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domenica 31 gennaio 2010

5 modi per fare una buona impressione!

Qualunque persona che cerchi lavoro potrà confermarvi che superare a pieni voti un colloquio non è un'impresa facile. Leggete queste risposte vere fornite da responsabili delle assunzioni ai quali è stato chiesto di indicare la cosa più strana successa durante un colloquio di lavoro di cui avessero sentito parlare:
"Dopo aver risposto alle prime domande, il candidato ha preso il cellulare e ha chiamato i genitori per dire che il colloquio stava andando bene".
"Al momento di parlare di orari e ambiente di lavoro, la candidata ha interrotto la conversazione dichiarando di non gradire l'idea di essere confinata in un edificio ma che avrebbe accettato la posizione se avesse potuto spostare la scrivania all'esterno, in giardino".
"Quando il responsabile delle assunzioni le ha chiesto perché volesse lasciare il suo lavoro attuale, il candidato ha risposto: "Il mio capo è un idiota. Tutti i capi lo sono".
"Dopo essere arrivata di prima mattina per il colloquio, la candidata ci ha chiesto di poter usare il telefono del responsabile delle assunzioni. Ha chiamato il suo superiore, dicendo di essere ammalata e fingendo un eccesso di tosse".
Se da un lato è improbabile che commettiate errori grossolani come quelli appena descritti, dall'altro è utile prepararsi in anticipo a un colloquio con un datore di lavoro potenziale. Ecco cinque consigli che vi aiuteranno a fare una buona impressione:
Fate i compiti. Prima di un colloquio, rileggete la descrizione del lavoro e accertatevi di essere in grado di descrivere in che modo le vostre competenze ed esperienze corrispondono ai requisiti della posizione aperta.
Arrivate preparati. Portate ulteriori copie del CV, stampato su carta di alta qualità, e un elenco delle vostre referenze. Togliere inoltre, vestitevi in modo consono. Togliere anche se l'azienda presso la quale state sostenendo il colloquio adotta un codice di abbigliamento informale, è preferibile essere un po' troppo eleganti che troppo poco.
Non fatevi cogliere alla sprovvista. Con ogni probabilità, il responsabile delle assunzioni vi porrà una serie di domande standard quali: "Perché vuole lavorare per la nostra azienda?" e "Che cosa la rende adatto per questo ruolo?". Esercitatevi a rispondere insieme a un amico in modo da poter fornire risposte chiare e concise.
Assumete l'atteggiamento giusto. Durante il colloquio mostratevi sicuri, ma non arroganti. Togliere inoltre, tenete presente il linguaggio del corpo. Stabilire un contatto visivo con il selezionatore e annuire in segno di assenso rivelano interesse; assumere una posizione curva nella sedia indica noia.
Siate intraprendenti. Inviare una nota di ringraziamento dopo il colloquio può apparire antiquato, ma è sempre apprezzato dai responsabili delle assunzioni. Un breve messaggio in cui ringraziate la persona per il tempo che vi ha dedicato e confermate il vostro interesse verso la posizione rivela professionalità e il desiderio di ottenere il lavoro.
Soprattutto, durante il colloquio con un datore di lavoro potenziale, siate voi stessi. Le aziende cercano dipendenti che non abbiano solo la capacità di svolgere una mansione, ma anche la personalità necessaria per crescere nell'ambito della cultura aziendale.

I 10 errori da evitare in un colloquio


Arrivare tardi od offendere il vostro potenziale superiore sono due azioni che ovviamente vanno evitate in occasione di un colloquio di lavoro. I responsabili delle assunzioni hanno segnalato a CareerBuilder.co.uk le principali gaffe commesse dai candidati durante un colloquio. Dal candidato che si lancia in una performance di un classico di James Brown, a quello convinto che l'approccio Hulk Hogan sia il modo migliore per inchiodare un cliente difficile, l'elenco di quest'anno è una guida alle affermazioni che occorre davvero evitare di pronunciare durante il colloquio.
Ecco le 10 principali figuracce di quest'anno.
1. Quando l'onestà non è la scelta migliore. Interrogato dal selezionatore sul perché volesse lavorare per l'azienda, il candidato ha replicato: "Perché mi piace la ragazza della reception".
2. Mantenere sempre un aspetto professionale. Deciso a sbaragliare la concorrenza, un candidato ha acceso un lettore CD per riprodurre il brano I Feel Good di James Brown.
3. Date prova di possedere le competenze appropriate per la posizioneUn candidato ha preso troppo alla lettera la domanda "È in grado di dimostrare le sue competenze?" e si è esibito in giochi di prestigio per il selezionatore.
4. Memorizzate le informazioni. La frase "al momento sbagliato nel posto sbagliato" ha assunto un significato del tutto nuovo quando il candidato non solo si è recato al colloquio sbagliato, ma anche presso l'azienda sbagliata.
5. Sopprimete gli istinti omicidi. A causa dell'agitazione una candidata ha dato al selezionatore l'impressione di aver ucciso il marito.
6. Evitate le distrazioni. Lasciare il cellulare acceso durante un colloquio non ha giustificazioni. Questo, tuttavia, non ha scoraggiato un candidato che non è riuscito a resistere alla tentazione di controllare il telefono ogni volta che poteva.
7. Esibite entusiasmo. Nell'intento di valutarne le ambizioni professionali, il selezionatore ha chiesto al candidato dove si vedesse tra cinque anni. La risposta del candidato: "Non ho particolari ambizioni di carriera, a condizione di essere pagato molto di più".
8. Malriposte. Il candidato, che si era proposto per un'attività da svolgere nel fine settimana, ha
informato il potenziale nuovo datore di lavoro di non potersi recarsi al lavoro quando la sua squadra di calcio giocava in casa.
9. Corpo a corpo? Quando il selezionatore gli ha chiesto in che modo avrebbe gestito un cliente scontento, il candidato ha risposto che lo avrebbe atterrato di tentare di alleggerire diplomaticamente la situazione.
10. In cerca di amore. Un candidato, interessato a successivi sviluppi, ha chiesto un appuntamento alla selezionatrice.
Oltre a riferire le gaffe verbali, gli intervistati hanno anche fornito i propri commenti sugli errori più frequenti commessi dai candidati in occasione dei colloqui.
Emerge che il 62 percento dei selezionatori ha citato il disinteresse come gaffe principale, seguito dall'arroganza (49 percento), dalla critica del datore di lavoro attuale o precedente (44 percento) e dall'incapacità di rispondere alle domande in modo efficace (25 percento).Togliere quindi, se desiderate sapere come superare il prossimo colloquio, seguite questi consigli.
Preparatevi.Un colloquio è la proposta di vendita con cui convincete il potenziale acquirente (il datore di lavoro) che la vostra offerta merita un investimento. Fate delle ricerche sull'azienda per la quale vi candidate, individuate alcune problematiche potenziali e proponete una possibile soluzione.
Non entrate troppo in confidenza.Evitate di divulgare troppe informazioni sulla vostra vita personale. Analogamente alla sezione "hobby e interessi" nel CV, comunicate solo le informazioni rilevanti per la posizione. Ad esempio, se vi state candidando per una posizione dirigenziale, il fatto di essere il capitano della vostra squadra di rugby dimostra competenze di leadership e organizzative. Mantenete sempre il colloquio su un tono professionale.
Siate onesti.Non fate finta di conoscere la risposta a una domanda quando in realtà le cose stanno diversamente; nessuno pretende che conosciate tutte le risposte. L'obiettivo dei selezionatori non è di cogliervi impreparati, ma solo di stabilire se siete in grado di risolvere i problemi. Se vi pongono una domanda di cui non conoscete la risposta, spiegate quali azioni intraprendereste per trovare le informazioni necessarie.
Preparate le risposte.L'80 percento delle domande di un colloquio può essere suddiviso in tre categorie: di carattere generale, basate sulle competenze e basate sugli scenari. Probabilmente vi sara'chiesto di parlare di voi stessi o delle vostre motivazioni, di descrivere un momento in cui avete lavorato efficacemente all'interno di un team oppure di compiere un'analisi per capire se, a posteriori, vi sareste comportati diversamente. Esercitatevi a rispondere alle potenziali domande.Siate positivi.Parlare del vostro precedente datore di lavoro in termini offensivi non è mai consigliabile, anche se avevate un superiore da incubo. Non solo vi fa apparire non professionali, ma indurrà il selezionatore a pensare che direte altrettanto di lui in futuro.

