finanziarie delle leggi a vantaggio del rafforzamento della relativa disciplina fiscale. In particolare, per la copertura degli oneri correnti della legge di stabilità è stata circoscritta la possibilità di utilizzare il miglioramento del risparmio pubblico, escludendo la possibilità di finanziare con tali risorse nuove o maggiori spese correnti.

Definire le ulteriori misure correttive eventualmente necessarie

Il Governo monitorerà costantemente l’andamento dei conti pubblici. Qualora il deterioramento del ciclo economico dovesse portare a un peggioramento nei saldi il Governo interverrà prontamente. L’utilizzo del Fondo per esigenze indifferibili sarà vincolato all’accertamento, nel giugno del 2012, di andamenti dei conti pubblici coerenti con l’obiettivo per l’indebitamento netto del prossimo anno.

D. CONCLUSIONI

Siamo sicuri che, con l’impegno di tutti, scaturito dalla consapevolezza che ci troviamo a fronteggiare problemi che riguardano l’intera Unione e la tenuta stessa della moneta comune, dunque problemi non circoscrivibili a questa o quella debolezza o forza nazionali, consegneremo ai giovani un’Europa più forte e più coesa.

venerdì 21 ottobre 2011

Approfondimenti sul concetto di leadership e di coaching nella pubblica amministrazione

Con il termine leadership s’intende qualcosa di semplice, o apparentemente semplice, ovvero una relazione reciproca fra chi “guida” (il leader) e chi è guidato (il gruppo). Ma tale semplicità apparente ha generato non poche dispute in merito questa relazione si concreti.

Gli studi classici sulla leadership si concentravano innanzitutto sulla personalità dei grandi personaggi che venivano dipinti come figure in grado di soggiogare discepoli e seguaci. I modelli di questi personaggi e la descrizione delle loro qualità, trovano fa loro descrizione politico letteraria in opere come Il Principe (1513) di Niccolò Machiavelli e Gli eroi ed il culto degli eroi (1841) di Thomas Carlyle, dove coniuga la figura eroica in diverse situazioni che oggi definiremo di leadership: l’eroe come divinità (Odino), l’eroe come profeta (Maometto), l’eroe come poeta (Dante e Shakespeare), l’eroe come sacerdote (Lutero e Knox), l’eroe come scrittore (Johnson, Rousseau, Burns), l’eroe come sovrano (Cromwell, Napoleone, il moderno spirito rivoluzionario). Queste figure rientrerebbero in quel ideal-tipo definito da Max Weber leader carismatico.
La tipologia weberiana del potere metteva in luce in particolar modo l’effetto del carismatico in rapporto con le altre forme di potere quello tradizionale e quello razionale burocratico.
L’idea di un leader carismatico dominava ancora la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento: l’interpretazione psicologica di Le Bon, (1895) Tarde (1898) e Freud (1921) proponeva sostanzialmente una società “stordita” e apatica in attesa della voce di un leader in grado di gestire il suo destino. La differenza fra questi autori e i precedenti consiste che in costoro non vi è nessuna visione “eroica” e neppure positiva del leader. I capi appaiono come figure irrazionali e teatrali, folli e anche un po’ demoniaci. E’ evidente che su questi autori pesava il clima dell’epoca che avrebbe condotto l’Europa verso le grandi dittature.
Gli studi successivi, pur lasciando irrisolto il dibattito fra gli adoratori degli eroi e i demonizzatori, porranno l’attenzione più sulle dinamiche e sulle strutture che non sulla personalità. Cecil Gibb (1951) in proposito metteva l’accento sulla funzione interattiva della
personalità e la situazione sociale. In effetti studi successivi hanno dimostrato che i leader,
spesso, lungi da essere persone particolari, sono le persone più vicine alla media, ed è proprio la loro mediocrità ad attirare consensi. Gli studi successivi, in particolar modo
Fielder (1967), mettono in rilievo la correlazione tra contesto e leadership. Questi studi hanno conseguenze pragmatiche per il problema, infatti da un analisi del contesto è possibile favorire, con un adeguata educazione, leadership più democratiche.
Possiamo quindi dire che il concetto di leadership ha avuto un evoluzione che lo ha portato ad un’oscillazione fra i due doppi antipodi: quella più “eroica” a quella più demoniaca; a quella più centrata sul leader a quelle più sulla situazione.

