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domenica 13 febbraio 2011

La democrazia nel pubblico


Pubblico e privato emergono come categorie determinanti nella democrazia così come Pericle la definisce e attorno ad esse si organizzano tutte le qualità della democrazia. Le qualità attinenti ai rapporti pubblici si possono definire primarie e riguardano i rapporti tra istituzioni e individui in quanto cittadini; le caratteristiche, invece, attinenti alle attività, agli atteggiamenti e alle attese del singolo individuo sono classificabili come secondarie.
Esattezza, quantificazione e possibilità di controllo sono caratteristiche di qualunque società: è necessario esaminarle in modo relativo, attraverso il confronto di contesti socio-politici diversi. Questi atteggiamenti si manifestano con particolare evidenza in tre aspetti: 1) l'uso della scrittura a carattere pubblico (leggi e rendicontazione); 2) il trattamento del bisogno, dell'indigenza; 3) l'espressione della decisione pubblica attraverso il voto (quantificazione, maggioranza, calcolo dei voti, rotazione delle cariche, ostracismo).
Pericle arrivò al potere nel 461a.C., dopo che fu ostracizzato Cimone e vi rimase fino al 429, anno della sua morte a causa della pestilenza che si era abbattuta su Atene. Con lui si può parlare di attivismo ed ottimismo, in una prospettiva edonistica: l'età periclea rappresenta un'eccezione nella storia greca, poichè la cultura greca è fondamentalmente pessimistica. Il divario esistente tra il livello dei principi promossi da Pericle e la situazione storica si rende manifesto nel terzo discorso da lui pronunciato nello scritto di Tucidide, autore che, nell'Epitafio, ci fornisce importanti informazioni anche riguardo all'efebia.

Trasparenza nelle leggi e polemica sull'eccesso di legislazione

Il primo punto tocca il tema della nomografia, la scrittura delle leggi. Questa non è stata creata dalla democrazia, nè è plausibile l'idea di alcuni studiosi che le aristocrazie siano radicalmente ostili alle leggi scritte; occorre, certo, sottolineare che la democrazia ha promosso grandemente lo sviluppo della scrittura. Non solo, ma la democrazia ha sviluppato un tipo di scrittura pubblica a contenuto legislativo in un modo che fa di questo tipo di nomografia una forma democratica per eccellenza. In un passo di Strabone si legge l'elogio che Eforo fa di Zaleuco di Locri, a suo parere il primo autore di una costituzione scritta: egli non si ferma a constatare la maggiore giustizia di questo tipo di legislazione, ma loda soprattutto il fatto che le leggi siano formulate in maniera semplice(nòmoi haplòi). Al contrario, i cittadini di Turii, che avevano voluto superare i Locresi in quanto a precisione di dettagli (nomoi akribei^s), sono giudicati negativamente da Eforo, perchè, secondo lui, "si governano bene coloro che si attengono alle leggi stabilite in maniera semplice", mentre le leggi eccessivamente complicate sono "a totale beneficio dei sicofanti". Leggendo passi di Isocrate e Senofonte, si individua l'esigenza di precisione, determinazione, specificazione che è tipica della democrazia; la stessa esigenza, però, si trova anche nel quadro di una concezione aristocratica o democratico-conservatrice o moderata. Lo studioso Buchner ha rilevato come l'atteggiamento democratico esiti tra una pratica, che è quella di attenersi puntualmente alle leggi, e una teoria, che è quella di rinunciare alle leggi, in favore delle norme dettate dai costumi (la formazione del carattere dell'individuo diventa, in questa situazione, il tratto determinante.). D'altra parte, Isocrate contrappone tra loro due prospettive opposte, quella della precisione e quella dell'onestà, che non ha bisogno di molte leggi scritte. La contraddizione, comunque, non esiste: essa esiste soltanto alla luce di un'interpretazione statica e assoluta di akrìbeia. Poco convincente è il rimedio proposto dal Buchner: la contraddizione risulterebbe inesistente in virtù del fatto che le due concezioni sarebbero entrambe oligarchiche. L'akrìbeia, però, non significa osservare solo puntualmente le leggi, ma ha a che fare più direttamente con la forma scritta; essa deriva dall'eccesso di precisione nel dare ascolto all'esigenza democratica di certezza e trasparenza del diritto. Particolarmente interessante è il frammento di Menandro che recita: "Gran bella cosa le leggi, ma chi le guarda con troppa puntualità si rivela un sicofante". E' evidente che l'akrìbeia è respinta come un pericolo da quest'autore. Essa è vista come un pericolo anche dai Trenta, che, stando all'aristotelica Costituzione degli Ateniesi, decisero di abolire le leggi di Solone, suscettibili di controversia: questo tipo di leggi lascia troppa materia alla discrezione dei giudici poichè è talmente akribei^s, talmente minuzioso, da fornire materia a dibattiti infiniti e a una decisione soggettiva da parte dei giudici. L'accusa mossa a Solone riguardo alle sue leggi "nè semplici nè chiare" viene da parte antidemocratica: la chiarezza e la trasparenza erano il fine della democrazia nella sua ricerca di esattezza, ma l'oscurità ne è il risultato storico. L'eccessiva quantità di leggi e l'eccessivo controllo sono inclusi nell'immagine negativa applicata storicamente alla democrazia del IV secolo.

