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giovedì 9 maggio 2024

"Aprire" un'impresa da zero

Aprire un’impresa da zero è un passo coraggioso e stimolante. Ecco alcuni passaggi fondamentali per avviare con successo la tua attività imprenditoriale:

Avere un’idea valida: L’idea è il fulcro di ogni progetto imprenditoriale. Trova un’idea di business che risolva un problema o soddisfi un bisogno specifico. Valida l’idea analizzando se c’è interesse da parte delle persone e se il tuo prodotto o servizio è la soluzione migliore.

Pianificare l’avvio dell’azienda:

Crea un Business Plan: Questo documento contiene le informazioni chiave sulla tua azienda, come il modello di business, l’analisi dei competitor, il piano finanziario e altro.

Forma il tuo team: Trova co-founder e i primi dipendenti.

Scegli una sede (opzionale).

Definisci una strategia di acquisizione clienti.

Crea un piano di marketing per promuovere la tua impresa.

Dove posso trovare finanziamenti per la mia impresa?

I finanziamenti agevolati sono risorse finanziarie con condizioni particolarmente favorevoli rispetto ai prestiti standard offerti dal mercato. Questi finanziamenti possono essere destinati sia a privati che aspirano a diventare imprenditori, sia alle imprese per agevolare l’avvio di una nuova attività o migliorare un’impresa già avviata. Di seguito, ti elenco alcune opzioni disponibili in Italia:

ON Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero: Questo programma combina un contributo a fondo perduto con un finanziamento a tasso zero. È rivolto alle micro e piccole imprese, soprattutto a quelle composte da giovani o donne1.

Resto al Sud: Un’iniziativa per sostenere lo sviluppo delle imprese nel Mezzogiorno d’Italia. Offre finanziamenti agevolati per avviare nuove attività o espandere quelle esistenti.

Finanziamenti Agevolati PMI Sud: Riservato alle piccole e medie imprese del Sud Italia, questo programma offre agevolazioni finanziarie per migliorare la competitività e la sostenibilità delle imprese.

Smart e Start: Un’iniziativa per promuovere l’innovazione e la ricerca e sviluppo nelle imprese. Offre finanziamenti e agevolazioni per progetti tecnologici e innovativi.

Fondo Impresa Donna: Rivolto alle imprese femminili, questo fondo offre sostegno finanziario per avviare o sviluppare un’attività.

Beni Strumentali Nuova Sabatini: Agevolazioni per l’acquisto di beni strumentali, come macchinari e attrezzature, a tasso agevolato.

Fondo per le Piccole e Medie Imprese Creative: Sostiene le PMI operanti nei settori culturali e creativi.

Fondo di Garanzia PMI: Garantisce prestiti bancari alle PMI, riducendo il rischio per le banche.

Fondo Trasferimento Tecnologico: Agevolazioni per progetti di trasferimento tecnologico e innovazione.

Agevolazioni PMI Vittime Mancati Pagamenti: Per le imprese che hanno subito mancati pagamenti da parte di clienti.

Incentivi Imprese Economia Sociale: Agevolazioni per le imprese sociali e cooperative.

Requisiti minimi per aprire un'impresa:

Iscriviti al Registro delle Imprese e comunica gli atti alla Camera di Commercio.

Invia la dichiarazione di Inizio Attività al comune tramite la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività).

Tipologie di società: Scegli la forma giuridica più adatta per la tua impresa (ad esempio, srl, spa, snc, etc.).

Iter burocratico: Affronta la burocrazia seguendo le procedure necessarie per la tua attività.

Quanto costa aprire un’attività?

I costi variano a seconda del tipo di impresa, la sua dimensione e la tua posizione geografica. Prepara un budget realistico per coprire spese come registrazione, affitto, personale, marketing e altro.

Ricorda che: 

Le sfide per i nuovi imprenditori possono variare a seconda del settore e della situazione specifica, ma alcune difficoltà comuni includono:

Mancanza di esperienza: Avviare un’impresa richiede competenze in diverse aree come gestione, marketing, finanza e risorse umane. I nuovi imprenditori potrebbero non avere esperienza in tutti questi campi.

Accesso al capitale: Ottenere finanziamenti per avviare o far crescere un’impresa può essere difficile. La mancanza di risorse finanziarie può rallentare il processo di avvio.

Concorrenza: In ogni settore ci sono altre aziende che offrono prodotti o servizi simili. Essere competitivi richiede strategie di marketing e differenziazione efficaci.

Gestione del tempo: Gli imprenditori spesso devono fare molte cose contemporaneamente. La gestione del tempo è cruciale per bilanciare le attività quotidiane e la pianificazione a lungo termine.

Adattamento al cambiamento: L’ambiente imprenditoriale è dinamico e mutevole. Gli imprenditori devono essere flessibili e pronti a modificare le strategie quando necessario.

Solitudine: Avviare un’impresa può essere solitario. Gli imprenditori potrebbero sentirsi isolati, soprattutto se non hanno un team o co-founder con cui condividere le sfide.

Regolamentazione e burocrazia: La burocrazia può essere complicata e richiedere tempo. Gli imprenditori devono navigare tra le leggi e i regolamenti per avviare e gestire l’azienda.

Gestione dello stress: L’imprenditorialità può essere stressante. Gli imprenditori devono affrontare la pressione finanziaria, le aspettative degli investitori e le sfide quotidiane.

Marketing e acquisizione clienti: Trovare clienti e far conoscere il proprio marchio richiede sforzi costanti. La mancanza di una strategia di marketing efficace può ostacolare il successo dell’impresa.

Rischi finanziari: Avviare un’impresa comporta rischi finanziari. Gli imprenditori potrebbero dover investire i propri risparmi o prendere prestiti per far decollare l’attività.




mercoledì 20 marzo 2024

Problem solving - cosa è e come affrontarli?

Il problem solving è una competenza cruciale in ogni aspetto della vita, sia personale che professionale. Essa rappresenta la capacità di affrontare e risolvere sfide in modo efficace, trasformando gli ostacoli in opportunità. Ecco alcuni suggerimenti su come sviluppare questa abilità fondamentale. Innanzitutto, è essenziale coltivare una mentalità aperta e flessibile. Spesso, ci si trova di fronte a problemi complessi che richiedono un approccio innovativo. Accogliere nuove idee ed essere disposti a esplorare diverse prospettive può stimolare la creatività e portare a soluzioni fuori dagli schemi convenzionali. In secondo luogo, l'analisi critica è un elemento chiave nel processo di problem solving. Imparare a scomporre un problema complesso in componenti più gestibili consente di comprendere meglio la natura del challenge e individuare i punti chiave da risolvere. Questa abilità può essere affinata attraverso l'esercizio costante su casi pratici e situazioni reali. La collaborazione è un altro aspetto fondamentale nella risoluzione dei problemi. Lavorare in team permette di accedere a diverse prospettive e competenze, creando un ambiente in cui le idee possono fluire liberamente. La sinergia di gruppo spesso porta a soluzioni più complete ed efficaci rispetto a un approccio individuale. La gestione dello stress è altrettanto importante durante il processo di problem solving. Le pressioni e le sfide possono generare ansia, ma imparare a mantenere la calma e a gestire le emozioni permette di pensare in modo più chiaro e razionale. La pratica di tecniche di gestione dello stress, come la mindfulness o la respirazione profonda, può essere di grande aiuto. Inoltre, è cruciale investire nel proprio apprendimento continuo. Essere aggiornati su nuovi sviluppi, tecnologie e metodologie favorisce un approccio più informato alla risoluzione dei problemi. La formazione costante mantiene la mente «agguerrita» e pronta a fronteggiare le sfide emergenti. Infine, imparare dagli errori è parte integrante del processo di sviluppo delle capacità di problem solving. Ogni fallimento offre un'opportunità di apprendimento preziosa. Analizzare le cause, identificare i punti critici e adottare misure correttive contribuisce a maturare e a evitare errori simili in futuro.