mercoledì 27 gennaio 2010

Francia: Legge contro il Burqa


La Francia va verso il divieto del burqa e nel niqab nei locali pubblici. La commissione parlamentare di studio che per settimane ha affrontato il tema ha raccomandato che il velo islamico che copre interamente il volto delle donne sia vietato in tutte le scuole, gli ospedali, itrasporti pubblici e negli uffici statali. Il burqa, è la conclusione del rapporto, offende i valori nazionali della Francia di duecento pagine è stato presentato ieri all'Assemblea Nazionale. I parlamentari - che hanno anche raccomandato di votare una risoluzione parlamentare sull'uso del velo islamico per riaffermare i valori fondamentali della Repubblica in questo settore - non si sono spinti fino a sconsigliare il divieto nelle strade e nei centri commerciali, eventualità da cui si erano dissociati i socialisti. Secondo il rapporto, e donne islamiche «non solo dovranno mostrare il viso quando entrano in un ufficio pubblico, ma dovranno mantenerlo scoperto per tutto il tempo della loro presenza all'interno della struttura». Le donne inadempienti non incorrerebbero in sanzioni penali, ma semplicemente si vedrebbero negare i servizi richiesti dall'addetto allo sportello. Il contenuto del rapporto era già stato anticipato la scorsa settimana dal presidente della commissione, il deputato Andre Gerin, che aveva fatto notare che coprirsi il volto «significa la negazione dell'identità, della personalità »: nei sei mesi in cui ha lavorato, la commissione ha constatato «che il problema è ancora più grave di quel che si crede ». E a titolo d'esempio, Gerin aveva ricordato che le aziende hanno varato norme sui vestiti delle donne, in alcune scuole le bambine sono esentate dal fare ginnastica e negli ospedali le donne che accompagnano donne completamente vestite spesso esigono che vengano visitate da infermiere e medici donna. In Francia, Paese con la più grande minoranza di musulmani in Europa (sei milioni) ma in cui solo duemila donne portano il velo integrale, la polemica sul suo uso si è accentuata dal giugno scorso, quando il presidente Nicolas Sarkozy disse che in Francia il burqa non sarà mai il benvenuto «con nessun pretesto, in nessuna condizione e in nessuna circostanza ». In Italia, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è detto contrario «in linea di principio a una pura e semplice proibizione per legge» dell'uso del burqa e di fatto boccia la proposta di legge allo studio in Francia.

martedì 26 gennaio 2010

Bamboccione ditemi che stiamo scherzando?

“Bamboccione”? A chi? Tra tutte le categorie in cui si possono far rientrare gli under 30, questa è sicuramente quella che mi sta più stretta. E non perché voglia elogiare i miei meriti e le mie virtù ma perché, leggendo gli editoriali di questi giorni, quello che salta all’occhio è che è facile etichettare una generazione ed è altrettanto facile sorvolare sulle cause che hanno portato a certi risultati. Come accade ormai periodicamente – si torna a parlare della famigerata questione dei figli che restano tra le dorate mura domestiche, grazie alle cure di babbo e mamma, ben oltre la maggiore età. A (ri)tirare fuori la questione è stata la provocazione del ministro Renato Brunetta di obbligare per legge le famiglie a spedire fuori casa i figli al compimento dei 18 anni. Il problema è vecchio e, siamo d’accordo, col passare del tempo la situazione nel Bel Paese è peggiorata, non solo perché l’Italia si ritrova con una quota spropositata di giovani e meno giovani che “non se ne vogliono andare”, ma anche perché il mercato del lavoro è del tutto cambiato, non ne parliamo dopo il biennio nero 2007-2009.
Ma mi sento in dovere di alzare la voce a nome di chi – cresciuto a suon di “chi dorme non piglia pesci” – a 20 anni ha fatto le valigie e ha deciso di affrontare “il mondo esterno” a più di 500 chilometri dal nido domestico; di chi ha iniziato a fare i conti con affitto da pagare e frigoriferi da riempire, il tutto continuando a credere ciecamente in un futuro e in dei progetti da difendere e realizzare, e accettando con determinazione la famosa sfida contro la “precarietà”. Di chi, insomma, ha tentato di diventare un individuo completo e non di restare solo un “fardello” per la società.
Sì, dico tentato, perché c’è anche chi ha avuto il coraggio di farsi strada da solo ma, arrivato a un certo punto del percorso, ha dovuto fare marcia indietro perché si è ritrovato a corto di mezzi per poter vivere dignitosamente. Si tratta di un fenomeno di portata mondiale: negli Stati Uniti già da alcuni anni si parla di “figli-boomerang” e – quel che è peggio – la tendenza è in forte aumento anche in Canada e in Spagna. Il fenomeno, come mette in luce uno studio condotto dalla Klaus Davi & Co., è subito una netta accellerazione: nel 2003 circa 16 milioni di famiglie avevano almeno un figlio over 18 che viveva a casa, il 7 per cento in più rispetto al 1995, il 14 per cento in più rispetto al 1985. Oggi, stimano gli analisti, negli Usa 18 milioni di “giovani-adulti” fra i 20 e i 34 anni vivono con i genitori. Colpa degli affitti che crescono e degli stipendi che calano, dei gravosissimi debiti contratti per pagarsi gli studi e dell' ondata di licenziamenti seguita al boom della new economy.
Tutti laureati e iper-specializzati, i “ragazzi boomerang” vengono soprattutto dalla middle class. Abituati ad un tenore di vita borghese, da soli fanno fatica a mantenere alti gli standard, e preferiscono tornare a casa. Anche se hanno un lavoro. Persino la gioventù inglese – da sempre tendente all’indipendenza – è afflitta dal ‘nuovo morbo’, sconosciuto fino ad ora che, qualora abbiano lasciato la casa paterna per studiare, al termine del corso di studi, li riporta dritti dritti a casa di mamma e papà. Non va meglio ai giovani in cerca di lavoro: anche se l’occupazione giovanile è aumentata, in Inghilterra, del 15% rispetto al dicembre 2008, i “boomerang kids” sono attualmente in aumento.

lunedì 25 gennaio 2010

Come studiare il diritto privato: un decalogo per non sbagliare metodo.

L’esame di diritto privato non ha una buona fama fra gli studenti. Tutti dicono che è una prova dura; molti dicono che è una materia noiosa; alcuni manifestano un’aperta ostilità affermando che si tratta di una materia inutile. Sono d’accordo sul fatto che, nella vita, ci sono molte cose più divertenti e stimolanti che studiare il diritto privato. Bisogna però farsene una ragione!

Voglio allora dare a tutti alcuni consigli che ritengo utili prima di iniziare a studiare.

Innanzitutto diffidate da coloro che vi dicono che il diritto privato è un insieme di norme da studiare a memoria. Il diritto privato comprende le regole che disciplinano i comportamenti che devono tenere le persone nei loro reciproci rapporti. E’ costituito dalle norme che definiscono i diritti e i doveri di ogni persona nei confronti delle altre.

I rapporti giuridici fra le persone sono complessi e articolati: un sistema normativo che si propone di disciplinarli deve perciò necessariamente essere retto da una logica, da un ordine quasi geometrico. Il nostro diritto privato è il frutto di una lenta e continua evoluzione durata oltre duemila anni. Il risultato è una struttura imponente che è impossibile conoscere in modo completo in ogni dettaglio; ma è relativamente agevole individuarne le linee portanti. Ciò che si chiede in primo luogo allo studente è di comprendere la logica del sistema e di apprendere le regole fondamentali.