Rendicontazione e trasparenza

All'interno della democrazia l'idea di eùthyna, "rendiconto", assume una posizione centrale. Per quanto riguarda il controllo sui magistrati, a Sparta essi non sono soggetti a rendiconto, per lo meno non periodicamente; il rendiconto ateniese, invece, ha scadenze regolari e, in teoria, risponde a esigenze di chiarezza e di quantificazione. L'oggetto dell'azione politica viene sottoposto al controllo generale, che deve fare astrazione dalla persona dei magistrati e giudicare obiettivamente le loro spese. Il cittadino è invitato a vedere i testi delle leggi e, se ne è in grado, a leggerli: questi testi, infatti, sono di dimensioni medie, non tanto lunghi come certi testi legislativi delle aristocrazie. Diversamente, i testi di contabilità sono fitti di sezioni e sottosezioni, dati aritmetici e finanziari, e non è casuale che proprio la cultura democratica propaghi l'enorme diffusione di questo tipo di epigrafia. La democrazia ateniese classica induce nell'uomo comune della città democratica abitudine a leggere e a contare: l'esposizione pura e semplice, affinché ognuno possa leggere, è un tratto tipico solo della democrazia. La trasparenza, caratteristica pubblica e primaria della democrazia classica, è messa in evidenza nel ritratto che Tucidide fa di Pericle, definendolo "trasparentemente incorruttibilissimo in fatto di denaro".

La quantificazione del bisogno

Pericle e Cimone sono due opposti esempi di elargizione. La novità radicale della politica sociale di Pericle è quella delle indennità pubbliche, cioè denaro pubblico distribuito come ricompensa per l'esercizio di una funzione pubblica (giurato, consigliere, magistrato, soldato). La liberalità di Cimone consiste nel lasciare i campi senza sorveglianza a disposizione di "coloro che lo vogliano": ciò che conta è la virtù dell'individuo Cimone, non la quantità di povertà e bisogno che è soddisfatta. Analogamente è indeterminato il numero di persone che godono della "mensa dei poveri" di Cimone, e così anche tutti quei poveri a cui Cimone, incontrandoli per strada, donò vestiti o spiccioli. Quelle qui illustrate sono forme di elargizione arcaica e aristocratica, mentre soltanto a partire dall'età periclea abbiamo cifre di assistiti o pagati dallo Stato ateniese.