mercoledì 26 ottobre 2022

Libri e scritture contabili: la contabilità ordinaria e semplificata

Libri e scritture contabili: la disciplina fiscale

La tenuta di libri e registri contabili per l’imprenditore o per il professionista è disciplinata dal Codice Civile e dalle norme tributarie. Gli obblighi in materia variano a seconda della natura del soggetto e del regime contabile adottato e possono assumere rilevanza più da un lato civilistico e meno fiscale o viceversa. In questo approfondimento, viene esaminato l'obbligo di tenuta delle scritture contabili dal punto di vista della disciplina fiscale - in particolare le disposizioni contenute nel DPR n. 600/1973 e nel DPR n. 633/1972 (T.U. IVA) - con i relativi adempimenti accessori che si rendono necessari.

 


Libri obbligatori e altre scritture contabili

L’art. 2214 c.c. e l’art. 14 del DPR 600/1973 dispongono quali sono le scritture e i libri di cui l’imprenditore che esercita attività commerciale ha l'obbligo di tenuta, ossia:

• il libro giornale

• il libro degli inventari

• il libro delle scritture ausiliarie (elementi patrimoniali e reddituali raggruppati in categorie omogenee)

• i registri IVA (acquisti, vendite, corrispettivi)

• il registro dei beni ammortizzabili 

• il registro delle scritture ausiliarie di magazzino

A livello civilistico, il c. 3, art. 2214 c.c. norma l’esonero della tenuta delle scritture contabili sopra citate per i piccoli imprenditori. Tale distinzione non si riscontra invece a livello fiscale.

Nello specifico, i soggetti obbligati alla tenuta dei libri contabili sono elencati nell’art. 13 del dPR n. 600/1973 e sono:

·         società soggette all'imposta sul reddito delle persone giuridiche

·         enti pubblici e privati, diversi dalle società, soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche

·         trust che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali

·         società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società ad esse equiparate ai sensi dell’art. 5 DPR 597/1973

·         le persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell'art 51 DPR 597/1973

·         le società o associazioni fra artisti e professionisti

Dunque a livello fiscale non vi è alcun esonero particolare come previsto invece dal codice civile per il piccolo imprenditore; tuttavia, l’art. 18 dPR 600/1973 prevede una “agevolazione” nella gestione e tenuta dei registri nel caso in cui venga esercitata l’opzione per il regime di contabilità semplificata.

Si ricorda che, il regime di contabilità semplificata, disciplinato dal citato art. 18, può essere adottato con l’esercizio dell’opzione da parte di professionisti e di società di persone che nell’esercizio precedente l’opzione non hanno superato l’ammontare di ricavi di:

   400.000,00 euro per imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi

   700.000,00 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività

 

 

Registri e scritture contabili: la disciplina fiscale

Analizzando le norme tributarie contenute nel dPR 600/1973 si evidenziano principalmente tre categorie di annotazioni rilevanti per l’imprenditore o l’esercente arti e professioni e che possono essere obbligatori o meno a seconda del regime contabile:

·         Registri IVA

·         Registro dei beni ammortizzabili

·         Scritture ausiliari di magazzino

 

Registro IVA

Il Registro IVA, obbligatorio sia per i soggetti in contabilità ordinaria che per i soggetti in contabilità semplificata, riassume tutte le transazione e le operazioni attive e passive che rientrano nell’ambito della normativa IVA.

 

Sono esonerati dalla tenuta dei registri IVA i soggetti rientranti nel regime fiscale agevolato forfetario ossia professionisti o lavoratori autonomi che non superano il limite di:

   65.000 euro (di ricavi o compensi percepiti)

   20.000 euro (per le spese sostenute per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori)

I registri IVA sono disciplinati dal Testo Unico sull’IVA ossia dal DPR 633/1972 ed in particolare:

- l’art. 23 riguarda il registro IVA vendite

- l’art. 24 contiene le previsioni circa il registro dei corrispettivi

- l’art. 25 si riferisce al registro IVA acquisti

La stampa dei registri IVA non è più obbligatoria in seguito all’entrata in vigore della semplificazione fiscale introdotta dal D.L. 148/2018 (art. 19-octies, c. 6) secondo cui è considerata regolare la tenuta dei registri IVA (vendite e acquisti) su sistemi elettronici, a condizione che in caso di controllo, ispezione o verifica tali registri possano essere stampati e messi a disposizione degli organi procedenti.

Per il registro dei corrispettivi valgono invece le regole ordinarie di compilazione e tenuta contabile.

 

Registro beni ammortizzabili

Il registro dei beni ammortizzabili contiene informazioni relative alle movimentazioni di beni ad utilità pluriennali dell’impresa o del professionista, ossia immobilizzazioni materiali ed immateriali.

L’art. 16 del DPR 600/1973 norma la tenuta del registro dei beni ammortizzabili, che dev’essere compilato entro il termine stabilito per la dichiarazione dei redditi. Per ciascun immobile e per tutti i beni iscritti in pubblici registri, il registro deve contenere l’indicazione di:

·         anno di acquisizione,

·         costo originario,

·         rivalutazioni e svalutazioni, 

·         fondo di ammortamento (nella misura raggiunta al termine del periodo d'imposta precedente)

·         coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel periodo d'imposta,

·         quota annuale di ammortamento

·         eliminazioni dal processo produttivo

Per tutti gli altri beni, le medesime indicazioni possono essere inserite con riferimento a categorie di beni omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento.

La tenuta del registro dei beni ammortizzabili è facoltativa; tuttavia, in alternativa le registrazioni relative ai cespiti andranno necessariamente inserite in altri registri a seconda del tipo di regime fiscale e della natura del soggetto:

1. in contabilità ordinaria

- le imprese possono registrare le movimentazioni dei beni nel libro giornale entro il termine previsto per la dichiarazione dei redditi o nel libro inventari

- gli esercenti arti e professioni possono effettuare le registrazioni nel registro cronologico, sempre rispettando il medesimo termine di cui al punto precedente

2. in contabilità semplificata

- le imprese possono effettuare le registrazioni nel registro IVA acquisti

- gli esercenti arti e professioni possono non registrare le movimentazioni in alcun registro, a patto che siano in grado di fornire le informazioni in ordine e in forma sistematica nel caso in cui gli vengano richiesti in caso di controlli.

 

Scritture ausiliari di magazzino

Le scritture ausiliarie di magazzino, disciplinate dall’art. 14, lett. d) del dPR 600/1973, indicano le variazioni del magazzino intervenute nell’esercizio.

Tale adempimento è obbligatorio per le imprese che si trovano in contabilità ordinaria e che superano i limiti stabiliti dalla normativa, recentemente aggiornati dal D.L. 146/2021 c.d. Decreto Fiscale. 