Il coaching come strumento per creare Leadership
E’ opportuno pertanto concentrarsi su di una visione più pragmatica e vedere la leadership come si sviluppa in determinati contesti e quali caratteristiche siano necessarie al leader e a i componenti del gruppo che interagiscono con il leader. E’ in questo meccanismo d’interazione, che inseriamo la dimensione del coaching come strumento per creare leadership, efficaci, autoriflessive e democratiche.
Per prima cosa ci chiediamo in che tipo di leader ha bisogno la Pubblica Amministrazione?
(d’ora in poi PA) E , di conseguenza, che strategie educative e formative (coaching) si possono adottare per realizzarlo?
La PA rientra in un tipo di potere che Weber definisce “razionale”, per uffici.
Tale tipo di potere, o meglio tale tipo di organizzazione del potere, dovrebbe, proprio per definizione, escludere ogni forma di leadership carismatica. Competenze, obiettività, uffici sono le parole d’ordine dell’organizzazione burocratica. In tale dimensione il leader è un “tecnico” di procedure, sistemate le procedure tutto dovrebbe funzionare. Autori come Merton, (1949) Mannheim, (1952), Selznick, (1969) ci dicono però che ciò non è così scontato. La dimensione umana, sociale, rende più complessa la situazione. Altri autori poi, come Goffman, ci mettono maggiormente in guardia circa tutto l’aspetto “informale” che si attua in ogni organizzazione, e l’aspetto “strategico” in atto in ogni contesto d’interazione.
Pertanto, la leadership che si concreta in un “ufficio” è estremamente complessa: essa, infatti, incorre in una serie di “resistenze” al cambiamento e all’efficienza, molto sotterranee e, conseguentemente, difficili da individuare e superare.
Risulta necessaria,quindi, alla luce di ciò che è stato appena detto, una visione del leader più flessibile e operativa. Spunti utili di una nuova visione, si possono trovare nel pensiero di tre autori: Schon (1983), Weick, (1997), Schein (1987, 1990).
Iniziamo dall’ultimo: Edgar H. Shein docente del M.I.T., consulente d’impresa e autore di numerosi saggi quali Lezioni di consulenza, e La consulenza del processo.
Shein analizza quali sono le modalità in cui si può operare una consulenza; modalità e problemi che anche un capo può trovare nel suo lavoro. Vediamo di cosa si tratta: Shein prende in esame tre modalità d’intervento ed interazione del consulente.
Il modello dell’acquisizione di informazioni o competenze, il modello medico-paziente, la consulenza di processo.
Nella prima, la consulenza si traduce nel dare una risposta al cliente che chiede “ho questo
problema! Toglimi di mezzo questo problema”. La risposta è di carattere tecnico e informativo. Tale interazione presuppone che il cliente abbia effettuato in modo corretto la
diagnosi, ovvero che il problema indicato sia il vero problema. Inoltre, presuppone che il cliente abbia correttamente comunicato il problema.
Modello medico-paziente. In questo caso il cliente non sa cosa c’è che non va e chiede al consulente anche la diagnosi della situazione.
La consulenza di processo. Il cliente può partire da una situazione analoga alle precedenti, ma il consulente cambia il modo d’interagire. La differenza consiste proprio nel differente modo di relazionarsi con il cliente. Il criterio fondamentale che governa l’attività del consulente deriva dalla teoria dell’intervento, non dalla teoria della diagnosi. “La consulenza di processo è costituita da un insieme di attività, fornite dal consulente, che hanno Io scopo di aiutare il cliente a percepire, capire e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente”. (Shein, -1987- p. 32)
Il consulente agisce pertanto sul cliente e sulla situazione percepita e vissuta dal cliente.
Il punto che a noi interessa è in quali circostanze il “capo” deve comportarsi da esperto, da “dottore”, o da consulente di processo? Il capo incontra gli stessi problema del consulente, diagnosi inesatte e situazioni mal comunicate. Ma il capo, specie netta P.A., ha un problema in più. Certamente In molte situazioni ha il potere di imporre la sua diagnosi e la sua soluzione, ma non è detto che ciò che venga imposto dall’alto venga compreso o accettato. Nella P.A. la possibilità di vanificare le direttive sono piuttosto alte.
Quindi è opportuno che un capo sappia scegliere quale dei tre atteggiamenti adottare secondo le situazioni, tenendo presente che la consulenza di processo dà comunque una massima flessibilità d’intervento.
Certamente non è possibile analizzare in dettaglio la metodologia esposta dall’autore, è opportuno però fissare alcuni punti che possono essere utili all’interno di un discorso evolutivo sulla leadership.
La consulenza di processo si basa più sul “come” piuttosto che al cosa viene fatto.
Accento viene più posto sui processi comunicativi e interpersonali piuttosto che sulle procedure formali.
La metodologia di lavoro proposto da Shein viene riassunta dall’acronimo ORGI dove
O sta per osservazione della situazione.
R sta per reazione (emotiva) alla situazione.
G per giudizio (cognizione, valutazione, analisi) delta situazione.
I per intervento.

