Bisogna fin da ora premettere che il contributo è limitato alle ipotesi in cui l’impossibilità della prestazione sia temporalmente rilevante. Infatti, qualora detta temporaneità sia non rilevante, ex art. 1256 e 1453 c.c., la conseguenza sarebbe verosimilmente quella della conservazione del posto di lavoro ma della sospensione dell’obbligo retributivo.
• Cause di impossibilità temporanea dell’attività lavorativa
Le cause di sospensione dell’attività lavorativa, qualora siano dovute a fattori esterni, si concretano giuridicamente in un’impossibilità temporanea di eseguire la prestazione da parte del lavoratore.
Occorre ipotizzare alcune fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa, a seconda che:
A) l’impossibilità temporanea non sia imputabile (o viceversa sia imputabile) alle parti.
B) che l’impossibilità sia connessa, o meno, a situazioni riferibili al lavoratore.
Un esempio calzante di impossibilità temporanea non imputabile alle parti è, di questi tempi, quello della sospensione dell’attività lavorativa a causa di un evento esterno alla stregua di un evento pandemico, come quello del COVID19. In tali casi, infatti, per fini generali di salute pubblica, l’autorità può disporre la chiusura/sospensione dell’attività di impresa.
Un ipotesi di impossibilità temporanea non imputabile alle parti, connessa ad una situazione riferibile al lavoratore, potrebbe essere quello del soggetto sottoposto a misura di restrizione della libertà, da cui consegue un’impossibilità di prestare l’attività lavorativa.
L’impossibilità del lavoratore potrebbe anche essere non totale, ma parziale, concretandosi in un’inidoneità temporanea. Si pensi al lavoratore che, per lo svolgimento di determinate mansioni, debba avere un determinato titolo o una determinata qualifica, e tale titolo e/o qualifica venga poi meno.
Passando ad analizzare le ipotesi di impossibilità temporanea imputabile al datore, un esempio potrebbe essere quello della sospensione dell’attività lavorativa su ordine dell’autorità per motivi di sicurezza o ordine pubblico. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ordinanza del prefetto ai sensi dell’articolo 100 del TULPS (REGIO DECRETO 18 giugno 1931, n. 773 )L'articolo 100 del TULPS stabilisce che il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume
• Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa non imputabile e nessuna delle due parti contrattuali
Occorre premettere, solitamente, che in tali casi, come l’esperienza ci insegna, il legislatore predispone degli ammortizzatori sociali “ad hoc” per evitare la sospensione dell’attività lavorativa, e/o il suo scioglimento. Si pensi alla Cassa integrazione predisposta all’uopo per l’emergenza pandemica del coronavirus (l’art 19 del D.L. 18/2020 conv. In L. 27/2020 e confermato, salvo piccole modifiche, con D.L. 34/2020 e con D.L. 52/2020). Nel caso in cui manchino interventi mirati, si potrebbe ricorrere, qualora ne sussistano i presupposti (applicativi, oggettivi e temporali), all’’istituto della cassa integrazione “a regime”, ovvero quella di cui all’art. 10 ss. del D.lgs. 148/2015.
Qualora, tuttavia, manchino i presupposti per l’utilizzo di tale ammortizzatore sociale, si dovrà fare riferimento alle norme specifiche dettate in materia di rapporto di lavoro, e, qualora si rivelino insufficienti con riferimento all’inquadramento della fattispecie concreta, alle regole generali in materia di adempimento delle obbligazioni ed in materia contrattuale.
In tali casi, quindi, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, concretandosi l’ipotesi dell’impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione, (qualora non si abbia più interesse a conseguirla) in un’ipotesi riconducibile al dettato di cui all’articolo 5 della legge n. 604/66, che parla di “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.”
Qualora l’interprete non ritenga di sussumere l’ipotesi in esame nell’ambito di tale norma, si dovrà fare riferimento, come detto, alle regole in materia di obbligazioni e contratti.
A mente dell’articolo 1453 c.c. e dell’articolo 1256 c.c., quindi, la prestazione si estinguerà ed il rapporto contrattuale si risolverà per impossibilità sopravvenuta della prestazione anche qualora la stessa sia temporanea ma il creditore non abbia più interesse a conseguirla in ragione del titolo della prestazione o della natura dell’oggetto.