In particolare, l’obbligo di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino scatta dal secondo periodo d’imposta successivo al superamento di entrambi i seguenti limiti:

- ricavi superiori a 5.164.568,99 euro per esercizio

- rimanenze finali superiori a 1.032.913,80 euro

Tali scritture accolgono le registrazioni relative alle quantità entrate ed uscite di:

·         merci destinate alla vendita

·         semilavorati

·         prodotti finiti

·         materie prime e altri beni destinati ad essere in essi fisicamente incorporati

·         imballaggi utilizzati per il confezionamento dei singoli prodotti

etc.

Nelle stesse scritture possono   inoltre   essere   annotati, anche alla fine del periodo d'imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico.

 Per tutti i registri previsti dalla disciplina fiscale e fin'ora citati, non vi è assoggettazione ad imposta di bollo o obbligo di vidimazione.


mercoledì 21 febbraio 2018

Le società di social media "devono obbedire" alle norme UE a tutela dei consumatori

Le società di social media devono fare di più per ottemperare alle richieste presentate lo scorso marzo dalla Commissione europea e dalle autorità nazionali di tutela dei consumatori per garantire il rispetto delle norme UE a tutela dei consumatori. Sono state pubblicate le modifiche apportate da Facebook, Twitter e Google+ per allineare le rispettive clausole contrattuali alle norme dell'UE a tutela dei consumatori. Queste modifiche andranno a beneficio di oltre 250 milioni di consumatori dell'UE che utilizzano i social media: i consumatori non saranno costretti a rinunciare ai diritti inderogabili che l'UE riconosce loro, come il diritto di recedere da un acquisto online; potranno presentare reclamo in Europa anziché in California; e le piattaforme si assumeranno le loro responsabilità verso i consumatori dell'Unione, analogamente ai prestatori di servizi offline. Tuttavia, le modifiche soddisfano solo in parte i requisiti della normativa UE in materia di consumatori.

Vĕra Jourová, Commissaria europea per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, ha dichiarato: "Poiché sono usate come piattaforme pubblicitarie e commerciali, le reti di social media devono osservare pienamente le norme a tutela dei consumatori. Mi compiaccio che l'azione intrapresa dalle autorità nazionali per far rispettare tali norme stia dando i suoi frutti e che alcune società stiano rendendo le loro piattaforme più sicure per i consumatori; è tuttavia inaccettabile che questo processo non si sia ancora concluso e richieda così tanto tempo. Ciò conferma la necessità di un "New deal per i consumatori": le norme UE a tutela dei consumatori devono essere rispettate e le società che non lo fanno devono essere soggette a sanzioni.". Mentre le ultime proposte di Google sembrano in linea con le richieste formulate dalle autorità di tutela dei consu-matori, Facebook e, più significativamente, Twitter hanno rimediato solo in parte a importanti aspetti riguardanti le loro responsabilità e il modo in cui gli utenti sono informati della possibilità di rimuovere i contenuti o recedere dal contratto. Per quanto riguarda la procedura di "notifica e azione" usata dalle autorità di tutela dei consumatori per segnalare con-tenuti illeciti e richiederne la rimozione, le modifiche apportate da alcune società sono insufficienti. Mentre Google+ ha istituito un protocollo che prevede, tra l'altro, termini per il trattamento delle richieste, Facebook e Twitter hanno con-cordato solo di mettere a disposizione delle autorità nazionali un apposito indirizzo di posta elettronica per la notifica delle violazioni, senza impegnarsi a trattare le richieste entro termini precisi. A seguito di varie denunce di consumatori dell'UE che sono stati vittime di frodi o truffe durante la consultazione di siti di social media e ai quali sono state imposte clausole contrattuali non conformi alle norme UE a tutela dei consumatori, nel marzo 2016 è stata avviata un'azione per far rispettare la normativa UE. Gli operatori di social media hanno quindi convenuto di modificare:
  1. le clausole che limitano o escludono integralmente la responsabilità della rete di social media in relazione alla presta-zione del servizio;
  2. e clausole che impongono ai consumatori di rinunciare ai diritti inderogabili che l'UE riconosce loro, come il diritto di recedere da un acquisto online;
  3. le clausole che privano il consumatore del diritto di rivolgersi a un organo giurisdizionale dello Stato membro di resi-denza e che prevedono l'applicazione della legge della California;
  4. le clausole che liberano la piattaforma dall'obbligo di individuare le comunicazioni commerciali e i contenuti sponso-rizzati.
Le società si sono impegnate ad attuare le modifiche delle clausole contrattuali in tutte le versioni linguistiche nel primo trimestre del 2018.

Prossime tappe

Come indicato nella comunicazione sulla lotta contro i contenuti illeciti online pubblicata nel settembre 2017, la Com-missione si aspetta che le piattaforme online individuino e rimuovano rapidamente e proattivamente i contenuti illeciti e ne prevengano la ricomparsa. La Commissione sta lavorando alle azioni che daranno seguito a questa comunicazione. Le autorità nazionali di tutela dei consumatori e la Commissione monitoreranno l'attuazione delle modifiche promesse e si avvarranno attivamente della procedura di "notifica e azione" offerta dalle società. Si concentreranno sui contenuti commerciali illeciti riguardanti abbonamenti non desiderati e altre truffe. Inoltre potranno prendere le misure del caso, comprese quelle per far rispettare la normativa. In aprile la Commissione presenterà un "New deal per i consumatori". Tale riforma proporrà di ammodernare l'attuale diritto dei consumatori e ne garantirà la corretta applicazione.

Contesto 

 Il 16 marzo 2017 le autorità dell'UE di tutela dei consumatori e la Commissione europea hanno incontrato le società in questione per ascoltare e discutere le soluzioni proposte. A seguito di tale riunione, le società hanno apportato alcune modifiche alle loro clausole contrattuali. Tuttavia, la Commissione e le autorità di tutela dei consumatori ritengono che urgano altre modifiche (cfr. comunicato stampa). Nel novembre 2016 le autorità della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori, sotto la guida della direzione generale francese per la concorrenza, il consumo e la repressione delle frodi, hanno inviato a Facebook, Twitter e Google + una posizione comune chiedendo di migliorare una serie di clausole contrattuali e istituire un sistema per contrastare, su notifica, i contenuti commerciali illeciti . Il regolamento UE sulla cooperazione per la tutela dei consumatori riunisce le autorità nazionali di tutela dei consumatori in un'apposita rete paneuropea grazie alla quale un'autorità nazionale di uno Stato membro può chiedere alla propria omologa di un altro Stato membro di intervenire in caso di violazione transfrontaliera di una norma UE a tutela dei consumatori.
La cooperazione è comune per vari atti legislativi che tutelano i consumatori, ad esempio la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sul commercio elettronico, la direttiva sui diritti dei consumatori e la direttiva sulle clausole abusive nei contratti. Nell'ambito della rete di cooperazione per la tutela dei consumatori le autorità riesaminano regolarmente le questioni di interesse comune per la tutela dei consumatori nel mercato unico e coordinano la loro vigi-lanza del mercato e le potenziali azioni per far rispettare la normativa. La Commissione agevola lo scambio di informazioni fra le autorità e il loro coordinamento. Le piattaforme online devono assumersi maggiori responsabilità per quanto riguarda la gestione dei contenuti. La comunicazione fornisce strumenti comuni per individuare e rimuovere rapidamente e proattivamente i contenuti illeciti e prevenirne la ricomparsa.

Fonte Link

giovedì 11 maggio 2017

Differenza: Liberale o socialdemocratico?

Qual è la differenza tra un liberale e un socialdemocratico?
E, soprattutto, è una differenza formale o sostanziale?