L’analisi di questo ciclo porta ad una continua riesamina di se stessi, le proprie emozioni, le proprie credenze e pregiudizi e le proprie capacità di cognizione. E’ una continua analisi della situazione e un’attenzione mirata alle esigenze degli altri.
Applicando questa modalità di consulenza alla leadership emerge una visione della stessa non direttiva (per usare un’espressione di Rogers), ma riflessiva e comunicativa.
Un’altra funzione che un leader può dare in un contesto organizzativo è quello detto di sensemaker. Il termine è usato da K. Weik e letteralmente vuol dire costruzione di significato. Il sensemaking studia come gli agenti costruiscono il individualmente e collettivamente il significato, perché lo fanno e con quali risultati. Questo tema prende corpo a partire da una teoria costruttivistica che considera la realtà un continuum che va mappato e articolato in categorie discrete per renderla significativa, ordinata e ripetibile. In questa visione il leader è colui che riesce a render significative le procedure burocratiche, a dotare di senso il lavoro e la procedura. In questa dimensione di ricerca di significati la parte etica-relazionale risulta fondamentale. Un etica della relazione e della comunicazione risultano fondamentali per creare significato e il creare significato risulta fondamentale come prevenzione della frustrazione e della disfunzione.
Donald A. Shon, nel suo Il Professionista riflessivo, elabora una nuova visione epistemologica nell’ambito delle pratiche professionali, intrappolate a suo dire in una razionalità tecnica che di fatto ignora molti elementi centrali delle pratiche professionali, perché le considera non tecniche. Shon pertanto analizza il professionista nel corso dell’azione, facendo risultare l’azione professionale molto simile all’azione sportiva: il continuo auto-correggersi che implica processi creativi, intuitivi, soprattutto in situazioni d’incertezza crea la dimensione riflessive della pratica professionale. L’autore analizza tale dimensione in diverse procedure professionali analizzandoli in criteri di super-visione.
In quest’ottica il leader è colui che ha maggior consapevolezza ed intuito della complessità nella quale va ad operare. Il leader propriamente qui diventa un super-visore, colui che è in grado di dare feed-back appropriati ai propri dipendenti. E’ colui che ha intuito e sa gestire le situazioni d’incertezza tecnica. Applicando tale approccio metodologico alla P.A., il leader è colui che è in grado di dare oltre che una super visione procedurale per “uffici” ai suoi dipendenti ed è anche in grado di gestire tutte quelle situazioni che la “razionalità” burocratica, per principio, non prevede.
Il leader come “consulente”, come creatore di senso, come super visore ci portano ad una visione di leadership molto diversa da come era stata dipinta all’inizio.
Dovendo ri-descriverla in senso rogersiano, possiamo dire che si tratta di uno spostamento da una visione del controllo e della direttività ad una legata autonomia e atta crescita del gruppo, basata sulla comunicazione e sulla capacità di analizzare situazioni e feed-back, piuttosto che sull’imposizione.
E’ in tale cambiamento di rotta verso un leader definibile, in qualche modo, etico-pedagogico che possiamo inserire il concetto di coaching.
Abbiamo già incontrato con Shon la dimensione sportiva dell’operare professionale; nel coaching, tale dimensione si concreta in maniera esplicita. Il termine propriamente significa allenare per aumentare la propria performance.
Ma cosa è esattamente il coaching? Primariamente è un’ azione formativa individuale di addestramento, training che un organizzazione rivolge ad un suo dipendente di alto profilo o manager di alto e medio profilo, dirigente. Gli approcci e le metodologie impiegate sono molteplici e provengono da varie discipline. Nella sua accezione originale il termine ha più valenza di training (addestramento) che di Bildung (formazione, crescita personale).
Oltre al termine è da chiarire il ruolo degli attori in un processo di coaching. Vi è infatti chi definisce coach il capo e counselor il consulente esterno, definendo il processo “coaching e counseling individuale”. In realtà non è possibile in letteratura operare una netta distinzione fra l’attività di coaching e quella di counselor . Per comodità possiamo definire l’azione del secondo come un supporto sull’individuo ed il rapporto con il suo contesto lavorativo in cui opera lavorativo; il primo invece è un intervento d’apprendimento, di training nel contesto organizzativo e professionale dove l’individuo lavora.
Ma l’azione di coaching non riguarda solo il coacher (allenatore) ed il coachee (l’allenato). Naturalmente il rapporto fra i due è privilegiato e fondamentale per la riuscita del training, ma bisogna propriamente considerare un rapporto a quattro: coacher, coachee, capo e organizzazione nel suo insieme.
Tale rapporto si configura come un rombo dove la dm è rappresentata dal rapporto coacher- coachee, la DM è rappresentata dal capo.
La dm rappresenta una maggior vicinanza che realizza il rapporto di sviluppo; la DM è un sostegno ai lati di sostentamento e approvazione. L’intero processo di crescita si basa comunque su delle qualità che devono essere condivise in tutta l’area del rombo: la capacità di ascoltare attivamente, di far riflettere, di saper rielaborare. Da tali qualità si possono fissare alcuni principi del coaching:
• La motivazione del coachee è fondamentale.
• La responsabilità della crescita e dello sviluppo sono del coachee
• L’organizzazione condivide gli obiettivi di sviluppo e di apprendimento e mantiene azione di supporto al processo;
• Coach e coachee lavorano sull’apprendimento, orientato ai risultati concordati con l’organizzazione;
• Il rapporto fra coache e coachee è basato sulla fiducia e rispetto reciproco, sulla libertà di espressione.
Tutte qualità che non sarebbero possibili da sviluppare senza un contesto di leadership precedentemente descritta.
E’ proprio su queste qualità che i due concetti s’intersecano in un processo virtuoso: il coaching diventa uno strumento per creare leadership riflessive, non direttive e funzionali. L’oggetto d’intervento del coaching è pertanto manager o futuri manager che in qualche modo sono destinati a diventare futuri coach dei propri collaboratori, diventando capaci di motivarli e valorizzarli. Dovendo fissare alcuni assunti generici dell’azione di coaching sul futuro leader, possiamo dire (seguendo il testo di Contesini, Frega, Rufini,Tomelleri, -2005-) che egli deve sviluppare:
• autopoiesi: ovvero la capacità dell’individuo di conservarsi e svilupparsi, tramite l’autosservazione, l’autodescrizione, l’autonarrazione, in un determinato contesto.
• Apprendimento non come semplice Know How, come semplice acquisizione d’informazioni, ma come capacità di apprendere dalla propria esperienza e di valorizzarla;
• progettualità, la progettualità è un elemento fondamentale per ogni forma di crescita (Dewey e la sua scuola)
• libertà-responsabilità del proprio processo di crescita
• riflessività capacità avere una buona conoscenza di sé delle proprie azioni, questo ci riporta al discorso di Shon
• significato capacità di creare significati condivisi, questo ci riporta al discorso di Weik.
Possiamo quindi dire che il concetto di coaching coniugandosi con quello di leadership abbia sempre più integrato meccanismi di vera e propria Bildung pedagogica, dove il saper essere tende ad avere il sopravvento o perlomeno s’integra sempre di più con il saper fare.


La dimensione etica.