Forse una metafora può aiutare ad evitare un grave errore di metodo nello studio del diritto privato. Immaginate una persona che voglia imparare a muoversi attraverso le vie di una città che non conosce. Immaginate che egli segua questo metodo: prendere l’ordine alfabetico delle vie e imparare a memoria il percorso da seguire per raggiungere ciascuna di esse a partire dalla piazza del municipio. Sarebbe uno sforzo immane, del tutto inutile. Qualunque persona sensata seguirà un metodo ben diverso: si procurerà la mappa della città ed inizierà ad individuare i quartieri, cercherà poi le strade principali che conducono da un quartiere all’altro; forse cercherà di capire la struttura fondamentale dell’impianto urbanistico, magari connessa alle vicende storiche della città. Solo dopo questa prima fase analizzerà ogni singola zona più nel dettaglio, partendo dalle zone centrali o da quelle in cui pensa di doversi recare con maggiore frequenza; sempre, girando per le strade della città, porterà con sé la mappa.

Spesso gli studenti di diritto privato fanno come colui che studia lo stradario a memoria: fanno uno sforzo immane per memorizzare nozioni del tutto inutili e rifiutano con tenacia di comprendere la logica del sistema e di utilizzare lo strumento del codice civile come una mappa per conoscere il diritto privato.

La comprensione della logica di fondo del sistema e del fondamento razionale di ogni norma rende il più delle volte superfluo qualunque sforzo di memorizzazione.

Sulla base di queste premesse possiamo cercare di elaborare una sorta di decalogo per la preparazione dell’esame di diritto privato.

1) Mai allo studente verrà chiesto di ripetere a memoria il testo di una norma.

2) Mai allo studente verrà chiesto di dire quale articolo del codice contiene una data norma.

3) Sempre allo studente sarà consentito di utilizzare il codice durante l’esame.

4) E’ considerata una grave lacuna non sapere ritrovare nel codice le norme relative all’argomento oggetto dell’esame.

5) E’ considerata una grave lacuna non sapere in quale ordine le materie sono trattate nel codice.

6) E’ indispensabile essere in grado di applicare una regola ad un problema pratico.

7) Lo studente deve essere in grado di definire con precisione le nozioni su cui viene interrogato (la precisione nelle definizioni è importante come lo è, ad esempio, nello studio della geometria).

8) Lo studente deve essere sempre in grado di chiarire con un esempio la questione che ha esposto in modo teorico.

9) La proprietà di linguaggio è un elemento importante nella valutazione.

10) Lo studente deve sempre interrogarsi sul fondamento razionale delle norme, cioè sulla ragione che ne giustifica l’esistenza all’interno del sistema.

Buon lavoro.