Michael Walzer, filosofo statunitense che si occupa di filosofia politica, sociale e morale, è un socialdemocratico. Il suo distintivo d’onore è la vecchia Volvo che ha guidato per tanti anni (l’auto di seconda mano tradizionalmente associata ai socialdemocratici di mezz'età).

Sidney Morgenbesser, anch'egli filosofo e professore alla Columbia University, un maestro in questo tipo di indovinelli, provò a rispondere alla domanda con una celebre battuta: il liberale è disposto a chiedere ai più ricchi per dare ai poveri, ma si identifica in quella categoria di cittadini a cui non va chiesto né dato nulla; il socialdemocratico è disposto a dare qualcosa anche di suo.

Rispetto ai liberali, i socialdemocratici hanno molto più a cuore la distribuzione del reddito. Ai loro occhi, non basta chiedere ai ricchi per dare ai poveri: occorre applicare il principio di equità a tutte le fasce di reddito.

Cito un’altra battuta (di cui però ignoro l’autore): il socialdemocratico è un socialista che è sceso a compromessi con la realtà, il liberale è un anarchico sceso agli stessi compromessi con la realtà.

I liberali sono passati dalla difesa del libero scambio per affrancarsi dal giogo del protezionismo di ottocentesca memoria alla promozione dell’intervento del governo nel mercato. 
Al contempo, i socialdemocratici sono passati dall'ideale della proprietà pubblica dei mezzi di produzione a un’economia mista di imprese private e pubbliche nella cornice di uno Stato sociale.
Quanti biasimano le versioni annacquate delle due ideologie non dovrebbero dimenticare che il cambiamento è stato dettato da una nobile causa: gli uni e gli altri erano disposti a conquistare il potere solo con mezzi democratici. 
La democrazia parlamentare richiede continui compromessi, i quali tendono a stemperare i messaggi e ad attenuare le differenze.
Ma il rapporto tra liberalismo e democrazia non è complementare, come quello tra latte e caffè. Il liberalismo è in tensione con la concezione popolare della democrazia.


Il liberalismo pone l’accento sui diritti individuali (civili e umani), soprattutto in contrapposizione allo Stato. 
In quasi tutte le nazioni, a eccezione forse dei Paesi scandinavi e dell’Olanda, l’interesse per tali diritti è circoscritto alle élite culturali e rimane estraneo a quanti concepiscono la democrazia come governo della maggioranza e sistema per cambiare l’esecutivo senza ricorrere alla violenza.
Neppure la socialdemocrazia è frutto di un connubio perfetto: si è dovuta scontrare con i rivoluzionari scettici riguardo alla possibilità di realizzare un cambiamento strutturale solo con mezzi democratici. Eppure, tanto i liberali quanto i socialdemocratici sono fedeli alla democrazia, con le sue continue esigenze di compromesso. E per questo meritano rispetto e ammirazione.

In realtà, i partiti democratici dovrebbero essere giudicati non in base ai loro programmi, ma per la qualità dei loro compromessi. È importante passare al vaglio non tanto i loro ideali, quanto le loro effettive soluzioni. 
Il liberalismo e la socialdemocrazia ormai condividono più o meno gli stessi valori. 

La differenza sta nell'importanza relativa che attribuiscono a tali valori e, di conseguenza, nel tipo di compromessi che sono disposti ad accettare: per i socialdemocratici i diritti dei lavoratori vengono prima di quelli dei gay, per i liberali vale il contrario.
Vorrei mettere in luce alcuni presupposti fondamentali della distinzione tra il prototipo del liberale e quello del socialdemocratico, così come evidenziata da Michael Walzer negli articoli pubblicati su Dissent Magazine e nei suoi saggi.

Partiamo dalla discrepanza tra la concezione socialdemocratica e quella conservatrice della psicologia umana. Solo in un secondo momento prenderò in considerazione la prospettiva liberale. I conservatori attribuiscono grande importanza ai tratti caratteriali, e in particolare ad attitudini come il coraggio e la pigrizia.
I liberali sono convinti che tali caratteristiche rappresentino validi indicatori del comportamento umano: l’individuo coraggioso darà prova di audacia, in battaglia così come nella società civile; il fannullone si sottrarrà ai suoi doveri e vivrà del denaro pubblico, se ci saranno degli stupidi a procurarglielo.
I conservatori ci mettono bene in guardia dal chiudere un occhio sulle cattive propensioni, che a loro giudizio fanno parte della natura umana. Gli individui possono essere tenuti sotto controllo solo con una rigorosa disciplina, che infonda in loro un forte senso di dovere e responsabilità.

I socialdemocratici sono di diverso avviso. Per capire le propensioni di un individuo occorre considerare la situazione in cui si trova, non la sua indole caratteriale.
Le probabilità che si comporti da buon samaritano di fronte a una persona in stato di bisogno dipendono non tanto dal suo carattere, quanto dagli eventuali altri impegni che deve affrontare in quel momento.
I socialdemocratici sono dunque scettici riguardo alla possibilità di plasmare il carattere degli individui. Ma credono fermamente nell'importanza delle istituzioni e di un ambiente vivibile in cui tutti possano comportarsi in modo “decente”.
Per esempio a Stoccolma e a Oslo la gente rispetta la fila per salire sull'autobus, al Cairo e a Calcutta no. E non perché gli scandinavi abbiano un carattere migliore; il punto è che vantano servizi di trasporto pubblico più efficienti. I conservatori accusano i socialdemocratici di non considerare i cittadini responsabili delle loro azioni. I socialdemocratici, dal canto loro, accusano i conservatori di attribuire ai cittadini colpe non loro.

Qual è la collocazione dei liberali nell'asse carattere-ambiente?
Gli esponenti del liberalismo classico, come Wilhelm von Humboldt, promossero l’ideale della Bildung (formazione), della formazione del carattere in un percorso di autoeducazione; erano contrari a uno Stato impegnato in quel ruolo.
Il liberale contesta la pretesa, da parte dei conservatori, di plasmare il carattere degli individui, ma guarda con sospetto anche al paternalismo dei socialdemocratici e al proposito di intervenire sull'ambiente sociale.

I socialdemocratici più avveduti, come Walzer, non credono che la “buona vita” sia un’idea oggettiva, né che si riduca a una questione di desiderio o appagamento soggettivo. Quel che rende buona la vita umana è inter-soggettivo: è determinato non individualmente ma socialmente. Società o – per essere più precisi – culture diverse possono avere concezioni radicalmente diverse del bene.
Nelle parole di Walzer, “la giustizia ha le sue radici in quelle specifiche concezioni delle posizioni sociali, degli onori, dei lavori e di tutti i generi di cose che costituiscono una forma di vita condivisa. Calpestare queste concezioni significa sempre agire ingiustamente”.

In quest’ottica, il socialdemocratico è disposto ad accettare l’idea che culture diverse possano avere concezioni diverse del bene, ma non radicalmente diverse.
Il liberalismo e la socialdemocrazia sono due ideologie di pace. Non intendo dire che siano ideologie pacifiste (anche se non è una possibilità da escludere).
Il punto è che sono concepite solo ed esclusivamente per tempi di pace.
Viceversa, il fascismo, il comunismo rivoluzionario e il neo-conservatorismo sono tutte ideologie di guerra. Un’ideologia di guerra non richiede necessariamente uno Stato governato da guerrafondai. Mussolini era un fascista temerario, mentre Franco si muoveva con prudenza. A fare la differenza non è il carattere del leader, ma quello dell’ideologia; per un’ideologia di guerra, lo scontro violento (o la minaccia di innescarlo) è qualcosa di essenziale.