La coniugazione fra coaching e leadership o meglio la formazione di funzionario che sia sempre più legato ad un saper essere che non ad un semplice saper fare di tipo tecnico e burocratico ci spinge a prendere in considerazione la sfera etica,, o meglio a prendere in considerazione il funzionario come dispensatore di soluzioni etiche.
La soluzione etica si presenta non solo come soluzione “buona” o “giusta” ovvero come soluzione morale, ma anche come soluzione più razionale e più efficiente. Nella dialettica hegeliana la moralità (Moralitat) è ancora legata ad una volontà soggettiva, di fatto impotente, è una dimensione ancora del dover essere, che ancora non è, non si scontra con altre volontà, è chiusa in se stessa. E’ manifestazione che tende al bene e al benessere di una volontà astratta e soggettiva che può anche essere cattiva, in quanto vincolata da un egoismo, non si concreta nell’universale. L’eticità, (Sittlichkeist) che per Hegel si realizza nelle istituzioni, incontra l’inter soggettività, si confronta con gli altri,
supera l’impotenza e lo scacco. Nell’eticità supera la separazione fra soggettività e bene che si presentava nella moralità perché opera nella dimensione sociale.
L’eticità è quindi in grado di superare le opposte istanze del diritto (Recht) e della moralità.
Portare il funzionario dalla dimensione soggettiva (della moralità) alla dimensione inter-soggettiva dell’eticità, vuoi dire portare il soggetto da una dimensione di chiusura ad una dimensione di confronto. L’approccio etico non è quindi la ricerca di una soluzione che sia “teoricamente” la più “buona”, ma vuoi dire portare il soggetto ad uno spazio di coscienza e consapevolezza più ampio. Hegel ci dice che la moralità si colloca nella dimensione personale, è interna; il diritto si presenta come dimensione esterna, e alle volte assume un aspetto di coercizione: è necessario un integrazione di queste due istanze. E’ necessario operare un confronto, una sintesi.
Entrando in concreto possiamo sostenere che è estremamente ingenuo pensare di poter gestire una Pubblica Amministrazione solo con dei regolamenti ovvero con la sfera oggettiva del diritto. Non solo perché è impossibile incasellare ogni situazione in una postilla, ma anche e soprattutto perché il diritto è l’elemento tecnico della PA, elemento tecnico che va gestito e compreso non può a sua volta essere incasellato in un ulteriore procedura, generando così una perversa coazione a ripetere totalmente incomprensibile dall’esterno, incomprensione che genera a sua volta sfiducia.
Il diritto può regolamentare una vicenda ma risulta qualcosa di esterno, non sentito; può disciplinare un conflitto, una controversia, ma non risolverlo pacificamente, può tutelare dei diritti o richiamare a dei doveri, ma non può far si che tali diritti o doveri siano sentiti da tutti.
La moralità vorrebbe una soluzione “buona”, quella cioè che s’ispira a dei principi, che però sono spesso di difficile attuazione perché astratti e soggettivi.
La soluzione etica va oltre il diritto e la morale, lavora sui soggetti facendoli uscire dalla loro soluzione “buona” ma egoistica, e dalla soluzione “equa” ma esterna e formale.
L’eticità riscrive le responsabilità all’interno delle istituzioni: l’eticità ci insegna a coniugare dei valori. I valori nascono dall’interazione sociale, dall’incontro con i soggetti, siano essi singoli che collettivi.
Questa coniugazione è estremamente importante per una PA proprio per la sua enorme dimensione di interazione sociale. Essa è un istituzione che ha al suo interno dei soggetti che interagiscono con compiti e mansioni, ma a sua volta s’incontra collettivamente (in quanto istituzione) o con soggetti singoli (i cittadini) o con altri soggetti collettivi (altre istituzioni) sempre comunque all’interno di un’altra istituzione che è lo stato.
Una PA efficiente quindi sarà una PA etica ovvero che sa prestare attenzione ai temi dell’etica sociale dove per etica sociale s’intende, principalmente, la gestione fra singoli ed istituzioni.
Questa attenzione può essere costruita in quel processo sopra descritto nella formazione (coaching) di leadership all’interno delle PA.
Questa attenzione si basa, come abbiamo visto, sulla dimensione valoriale, il punto è quindi quali valori imparare a coniugare.
I valori riguardano soprattutto l’etica della comunicazione: chiarezza e trasparenza, sia all’interno che all’esterno dell’istituzione.
Va ricordato che si tratta di valori da coniugare ovvero valori che si realizzano tramite l’interazione fra individui, grazie un continuo esercizio di ascolto e auto-ascolto e auto-apprendimento (vedere la lista citata) e non di principi astratti da applicare a forza; in tal
caso si rientrerebbe nella dimensione soggettiva e rigida della moralità. Tale coniugazione di valori deve presupporre una piccola rivoluzione nel linguaggio affinché la chiarezza nella comunicazione e trasparenza nelle procedure possano prendere forma.
Una leadership basata su di un coaching che sia nello stesso tempo addestramento e formazione intesa come costruzione di sé (Bildung) avrà quindi come scopo primario saper addolcire un linguaggio burocratico, spesso arido per andare verso un linguaggio, sempre più ricco di comunicazione e meno di gestione di procedure che all’esterno appaiono come oscuri ingranaggi kafkiani.
Naturalmente non è cosa facile poiché si tratterebbe di andar contro meccanismi consolidati, ma riteniamo che le attuali situazioni impongano dei cambiamenti, cambiamenti che presuppongono una maggior efficienza, efficienza inscindibile dalla sfera etica, efficienza che include un maggior benessere e sicurezza emotiva sia per chi lavori all’interno della PA, sia per chi interagisca con esse.
Naturalmente non bisogna pensare che la difficoltà risieda nel descrive una PA etica usando termini hegheliani peccando di astrattismo, al contrario, tali termini sono utili per comprendere e costruire un modo di agire. Se consultiamo il sito web dalla provincia di Venezia troviamo esempio concreto di etica pubblica e si leggono cose interessanti: “Si tratta quindi prima di tutto di definire regole chiare, procedure, valori minimi in cui tutti i cittadini possono riconoscersi, ma soprattutto di un processo che deve vedere istituzioni e cittadini in continuo dialogo, in cui ognuno senta responsabile davvero davanti agli altri. Parliamo insomma di etica pubblica” (il corsivo è nostro).
“Il coinvolgimento dei cittadini va anche riconquistato, ecco perché prima di tutto diventa fondamentale da parte dell’istituzione decidere di adottare un Codice di Condotta, un “codice d’onore” che trae fondamento dal Codice Europeo di Comportamento per gli eletti locali e regionali. Un codice che non ha valore giuridico ma che indica una serie di comportamenti che, indipendentemente dalle attività di controllo giudiziario o amministrativo, sono considerati connessi alla funzione di rappresentanza pubblica.” Il codice a cui si fa riferimento è Il Codice Europeo di buona condotta amministrativa, anche se quello che la PA di Venezia mette in rilievo non è tanto l’aspetto formale (il codice non è un codice giuridico): essa mira piuttosto a un comportamento, a un ethos, un abitudine, un modo di amministrare e di far politica da costruire. E’ nel comportamento che l’etica trova la sua realizzazione e precisamente nel comportamento razionale dove per razionale non s’intende la ragione strumentale, fredda e calcolatrice, ma la razio intesa come equilibrio di diverse istanze. Equilibrio che si trova sempre con il dialogo il confronto.
E’ il comportamento, che possiamo definire saggio, a soddisfare i principi (la morale), a rispettare le regole (il diritto), a creare un ambiente piacevole, a far funzionare l’apparato in modo utile ed efficiente.
L’esempio citato, pur nella sua brevità, pensiamo che sia un buon esempio di tentativo di coniugare un etica sociale o pubblica che dir si voglia.
Possiamo concludere auspicando sempre più una maggior apertura della dimensione filosofica nelle PA, sia nel suo aspetto formativo (come metodologie di coaching) che di consulenza, in quanto risorsa preziosa.

Grazie dell'attenzione nella lettura di questo approfondimento.




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The rise of the Virtual State

TERRITORY BECOMES PASSE

Amid the supposed clamor of contending cultures and civilizations, a new reality is emerging. The nation-state is becoming a tighter, more vigorous unit capable of sustaining the pressures of worldwide competition. Developed states are putting aside military, political, and territorial ambitions as they struggle not for cultural dominance but for a greater share of world output. Countries are not uniting as civilizations and girding for conflict with one another. instead, they are downsizing--in function if not in geographic form. Today and for the foreseeable future, the only international civilization worthy of the name is the governing economic culture of the world market. Despite the view of some contemporary observers, the forces of globalization have successfully resisted partition into cultural camps.

Yet the world's attention continues to be mistakenly focused on military and political struggles for territory. In beleaguered Bosnia, Serbian leaders sought to create an independent province with an allegiance to Belgrade. A few years ago Iraqi leader Saddam Hussein aimed to corner the world oil market through military aggression against Kuwait and, in all probability, Saudi Arabia; oil, a product of land, represented the supreme embodiment of his ambitions. In Kashmir, India and Pakistan are wing for territorial dominance over a population that neither may be fully able to control. Similar rivalries beset Rwanda and Burundi and the factions in Liberia.

