Sono cifre a cui si stenta a credere, tanto sono scandalose: le remunerazioni degli ambasciatori italiani sono pari a due volte e mezzo quelle degli ambasciatori tedeschi. Quello a Parigi, per fare un esempio, prende 20.995 euro netti al mese, contro gli 8.449 del suo collega tedesco. Un privilegio assurdo in un Paese in crisi economica come l'Italia. È quanto emerge da una ricerca di Roberto Perotti, 53 anni, docente di economia politica alla Bocconi, pubblicata dal sito lavoce.info. È probabile che questa volta, alla denuncia di un ricercatore, facciano seguito delle decisioni politiche. Perotti è infatti uno dei collaboratori più fidati di Matteo Renzi, e da mesi sta coordinando un gruppo di ricerca sulla spesa pubblica su incarico del segretario Pd. L'obiettivo, stando ad alcune dichiarazioni dello stesso Renzi, è di estendere i tagli già previsti per la politica anche alla casta dei diplomatici, che gode di retribuzioni e privilegi record a livello mondiale, pur non brillando per efficienza né per autorevolezza.
È bene essere chiari su un punto: la voglia dichiarata di tagliare stipendi e pensioni già in essere, voglia che da qualche tempo caratterizza i consiglieri di Renzi (in primis il finanziere Davide Serra e il deputato Yoram Gutgeld), non ci è mai piaciuta. Ma gli altissimi stipendi dei dipendenti della Farnesina, sommati a una serie di privilegi senza eguali al mondo, sono indifendibili.
La ricerca del professor Perotti spiega che gli ambasciatori italiani godono di una retribuzione elevata poiché quando vanno all'estero prendono di fatto due stipendi: l'Ise (indennità di servizio all'estero) e lo «stipendio metropolitano», che è quello che avrebbero preso restando in Italia. Così l'ambasciatore a Parigi, sommando l'Ise di 15.610 euro allo stipendio metropolitano di 5.385 si porta a casa ogni mese 20.995 euro netti, pari a 2,48 volte la remunerazione netta del suo collega tedesco (8.449 euro netti). Dettaglio da non trascurare: anche l'ambasciatore tedesco può sommare due stipendi (quello nazionale più l'indennità per l'estero), ma tra il suo netto in busta paga e quello del collega italiano c'è un abisso. Se pensate che la busta paga dell'ambasciatore italiano a Parigi sia un caso limite, vi sbagliate. Quello che sta a Tokyo batte tutti, con 27.028 euro netti al mese, seguito dagli ambasciatori a Mosca (26.998 euro), a Washington (24.606), all'Onu di New York (23.667). La media degli altri è di 20mila euro netti al mese, o poco più. Il più povero, si fa per dire, è l'ambasciatore a Città del Messico, che si deve accontentare di 18.797 euro netti al mese.
Quanto ai privilegi, la ricerca di Perotti precisa che gli ambasciatori sia tedeschi che italiani «hanno diritto all'abitazione», per cui non devono pagare l'affitto. A questo provvede lo Stato, che, nel caso italiano, non è mai stato neppure sfiorato dall'idea di una spending review. A Ginevra, precisa Perotti, il rappresentante italiano alle Nazioni unite risiede in una villa con 12 bagni che costa 22mila euro di affitto al mese. Poi ci sono le spese di rappresentanza, che costituiscono un'indennità a parte. Il professor Perotti non le ha incluse nella sua tabella perché sono variabili e soggette a rendicontazione. Si va da 4mila euro mensili a Pretoria fino a 22mila euro a Tokyo: si tratta di spese per la benzina, l'auto di servizio, il leasing, viaggi di rappresentanza, domestici, ricevimenti.
Non è finita. Perotti ricorda che gli ambasciatori percepiscono anche un'indennità di sistemazione quando prendono servizio all'estero (è pari a una volta e mezzo l'Ise mensile), mentre quando tornano in Italia prendono l'indennità di richiamo dal servizio (anche questa pari a una volta e mezzo l'Ise mensile). A queste si somma un contributo per le spese di trasporto delle «masserizie», pari al 50 per cento dell'Ise se la sede diplomatica in cui si prende servizio dista meno di 1.500 km da Roma; al 75% dell'Ise se è tra 1.500 e 3.500 km; e al 100% oltre i 3.500 km. Al rientro dal servizio, il contributo per il trasporto delle masserizie è garantito per il medesimo importo. Forse per non infierire, Perotti non ha aggiunto altri dati, che tuttavia sono disponibili su internet e sono utili per completare il quadro. L'Italia ha più sedi diplomatiche e consolari all'estero (325) di gradi Paesi come gli Stati Uniti (271), la Russia (309), il Regno Unito (261) e la Germania (230). Una commissione parlamentare, già in passato, ha calcolato che riducendo il numero delle sedi si potrebbero risparmiare almeno 5 milioni di euro l'anno. Poca cosa rispetto al costo complessivo della Farnesina, che è pari a 1,7 miliardi l'anno, equivale allo 0,1% del pil, ed è formato per l'83,3% dalle spese per il personale.
Una spesa che rappresenta una scandalosa anomalia sotto ogni punto di vista. La forbice degli stipendi va dai 300mila euro netti l'anno (in media) degli ambasciatori, fino ai 6mila euro netti al mese per gli autisti. In totale, la Farnesina conta 906 diplomatici (di cui 522 all'estero e 387 in sede), 41 dirigenti, e 3.457 addetti alle aree funzionali. Un esercito di 4.752 dipendenti di ruolo, di cui 2.853 all'estero e 1.989 a Roma. A questi si sommano altri 2.400 dipendenti assunti a contratto, di cui 800 con contratto italiano, e gli altri con contratti locali dei Paesi in cui si trovano le sedi diplomatiche, con forti disparità retributive. Dunque, una doppia anomalia, in quanto più della metà di tutto il personale in servizio all'estero è mandato dall'Italia (il 60%), con costi assai elevati, mentre il restante personale viene assunto sul posto, con contratti meno costosi. Gli altri Paesi, di regola, fanno esattamente l'opposto, e inviano in missione non più del 20% del personale nazionale.
Infine, una chicca trovata sul web. L'ambasciatore italiano a Berlino guadagna 20mila euro netti al mese, ed ha 58 dipendenti. La cancelliera Angela Merkel prende meno della metà: 9.072,43 euro netti al mese, e governa un Paese con più di 80 milioni di abitanti. Ogni commento è superfluo.
di Tino Oldani Vai direttamente all'articolo.
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