Tra i socialdemocratici, Michael Walzer è forse l’unico ad aver affrontato la questione della guerra sul piano dei principi. I partiti socialdemocratici hanno dovuto spesso fare i conti con l’azione bellica, ma in circostanze del tutto eccezionali, e di solito senza successo. Quando erano lontani dal potere, venivano attaccati sul piano morale dalla destra, che ha sempre messo in dubbio il loro patriottismo. Una volta saliti al governo, sono passati all’eccesso opposto, rifacendosi a un nazionalismo aggressivo.
Guy Mollet, per esempio, nominato Primo ministro francese alla fine degli anni Cinquanta, intraprese la sua carriera politica da convinto anticolonialista.
Ma fu traumatizzato dai manifestanti di destra che in Algeria lo ricoprirono di pomodori marci, accusandolo di complicità con il nemico. A quel punto Mollet diede inizio a una “campagna di pacificazione” nella colonia francese che sfociò in una guerra a tutti gli effetti, tra le più dure e violente del Ventesimo secolo.

Walzer non è l’artefice della teoria della guerra giusta; il problema era già stato affrontato da una lunga serie di importanti autori cattolici. Ma è stato l’unico a impostare il dibattito in chiave laica e contemporanea.

La teoria “walzeriana” della guerra giusta può essere utile tanto ai liberali quanto ai socialdemocratici. Walzer pone le due dottrine di fronte alla necessità di pronunciarsi sulla legittimazione morale della guerra. E lo fa passando al vaglio tutti gli interventi militari statunitensi dalla Guerra del Vietnam in poi.
La sua è una prospettiva internazionalista più che cosmopolita.
Walzer parte dal presupposto che la realtà del mondo sia quella degli Stati-nazione, senza possibilità di appellarsi ad autorità politiche superiori. E questo, a mio giudizio, è perfettamente in linea con l’approccio dei socialdemocratici in generale.
Come lui stesso fa notare, i socialdemocratici prendono i confini nazionali molto sul serio; non solo perché l’azione politica si svolge per lo più al loro interno, ma anche perché solitamente delimitano la portata della solidarietà effettiva.
La solidarietà espressiva può superare i confini nazionali, mentre quella effettiva – caratterizzata cioè da un concreto impegno ad agire – non lo fa quasi mai. La solidarietà effettiva può determinare un’azione collettiva, quella espressiva solo un sentimento collettivo. Svariate organizzazioni non governative, come Medici Senza Frontiere (MSF), si impegnano concretamente per cause nobili, ma sono una goccia nel mare dell’indifferenza.
Agli occhi dei socialdemocratici, la solidarietà è un fine umanamente importante in sé e per sé, ma anche un mezzo indispensabile per affermare la giustizia sociale.
Agli occhi dei liberali, non è la solidarietà ma il contratto sociale a tenere unita la società.
I socialdemocratici fanno affidamento su due tipi di solidarietà: la solidarietà di classe e quella nazionale, ovvero sulla loro combinazione.
Nelle società capitalistiche avanzate, tuttavia, la solidarietà di classe è ormai ininfluente. La classe operaia industriale, su cui i socialdemocratici hanno sempre contato per realizzare un cambiamento sociale, si è notevolmente rimpicciolita.
Tutto ciò ha contribuito ad attenuare le differenze tra liberali e socialdemocratici. L’universo della “classe media” comprende praticamente chiunque abbia un reddito fisso, una famiglia stabile e aspirazioni borghesi per i propri figli. Ed è diventato il bacino di riferimento di entrambe le ideologie.

Walzer prende la solidarietà molto sul serio, ma non solo per le ragioni già citate. Lo fa perché considera altrettanto seriamente la realtà, o la possibilità, della guerra. Le guerre nazionali richiedono un sentimento di solidarietà; i contratti hanno valore solo per i mercenari. E la difesa dello Stato comporta enormi sacrifici: dal punto di vista fisico, ma soprattutto sul piano umano. La solidarietà è un importante fattore motivazionale, mentre i contratti si riducono a un semplice calcolo.

L’idea di una giustizia sociale limitata ai confini nazionali solleva quella che è probabilmente la questione più importante nell’attuale agenda politica internazionale, ossia la sfida dell’immigrazione.
I poveri della Norvegia sono ricchi in confronto alla maggior parte della popolazione dell’Africa rurale, dell’Asia o dell’America Latina. Il fatto di essere norvegesi è di per sé una garanzia di successo. I socialdemocratici norvegesi hanno giustamente a cuore la giustizia distributiva. Ma il loro interesse è comunque circoscritto a un club di privilegiati. A quanto pare, la vera questione non è come distribuire il reddito, ma come, e se, concedere visti d’ingresso.

In Sfere di Giustizia, Walzer è stato probabilmente il primo filosofo a rilevare l’incongruenza tra l’interesse per la giustizia distributiva in una data società e il disinteresse rispetto a chi potrebbe o dovrebbe entrare a far parte di quella società.
Il fenomeno dell’immigrazione pone i socialdemocratici di fronte a un dilemma. Essi intendono difendere le conquiste dei lavoratori e dei loro sindacati. Per farlo, tuttavia, di solito ricorrono a politiche fiscali e di immigrazione protezionistiche. È qui che liberali e socialdemocratici seguono strategie diverse.
I primi adottano politiche più permissive in materia di immigrazione, ma sono meno attenti alla sorte degli immigrati una volta che hanno varcato i confini del loro paese; i secondi fanno l’opposto.

Anche laddove non si pongono il problema della guerra giusta, liberali e socialdemocratici hanno a cuore la condizione umana (sia effettiva sia ideale) nelle società capitalistiche avanzate.
Il capitalismo è un’etichetta di comodo applicata a una realtà che è molto più complessa. Il sistema capitalistico è associato a un particolare tipo di società, definito “borghese” da Karl Marx e Max Weber.
Il liberalismo classico mirava a un’economia di libero scambio, non soggetta a vincoli protezionistici. Il liberalismo dei giorni nostri presta molta più attenzione alla natura della società capitalistica. L’interesse non si concentra più sul libero scambio, ma sulla libertà di espressione, sui matrimoni gay e altri diritti civili.

Il liberale e il socialdemocratico hanno una posizione diversa rispetto al capitalismo.
Il primo considera il mercato uno strumento fondamentale per mettere in relazione domanda e offerta, e attribuisce un enorme valore al libero scambio.
Il secondo ha un atteggiamento molto più ambivalente. Ai suoi occhi il mercato è un po’ quello che la democrazia era per Winston Churchill: il sistema peggiore, eccetto tutti quelli già sperimentati. Per il socialdemocratico, la politica deve cercare di correggere gli aspetti più iniqui e vergognosi del capitalismo.

Tale differenza si manifesta nel modo in cui le due ideologie rispondono alle tre domande fondamentali dell’economia:
  • cosa produrre?
  • in che modo produrre?
  • e come distribuire i prodotti?