These examples, however, look to the past. Less developed countries, still producing goods that are derived from land, continue to covet territory. In economies where capital, labor, and information are mobile and have risen to predominance, no land fetish remains. Developed countries would rather plumb the world market than acquire territory. The virtual state--a state that has downsized its territorially based production capability--is the logical consequence of this emancipation from the land.

In recent years the rise of the economic analogue of the virtual state--the virtual corporation--has been widely discussed. Firms have discovered the advantages of locating their production facilities wherever it is most profitable. Increasingly, this is not in the same location as corporate headquarters. Parts of a corporation are dispersed globally according to their specialties. But the more important development is the political one, the rise of the virtual state, the political counterpart of the virtual corporation.

The ascent of the trading state preceded that of the virtual state. After World War II, led by Japan and Germany, the most advanced nations shifted their efforts from controlling territory to augmenting their share of world trade. In that period, goods were more mobile than capital or labor, and selling abroad became the name of the game. As capital has become increasingly mobile, advanced nations have come to recognize that exporting is no longer the only means to economic growth; one can instead produce goods overseas for the foreign market.

As more production by domestic industries takes place abroad and land becomes less valuable than technology, knowledge, and direct investment, the function of the state is being further redefined. The state no longer commands resources as it did in mercantilist yesteryear; it negotiates with foreign and domestic capital and labor to lure them into its own economic sphere and stimulate its growth. A nation's economic strategy is now at least as important as its military strategy; its ambassadors have become foreign trade and investment representatives. Major foreign trade and investment deals command executive attention as political and military issues did two decades ago. The frantic two weeks in December 1994 when the White House outmaneuvered the French to secure for Raytheon Company a deal worth over $1 billion for the management of rainforests and air traffic in Brazil exemplifies the new international crisis.

Timeworn methods of augmenting national power and wealth are no longer effective. Like the headquarters of a virtual corporation, the virtual state determines overall strategy and invests in its people rather than amassing expensive production capacity. It contracts out other functions to states that specialize in or need them. Imperial Great Britain may have been the model for the nineteenth century, but Hong Kong will be the model for the 21st.

The virtual state is a country whose economy is reliant on mobile factors of production. Of course it houses virtual corporations and presides over foreign direct investment by its enterprises. But more than this, it encourages, stimulates, and to a degree even coordinates such activities. In formulating economic strategy, the virtual state recognizes that its own production does not have to take place at home; equally, it may play host to the capital and labor of other nations. Unlike imperial Germany, czarist Russia, and the United States of the Gilded Age--which aimed at nineteenth-century omnicompetence--it does not seek to combine or excel in all economic functions, from mining and agriculture to production and distribution. The virtual state specializes in modern technical and research services and derives its income not just from high-value manufacturing, but from product design, marketing, and financing. The rationale for its economy is efficiency attained through productive downsizing. Size no longer determines economic potential. Virtual nations hold the competitive key to greater wealth in the 21st century. They will likely supersede the continent-sized and self-sufficient units that prevailed in the past. Productive specialization will dominate internationally just as the reduced instruction set, or "RISC," computer chip has outmoded its more versatile but slower predecessors.

THE TRADING STATE

In the past, states were obsessed with land. The international system with its intermittent wars was founded on the assumption that land was the major factor in both production and power. States could improve their position by building empires or invading other nations to seize territory. To acquire land was a boon: a conquered province contained peasants and grain supplies, and its inhabitants rendered tribute to the new sovereign. Before the age of nationalism, a captured principality willingly obeyed its new ruler. Hence the Hapsburg monarchy, Spain, France, and Russia could become major powers through territorial expansion in Europe between the sixteenth and nineteenth centuries.

With the Industrial Revolution, however, capital and labor assumed new importance. Unlike land, they were mobile ingredients of productive strength. Great Britain innovated in discovering sophisticated uses for the new factors. Natural resources--especially coal, iron, and, later, oil--were still economically vital. Agricultural and mineral resources were critical to the development of the United States and other fledgling industrial nations like Australia, Canada, South Africa, and New Zealand in the nineteenth century. Not until late in the twentieth century did mobile factors of production become paramount.

By that time, land had declined in relative value and become harder for nations to hold. Colonial revolutions in the Third World since World War II have shown that nationalist mobilization of the population in developing societies impedes an imperialist or invader trying to extract resources. A nation may expend the effort to occupy new territory without gaining proportionate economic benefits.

In time, nationalist resistance and the shift in the basis of production should have an impact on the frequency of war. Land, which is fixed, can be physically captured, but labor, capital, and information are mobile and cannot be definitively seized; after an attack, these resources can slip away like quicksilver. Saddam Hussein ransacked the computers in downtown Kuwait City in August 1990 only to find that the cash in bank accounts had already been electronically transferred. Even though it had abandoned its territory, the Kuwaiti government could continue to spend billions of dollars to resist Hussein's conquest.

Today, for the wealthiest industrial countries such as Germany, the United States, and Japan, investment in land no longer pays the same dividends. Since mid-century, commodity prices have fallen nearly 40 percent relative to prices of manufactured goods.[1] The returns from the manufacturing trade greatly exceed those from agricultural exports. As a result, the terms of trade for many developing nations have been deteriorating, and in recent years the rise in prices of international services has outpaced that for manufactured products. Land prices have been steeply discounted.

Amid this decline, the 1970s and 1980s brought a new political prototype: the trading state. Rather than territorial expansion, the trading state held trade to be its fundamental purpose. This shift in national strategy was driven by the declining value of fixed productive assets. Smaller states--those for which, initially at any rate, a military-territorial strategy was not feasible--also adopted trade-oriented strategies. Along with small European and East Asian states, Japan and West Germany moved strongly in a trading direction after World War II.

Countries tend to imitate those that are most powerful. Many states followed in the wake of Great Britain in the nineteenth century; in recent decades, numerous states seeking to improve their lot in the world have emulated Japan. Under Mikhail Gorbachev in the 1980s, even the Soviet Union sought to move away from its emphasis on military spending and territorial expansion.

In recent years, however, a further stimulus has hastened this change. Faced with enhanced international competition in the late 1980s and early 1990s, corporations have opted for pervasive downsizing. They have trimmed the ratio of production workers to output, saving on costs. In some cases productivity increases resulted from pruning of the work force; in others output increased. These improvements have been highly effective; according to economist Stephen Roach in a 1994 paper published by the investment banking firm Morgan Stanley, they have nearly closed the widely noted productivity gap between services and manufacturing. The gap that remains is most likely due to measurement problems. The most efficient corporations are those that can maintain or increase output with a steady or declining amount of labor. Such corporations grew on a worldwide basis.