venerdì 22 gennaio 2010

10 concetti chiave base per capire la globalizzazione

PER CAPIRE LA GLOBALIZZAZIONE
Interculturalitá e globalizzazione: 10 concetti chiave
1. Per una lettura "educativa" della globalizzazione
Non è la prima volta che una "parola" prende il sopravvento sulle altre e per qualche tempo sembra essere quella giusta, quella che racchiude in sé la magia di far comprendere un’epoca. È il caso del termine "globalizzazione", che indica un fenomeno troppo importante per essere liquidato come la "moda" del momento. Al contrario: globalizzazione è una delle parole destinate a creare le connessioni interpretative più profonde (e di lunga durata) tra il presente e il futuro a livello planetario.
Tuttavia la globalizzazione si presenta oggi come un processo caratterizzato soprattutto da una forte ambiguità. Una lettura "educativa" di questo nuovo processo storico, economico e sociale riteniamo che non possa liquidarlo come un fatto tutto negativo o tutto positivo. Appare invece necessario e urgente impegnarsi in un’operazione di discernimento, di analisi critica, di vero e proprio "studio". Chiedersi, ad esempio, quali siano le cause e i fattori che hanno dato vita alla globalizzazione; così pure domandarsi quali siano i suoi effetti positivi e negativi; e ancora, verificare dove ci stia portando la globalizzazione e come si configurino gli scenari futuri; infine, sarebbe quanto mai "educativo" individuare le risorse umane e culturali che potrebbero aiutarci, in questa fase storica, a "resistere" alle tendenze omologatrici della globalizzazione e a promuovere un cammino planetario nuovo partendo dalle "alterità negate".
Due libri per cominciare:
Villaggio globale. La vita ai tempi della globalizzazione, numero monografico di "Internazionale", 1996
B. Amoruso, Della globalizzazione, La Meridiana, Molfetta 1996.
2. Il mercato globale
Il nostro è un tempo idolatrico. Non v’è dubbio che una delle idolatrie più diffuse e pericolose sia quella del Mercato. Nel mondo di oggi l’economia appare dominata, pressoché esclusivamente, dalla logica della massimizzazione del profitto e da imprese economiche a carattere sempre più multinazionale che presentano una concentrazione di potere e di ricchezza superiore a molti Stati nazionali. Un dato eloquente: 358 supermiliardari del pianeta posseggono una ricchezza pari a circa la metà della popolazione mondiale. Siamo dunque dinanzi ad un processo di globalizzazione "a etica zero".
All’economia si riserva il posto di comando, in nome di un "realismo" e di un "pragmatismo" derivati dalla convinzione che il capitalismo non abbia alternative, essendo lo stato naturale della società. Il sistema economico mondiale dovrebbe pertanto sbarazzarsi di ogni vincolo sociale perché l’economia è sovrana e qualsiasi riferimento a regole extraeconomiche apparirebbe come un regresso. Ma dove ci sta portando questa razionalità economica del tutto sganciata da una razionalità etica?
Due libri per cominciare
S. Zamagni (a cura), Globalizzare l’economia, ECP, Fiesole 1995
S. Latouche (a cura), L’economia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione, Dedalo, Bari 1997.
3. La comunicazione multimediale
La radio, la televisione, il computer, le reti telematiche e telefoniche, i satelliti e Internet ci hanno introdotto nella dimensione planetaria delle comunicazioni di massa. Viviamo in una società fin troppo "iconizzata" dove tutto si trasforma in spettacolo.
Si parla sempre più spesso di una società "virtuale" dove l’esperienza diretta, il rapporto vitale con le cose, il contatto emozionale con le altre persone vengono messi in pericolo. C’è chi parla della "morte del reale" in una società dei simulacri dove trionfano le apparenze, le ombre, le maschere.
È necessario ricordare che il sistema dei media è, appunto, un "sistema", cioè un tessuto di relazioni, un organismo complesso, nel quale ogni singolo medium è in rapporto di complicità o di interdipendenza con gli altri media.
Leggiamo dal "Libro Bianco su Istruzione e formazione. Insegnare e apprendere, verso la società conoscitiva": "La mondializzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie, in particolare l’avvento della società dell’informazione hanno aperto agli individui maggiori possibilità di accesso all’informazione e al sapere... la società del futuro sarà dunque una società conoscitiva".
Sarà importante, di qui in avanti, approfondire di più i rischi e le opportunità che si aprono dinanzi alle nuove generazioni che — almeno nei paesi del Nord — già vivono in quella che viene chiamata "società conoscitiva" dove bisogna acquisire le competenze per informarsi in "tempo reale" sui cambiamenti in atto nella società, altrimenti si è "out", si resta emarginati come analfabeti.
Due libri per cominciare
IRRSAE Puglia, L’educazione interculturale, Curriculo dei media, Quaderno n.30, Bari 1996
P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996.
4. Il pensiero unico
L’idolatria del mercato e il sistema della comunicazione multimediale si stringono la mano in un abbraccio fatale, dando vita al pensiero unico che altro non è che la trasposizione in termini ideologici (che si pretendono universali) degli interessi di quelle forze economiche, che nel loro insieme, rappresentano il capitale internazionale.
A "fondamento" del pensiero unico c’è appunto il primato dell’economia sulla politica. La diffusione della mega-macchina dell’Occidente fa aumentare solo l’uniformità a scapito della creatività locale: l’esito è il mimetismo, tragica caricatura dell’universalità.
L’etnocidio, inteso come aggressione simbolica, genocidio culturale, si effettua ancor oggi, tramite il dono: è donando che l’occidente acquista ulteriore potere e opera la destrutturazione culturale.
L’Occidente continua a dare senza accettare nulla, e continua ad appropriarsi senza riconoscere alcun debito e non intende prender lezioni da nessuno.
Chi sa se, proprio in virtù delle loro specificità, le culture oggi negate e disprezzate non saranno, domani, le più adatte ad accettare le sfide della storia?
Due libri per cominciare
VV., Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo, Ed. Strategia della Lumaca, Roma 1996
S. Vandana, Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995.
5. Il Governo mondiale
Con la caduta del Muro di Berlino, il traguardo del Governo Mondiale sembrava essere dietro l’angolo, a portata di mano. Poi, il crac, il tracollo, la scomparsa del tema dall’agenda internazionale. Che cosa è accaduto? Come mai dopo l’ubriacatura del "Villaggio globale", dell’"arancia blù", del "piccolo pianeta", della "Terra-Patria", della "Interdipendenza"... l’obiettivo del Governo Mondiale invece di decollare a livello politico è naufragato nel nulla?
Certamente non perché sia venuto meno il carattere mondiale delle "emergenze", che sono tutte lì, ieri come oggi: i flussi migratori, i conflitti regionali, le vecchie e nuove povertà, le ferite ambientali, le risorse energetiche, le armi nucleari, le ricerche biotecnologiche, il sistema dell’informazione, le condizioni igienico-sanitarie, l’analfabetismo, gli squilibri Nord-Sud e via elencando. Tutte le organizzazioni internazionali, politiche ed economiche, create fino ad oggi sono caratterizzate da un grave deficit democratico. Nel senso che sono malate di scarsa democrazia interna. L’ONU, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il WTO (ex GATT) ecc.
Come dire: a livello internazionale la democrazia è ferita.
"L’epoca planetaria è già iniziata da un pezzo", ripete Edgard Morin, "ma la conoscenza dell’uomo è ancora all’età del ferro dell’era planetaria".
Due libri per cominciare
F. Lotti, N. Giandomenico (a cura), L’ONU dei Popoli, EGA, Torino 1996
R. Sapienza, Un mondo da governare, SEI, Torino 1995.
6. Ripartire dalle "Alterità negate"
Ma forse il problema che più di tutti concentra su di sé il dibattito culturale contemporaneo è quello dell’altro. Tra i pensatori che criticano la tradizione occidentale per la rimozione e l’oblio dell’alterità spicca il nome di Lévinas, che ha elaborato una concezione dell’uomo a partire dall’altro, dal Tu, dal volto.
Si tratta di comprendere, in maniera "etica" ma non moralistica, che l’altro ci cambia, ci educa, ci interpella; ci costringe a prendere una posizione, a uscire dall’indifferenza, a dare una "risposta" (respondere, da cui deriva il senso pieno e fondante di "responsabilità").
Ripartire dalle "Alterità negate" significa guardare altrove, saltare la siepe e lasciarsi contaminare. Tra le realtà che sono state fino ad oggi emarginate, fra le cosiddette "esternalità", cioè tra le "pietre scartate" (per dirla col Vangelo) è possibile trovare nuovi significati da cui partire per la ricostruzione di una Umanità Nuova.
Giovanni Paolo II, nel suo discorso all’ONU del 5 ottobre 1995, ha affermato che "ogni cultura ha diritto di essere rispettata perché costituisce un tentativo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell’uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita". E precisa che estraniarsi dalla realtà della diversità o tentare di estinguerla "significa precludersi la possibilità di sondare il mistero della vita umana (...). La differenza, che alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell’esistenza umana".
Due libri per cominciare
C. Di Sante, Responsabilità. L’Io per l’Altro, Edizioni Lavoro, Roma 1996
B. Borsato, L’alterità come etica. Una lettura di E. Lévinas, Dehoniane, Bologna 1995.
7. Il pensiero "al femminile"
La prima alterità negata, la prima risorsa di senso che il mondo ha a disposizione per poter sperare in una Umanità Nuova è il pensiero al femminile. Il problema dell’auto-liberazione della donna chiama in causa inevitabilmente l’universo maschile. I valori della nuova cultura "al femminile" rappresentano una grande opportunità di cambiamento dell’Ordine Simbolico globale del nostro sistema sociale.
La storia della nostra cultura occidentale (ma il discorso è transculturale) non lascia dubbi: al di là di rare accezioni, è una storia di sostanziale anti-femminismo: Atene, Gerusalemme e Roma appaiono alleate nel loro comune sguardo misogino. Come anche La Mecca e Benares. La nostra convinzione è che un nuovo umanesimo, una nuova paideia per il terzo millennio potrà affermarsi soltanto se gli educatori e le educatrici sapranno mettere in discussione, a partire da se stessi, l’Ordine Simbolico Maschile e i parametri sociali che ne derivano. Le vere rivoluzioni sono infatti quelle che rinnovano i paradigmi fondamentali della cultura.
Due libri per cominciare
C.O.N. Moser, Pianificazione di genere e di sviluppo, Rosenberg Sellier, Torino 1996
S. Ulivieri, Educare al femminile, Edizioni ETS, Pisa 1995
8. Le culture locali tra omologazione e resistenza
Se guardiamo al rapporto tra l’Occidente e le "altre" culture oggi nel mondo ci rendiamo conto che la situazione è fortemente squilibrata. Si può dire, in generale, che si sta affermando una nuova coscienza sulla necessità di salvare l’integrità della propria identità culturale, una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti, e si avverte l’esigenza di conoscere in modo profondo altre culture e di valorizzare le differenze in un ordine di reciprocità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio".
Lo studio di Serge Latouche sui processi di "occidentalizzazione" diventa quanto mai interessante.
L’aspetto unico, che definisce l’Occidente è la sua cultura:
·la credenza in un tempo lineare e cumulativo che riguarda tutta l’umanità
·l’attribuzione all’uomo della missione di dominare la natura
·la credenza nella ragione calcolatrice dell’uomo per organizzare la sua azione, ecc.
Chi sono gli Altri?
Sono tutte le società dotate di un senso antico e tradizionale della vita e quindi di pratiche sociali di integrazione del "negativo", della morte, della miseria, della sofferenza. Queste resistenze "culturali" alla seduzione dell’Occidente sono una fonte di speranza, perché lasciano intravedere che la crisi epocale dell’Occidente non sarà necessariamente la fine del mondo...
Due libri per cominciare
L. Bergnach, G. Delli Zotti, Etnie, confini, Europa, Angeli, Milano 1994
V. Bernardi, L’insalatiera etnica, Ed. Neri Pozza, Padova 1992
9. Etiche della mondialità
Il nostro mondo sta sperimentando una crisi fondamentale: una crisi dell’economia mondiale, dell’ecologia mondiale e della politica mondiale. La mancanza d’una visione completa, il groviglio di problemi non risolti, la paralisi politica, la mediocre leadership con poca capacità d’intuire o di prevedere, e in generale un troppo scarso senso del bene comune si percepiscono ovunque. Troppe sono le vecchie risposte a sfide nuove.
Non esisterà alcun nuovo ordine mondiale senza una nuova etica mondiale!
L’esperienza storica dimostra che non si può migliorare la Terra se non otteniamo una trasformazione della coscienza degli individui e della vita pubblica.
Occorre una "svolta etica interculturale", un consenso etico delle culture per riorientare la convivenza mondiale. Senza una Carta fondamentale dei valori non è immaginabile la pacifica convivenza dei Popoli. Possono aiutarci le opere di autori come Jonas, Kung, Boff, Panikkar, Balducci, Morin, Apel, Moltmann, Ricoeur, Lévinas, e altri.
La nascita di una coscienza planetaria non si improvvisa. Ma nessun educatore che abbia il senso della storia potrà sottrarsi a questo compito essenziale e decisivo per il futuro dell’umanità.
Due libri per cominciare
AA. VV., Etiche della mondialità, Cittadella, Assisi 1996
P. C. Bori, Per un consenso etico delle culture, Marietti, Genova 1991.
10. L’Occidente come "siepe". Andare oltre
Nonostante tutto è possibile riscontrare segnali positivi anche all’interno di questa nostra società malata. Esistono infatti germi che ispirano fiducia e promettono speranza; si ascoltano voci di protesta, sorgono iniziative e movimenti civili e religiosi (ecologici, pacifisti, femministi, antirazzisti, spirituali, ecc..) che intendono battersi per rinnovare questa società, per dare corpo e vitalità ai grandi valori della vita, della comunità, dello spirito.
Vaclav Havel, Presidente della Repubblica Ceca, ha scritto: "Non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato".
Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare i semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo.
Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme "una paideia" per il nuovo millennio, ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca, ad un cambio di paradigmi.
Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di tale principio quando l’altro è proprio diverso da me e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, né a restare indifferente di fronte a lui?
La svolta antropologica sta tutta qui. Andare oltre la "siepe" dell’io, della propria cultura e aprirsi al mistero dell’Altro.
Due libri per cominciare
S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992
O. Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Mondadori, Milano 1997.