Giova ribadire che detta temporaneità deve essere temporalmente rilevante per giustificare il licenziamento o la risoluzione del contratto di lavoro, fino al punto da giustificare un recesso per mancanza di interesse del creditore. Qualora l’impossibilità temporanea sia non temporalmente rilevante, giova ribadirlo, essa semplicemente libera i contraenti (art 1256 c.c.) ma non giustifica la risoluzione del rapporto (art. 1453 c.c.).
Prima di procedere al licenziamento per G.M.O., il datore è tenuto, come statuito dalla giurisprudenza[1], ad un obbligo di c.d. “repechage”, ovverosia ad un obbligo di adibire il lavoratore a mansioni differenti prima di procedere al licenziamento per G.M.O.
• Impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa – connesse a situazioni particolari del lavoratore – per causa non imputabile nessuna delle parti
Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione, ricollegabile a vicende personali del lavoratore, qualora tale impossibilità non sia imputabile a nessuna delle parti, (un esempio concreto potrebbe essere un provvedimento restrittivo della libertà personale del lavoratore) sembra esularsi dall’ambito applicativo della CIGO, così come definito dall’ art. 11 del D.Lgs 148/2015. L’uso della CIGO, infatti, si riferisce a fattispecie connesse ad eventi della vita aziendale, non oggettivamente evitabili, e non ad eventi ricollegabili alla persona del singolo lavoratore.
In tali casi, alla luce della ricostruzione sopra fatta, la fattispecie sembra rientrare nell’ambito applicativo del licenziamento per g.m.o. o comunquesia, come detto, alla risoluzione del rapporto di lavoro in base alle ordinarie regole contrattuali ex art 1453 c.c. e 1256 c.c.).
Nel caso sopra illustrato, non sembra sussistere, in capo al datore, un obbligo di “repechage” e di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, posto che l’impossibilità temporanea, qualora sia assoluta, per definizione preclude in radice la possibilità di un reimpiego.
Discorso diverso deve farsi qualora l’impossibilità sia parziale, ancorché temporanea. In tali casi vi è una perdita dei requisiti in relazione alla mansione assegnata (c.d. inidoneità) e non una perdita tout cour della capacità lavorativa, ancorché temporanea.
Un esempio concreto di inidoneità temporanea alla mansione – che non si risolva in un’ipotesi di malattia – sembra alquanto difficile, ma la realtà, sovente, supera l’immaginazione.
Tuttavia qualora la perdita temporanea di tali requisiti coincida con un’ipotesi di malattia, restano ferme le norme dettate per tale specifica ipotesi, (prima tra tutte il periodo di comporto, art. 2110 c.c.).
• Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa imputabile al datore di lavoro
In caso di impossibilità sopravvenuta temporanea imputabile al datore, facendo riferimento alle regole generali, ai sensi dell’articolo 1463 c.c. e 1218 c.c., la parte datoriale non è legittimata a risolvere il contratto, ed il debitore che non esegue correttamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno (nelle sue due forme di danno emergente e lucro cessante, ai sensi degli articoli 1223 c.c.).
Detto ciò, il datore deve garantire, quindi la retribuzione al dipendente (che si identifica con il lucro cessante) nonché il maggior danno dimostrabile dal lavoratore.
Detta ricostruzione, del resto, è coerente con l’oggetto e con il sinallagma del contratto di lavoro subordinato, il quale comporta che il lavoratore, con la stipula del contratto, mette a disposizione il proprio tempo e la propria professionalità, mentre il datore di lavoro che deve garantire la retribuzione per tale impegno al lavoratore. Da ciò ne consegue che se non c’è lavoro, per causa imputabile al datore, lo stesso sia comunque tenuto a remunerare l’impegno preso dal prestatore.
In tali casi, inoltre, non è possibile ricorrere all’istituto della cassa integrazione, dato che l’imputabilità al datore della impossibilità temporanea esclude l’accesso a tali misure (art.11 D.Lgs 148/2015).
Qualora l’impossibilità sopravvenuta temporanea sia imputabile al datore di lavoro, quest’ultimo deve garantire la retribuzione del dipendente, nonché risarcire l’eventuale danno causato al lavoratore, ove ne sussistano i presupposti.
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