Meanwhile, corporations in Silicon Valley recognized that cost-cutting, productivity, and competitiveness could be enhanced still further by using the production lines of another company. The typical American plant at the time, such as Ford Motor Company's Willow Run factory in Michigan, was fully integrated, with headquarters, design offices, production workers, and factories located on substantial tracts of land. This comprehensive structure was expensive to maintain and operate, hence a firm that could employ someone else's production line could cut costs dramatically. Land and machines did not have to be bought, labor did not have to be hired, medical benefits did not have to be provided. These advantages could result from what are called economies of scope, with a firm turning out different products on the same production line or quality circle.

Or they might be the result of small, specialized firms' ability to perform exacting operations, such as the surface mounting of miniaturized components directly on circuit boards without the need for soldering or conventional wiring. In either case, the original equipment manufacturer would contract out its production to other firms. SCI Systems, Solectron, Merix, Flextronics, Smartflex, and Sanmina turn out products for Digital Equipment, Hewlett-Packard, and IBM. In addition, AT&T, Apple, IBM, Motorola, MCI, and Corning meet part of their production needs through other suppliers. TelePad, a company that makes pen-based computers, was launched with no manufacturing capability at all. Compaq's latest midrange computer is to be produced on another company's production line.

Thus was born the virtual corporation, an entity with research, development, design, marketing, financing, legal, and other headquarters functions, but few or no manufacturing facilities: a company with a head but no body. It represents the ultimate achievement of corporate downsizing, and the model is spreading rapidly from firm to firm. It is not surprising that the virtual corporation should catch on. "Concept" or "head" corporations can design new products for a range of different production facilities. Strategic alliances between firms, which increase specialization, are also very profitable. According to the October 2, 1995, Financial Times, firms that actively pursue strategic alliances are 50 percent more profitable than those that do not.

TOWARD THE VIRTUAL STATE

In a setting where the economic functions of the trading state have displaced the territorial functions of the expansionist nation, the newly pruned corporation has led to the emerging phenomenon of the virtual state. Downsizing has become an index of corporate efficiency and productivity gains. Now the national economy is also being downsized. Among the most efficient economies are those that possess limited production capacity. The archetype is Hong Kong, whose production facilities are now largely situated in southern China. This arrangement may change after 1997 with Hong Kong's reversion to the mainland, but it may not. It is just as probable that Hong Kong will continue to govern parts of the mainland economically as it is that Beijing will dictate to Hong Kong politically. The one country-two systems formula will likely prevail. In this context, it is important to remember that Britain governed Hong Kong politically and legally for 150 years, but it did not dictate its economics. Nor did this arrangement prevent Hong Kong Chinese from extending economic and quasi-political controls to areas outside their country.

The model of the virtual state suggests that political as well as economic strategy push toward a downsizing and relocation of production capabilities. The trend can be observed in Singapore as well. The successors of Lee Kuan Yew keep the country on a tight political rein but still depend economically on the inflow of foreign factors of production. Singapore's investment in China, Malaysia, and elsewhere is within others' jurisdictions. The virtual state is in this sense a negotiating entity. It depends as much or more on economic access abroad as it does on economic control at home. Despite its past reliance on domestic production, Korea no longer manufactures everything at home, and Japanese production (given the high yen) is now increasingly lodged abroad. In Europe, Switzerland is the leading virtual nation; as much as 98 percent of Nestle's production capacity, for instance, is located abroad. Holland now produces most of its goods outside its borders. England is also moving in tandem with the worldwide trend; according to the Belgian economic historian Paul Bairoch in 1994, Britain's foreign direct investment abroad was almost as large as America's. A remarkable 20 percent of the production of U.S. corporations now takes place outside the United States.

A reflection of how far these tendencies have gone is the growing portion of GDP consisting of high-value-added services, such as concept, design, consulting, and financial services. Services already constitute 70 percent of American GDP. Of the total, 63 percent are in the high-value category. Of course manufacturing matters, but it matters much less than it once did. As a proportion of foreign direct investment, service exports have grown strikingly in most highly industrialized economies. According to a 1994 World Bank report, Liberalizing International Transactions in Services, "The reorientation of [foreign direct investment] towards the services sector has occurred in almost all developed market economies, the principal exporters of services capital: in the most important among them, the share of the services sector is around 40 percent of the stock of outward FDI, and that share is rising."

Manufacturing, for these nations, will continue to decline in importance. If services productivity increases as much as it has in recent years, it will greatly strengthen U.S. competitiveness abroad. But it can no longer be assumed that services face no international competition. Efficient high-value services will be as important to a nation as the manufacturing of automobiles and electrical equipment once were.[2] Since 1959, services prices have increased more than three times as rapidly as industrial prices. This means that many nations will be able to prosper without major manufacturing capabilities.

Australia is an interesting example. Still reliant on the production of sheep and raw materials (both related to land), Australia has little or no industrial sector. Its largest export to the United States is meat for hamburgers. On the other hand, its service industries of media, finance, and telecommunications--represented most notably by the media magnate Rupert Murdoch are the envy of the world. Canada represents a similar amalgam of raw materials and powerful service industries in newspapers, broadcast media, and telecommunications.

As a result of these trends, the world may increasingly become divided into "head" and "body" nations, or nations representing some combination of those two functions. While Australia and Canada stress the headquarters or head functions, China will be the 21st-century model of a body nation. Although China does not innately or immediately know what to produce for the world market, it has found success in joint ventures with foreign corporations. China will be an attractive place to produce manufactured goods, but only because sophisticated enterprises from other countries design, market, and finance the products China makes. At present China cannot chart its own industrial future.

Neither can Russia. Focusing on the products of land, the Russians are still prisoners of territorial fetishism. Their commercial laws do not yet permit the delicate and sophisticated arrangements that ensure that "body" manufacturers deliver quality goods for their foreign "head." Russia's transportation network is also primitive. These, however, are temporary obstacles. In time Russia, with China and India, will serve as an important locus of the world's production plant.

