Il minimo che si possa dire è che siamo in presenza del mondo alla rovescia. Rischia di passare l’idea che la legge sulle intercettazioni sia lesiva niente meno che della "libertà investigativa", della "libertà d’intercettare". Avete capito bene: non una legge a tutela del diritto alla privacy delle persone, ma una legge che lede un’altra libertà, dal contenuto oscuro e ossimorico, quella d’investigare sulle nostre comunicazioni riservate, appunto.
Ora, le intercettazioni sono certo un’indispensabile strumento investigativo, in alcuni casi meritorio e decisivo: ma far diventare una "libertà" questo tetro mezzo d’intrusione nella vita più intima delle persone, questo “grande orecchio” da Germania Est degli anni bui della Stasi, è l’ultima delle inversioni logiche cui ci tocca di assistere.
Sulla "libertà di comunicare riservatamente" la dottrina, costituzionale e non, ha scritto in passato fiumi d’inchiostro, di cui ora si dimentica. L’articolo 15 della Costituzione, al primo comma, afferma che "la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. L’aggettivo "inviolabile" fu usato con parsimonia dai costituenti: oltre che nell’articolo 15, lo si ritrova a sostegno della libertà personale, della libertà di domicilio, e del diritto di difesa in giudizio. E proprio sull’inviolabilità di questi soli – e non di altri – diritti fondamentali, si sono costruite teorie giuridiche, che non interessa affatto ripercorrere qui, se non per sottolineare che ora l’oblio le avvolge in modo culturalmente incomprensibile. Oggi trionfano gli slogan sulla "legge-bavaglio", e le tetre esibizioni del popolo viola, con le loro magliette cupe con su scritto "intercettateci tutti". Ma quale follia collettiva ha preso, in nome dell’antiberlusconismo, parti insospettabili della nostra élite politico-culturale e dell’opinione chic da salotto?
E’ davvero singolare come siano poche le voci a sottolineare questa straordinaria inversione culturale, che sembra aver preso tutti, indistintamente. Persino la voce di Tavaroli si è levata, trovando autorevole spazio su autorevoli quotidiani, a condannare la "legge-bavaglio". Il centro-destra ci avrà pur messo del suo nel cacciarsi in questo pasticcio assurdo, ma ora, al di là delle tecnicalità giuridiche e procedimentali, certo da aggiustare, si tratta di riportare la questione ai suoi termini reali.
L’attività investigativa non è una libertà, ma una modalità attraverso la quale si manifesta un potere suscettibile di comprimere la libertà delle persone. Essa trova spazio in Costituzione, certamente, laddove si affermano, ad esempio, obbligatorietà e quindi indipendenza dell’azione penale. Ma qui non si garantiscono "libertà", si precostituiscono strumenti regolati di repressione dei reati, a disposizione dell’autorità giudiziaria, cui fanno argine – nel mondo liberale cui ancora dovremmo appartenere – i diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione.
Questo va detto in faccia ai mediocri epigoni dei sans culottes da terrore giacobino, che con occhi spiritati si agitano nelle nostre piazze, o scrivono "indignati" sui loro giornali.
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