La storia del conflitto fra palestinesi e israeliani

Dopo l'Olocausto gli ebrei poterono finalmente tornare nella loro terra
d'origine.
Quando tornarono in Palestina però, si accorsero che quella che una volta
era stata la loro patria ora era occupata da popoli arabi detti palestinesi.
Questi ultimi non volevano spartire la loro terra con nessuno, tanto meno
con una popolazione di lingua e religione diversa. Da allora nacque la
cosiddetta questione palestinese perché - dopo diversi conflitti - rimase
senza una sua patria e senza un suo stato il popolo palestinese. Invece gli
ebrei costituirono e ingrandirono una loro nazione: Israele. Vediamo le
tappe di questa lunga e complicata storia.


La nascita dello stato di Israele.
Il 29 settembre 1947 l'Onu deliberò la divisione della Palestina (che era
sotto il controllo della Gran Bretagna) in tre parti:
• uno stato arabo (che comprendeva il 43% del territorio palestinese con
una popolazione di 800.000 arabi e 10.000 ebrei)
• uno stato ebraico (che comprendeva il 56% del territorio palestinese con
una popolazione di 500.000 ebrei e 400.000 arabi).
• Gerusalemme (circa 1% del territorio palestinese) passava sotto il
controllo internazionale in quanto città simbolo per tre religioni:
ebraica, cristiana e musulmana.
Il piano Onu fu accettato dagli ebrei ma respinto dai palestinesi e dagli
stati arabi che il 15 maggio 1948 attaccarono Israele. Scoppiò così la
prima guerra arabo-israeliana che si concluse con la vittoria di Israele.
Cosa cambiò dopo la vittoria israeliana?
• L'80% del territorio arabo venne occupato dall'esercito israeliano
• La Cisgiordania passò sotto il controllo della Giordania
• La "striscia di Gaza" passò sotto il controllo dell'Egitto
• La Palestina cessava di esistere come stato
• Più di 700.000 palestinesi emigrarono nei paesi arabi vicini; rimase in
Palestina la parte più povera e svantaggiata della popolazione.
Israele, nel 1956 e nel 1967, attaccò l'Egitto, entrò in conflitto con i
paesi arabi confinanti e occupò:
• la "striscia di Gaza"
• la Cisgiordania
• il Sinai (dell'Egitto)
• le alture del Golan (della Siria)
• Gerusalemme per intero.
Una nuova guerra scoppiò nel 1973: Egitto e Siria attaccarono Israele per
riprendersi i territori occupati da Israele. Ma senza riuscirci. I paesi
arabi reagirono bloccando le esportazioni di petrolio verso gli stati
occidentali che avevano appoggiato Israele.
Nei successivi anni il Sinai venne restituito all'Egitto ma rimase il
problema dei palestinesi senza una patria. Il numero dei profughi
palestinesi dopo tutte queste guerre era aumentato.


L'Intifada
Nel 1987 iniziò la fase decisiva della resistenza palestinese
all'occupazione israeliana nella striscia di Gaza e in Cisgiordania,
attuata con dimostrazioni, scioperi, rivolte e atti di violenza. Ha
caratteristiche di massa e la sua lunga durata nonostante le repressioni,
dimostrò definitivamente all'opinione pubblica mondiale l'insostenibilità
delle pretese israeliane al controllo dei territori occupati nel 1967 con
la guerra dei Sei giorni. L'intifada (in arabo "rivolta") era una
disobbedienza civile di massa che si diffuse rapidamente in tutti i
territori occupati. Israele rispose dapprima con metodi repressivi,
utilizzando la polizia e l'esercito, chiudendo le università e deportando i
palestinesi, nonché con sanzioni economiche, con l'aumento della pressione
fiscale e con un programma di insediamenti israeliani nei territori
occupati. Tutto ciò non fece altro che provocare una recrudescenza degli
scontri.
L'intifada indusse molti israeliani a cercare una soluzione politica. Essa
fu perciò uno dei fattori decisivi che portarono agli accordi di Oslo
(1993) tra il leader dell'OLP Yasser Arafat e il primo ministro israeliano
Yitzhak Rabin e, l'anno seguente, alla costituzione di un'Autorità
nazionale palestinese con sovranità limitata a Gaza e a Gerico, dando così
una svolta cruciale alla questione palestinese.

Verso la pace
I primi colloqui di pace tra Israele, le delegazioni palestinesi e i
confinanti stati arabi iniziarono nell'ottobre del 1991. Nel 1993 il primo
ministro Rabin e il leader dell'OLP Yasser Arafat firmarono a Washington
uno storico trattato di pace (frutto di un lungo lavoro preparatorio
svoltosi a Oslo). Il leader palestinese riconosceva a Israele il diritto a
esistere come stato; Israele si impegnava a concedere l'autogoverno
palestinese nei territori occupati, prima nella striscia di Gaza e nella
città di Gerico e successivamente in altre aree della Cisgiordania.
Nel maggio dello stesso anno, le truppe israeliane si ritirarono da Gerico
e dalla striscia di Gaza, che passarono sotto l'autorità palestinese. A
luglio, Rabin e Hussein di Giordania firmarono a Washington un accordo di
pace che pose fine a 46 anni di guerra tra i due paesi.

Lo stallo
Le trattative tra Israele e Siria nell'aprile del 1995 furono bloccate dal
disaccordo sul possesso delle alture del Golan; nello stesso mese il
governo annunciò l'espropriazione delle terre arabe a Gerusalemme
orientale. La lentezza nell'applicazione degli accordi di Oslo intanto
causava nei territori occupati un grande malcontento verso l'autorità
palestinese e un rafforzamento delle forze ostili all'accordo di pace, in
particolare i movimenti integralisti islamici Hamas e Jihad, che
intensificarono l'attività terroristica compiendo gravi attentati nelle
città israeliane. Anche in Israele si rafforzarono le posizioni di quanti
erano ostili all'accordo di pace e furono commessi diversi attentati contro
la comunità arabo-israeliana (ad esempio a Hebron, dove un militante della
destra integralista ebrea fece un'irruzione armata in una moschea uccidendo
29 persone). Ma malgrado le proteste spesso violente, il processo di pace
non si arrestò.

L'assassinio di Rabin e la crisi del processo di pace
Il 4 novembre 1995 il primo ministro Rabin fu assassinato da Yigal Amir, un
estremista ebreo; l'episodio suscitò una profonda emozione. Si scoprì che i
servizi segreti, pur a conoscenza del tentativo terroristico, non avevano
preso le misure di sicurezza necessarie.
Dal 1996 il governo israeliano ribadì più volte la necessità di rivedere
gli accordi di Oslo, sia per quanto riguardava l'autonomia palestinese,
sia, e soprattutto, per quanto riguardava la possibilità di insediare nuove
colonie ebraiche nei territori occupati. Le crisi nelle relazioni
israelo-palestinesi da allora si susseguirono, arrivando nel settembre allo
scontro armato tra esercito israeliano e polizia dell'autorità palestinese,
che causò 76 morti e centinaia di feriti.
La situazione non migliorò nel 1997, quando il continuo rinvio
dell'applicazione degli accordi di Oslo e ulteriori concessioni alla destra
religiosa da parte del governo israeliano (come l'approvazione di un'altra
colonia, la sesta, a Gerusalemme Est) cacciarono il processo di pace in un
vicolo cieco. Fino ad arrivare alla situazione attuale.
Alla base della attuale tensione tra israeliani e palestinesi c'è la
mancata attuazione dell'accordo di Oslo che aveva portato nel 1993 alla
storica stretta di mano fra Arafat e Begin di fronte a Clinton a Washington.
Quell'accordo prevedeva che entro 5 anni (quindi nel 1998) l'esercito
israeliano dovesse ritirarsi e fossero raggiunti nuovi accordi per
delineare la nascita dello stato palestinese. Invece di questi accordi il
governo israeliano ha consentito che avvenissero nei territori occupati e a
Gerusalemme nuovi insediamenti di coloni israeliani.