THE VESTIGES OF SERFDOM

THE WORLD IS embarked on a progressive emancipation from land as a determinant of production and power. For the Third World, the past unchangeable strictures of comparative advantage can be overcome through the acquisition of a highly trained labor force. Africa and Latin America may not have to rely on the exporting of raw materials or agricultural products; through education, they can capitalize on an educated labor force, as India has in Bangalore and Ireland in Dublin. Investing in human capital can substitute for trying to foresee the vagaries of the commodities markets and avoid the constant threat of overproduction. Meanwhile, land continues to decline in value. Recent studies of 180 countries show that as population density rises, per capita GDP falls. In a new study, economist Deepak Lal notes that investment as well as growth is inversely related to land holdings.[3]

These findings are a dramatic reversal of past theories of power in international politics. In the 1930s the standard international relations textbook would have ranked the great powers in terms of key natural resources: oil, iron ore, coal, bauxite, copper, tungsten, and manganese. Analysts presumed that the state with the largest stock of raw materials and goods derived from land would prevail. CIA estimates during the Cold War were based on such conclusions. It turns out, however, that the most prosperous countries often have a negligible endowment of natural resources. For instance, Japan has shut down its coal industry and has no iron ore, bauxite, or oil. Except for most of its rice, it imports much of its food. Japan is richly endowed with human capital, however, and that makes all the difference.

The implications for the United States are equally striking. As capital, labor, and knowledge become more important than land in charting economic success, America can influence and possibly even reshape its pattern of comparative advantage. The "new trade theory," articulated clearly by the economist Paul Krugman, focuses on path dependence, the so-called QWERTY effect of past choices. The QWERTY keyboard was not the arrangement of letter-coded keys that produced the fastest typing, except perhaps for left-handers. But, as the VHS videotape format became the standard for video recording even though other formats were technically better, the QWERTY keyboard became the standard for the typewriter (and computer) industry, and everyone else had to adapt to it. Nations that invested from the start in production facilities for the 16-kilobyte computer memory chip also had great advantages down the line in 4- and 16-megabyte chips. Intervention at an early point in the chain of development can influence results later on, which suggests that the United States and other nations can and should deliberately alter their pattern of comparative advantage and choose their economic activity.

American college and graduate education, for example, has supported the decisive U.S. role in the international services industry in research and development, consulting, design, packaging, financing, and the marketing of new products. Mergers and acquisitions are American subspecialties that draw on the skills of financial analysts and attorneys. The American failure, rather, has been in the first 12 years of education. Unlike that of Germany and Japan (or even Taiwan, Korea, and Singapore), American elementary and secondary education falls well below the world standard.

Economics teaches that products should be valued according to their economic importance. For a long period, education was undervalued, socially and economically speaking, despite productivity studies by Edward Denison and others that showed its long-term importance to U.S. growth and innovation. Recent studies have underscored this importance. According to the World Bank, 64 percent of the world's wealth consists of human capital. But the social and economic valuation of kindergarten through 12th-grade education has still not appreciably increased. Educators, psychologists, and school boards debate how education should be structured, but Americans do not invest more money in it. Corporations have sought to upgrade the standards of teaching and learning in their regions, but localities and states have lagged behind, as has the federal government. Elementary and high school teachers should be rewarded as patient creators of high-value capital in the United States and elsewhere. In Switzerland, elementary school teachers are paid around $70,000 per year, about the salary of a starting lawyer at a New York firm. In international economic competition, human capital has turned out to be at least as important as other varieties of capital. In spite of their reduced functions, states liberated from the confines of their geography have been able, with appropriate education, to transform their industrial and economic futures.

THE REDUCED DANGER OF CONFLICT

As nations turn to the cultivation of human capital, what will a world of virtual states be like? Production for one company or country can now take place in many parts of the world. In the process of down-sizing, corporations and nation-states will have to get used to reliance on others. Virtual corporations need other corporations' production facilities. Virtual nations need other states' production capabilities. As a result, economic relations between states will come to resemble nerves connecting heads in one place to bodies somewhere else. Naturally, producer nations will be working quickly to become the brains behind emerging industries elsewhere. But in time, few nations will have within their borders all the components of a technically advanced economic existence.

To sever the connections between states would undermine the organic unit. States joined in this way are therefore less likely to engage in conflict. In the past, international norms underlying the balance of power, the Concert of Europe, or even rule by the British Raj helped specify appropriate courses of action for parties in dispute. The international economy also rested partially on normative agreement. Free trade, open domestic economies, and, more recently, freedom of movement for capital were normative notions. In addition to specifying conditions for borrowing, the International Monetary Fund is a norm-setting agency that inculcates market economics in nations not fully ready to accept their international obligations.

Like national commercial strategies, these norms have been largely abstracted from the practices of successful nations. In the nineteenth century many countries emulated Great Britain and its precepts. In the British pantheon of virtues, free trade was a norm that could be extended to other nations without self-defeat. Success for one nation did not undermine the prospects for others. But the acquisition of empire did cause congestion for other nations on the paths to industrialization and growth. Once imperial Britain had taken the lion's share, there was little left for others. The inability of all nations to live up to the norms Britain established fomented conflict between them.

In a similar vein, Japan's current trading strategy could be emulated by many other countries. Its pacific principles and dependence on world markets and raw materials supplies have engendered greater economic cooperation among other countries. At the same time, Japan's insistence on maintaining a quasi-closed domestic economy and a foreign trade surplus cannot be successfully imitated by everyone; if some achieve the desired result, others necessarily will not. In this respect, Japan's recent practices and norms stand athwart progress and emulation by other nations.

President Clinton rightly argues that the newly capitalist developmental states, such as Korea and Taiwan, have simply modeled themselves on restrictionist Japan. If this precedent were extended to China, the results would endanger the long-term stability of the world economic and financial system. Accordingly, new norms calling for greater openness in trade, finance, and the movement of factors of production will be necessary to stabilize the international system. Appropriate norms reinforce economic incentives to reduce conflict between differentiated international units.

DEFUSING THE POPULATION BOMB

So long as the international system of nation-states lasts, there will be conflict among its members. States see events from different perspectives, and competition and struggle between them are endemic. The question is how far conflicts will proceed. Within a domestic system, conflicts between individuals need not escalate to the use of physical force. Law and settlement procedures usually reduce outbreaks of hostility. In international relations, however, no sovereign, regnant authority can discipline feuding states. International law sets a standard, but it is not always obeyed. The great powers constitute the executive committee of nation-states and can intervene from time to time to set things right. But, as Bosnia shows, they often do not, and they virtually never intervene in the absence of shared norms and ideologies.