Nel sistema capitalistico, la risposta dipende da quanto sono liberi i prezzi del mercato. È il “quanto” che fa la differenza.
I liberali invocano una limitazione delle regolamentazioni e dell’intervento da parte di soggetti esterni, primo tra tutti il governo.
I socialdemocratici, dal canto loro, sono pronti a intervenire sulla distribuzione del reddito e della ricchezza.
Walzer giudica la distribuzione di un bene giusta o ingiusta solamente in base al significato di quel bene in una determinata società. I criteri in base ai quali si riconosce prestigio, per esempio, in una società di eruditi (come quella vagheggiata dagli ebraici ultraortodossi) o in una società di guerrieri sono molto diversi. Le due società, infatti, concepiscono diversamente ciò che merita prestigio.

Per spiegare le mie perplessità al riguardo, ricorro all’aiuto di un altro esempio. Pensiamo a una società che attribuisce un grande valore alla classe dei guerrieri, come la Prussia del XIX secolo, con la sua élite degli Junker, una casta rigorosamente aristocratica. Le barriere all’accesso alla classe degli Junker vanno considerate un problema di giustizia? In fondo, i suoi membri morivano anche giovanissimi nelle interminabili battaglie, e, nonostante la pompa e il prestigio, venivano sepolti sotto tetre e pesanti lapidi. Quale che fosse la considerazione del guerriero nello Stato prussiano, ritrovarsi a marciare verso il fronte non era poi una grande fortuna. Gli Junker erano anche grandi proprietari terrieri, ma questo meriterebbe un discorso a parte.
In ogni caso, il principio affermato da Walzer, prestare attenzione al significato intrinseco di ogni bene della società che si vuole trasformare, è una buona norma generale per una politica tesa a conseguire un’effettiva giustizia sociale. Ed è proprio questa, in fondo, la cosa che più sta a cuore ai socialdemocratici.

La tesi “walzeriana” secondo cui beni diversi devono essere distribuiti per ragioni diverse è di fondamentale importanza. Il servizio sanitario e la pubblica amministrazione svolgono due funzioni ben distinte. Le disparità di reddito non dovrebbero incidere sulla distribuzione di servizi come la sanità e l’istruzione. La giustizia del socialdemocratico è sostanziale, non formale (quest’ultima sta più a cuore al liberale).

Come si ricollega tutto ciò al divario tra socialdemocratici e liberali?
I liberali concepiscono la giustizia sociale come il raggiungimento di un corretto equilibrio tra uguaglianza e libertà individuale, con la libertà come valore prioritario.
Di qui la forte enfasi sul diritto degli individui di fare quel che desiderano, purché non rechino danno agli altri.
Ai socialdemocratici, eredi della tradizione socialista, interessa non tanto il diritto di fare quel che si vuole, ma la possibilità di accedere alle risorse per fare (legittimamente) quel che si vuole. Accedere a tali risorse significa, nell'ottica socialdemocratica, accedere alla libertà.

È sbagliato pensare che la differenza tra il socialdemocratico e il liberale stia nel fatto che il primo tiene soprattutto all'uguaglianza mentre il secondo privilegia la libertà. Entrambi mettono al primo posto la libertà, ma per il socialdemocratico quel che conta è la libertà sostanziale, e l’uguaglianza è uno strumento indispensabile per raggiungerla.
Jean Jaurès, padre e martire della socialdemocrazia, esortava a prendere dall'altare degli avi non le ceneri, ma la fiamma. Michael Walzer ha raccolto il testimone di quella gloriosa tradizione. La speranza è che dalla sua fiaccola scaturisca la scintilla di una nuova socialdemocrazia.

Di Avishai Margalit 

(Traduzione di Enrico Del Sero)

Avishai Margalit è Professore emerito di Filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme. Il suo ultimo libro, Sporchi compromessi (Il Mulino 2011), è stato premiato nel 2012 dall’Istituto di ricerca filosofica di Hannover (FIPH). L’autore desidera ringraziare Nancy Rosenblum per la preziosa collaborazione.

Fonte: reset.it

mercoledì 3 maggio 2017

Positiva l’appartenenza all’UE per gran parte degli europei

Gli italiani chiedono più interventi dell'UE. La maggioranza degli europei vuole una risposta comune alle sfide globali; 3 su 4 vogliono di più nella lotta al terrorismo, contro la disoccupazione e l’evasione fiscale e per la protezione dell’ambiente.

Secondo un numero crescente di cittadini europei, appartenere all'Ue è una cosa positiva. Questo il dato che emerge dall'ultimo Eurobarometro pubblicato dal Parlamento europeo. In pratica, l’attaccamento all'Unione europea ha raggiunto nuovamente i livelli pre-crisi registrati nel 2007.

Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha dichiarato: “I risultati dell’ultimo sondaggio sull'attitudine dei cittadini europei nei confronti dell'Ue sono, per la prima volta dall'inizio della crisi economica nel 2007, molto incoraggianti.
Tali risultati dimostrano che gli europei vogliono che l'Ue risponda con una voce sola ai timori e alle turbolenze internazionali che hanno reso il mondo in cui viviamo più incerto e pericoloso.
Sta a noi leader politici dimostrare che hanno ragione a riporre in noi la loro fiducia. Dobbiamo, con il nostro lavoro quotidiano e con le nostre decisioni, convincerli che l’Unione europea può sia proteggerli che rendere la loro vita migliore”.

Per l’Italia, pur sotto la media UE, si registra un aumento di risposte positive sull'attaccamento all'Unione, con 7 punti percentuali in più rispetto all'anno scorso (48%).


L'Eurobarometro, commissionato dal Parlamento europeo e pubblicato giovedì, mostra come essere membri dell’Ue sia una cosa positiva per il 57% degli europei (+4% rispetto all'ultimo sondaggio di settembre 2016 e quasi allo stesso livello del 2007, quando a esprimersi positivamente erano stati il 58% degli intervistati).

Le percentuali variano significativamente da paese a paese.

Più Europa per combattere terrorismo, disoccupazione ed evasione fiscale

Fra gli elementi chiave per definire l’identità europea, il 50% degli intervistati cita la democrazia e la libertà, mentre solo il 33% indica l’Euro (nel 2015 era il 39%). Per quasi la metà degli intervistati a livello Ue (il 46%) avere un sistema di welfare armonizzato per tutti gli Stati membri contribuirebbe a rafforzare il sentimento di cittadinanza europea.

Ascoltare di più i cittadini in Europa e nei loro paesi

Reagire con una risposta comune europea ai recenti eventi geopolitici globali come la crescente instabilità nei paesi arabi, la sempre maggiore influenza della Russia e della Cina, la Brexit e l’elezione di Donald Trump è più auspicabile che avere una reazione paese per paese per una percentuale di intervistati che, in alcuni casi, si attesta fino al 73%.
La maggioranza dei cittadini europei vuole che l'Ue faccia di più per rispondere a sfide quali la lotta al terrorismo (80%) e alla disoccupazione (78%), la protezione dell’ambiente (75%) e il contrasto all'evasione fiscale (74%).
Secondo una larga maggioranza degli intervistati italiani, invece, ci sarebbe bisogno di un maggior intervento da parte dell’Unione europea su migrazione (80%), politica di sicurezza e difesa (74%), politica economica (68%), agricoltura (65%) e politica industriale (64%).

Maggiore ascolto a livello europeo e nazionale

Il 43% degli europei pensa che la propria voce conti a livello di Ue, un record dal 2007 a oggi, e 6 punti percentuali in più rispetto al 2016. Se invece si analizza quanto gli intervistati pensino che la propria voce conti nel proprio paese, sei europei su dieci rispondono positivamente (più 10% rispetto allo scorso anno).
In Italia, solo il 36% degli intervistati ha risposto positivamente, al di sotto della media EU, ma con 11 punti percentuali in più rispetto all'anno passato.