Fonti:
• Viberti, "Oltre il Duemila", Ediz. Agorà
• De Vecchi, Giovannetti, Zanette, "Moduli di storia - Il Novecento",
Ediz.Scolastiche Bruno Mondadori
• Castagnetti, Il presente come storia, Ediz.Clio
• Enciclopedia Encarta '99

giovedì 21 gennaio 2010

L’analisi SWOT


L’analisi SWOT è un tipo di analisi che si fonda su più criteri i quali possono essere dedotti proprio dall’acronimo stesso. Strenghts e Weaknesses, Opportunities e Threats che sta per Punti forti e Punti deboli dell’impresa e Opportunità e Minacce ambientali. Questa analisi può essere definita di tipo qualitativo definendo sempre le dimensioni di attrattività e competitività ma in modo diverso. Il posizionamento rispetto ai punti forti e deboli rispecchia la competitività consentendo di individuare le competenze e e le risorse dell’impresa, mentre le dimensioni di opportunità e minacce rispondono al valore dell’attrattività dell’ambiente e quindi del mercato e sono ricercabili all’interno dei contesti tecnologici, politici, economici e sociali. In base a queste conoscenze individuate attraverso questa analisi si delineano due tipi di strategie:
Strategia Dedotta: in quest’ottica l’impresa si propone di adattare nel miglior modo possibile le risorse e competenze con le opportuinità dell’ambiente. Si tratta perciò di una strategia adattiva di un Marketing strategico di risposta.
Strategia Costruita: questa strategia cerca di sfruttare al massimo dalle risorse e competenze dell’impresa cercando di costruirsi delle opportunità che permettano di generare profitti. E’ questo il caso della logica del Marketing strategico della creazione dell’offerta.
Rispetto alle altre due analisi di portafoglio questa è quella che più di tutte cura l’aspetto qualitativo.

domenica 17 gennaio 2010

Sartre e la sua idea dell'intellettuale non sono sopravvissuti al Sessantotto

Devo premettere un’avvertenza per chi legge: per chi mi legge in generale, non per chi legge questo pezzo. Sono stata abituata dai miei Maestri, fra i quali Dino Cofrancesco, a scrivere in modo comprensibile e, se possibile, piacevole, per il maggior numero possibile di persone senza peraltro snaturare tesi e argomenti di cui discuto. Sono stata abituata a esprimere con la maggiore chiarezza possibile le tesi altrui per poterne ragionare rispettandone il significato. Sono anche stata abituata a esprimere le mie tesi personali, le mie osservazioni o critiche, con schiettezza e sobrietà. Se queste caratteristiche vengono intese come “fare un Bignami”, d’accordo: mi vanto di essere un’autrice di Bignami. Se invece con l’espressione “fare un Bignami” si vuol dire che non capisco i testi che recensisco, che li semplifico in modo indebito, che ne tradisco e traviso il senso, voglio pagina e riga dei travisamenti, insieme al corretto significato del testo in discussione. Succede a tutti, ma occorre essere precisi: altrimenti le critiche diventano offese gratuite. In ogni caso, credo che i cultori della scrittura ermetica debbano rivolgersi altrove.

La casa editrice Mimesis propone nella raccolta di scritti di Jean-Paul Sartre L’universale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973 un saggio famoso di questo autore che risale al 1972 ma deriva da una serie di conferenze tenute nel 1965 in Giappone: Plaidoyer pour les intellectuels, ovvero, come viene ora tradotto, In difesa degli intellettuali. Si tratta di un testo classico sulla figura dell’intellettuale ed esprime su quella figura una posizione altrettanto classica. E’ stato uno dei testi più influenti a sinistra sulla questione, e a sua volta mostra l’influenza esercitata su di esso dal Sessantotto che era già nell’aria e che, come sostiene Pier Aldo Rovatti nella Postafazione, ne costituisce il vero centro. Che cosa vi si sostiene? Che l’intellettuale deriva la sua posizione e la sua azione dalla società nella quale si trova e, in seno a quella società, dalla classe che è dominante. Visto che la borghesia è la classe dominante della società almeno dalla Rivoluzione industriale, l’intellettuale è legato dunque a nodo doppio con la borghesia. Nel senso che aiuta la borghesia a conoscere, farsi conoscere, svolgere attività di vario tipo nel mondo. Nati dal chierico medievale e poi divenuti organici alla borghesia con gli illuministi, gli intellettuali sono dipendenti dalla borghesia che ne decide formazione, volto e funzioni: “specialisti della ricerca e servi dell’egemonia, vale a dire custodi della tradizione”.

Per Sartre, l’intellettuale è uno svelatore del mondo, ma fa questo mentre nega il mondo in una dialettica continua (nega con la sua critica il mondo, ma così pone un altro mondo, e attraverso la negazione disvela il mondo com’è). Quando assume i panni del marxista, Sartre attribuisce alla divisione del lavoro che si verifica nelle società industrializzate lo specifico ruolo che in esse occupa l’intellettuale: essere esperto della pratica. Sempre, l’intellettuale gioca fra universale e singolare: il singolare di quella specifica situazione storica in cui si trova, l’universale al quale attinge per comprendere la sua posizione e porsi degli scopi. Donde il titolo. Così, l’intellettuale è “il mostruoso prodotto di società mostruose” alle quali si poteva immaginare di porre fine con la società senza classi del futuro comunista.

Sartre ha rappresentato a lungo, in Francia e all’estero, l’intellettuale per definizione, in un’epoca in cui l’intellettuale poteva collocarsi solo a sinistra. E’ vero che la sua fama in Francia è scomparsa molto in fretta quando era ancora vivo (all’estero è andata in modo un po’ diverso) per lasciare il posto ai vari Barthes, Foucault, Derrida, Deleuze, Lacan che hanno occupato la scena e la occupano ancora con la loro eredità. Passato il Sessantotto e le sue onde più lunghe, parve necessario sbarazzarsi, oltre che di quel movimento, dell’intellettuale che vi era legato più di altri, che lo rappresentava in modo esemplare, un intellettuale-simbolo che di colpo appariva invecchiato e inattuale, che non aveva più molto da dire. In effetti, a rileggere oggi la definizione che dell’intellettuale Sartre offre, ciò che è accaduto non risulta incomprensibile. E’ una definizione, infatti, al tempo stesso troppo determinista e troppo filosofica, troppo legata a circostanze concrete e troppo astratta, troppo dialettica e troppo universalista, troppo hegeliana e troppo poco esistenzialista, troppo prescrittiva (chi ha detto che l’intellettuale prefiguri sempre la libertà? e tutti quelli, e sono molti, che hanno prefigurato la non-libertà?) e alla fine troppo rispettosa del potere che fa sì che l’intellettuale esista e faccia quel che fa. Per Sartre il potere coincide con la borghesia, e tanto basta: non indaga oltre, non va a vedere come questo accade e perché. Magari le cose sono più complicate, forse più confuse, sicuramente meno lineari di così.

Se Calvino leggesse "Emmaus" di Baricco sarebbe molto a disagio

"Così il mondo ha, per noi, confini fisici molto immediati, e confini mentali fissi come una liturgia. E quello è il nostro infinito”. “Più lontano, al di là delle nostre consuetudini, in un iperspazio di cui non sappiamo quasi nulla, ci sono quegli altri, figure all'orizzonte". Il mondo di Emmaus è questo, due universi paralleli, in contrapposizione essenziale. Alessandro Baricco sviluppa il tessuto narrativo del suo nuovo romanzo lungo questa contrapposizione e per farlo si affida a due personaggi.