In these circumstances, the economic substructure of international relations becomes exceedingly important. That structure can either impel or retard conflicts between nation-states. When land is the major factor of production, the temptation to strike another nation is great. When the key elements of production are less tangible, the situation changes. The taking of real estate does not result in the acquisition of knowledge, and aggressors cannot seize the needed capital. Workers may flee from an invader. Wars of aggression and wars of punishment are losing their impact and justification.

Eventually, however, contend critics such as Paul Ehrlich, author of The Population Bomb, land will become important once again. Oil supplies will be depleted; the quantity of fertile land will decline; water will run dry. Population will rise relative to the supply of natural resources and food. This process, it is claimed, could return the world to the eighteenth and nineteenth centuries, with clashes over territory once again the engine of conflict. The natural resources on which the world currently relies may one day run out, but, as before, there will be substitutes. One sometimes forgets that in the 1840s whale oil, which was the most common fuel for lighting, became unavailable. The harnessing of global energy and the production of food does not depend on particular bits of fluid, soil, or rock. The question, rather, is how to release the energy contained in abundant matter.

But suppose the productive value of land does rise. Whether that rise would augur a return to territorial competition would depend on whether the value of land rises relative to financial capital, human capital, and information. Given the rapid technological development of recent years, the primacy of the latter seems more likely. Few perturbing trends have altered the historical tendency toward the growing intangibility of value in social and economic terms. In the 21st century it seems scarcely possible that this process would suddenly reverse itself, and land would yield a better return than knowledge.

Diminishing their command of real estate and productive assets, nations are downsizing, in functional if not in geographic terms. Small nations have attained peak efficiency and competitiveness, and even large nations have begun to think small. If durable access to assets elsewhere can be assured, the need to physically possess them diminishes. Norms are potent reinforcements of such arrangements. Free movement of capital and goods, substantial international and domestic investment, and high levels of technical education have been the recipe for success in the industrial world of the late twentieth century. Those who depended on others did better than those who depended only on themselves. Can the result be different in the future? Virtual states, corporate alliances, and essential trading relationships augur peaceful times. They may not solve domestic problems, but the economic bonds that link virtual and other nations will help ease security concerns.

THE CIVIC CRISIS

Though peaceful in its international implications, the rise of the virtual state portends a crisis for democratic politics. Western democracies have traditionally believed that political reform, extension of suffrage, and economic restructuring could solve their problems. In the 21st century none of these measures can fully succeed. Domestic political change does not suffice because it has insufficient jurisdiction to deal with global problems. The people in a particular state cannot determine international outcomes by holding an election. Economic restructuring in one state does not necessarily affect others. And the political state is growing smaller, not larger.

If ethnic movements are victorious in Canada, Mexico, and elsewhere, they will divide the state into smaller entities. Even the powers of existing states are becoming circumscribed. In the United States, if Congress has its way, the federal government will lose authority. In response to such changes, the market fills the vacuum, gaining power.

As states downsize, malaise among working people is bound to spread. Employment may fluctuate and generally decline. President Clinton observed last year that the American public has fallen into a funk. The economy may temporarily be prosperous, but there is no guarantee that favorable conditions will last. The flow of international factors of production--technology, capital, and labor--will swamp the stock of economic power at home. The state will become just one of many players in the international marketplace and will have to negotiate directly with foreign factors of production to solve domestic economic problems. Countries must induce foreign capital to enter their domain. To keep such investment, national economic authorities will need to maintain low inflation, rising productivity, a strong currency, and a flexible and trained labor force. These demands will sometimes conflict with domestic interests that want more government spending, larger budget deficits, and more benefits. That conflict will result in continued domestic insecurity over jobs, welfare, and medical care. Unlike the remedies applied in the insulated and partly closed economies of the past, purely domestic policies can no longer solve these problems.

THE NECESSITY OF INTERNATIONALIZATION

The state can compensate for its deficient jurisdiction by seeking to influence economic factors abroad. The domestic state therefore must not only become a negotiating state but must also be internationalized. This is a lesson already learned in Europe, and well on the way to codification in East Asia. Among the world's major economies and polities, only the United States remains, despite its potent economic sector, essentially introverted politically and culturally. Compared with their counterparts in other nations, citizens born in the United States know fewer foreign languages, understand less about foreign cultures, and live abroad reluctantly, if at all. In recent years, many English industrial workers who could not find jobs migrated to Germany, learning the language to work there. They had few American imitators.

The virtual state is an agile entity operating in twin jurisdictions: abroad and at home. It is as prepared to mine gains overseas as in the domestic economy. But in large countries, internationalization operates differentially. Political and economic decision-makers have begun to recast their horizons, but middle managers and workers lag behind. They expect too much and give and learn too little. That is why the dawn of the virtual state must also be the sunrise of international education and training. The virtual state cannot satisfy all its citizens. The possibility of commanding economic power in the sense of effective state control has greatly declined. Displaced workers and businesspeople must be willing to look abroad for opportunities. In the United States, they can do this only if American education prepares the way.

Foreign Affairs, Jul/Aug96, Vol. 75 Issue 4, p45, 17p, 1bw.

1 See, for example, Enzo R. Grilli and Maw Cheng Yang, "Primary Commodity Prices, Manufactured Goods Prices, and the Terms of Trade of Developing Countries: What the Long Run Shows," The World Bank Economic Review, 1988, Vol. 2, No. 1, pp. 1-47.

2 See Jose Ripoll, "The Future of Trade in International Services," Center for International Relations Working Paper, UCLA, January 1996.

3 Daniel Garstka, "Land and Economic Prowess" (unpublished mimeograph), UCLA, 1995; Deepak Lal, "Factor Endowments, Culture and Politics: On Economic Performance in the Long Run" (unpublished mimeograph), UCLA, 1996.

4 Augusto Valeriani, "Twitter Factor" Edizioni Laterza, 2011;

5 Guerra e Mass Media , De Angelis, Enrico, Carocci 2007;

6 The CNN Effect. The Myth of news, foreign policy and intervention, Robinson, P., Routledge, 2002;

7 Media e guerra. Visioni Postmoderne , Hammond, P. a cura di Valeriani, A. Odoya 2008;

8 Campus, Donatella (2008), Comunicazione politica: Le nuove frontiere. Roma, Bari: Laterza.

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By Richard Rosecrance

RICHARD ROSECRANCE is Professor of Political Science and Director of the Center for International Relations at the University of California, Los Angeles.

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