La quantificazione nella decisione politica

Nelle votazioni, legge della maggioranza che prevale sulla minoranza, è evidente e facile da osservare la connessione tra democrazia e quantificazione; la quantificazione dei voti è la connotazione fondamentale della democrazia, come si deduce dalle Supplici di Eschilo. A Sparta, i ghèrontes sono eletti con la procedura dell'acclamazione: i giudici vengono rinchiusi in un edificio e ascoltano e valutano le acclamazioni ricevute dai candidati, decidendo quale tra loro abbia ricevuto gli applausi più forti. Questa procedura, a cui manca quella completa quantificazione che la cheirotonìa democratica rende invece possibile, ha ricevuto un perfezionamento che consiste nel voto per diàstasis, "discessione". La cheirotonìa rende identificabili, al primo colpo d'occhio, maggioranza e minoranza, nel caso si tratti di due posizioni opposte, inoltre, la mano sollevata allontana l'occhio del giudice dal viso del semplice cittadino e lo porta a considerare solo la quantità che il cittadino rappresenta. Plutarco opera una distinzione tra analogia aritmetica e analogia geometrica: la prima si fonda sulla base del numero, mentre la seconda è basata sui meriti di ciascuno; nella prima l'ìson fonda il dìkaion, nella seconda il dìkaion decide dell'ìson. La teoria democratica non aveva bisogno della proporzione aritmetica, nè traeva da essa vantaggi, anche se la quantificazione democratica è una forma aritmetica molto pronunciata. Quantificazione, verificabilità, visibilità, trasparenza, astrazione della singola personalità, generalizzazione, bilanci sono tratti che si accordano bene con il razionalismo e l'intellettualismo avanzanti nel V secolo.

Maggioranza e unanimità

Nell'Iliade, il desiderio di unanimità arriva quasi all'ossessione: bisogna che tutti siano coinvolti e approvino. In caso di disaccordo, nemmeno l'autorità può imporre la sua volonà. Il fatto che l'autorità possa avere difficoltà a far applicare la sua autorità rientra nella concezione greca, secondo cui le decisioni che riguardano una molteplicità di soggetti devono essere prese almeno con un minimo di partecipazione dei soggetti medesimi. Nel primo libro dell'Iliade, con l'episodio di Agamennone, si può notare come l'assemblea abbia un ruolo di convalida della decisione del capo: stenta ancora a vedersi una pluralità di soggetti che si possano democraticamente diversificare nella scelta. Già nell'Odissea si profila l'idea di una spaccatura del corpo civico e della vittoria della maggioranza: va emergendo una più articolata funzione politica del demos. Anche a Sparta si profila l'idea di una maggioranza, nell'elezione dei ghèrontes. Qualche secolo più tardi, Tucidide ci testimonia come l'assunzione di una decisione avvenga tramite il voto, dopo aver ascoltato e discusso una proposta: l'unanimità sarebbe l'ideale, però, per bloccare decisioni terribili, la maggioranza deve bastare. Ancora nella società del V secolo, le tendenze unanimistiche sono molto forti. Nelle democrazie moderne si vede il problema della reversibilità del rapporto tra maggioranza e minoranza, mentre nella polis c'è meno l'idea del succedersi, al governo, di un partito all'altro: ci sono ondate di uomini legati da amicizia che si succedono e i ruoli politici sono addirittura rotanti. Il conflitto è tra uomini, non tra raggruppamenti sociali, anche perchè alcuni gruppi, come donne, stranieri, schiavi e minorenni, sono già esclusi dalla polis: questo alimenta ulteriormente la vocazione quasi-unanimistica. I decreti di età ellenistica, contenenti dati numerici riguardo alle votazioni, che ci sono pervenuti, registrano risultati del tipo largamente maggioritario o quasi-unanimistico e ugualmente si riscontra in Asia Minore, dove maturò, sotto l'influenza attica e ionica, la generalizzazione dell'idea democratica, propria appunto dell'età ellenistica.

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