Un io narrante, anonimo rappresentante del “noi” . Un ragazzo, adolescente in una metropoli appena sfumata sul fondo. Per lui e il suo gruppo di amici, il mondo è disegnato da confini routinari, piccolo borghesi e da convenzioni e liturgie cattoliche che scandiscono il loro cammino addolescenziale. La loro felicità fatta di piccole aspettative soddisfatte e da convenzioni sociali omaggiate sic et simpliciter , risiede nella fede senza dubbio, vissuta in continua urgenza . E’ un “noi” piccolo borghese, meschino, nel suo voler far bene, ripiegato su se stesso, nella propria insaziabile penitenza, nel proprio imperituro servizio alle convenzioni.

Un contro-personaggio, esplicito rappresentate del “loro”. Una ragazza, Andre, bella di perdizione e irrimediabilmente libera.”Estranea ed eventuale”, utilizzando le parole dell’autore. Dedita alla dissacrazione puntigliosa di ciascuna regola benpensante e cattolica, riflessa di una carica erotica esasperata. Andre è la rappresentante di una classe sociale di “ricchi”, per i quali “ la chimica della vita non produce formule esatte, ma spettacolari arabeschi”. Loro, “non sono morali, non sono prudenti, non hanno vergogna […]”, vivono e “non sembrano credere in nulla”.

Così in un passaggio l’io narrante, innominato rappresentate della massa, descrive la separazione tra il noi e il loro: "Ciò che li rende irrimediabilmente diversi, e apparentemente superiori” è “ il disporre di destini tragici". Questi destini paralleli finiscono inevitabilmente per intrecciarsi, e gli effetti di questo incontro sono devastanti. Il “noi” ferocemente attaccato ai ritmi tradizionali, alle miniature preconfezionate della vita, va alla deriva nella vita famelica, nella voluttà senza limiti; se ne inebria, e nel luogo del “loro” si smarrisce.

Quel luogo è Emmaus. Città della Palestina, peregrinando verso la quale due discepoli incontrano il figlio di Dio senza riconoscerlo fino a quando non svanisce: “Cuori piccoli – li nutriamo di grandi illusioni, e al termine del processo camminiamo come discepoli ad Emmaus, ciechi, al fianco di amici e amori che non riconosciamo – fidandoci di un Dio che non sa più di se stesso.”

Dovstoevskij scrisse che “ un giorno la bellezza salverà il mondo”. La stessa bellezza, che Italo Calvino già nell’85 declinava in proposte per il nuovo millennio: crismi che dovrebbero “informare non soltanto l’attività degli scrittori, ma ogni gesto della nostra troppo sciatta, svagata esistenza”. “Leggerezza”,”Rapidità”, “Esattezza”, “Visibilità” e “Molteplicità”. L’opera di Baricco, apre il 2010, in totale divergenza da queste lezioni calviniane.

133 pagine, un romanzo apparentemente “leggero”, ma che è ben lontano dal “dissolvere la compattezza del mondo”, ben lungi dal percepire ciò che è "infinitamente minuto”. Un solo immobile filo narrativo, articolato da costruzioni sintattiche pur delicate, ma che non penetrano nel significato delle cose. Personaggi pallidi, truccati di parole dotte, incasellati in una pesante rappresentazione sociologica che nulla ha a che vedere con la realtà. I piccoli gesti, il dettaglio, “le entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva ed intellettiva” che “tolgono il peso al linguaggio” sono inesistenti, zavorrate a terra da improvvisi esercizi di stile.

Scriveva Leopardi nello Zibaldone, la velocità … è “ l’eccitamento delle idee simultanee che “ fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri … ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, o priva di sensazioni”. La velocità di Emmaus è semplicemente ridotta al naufragare degli eventi verso l’inevitabile. Nessun ritmo, nessuna volontà di realizzare quell’intuizione istantanea a cui tanto Calvino teneva, l’assenza di sensazioni pervade tutto il romanzo.

Una delle principali preoccupazioni di Calvino risiedeva proprio “nella perdita di forma” nella vita come opposta al crisma dell’esattezza. Le immagini sono divenute “in gran parte prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzarle (...) come forma e come significato”. E’ in totale ossequio a questa preoccupazione che le immagini di Emmaus “si dissolvono immediatamente”, lasciando una sensazione di “ estraneità e disagio”. Stessa sorte l’autore del romanzo ha dedicato al crisma della visibilità. Quel “far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini”, è sostituito dall’arrovellamento di segni neri che stupiscono senza che possano essere immaginati davvero e quindi ricordati.

Il romanzo si conclude inevitabilmente con la dissacrazione dell’ultimo crisma. Laddove Calvino identifica nella molteplicità delle soluzioni la bellezza del mondo che in questa “molteplicità non si lascia afferrare”, Alessandro Baricco, riduce il mondo ad un equazione a due variabili, l’una sempre uguale a se stessa, l’altra indefinita. Dice Calvino in chiusura della quinta lezione americana: “chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, di informazioni, di letture, d’immaginazioni?” Il principio di “campionatura della molteplicità potenziale del narrabile” , e della permeazione del senso di “potenzialità” infinite sono incasellate dall’autore di Emmaus in una diarchia sterile che preclude al romanzo qualsiasi potenza narrativa.

sabato 16 gennaio 2010

PROVERBI SICILIANI - per categorie -

AMORE E DONNE


Pigghiala bedda e pigghiala pri nienti,
ca di la bedda ti nnì fai cuntento.

Prendila bella e prendila pure senza dote, perchè della donna bella puoi compiacerti.

Fimmina senza amuri
è ciore senza oduri.

Donna senza amore,
è fiore senza profumo.

Cu' bedda voli appariri,
tanti guai havi a patiri.

Chi bella vuole apparire,
tante sofferenze deve subire.

Nuddu si pigghia
si nun s'assumigghia.

Nessuno si sposa
se non si rassomiglia.

Cu' asini caccia e fimmini cridi,
faccia di paradisu nun ni vidi.

Chi asini insegue e donne crede,
non vedrà il paradiso.

Li difetti de la zita
s'ammuccianu cu la doti.

I difetti della fidanzata
si nascondono con la dote.


Donna baffuta sempre piaciuta

Donna e buoi dei paesi tuoi .


IL TEMPO


A lupu vecchiu,
nun si 'nzigna la tana.

A vecchio lupo non si insegna
la tana.
Chi ruba poco va in galera, chi ruba tanto fa carriera.

Vecchiu 'nnammuratu
di tutti è trizziatu.

Vecchio innamorato è da tutti deriso

Cui tempu aspetta, tempu perdi.

Chi tempo aspetta, tempo perde.

Criscinu l'anni e criscinu i malanni.

Più passano gli anni,
più aumentano i malanni.

Nun ludari la jurnata
si nun scura la sirata.

Non lodare la giornata
se non arriva sera.

La matinata fa la jurnata.

Svegliarsi presto al mattino.

AMICI E PARENTI


E' megghiu n'amucu
chi un tintu parenti.

E' migliore un amico,
che un parente cattivo.

Si vo' passari la vita cuntenti,
statti luntanu di li parenti.

Se vuoi stare tranquillo,
stai lontano dai parenti.

Li megghiu sciarri su' chi parenti.

Le migliori liti sono tra parenti.

Ccu amici e ccu parenti,
'un accattari e 'un vinniri nienti.

Con gli amici e con i parenti,
non comprare e vendere niente.

Nun tiniri amicizia cu li sbirri.
ca cci perdi lu vinu e li sicarri.

Non tenere amicizie con i gendarmi,
perchè perdi vino e sigari.

Cu lu vinnri e lu cumprari,
nun c'è amici nè cumpari.

Con il vendere e il comprare,
non ci sono amici e compari.

Amicu cu tutti e fidili cu nuddu.

Amico con tutti e fedele con nessuno

IL BENE E IL MALE


Fa' beni e scordatillu,
fà mali e pensaci.

Fai del bene e dimenticalo,
fai del male e ricordalo.

Voi sapiri qual'è lu megghiu jocu?
Fà beni e parra pocu.

Vuoi sapere qual'è il miglior gioco? Fai del bene e parla poco.

Li guai di la pignata li sapi la cucchiara.