Disuguaglianza sociale

Infine, la stragrande maggioranza degli europei pensa che le diseguaglianze fra classi sociali siano significative e un terzo degli intervistati dubita che riusciremo a lasciarci la crisi alle spalle nei prossimi anni.

Fonte: europarl.it

mercoledì 4 gennaio 2017

Travaglio: “Post-verità e bufale? Hanno paura perché la gente è contro il sistema”

Da quando gli elettori hanno cominciato a votare contro il Sistema, cioè come pareva a loro disobbedendo sistematicamente agli ordini di scuderia trasmessi dai sottostanti media tradizionali, il Sistema si è ben guardato dal domandarsi perché la gente gli preferisca qualunque cosa, anche la più rischiosa: un salto nel buio come la Brexit nel Regno Unito, un miliardario a forma di banana come Trump negli Stati Uniti, un movimento fondato da un comico come i 5Stelle in Italia.
Non potendo ammettere di stare sulle palle al cittadino medio per i danni che gli hanno provocato con le loro politiche demenziali, lorsignori si sono inventati una scusa autoconsolatoria: il problema non siamo noi, anzi siamo sempre i migliori; il problema sono gli elettori che, fuorviati e sviati e traviati dal Web, credono alle bufale della Rete e scelgono ciò che è peggio per loro nell’illusione che sia il meglio. Soluzione: controlliamo il Web come già controlliamo (direttamente in Italia, indirettamente in altri Paesi) le tv e i giornali, ripuliamolo dalle bugie e soprattutto dalle verità che non ci piacciono (ribattezzate “post verità” da chi ha fatto le scuole alte), così le pecorelle smarrite ritroveranno il buon pastore e torneranno docili all’ovile.

Ora, che centinaia di milioni di persone votino suggestionate da false credenze, illusioni propagandistiche e autentiche menzogne è un fatto piuttosto noto e antico. Altrimenti Mussolini e Hitler non sarebbero saliti al potere in seguito a regolari elezioni, né avrebbero goduto di tanto consenso per tanto tempo, così come Stalin e altri tiranni. Ma anche molti capi di Stato e di governo democratici. E non solo italiani. L’espressione “post verità” viene usata per spiegare la vittoria di Trump, come se fosse il primo presidente Usa eletto perché racconta balle. E le bugie della Clinton, allora (dalla polmonite ai finanziatori della sua fondazione)? E le post-verità del marito Bill ai tempi della Casa Bianca, non solo su Monica Lewinsky, ma anche sulle “guerre umanitarie” in Jugoslavia&C.? E quelle di Bush jr. & Blair per “esportare la democrazia” a suon di bombe in Afghanistan e in Iraq, in base a prove farlocche sui legami fra i talebani e Bin Laden e sulle armi di distruzione di massa di Saddam?

Veniamo a noi, che di post-verità, ma soprattutto di pre-balle, siamo primatisti mondiali. Per 40 anni, dopo il quinquennio degasperiano, gli italiani votarono un partito di corrotti e di bugiardi come la Dc, per paura che vincessero i noti mentitori del Pci, che spacciavano la tragedia del socialismo reale come il paradiso in terra. Poi, per vent’anni, la maggioranza (sia pure molto relativa) degli italiani stravide per il più grande ballista del dopoguerra, nell’illusione di una rivoluzione liberale che non arrivò mai perché B. aveva priorità più impellenti (non fallire e non finire in galera). Dopodiché caddero in preda ad altri incantesimi: il mito napolitan-montiano dei “tecnici” di larghe intese, scesi dall’Olimpo per salvarci dallo spread. Un disastro.

Vaccinati da vent’anni di berlusconismo, gl’italiani punirono quell’orrido inciucio nel 2013 e Re Giorgio dovette inventarsi una nuova menzogna – la Grande Riforma Costituzionale, panacea di tutti i mali – per ribaltare le urne, riciclare l’ammucchiata destra-sinistra e tagliar fuori gli anti-Sistema (ribattezzati “populisti” da chi ha fatto le scuole alte). Altro fiasco epocale: il governo Letta sbriciolato in nove mesi, il governo Renzi – degno erede della tradizione ballistica berlusconiana – sfanculato al referendum con Grande Riforma incorporata. Ora, siccome tra un anno le elezioni saranno proprio obbligatorie, si tenta di correre ai ripari con altre patacche. Tipo la “disomogeneità” delle leggi elettorali di Camera e Senato. Peccato che l’abbiano voluta Napolitano e Mattarella, avallando e promulgando Italicum per la sola Camera (al Senato restava il Consultellum nella speranza che gli italiani abolissero le elezioni). E questa come si chiama, se non post-verità? Solo che a raccontarla è il presidente della Repubblica che l’altra sera ci ha messi in guardia dalle “falsificazioni del web” e da quell’altro “insidioso nemico della convivenza, su cui tutto il mondo si interroga”: “L’odio come strumento di lotta politica”. Sai che novità: basta rileggere i dibattiti d’aula degli anni 50-60-70 tra Dc e Pci per fare del Parlamento attuale un convento di orsoline.

Quella si chiama dialettica fra maggioranza e opposizione. L’“odio” è una ridicola categoria introdotta in politica da B., sedicente fondatore del Partito dell’Amore, per squalificare i pochi che si opponevano davvero. Oggi il presidente e il Pd la riesumano in condominio col “populismo” per screditare i pochi che si oppongono davvero. E soprattutto imbavagliarli. Infatti Mattarella ha aggiunto: “Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva per preservare e difendere il Web da chi vuole trasformarlo in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi”. E quando mai Mattarella è insorto contro le falsificazioni di tv e giornali? Bugie così gravi da truccare le elezioni. Se tutti i media avessero sconfessato le balle di B. sulla persecuzione giudiziaria, ce lo saremmo levato dai piedi un po’ prima. Se tutti avessero scritto la verità su Expo, Giuseppe Sala non sarebbe sindaco di Milano. E se Renzi e la stampa e le tv al seguito non avessero associato il No referendario all’Apocalisse per l’economia, le banche, gli investimenti, il Pil, lo spread, le esportazioni, l’occupazione e persino per i malati di cancro, diabete e cirrosi, quanti Sì in meno avrebbe incassato? E se non si fosse inventato il cavaliere bianco in groppa a Jp Morgan pronto a salvare Mps, quanti soldi pubblici risparmieremmo oggi che il bluff è scoperto? Forse queste erano meno bugie perché non venivano dal Web, anche se poi ci finivano?

Il 23 novembre il Parlamento europeo ha approvato una demenziale risoluzione che lo impegna a “contrastare la propaganda nei confronti dell’Ue”, delle “istituzioni Ue” e dei “partenariati transatlantici” (e da quando, di grazia, è vietato dire male dell’Ue o della Nato?). E il cosiddetto “garante” dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella è partito lancia in resta contro la post-verità, anzi le “fake news” (anche lui ha fatto le scuole alte), “motori del populismo e minacce per le nostre democrazie”ergo“il settore pubblico deve fissare delle regole” e “intervenire rapidamente se l’interesse pubblico è min accia to”. E, di grazia, chi decide ciò che è vero e ciò che è falso, cosa è di interesse pubblico e cosa no? Pitruzzella? I suoi amici Schifani e Cuffaro? I partiti che l’hanno nominato? L’Antitrust dovrebbe combattere le concentrazioni che bloccano la libera concorrenza sul mercato e anche i conflitti d’interessi. Cioè evitare che la Rai sia controllata dai partiti e Mediaset da un partito, diffondendo carrettate di fake news e post-verità per conto terzi. Ma su questo Pitruzzella non dice una parola. In compenso, la presunta Antitrust fa muro col governo e con B. contro Vivendi che minaccia di comprare Mediaset e liberarla dalla politica: il che sarebbe “un rischio per i consumatori”(così ben informati da 20 anni di propaganda berlusconiana).