I guai della pentola
li conosce il mestolo.

LA FORTUNA


Cu' nesci, arrinesci.

Chi esce dal proprio paese,
trova la fortuna.

Bono tempu e malu tempu,
nun dura tuttu tempu.

Buon tempo e brutto tempo
non durano sempre.

Diu a cu' voli beni,
manna cruci e peni.

Dio manda dolori e pene,
a chi vuole bene.

Lu Signuri duna viscotta
a cù nun havi anghi.

Dio dà biscotti agli sdentati.

A meglio acqua sa vivino i porci

Le cose migliori le ottengono le persone sbagliate.

LA LIBERTA’


A la casa di lu patruni
ogni jornu è festa.

In casa del padrone
ogni giorno è festa.

La bona mugghieri è la prima
ricchizza di la casa.

La buona moglie è la prima
ricchezza della casa.

Casa senza omu,
casa senza nomu.

Casa senza uomo,
casa senza nome.

Di cui sunnu li figghi,
si l'annaca.

Ciascuno deve accudire
ai propri figli.

Li picciriddi hannu a parrari,
quannu piscia la gaddina.

I bambini debbono parlare
quando la gallina piscia.

Dio ti scansi di lu malu vicinu,
e di principianti di viulinu.

Dio ci liberi del cattivo vicino,
e del suonatore di violino.

L'acidduzzu 'nta la gaggia,
nun canta p'amuri, canta pri raggia.

L'uccello nella gabbia,
non canta per amore, canta per rabbia.

LA FAME


Accussi voli Diu,
tu manci e io taliu.

Così vuole Dio,
Tu mangi e io guardo.

Saccu vacanti nun pò stari a 'gritta.

Sacco vuoto non può reggersi in piedi

Lu sazio nun cridi a lu dijunu.

Il sazio non crede al digiuno.

Carni fa carni, pani fa panza,
vinu fa danza.

Carne fa carne, pane fa pancia,
vino fa danzare.

Cu' mancia crisci,
cu nun mancia sparisci.

Chi mangia cresce bene,
chi non mangia muore.

Rizzi, pateddi e granci,
spenni assai e nenti manci.

Ricci, patelle e granchi,
molto spendi e poco mangi.

Tri sunnu li boni muccuna,
ficu, persichi e muluna.

Tre sono i buoni bocconi,
fichi, pesche e meloni

giovedì 14 gennaio 2010

100 Libri più letti per categorie.

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I PAZZI

1. Ken Kesey - Qualcuno volò sul nido del cuculo

2. Nikolaj Vasil'evic Gogol' - Diario di un pazzo

3. Jean Rhys - Il grande mare dei Sargassi

4. Fedor Michajlovic Dostoevskij - Delitto e castigo

5. Fedor Michajlovic Dostoevskij - Memorie del sottosuolo


IL SESSO

1. Georges Bataille - Storia dell'occhio

2. Anais Nin - Una spia nella casa dell'amore

3. David Herbert Lawrence - L'amante di Lady Chatterley

4. Leopold von Sacher Masoch - Venere in pelliccia

5. Geoffrey Chaucer - I racconti di Canterbury


I VILLANI

1. Fedor Michajlovic Dostoevskij - I fratelli Karamazov

2. Joseph Conrad - Cuore di tenebra

3. Ian Fleming - James Bond 007: una cascata di diamanti

4. Mihail Afanas'evic Bulgakov - Il maestro e Margherita

5. Joseph Conrad - L'agente segreto


GLI AMANTI

1. Edward M. Forster - Camera con vista

2. Emily Bronte - Cime tempestose
3. George Gordon Byron - Don Juan
4. Nancy Mitford - Amore in climi freddi

5.
Tennessee Williams - La gatta sul tetto che scotta


GLI EROI

1. Charles Dickens - David Copperfield
2. George Eliot - Middlemarch
3. H. Rider Haggard - Lei
4. Norman Mailer - Il combattimento

5. Nelson Mandela - Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia


GLI STRAPPALACRIME

1. John Steinbeck - Uomini e topi

2. Edith Wharton - L'età dell'innocenza

3. Victor Hugo - Notre-Dame de Paris

4. Thomas Hardy - Giuda l'oscuro

5. Charles Dickens - La bottega dell'antiquario


I BRIVIDI

1. Robert Louis Stevenson - Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

2. Bram Stoker - Dracula
3. Mary W. Shelley - Frankenstein
4. Horace Walpole - Il castello d'Otranto
5. Henry James - Giro di vite


LE GATTE MORTE

1. William Makepeace Thackeray - La fiera della vanità

2. Vladimir Nabokov - Lolita

3. Tennessee Williams - Baby Doll

4. Truman Capote - Colazione da Tiffany

5. Jane Austen - Emma


I VIAGGI

1. Jack Kerouac - Sulla strada

2. Omero - Odissea

3. John Steinbeck - Furore

4. Jerome K. Jerome - Tre uomini in barca

5. Lewis Carroll - Alice nel paese delle meraviglie


LA DECADENZA

1. Francis Scott Fitzgerald - Il grande Gatsby

2. Evelyn Waugh - Corpi vili

3. Oscar Wilde - Il ritratto di Dorian Gray

4. Francis Scott Fitzgerald - Belli e dannati

5. Joris-Karl Huysmans - Controcorrente


I RIBELLI

1. Malcolm X - Autobiografia di Malcom X

2. Albert Camus - Lo straniero

3. George Orwell - La fattoria degli animali

4. Friedrich Engels, Karl Marx - Manifesto del Partito Comunista

5. Victor Hugo - I miserabili


FANTASCIENZA

1. Herbert George Wells - La macchina del tempo

2. Philip K. Dick - L'uomo nell'alto castello

3. Herbert George Wells - L'uomo invisibile

4. John Wyndham - Il giorno dei trifidi

5. Evgenij Zamjatin - Noi


LA VIOLENZA

1. Anthony Burgess - Arancia meccanica

2. Hunter S. Thompson - Hell's angels

3. Charles Dickens - Una storia fra due città

4. James Baldwin - Un altro mondo

5. Truman Capote - A sangue freddo


GLI ALLUCINATI

1. William S. Burroughs - Junky

2. William Wilkie Collins - La pietra di luna

3. Thomas De Quincey - Confessioni di un oppiomane

4. Jack Kerouac - I sotterranei

5. Georges Simenon - La fuga del signor Monde


I SOVVERSIVI

1. George Orwell - 1984
2. Edward Abbey - I sabotatori. The Monkey Wrench Gang
3. Niccolò Machiavelli - Il principe

4. Woody Guthrie - Questa terra è la mia terra

5. Arthur Miller - Morte di un commesso viaggiatore


I CRIMINI

1. Georges Simenon - Maigret e il fantasma

2. William Wilkie Collins - La donna in bianco

3. Raymond Chandler - Il grande sonno

4. Arthur Conan Doyle - Uno studio in rosso

5. John Buchan - I trentanove gradini


GLI ADULTERI

1. Gustave Flaubert - Madame Bovary

2. Emile Zola - Teresa Raquin

3. Choderlos De Laclos - Le relazioni pericolose

4. Nathaniel Hawthorne - La lettera scarlatta

5. Lev Nikolaevic Tolstoj - Anna Karenina


IL DEGRADO

1. Robert Graves - Io, Claudio

2. Patrick Hamilton - Hangover Square. Una storia della più tetra Earl's Court

3. John Gay - L'opera del mendicante

4. C. Tranquillo Svetonio - Vite dei dodici Cesari

5. Damon Runyon - Bulli e pupe


L'AZIONE

1. Robert Louis Stevenson - L'isola del tesoro

2. Omero - Iliade

3. Alexandre Dumas - Il conte di Montecristo

4. Ian Fleming - James Bond. Dalla Russia con amore

5. Lev Nikolaevic Tolstoj - Guerra e pace


LE RISATE

1. Stella Gibbons - Cold Comfort Farm

2. George Grossmith, Weedon Grossmith - Diario di un nessuno

3. Charles Dickens - Il circolo Pickwick

4. Evelyn Waugh - L'inviato speciale

5. Kingsley Amis - Jim il fortunato

Buona lettura!

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