Il Web, come tutti i media, è avvelenato dai falsi, ciascuno dei quali però ha il suo antidoto: il giornalismo “firmato” da chi si è costruito una fama di credibilità e risulta autorevole. E infatti è l’antidoto, non il veleno, che allarma questi politici senza elettori e questi giornalisti senza lettori. Che, persi i contatti con la realtà e dunque con la gente, si giocano l’ultima carta per non morire. La carta più vecchia e disperata del mondo: la censura. Siccome sempre meno gente si fida dei megafoni che essi controllano proprio perché raccontano un sacco di balle, lorsignori accusano il Web che non controllano di fare ciò che han sempre fatto loro, per poterlo controllare e farcì quel che han sempre fatto altrove: mentire e fottere…

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 3 Gennaio 2017
Di Marco Travaglio



giovedì 29 dicembre 2016

Se lo vedi in Tv non è detto che sia vero! M...Soluzioni per dormire?

Vi voglio parlare di un argomento poco chiaro, per chi come me cerca costantemente di non essere preso in giro è un vero enigma. In specifico vi voglio parlare di uno spot pubblicitario: dell'offerta a basso prezzo del materasso che ho visto, come tutti, in “TV” e che mi interessava comprare.

La necessità di dormire senza svegliarsi con il mal di schiena, credo che sia un bene "universale", come il fuoco e l'acqua. Per questo motivo, dato che si tratta di un tema “sociale”, ho pensato perché non cercare di capire se quello che mi propongono in tv sia tutto vero?
E poi c'era anche la necessità di acquistare un materasso matrimoniale.
Partiamo da una domanda semplice, semplice, che cosa vedo innanzitutto in tv?
Ecco, Questo!

Mia moglie mi aveva già avvisato dello "specchietto per le allodole" che mettono in bella vista nello spot in Tv. Poi dato che la curiosità è Blogger, e io lo sono, ho fatto un giro su internet per capire se c'era stato già qualcuno che aveva ricevuto il consulente in casa.
Qualcuno, leggevo, spiegava le proprie ragioni sul prodotto, in questo caso il materasso, in maniera generica, altri invece diversamente generico.
Mentre nel solito tran tran dei forum su internet, mi sono imbattuto in critiche molto pesanti verso questa azienda.
Internet in alcuni casi "è una giungla" di commenti e di cose scritte caoticamente, e in alcuni casi, oltremodo ho voluto insistere con la ricerca e la scoperta del "vero" prezzo.
Visto che anche io avevo il sospetto di qualcosa ho deciso di affrontare la cosa e capire e vi dirò a breve che cosa è successo.
Imperterrito dopo tutti i forum e recensioni a sfavore dell'azienda mi sono imbattuto nella chiamata al numero verde “sovra impressione”.
E così è stato ho preso l'appuntamento. Lo slogan è sempre lo stesso, “Materassi a basso prezzo per M::::::::::“...soluzioni per dormire"...
Parliamo della mia necessità di acquistare il prodotto, essendo anch'io un consumatore? Il mio desiderio era di acquistare un materasso in lattice classico 160 x 190 di 20 cm circa, a un prezzo vantaggioso.
Poi mi sono imbattuto in questa immagine, non vi sembra che c'è qualcosa che non va? Vi sembra spesso 20 cm?
E' la solita pubblicità ingannevole? Andiamo avanti e vi spiegherò il mio disappunto.

Ho preso l'appuntamento e il consulente o chi per lui mi ha avvisato il giorno prima della visita.
Il giorno era arrivato e l'ora pure. Il consulente il giorno della visita ha ritardato circa un'ora e venti minuti. Mi ha anche chiamato scusandosi. Bene pensavo, sai, può capitare a tutti di ritardare quando si è per strada. Comunque sia, il consulente molto gentilmente è arrivato.
Abbiamo iniziato il momento" conoscenza personale" e abbiamo iniziato a parlare del più e del meno.
E soprattutto dei benefici del materasso e dei suoi effetti.
Dopo tre quarti d'ora di chiacchiere all''inglese davanti un buon tè, ho fatto presente al venditore che mi interessava sapere il prezzo prima di proseguire.
E innanzitutto se il prodotto che avevo visto in tv era lo stesso?
A questa domanda mi è stato risposto in modo molto vago.
Mi ha anche risposto che negli spot pubblicitari, soprattutto dove è presente il presentatore di Furore, le cose appaiono molto ingigantite.
Ma và! Pensavo.
A questo punto il consulente prosegue con la sfilza di certificati che, ovviamente, hanno solo loro, di cose che, ovviamente, fanno solo loro e di tutte quelle cose che sai essere solo tiritere di vendita. 
Io gli chiedo di essere più conciso poiché avevo capito il gioco, era già passata un'ora e mezza. 
Ecco che inizia la sfilata di materassini prova sul mio tavolo. 
Da dove si inizia? dal materasso della pubblicità in questione.
No, ho subito pensato! Non mi dire che...
Ho iniziato a toccare il materiale, e a chiedermi, e a chiedergli qualcosa sulla qualità.
Lui ci continuava a dire che la qualità si paga. E io continuavo a sorridere.
Il bravo venditore aveva iniziato la sfilata di "nomi spaziali".
Dopo mi ha portato a un tipo di materassino di prova più spesso.
E per ultimo, il più simile a quello che avevo visto in tv per spessore.
Il materassino di prova era alto circa 20 cm ed avevano a disposizione anche la mia misura standard. Avevo intuito dai discorsi che mi accennava il venditore, che non avrei mai pagato la cifra di 249 Euro + le doghe, come ho visto in "sovra impressione".
In soldoni, a quanto ammontava il prezzo dell'ultimo materassino di prova, con l'offerta "speciale" in regalo le doghe?
Il venditore lo ha scritto su un foglio segna appunti e lì gli è rimasto scritto!

A quel prezzo potrei comprarmi quattro materassi Ikea a 500 euro al pezzo.
Io chiedo il perché di questa tattica di vendita e soprattutto la presa per i fondelli
Non parliamo della perdita di tempo per me e per lui e per tutti.

Perché quello che ho visto in tv non è quello che dovrei toccare con mano?

Caro venditore, hai perso quasi due ore del tuo lavoro e io ti avevo chiesto quanto prima se c'era il trucco.

Lui se ne è andato via di casa, a mani vuote, dispiaciuto del fatto che non avrei accettato la sua offerta. Io ho pensato che la sua proposta fosse quintuplicata abbastanza da mandarlo via!

D'altronde mia moglie mi aveva avvisato! Purtroppo aveva ragione. Viva le donne.

Chiedo alla Federconsumatori di Bologna di darmi una spiegazione per questi episodi di pubblicità ingannevole e di scarsa professionalità.

Può un consumatore essere "ingannato" dalla visione di un prodotto rispetto a quello che poi ti presentano materialmente a casa?

Vi auguro un buon acquisto a tutti soprattutto buon riposo.

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